federica-mogherini.jpg_1081767504CUORE DI MADRE
Gentile Federica Mogherini, mi permetto di scriverLe perché in questi giorni è rimbombato nelle mie orecchie un assordante silenzio: il suo.
Il 4 Aprile scorso, all’indomani della strage chimica di Kahn Sahykur, in Siria, dove 80 civili sono stati uccisi, ho ascoltato le sue dichiarazioni in qualità di Alto Rappresentante degli Affari Esteri per l’Europa.
L’ho vista turbata nonostante il suo ruolo istituzionale, nonostante il gravoso compito di rappresentare la politica estera dell’Unione Europea.
Davanti alle telecamere di tutto il mondo, con coraggio, lei ha deciso di rompere il protocollo ed il linguaggio ufficiale e burocratico che la diplomazia impone; ha deciso di parlare “come madre e non come politico”, come lei stessa ha detto. L’ho apprezzata molto.
Di fronte a quelle immagini di bambini siriani morti o agonizzanti la coscienza di ognuno di noi si è rotta in mille pezzi e nel vuoto che non si colma, è stato confortevole pensare che chi ci rappresenta nelle Istituzioni internazionali più importanti, mantenesse una piccola parte di umanità, dolore, sconcerto, paura nel proprio cuore, rendendosi così simile a noi.
Quella strage, di cui ancora non si conosce il colpevole nonostante l’Occidente abbia già deciso chi sia, ha sconvolto ognuno di noi.
fotoLA FOLLIA DELL’UOMO
Ora però, gentile Federica Mogherini, mi chiedo perché in questi giorni, di fronte alla altrettanto terribile strage di bambini sciiti ad Aleppo, il suo cuore di madre non ha battuto con uguale emozione e indignazione. Perché uno strano silenzio, che sembra indifferenza, ha gelato le sue parole che invece sarebbero servite?
Quasi 100 bambini sono stati uccisi in uno dei crimini più efferati della guerra siriana. Erano profughi che attendevano di essere trasferiti nelle zone controllate dall’esercito siriano e fuggire dai territori sottomessi alle bande mercenarie di quei terroristi che l’Occidente si ostina a chiamare “ribelli moderati”; erano per lo più bambini con le loro mamme. Erano stanchi e affamati. Sono stati attirati da un camion che doveva consegnare loro cibo e fatti saltare in aria secondo un piano preciso, vittime sacrificali di un Dio dell’orrore.
Perché quei bambini sciiti non meritavano la stessa condanna internazionale, la stessa voce dell’Europa Unita che si dice impegnata in prima linea nella difesa dei diritti umani e nelle vita dei più deboli?
Signora Mogherini, la prego, guardi questo video girato pochi attimi dopo l’esplosione che ha fatto a pezzi 100 bambini. Lo guardi e lo riguardi come ho fatto io; ascolti le urla di donne e bimbi, guardi quei corpicini e tiri fuori il suo orrore di mamma non la sua freddezza di diplomatico. Non è un gioco sadico mostrare queste immagini ma un dovere che in questo caso, non so perché, i media occidentali hanno disatteso.
Perché la follia dell’uomo sottende spesso i processi storici, ed è la vera variabile impazzita con la quale dobbiamo fare i conti per trovare una ragione che spesso non c’è.
Di questo crimine sappiamo chi sono i colpevoli: gruppi sunniti all’interno di una lotta intestina tra fazioni islamiste.
Signora Mogherini, perché non una sola parola su chi da anni questi gruppi arma e finanzia, a partire dall’Arabia Saudita uno dei regimi più oscurantisti della terra, primo al mondo per violazione dei diritti umani e che da decenni finanzia il terrorismo internazionale e l’integralismo islamista che si sta diffondendo nelle nostre città europee?
Schermata 2017-04-20 alle 10.24.46AWRA
Signora Mogherini, ora guardi la foto di questa bimba. Si chiama Awra ha 4 anni e ha perso la vista durante un bombardamento avvenuto a Mosul il 17 marzo scorso; perché Awra non è siriana, è irachena.
Sua mamma e molti dei suoi amichetti sono morti sotto quelle bombe: quasi 300 civili. Awra è stata salvata dai medici di Emergency e presto tornerà a vedere ma, conficcate nella testa e nelle gambe, ha ancora molte schegge. La storia di Awra è stata raccontata in questo articolo.
Le bombe che hanno devastato la vita di Awra non erano dell’Isis e neppure di qualche truce dittatore mediorientale, di quelli contro cui la nostra coscienza di occidentali ama scagliarsi quando ha bisogno di trovare facili nemici necessari a dividere l’umanità in buoni e cattivi; queste erano bombe democratiche, umanitarie; erano bombe americane. Il bombardamento che ha ucciso quasi 300 civili a Mosul è stato effettuato dagli aerei degli Stati Uniti.
Perché non ho sentito la sua voce di madre provare orrore per questo crimine?
Perché il suo cuore di mamma non ha mai battuto davanti alle 50.000 bombe che solo nel biennio 2015-2016 Barack Obama (premio Nobel per la Pace) ha lanciato su sette paesi del Medio Oriente producendo un numero di morti civili che stranamente i media occidentali non hanno mai quantificato?
Il nuovo Presidente americano Donald Trump, davanti ai bambini morti per il gas chimico ha esclamato: “nessun figlio di Dio dovrebbe mai patire un orrore simile”. È giusto, ed è stata questa sua indignazione a spingere l’America a bombardare la Siria violando il diritto internazionale nell’indifferenza di chi, come lei, avrebbe dovuto difenderlo.
Ma Le chiedo, signora Mogherini,  i bimbi sciiti di Aleppo o quelli iracheni di Mosul o quelli yemeniti uccisi dai nostri alleati sauditi con l’aiuto di Washington e Londra, sono forse figli di un Dio minore?
LO SPAZIO DELLA MENZOGNA
Signora Mogherini, lei sa che ciò che non si esprime non esiste e sottraendo una sua parola a questi orrori, lei ha negato la loro esistenza; in pratica  è come se per lei Awra o i bambini sciiti di Aleppo non fossero mai esistiti.
Noi tutti sappiamo che la guerra è lo spazio della menzogna, che il mondo delle relazioni internazionali è il luogo della dissimulazione, che spesso la ragion di Stato comprime il senso della nostra umanità lasciandola ombra residuale nei nostri comportamenti.
E sappiamo anche che l’Occidente democratico non si è fatto scrupoli di utilizzare menzogna, dissimulazione, ingiustizia, disumanità nella sua storia anche recente: Vietnam, Iraq, Serbia, Libia, Siria.
Ma io so,  signora Mogherini, quando lei si è appellata al suo cuore di madre era sincera. Continui ad esserlo.
Dopo l’attentato di Bruxelles, un anno fa, lei si presentò davanti alla conferenza stampa internazionale in lacrime, non reggendo la tensione che il momento imponeva, svelando tutta la debolezza di questa Europa piena di regole, vincoli, burocrazie ma priva di leadership politica. Io criticai aspramente la sua incapacità di ricoprire il ruolo che le compete come una delle donne più potenti del mondo; ma in fondo in quella inaccettabile debolezza c’era un suo velo di umanità che la rendeva diversa e che io forse non ho compreso.
Henry Kissinger definiva il burocrate colui che “nella realizzazione del mondo non ha parte” perché “la sostanza del mondo non lo riguarda e la realtà finisce nella struttura organizzativa di cui fa parte”. E’ tutta qui la differenza tra un politico ed un funzionario.
La prego signora Mogherini, se l’Europa ha ancora un senso, esso è quello che voi che la governate siete in grado di dare; e allora, perlomeno ci illuda che questa Europa sia qualcosa di più di un gruppo di burocrati indifferenti a ciò che capita loro intorno e ai bisogni dei popoli che loro pretendono di rappresentare. In questo momento i cittadini europei hanno bisogno di leader che li guidino nella verità e non di burocrati che li governino con l’inganno e il falso pietismo.
Signora Mogherini, racconti la verità sulla guerra in Siria. 

 Su Twitter: @GiampaoloRossi

Nel Medioriente è già pulizia etnica. I cristiani sono a rischio di estinzione

Crocifissi, decapitati, violentati: solo in Irak da un milione e mezzo sono scesi a 300mila. Ma ormai sono in fuga dappertutto



L'ultimo è avvenuto martedì a un posto di blocco della polizia che difende il monastero di Santa Caterina nel Sud del Sinai. Un agente è stato ucciso e altri quattro feriti, ma gli assalitori hanno dovuto ripiegare.
«L'attacco condotto nel Sud del Sinai è stato eseguito dai combattenti dello Stato islamico» ha rivendicato l'agenzia di stampa Amaq legata al Califfato. La ventina di monaci greco-ortodossi stanno bene e l'antico luogo di culto non è stato colpito. Il monastero sorge alle pendici del monte dove Mosè avrebbe parlato con Dio ricevendo i dieci comandamenti. L'attacco segue la strage con di Pasqua nelle chiese di Tanta e Alessandria, che ha provocato la morte di una cinquantina di fedeli per mano di due terroristi suicidi.
Purtroppo non è l'unico martirio dei cristiani in Medio Oriente. Dalla Siria all'Irak, dalla Libia allo Yemen, chi crede in Gesù è perseguitato.
I cristiani in Egitto sono il 10% di una popolazione di 94 milioni, in gran parte musulmana e vivono assediati da sempre. Dal 2011 sono 77 gli attacchi contro la minoranza copta solo nella provincia di Minya, dove i cristiani registrano la concentrazione più alta con un terzo degli abitanti. Dopo la caduta del presidente dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi, gli attacchi sono aumentati. I cristiani vengono bollati come alleati del nuovo capo di stato, il generale Abdel Fattah Al Sisi.
Il Califfato ha cacciato 135mila cristiani da Mosul e dalla piana di Ninive fuggiti come profughi nel nord dell'Irak nel 2014. Adesso sono rimasti in 90mila. Gli altri sono scappati all'estero. E hanno paura di tornare nelle loro case, anche se sono state liberate dall'offensiva contro la «capitale» dello Stato islamico. Per rimettere in piedi i villaggi cristiani ci vorranno oltre 200 milioni di dollari. Ed una nuova minaccia si profila all'orizzonte: le milizie sciite, vittoriose a Mosul, vorrebbero occupare le terre cristiane con l'appoggio finanziario dell'Iran.
Nel 2003, prima dell'invasione alleata che ha abbattuto Saddam Hussein, i cristiani in Irak erano oltre un milione e mezzo. Adesso sono appena 300mila anime.
Il rischio di estinzione dei cristiani in Medio Oriente è concreto e si tocca con mano anche in Siria dove sono fuggiti dalla guerra in mezzo milione. Paolo si convertì sulla strada di Damasco, ma in città come Aleppo gran parte delle chiese sono state distrutte dai combattimenti. E dei 120mila cristiani prima della sanguinosa «Primavera araba» ne sono rimasti 35mila. Molti fedeli di Gesù sono stati rapiti e uccisi, talvolta con la crocifissione. Padre Paolo Dall'Oglio, il religioso italiano dell'antico monastero di Mar Musa è stato sequestrato nel 2013 e probabilmente ammazzato. Gli ostaggi cristiani vengono utilizzati come scudi umani in prima linea o per scavare trincee. Nella maggior parte dei casi servono per fare cassa. Nel 2015 erano stati rapiti in 230 dallo Stato islamico a Qaryatayn. I tagliagole volevano 30 milioni di dollari per lasciarli andare.
Anche in Libia i cristiani sono sotto tiro. Le bandiere nere hanno decapitato sia un gruppo di 21 egiziani copti sia di 31 eritrei cristiani, tutti migranti. Le orribili scene delle esecuzioni di massa sono state riprese sulla spiaggia con il sangue dei martiri che si mescolava alla risacca del Mediterraneo.
Secondo la fondazione pontificia, Aiuto alla chiesa che soffre, nel febbraio dello scorso anno erano detenuti in Iran 90 cristiani a causa della loro fede. In Arabia Saudita non si possono costruire chiese. Nello Yemen nel marzo 2016 quattro religiose di santa Madre Teresa di Calcutta sono state uccise assieme ad altre 12 persone per mano jihadista.
www.gliocchidellaguerra.it

L’Esercito siriano ha abbattuto un drone dell’ISIS che utilizzava una bomba della NATO


By Leith Fadel –    20/04/2017 0
Il tipo di bomba seriale, utilizzata dall’ISIS per attaccare i civili nella zona di Abul Al Alaya, è stata identificata dall’Esercito siriano (NDF) come un proiettile GLV-HEF, di esclusivo utilizzo NATO, prodotto in Bulgaria.
Secondo l’NDF le forze siriane nell’area di Abul Al Alaya hanno abbattuto un drone utilizzato dall’ISIS per gli attacchi, mentre stava sorvolando le loro posizioni e bombardando i civili nella zona.
L’ISIS ha utilizzato queste bombe per colpire i civili nelle zone urbane di Homs e Deir Ezzor per diversi mesi, obbligando i militari siriani a monitorare constantemente i paesi e le città della nella Siria orientale.
Le forze governative siriane hanno difeso le popolazioni dall’ultimo assalto effettuato dai miliziani dei gruppi terroristi anche nella zona del sud est di Hama.


Bombe prodotte per la NATO

NotaNon è la prima volta che vengono scoperte armi di produzione esclusiva per la NATO in possesso dell’ISIS, questo è avvenuto quando l’Esercito siriano si è impadronito di alcuni depositi usati dal gruppo terroristico in varie zone del paese ed in questi depositi sono state trovate armi di fabbricazione USA destinate alla NATO.






ISIS Droni

Ad Aleppo, quando la città è stata liberata dalle forze governative, è stato ritrovato un bunker con alcuni ufficiali della NATO (fatti prigionieri) che dirigevano le operazioni dei gruppi terroristi arroccati nei quartieri est della città. Si è saputo che dalla  base in Turchia venivano inviate ai terroristi le coordinate, rilevate dai satelliti, per colpire gli obiettivi delle forze siriane.Vedi: South Front
Nessuna sorpresa quindi ma una ulteriore conferma della complicità della NATO con le operazioni dei gruppi terroristi in Siria per destabilizzare il paese e rovesciare il Governo di Damasco.
Traduzione e nota: L.Lago
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Il video che smaschera la bufala di Idlib

Il video che smaschera la bufala di Idlib

Il “Sarin di Assad” a Idlib nell’aprile 2017: una bufala che rischia di scatenare la Terza Guerra mondiale (e/o far vincere un altro Premio Oscar a George Clooney e ai suoi White Helmets). Per analizzarla in molti dei suoi aspetti, questo video (postato sia su Youtube che su Facebook).
Il tutto con una linkografia (in continuo aggiornamento) di riferimento.

Buona visione:




Francesco Santoianni

La Russia chiede all'Opac di spiegare come hanno fatto i Caschi Bianchi a non avvelenarsi con il gas sarin in Siria

La Russia chiede all'Opac di spiegare come hanno fatto i Caschi Bianchi a non avvelenarsi con il gas sarin in Siria


La Russia presenta le prove all'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) per dimostrare la "frode mediatica"


La Russia ha presentato nella giornata di mercoledì prove all'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) per dimostrare che il presunto attacco chimico ad Idlib sia in realtà una frode mediatica.

Le foto del presunto attacco in possesso alle autorità russa contraddicono i video pubblicati dai "ribelli" siriani, che sostengono che sia stato attuato dall'aviazione siriana. Lo ha annunciato all'agenzia Tass il rappresentante russo all'Opac, Alexandr Shulguín.

Secondo l'OPAC, durante l'attacco si è utilizzato gas sarin, che contrae le pupille. Ma nelle foto scattate dopo l'attacco si vedono che le pupille dei minori sono, al contrario, dilatati. "Questa è la prima incongruenza", sottolinea Shulguín.

Un'altra contraddizione, prosegue l'ambasciatore russo, è nel cratere che si è prodotto nell'impatto. I "ribelli" assicurano che l'attacco sia stato perpetrato con una bomba e un missile, però le caratteristiche del foro lasciano intendere che si sia formato per lo scoppio a terra di "un piccolo dispositivo esplosivo contenente alcuni elementi chimici", ha proseguito Shulguin.

Ancora più chiare le dichiarazioni del Ministero della difesa russo che ha sollecitato l'Opac a spiegare come abbiano fatto i Caschi bianchi a non morire avvelenati con il gas sarin nella città siriana durante il presunto attacco chimico. "Se realmente si è usato il gas sarin, come può spiegare l'Opac il comportamento dei ciarlatani dei Caschi Bianchi che saltavano tra i vapori dei gas sarin senza mezzi di protezione?", ha chiesto ironicamente Ígor Konashenkov, portavoce del Ministero della Difesa russo. "Lo hanno visto tutti. Desideriamo avere risposte chiare a tutte queste domande il prima possibile da parte di Ahmet Üzümcü [direttore di quest'organizzazione]".

"Oppure dobbiamo ritenere che, contrariamente alle conclusioni degli esperti indipendenti che considerano assurda la 'selettività' dell'impatto di gas sarin, Üzümcü abbia ideato una sua propria tavola periodica?", ha ironizzato il portavoce del Ministero russo in relazione alle dichiarazioni di Üzümcu sull'attacco chimico.
Il rappresentante del Ministero russo ha concluso sottolineando come l'Opac "ha una grande responsabilità", quella di "constatare in base ai fatti" tutte le dichiarazioni e le conclusioni e non formulare "ipotesi motivate politicamente". Le conclusioni devono poi essere disponibili "pubblicamente per permetter a qualunque esperto di valutarlo e commentarlo". Nelle due settimane trascorse dall'incidente, nessun rappresentante dell'Opac è stato sul posto, ha proseguito Konashenkov. "Chi, come e quando sono state raccolte le prove? Questa frettolosa dichiarazione di Üzümcü è una trappola per tutta l'OPAC".

Come utilizzare lo spauracchio atomico coreano per muovere le pedine contro l’Iran (e la Russia)


Eviterò, visto che non è mia usanza sparare sulla Croce Rossa, di dilungarmi in ironia sull’Armada statunitense che ha sbagliato strada e puntava fiera verso l’Australia, invece che verso la Nord Corea. Non so cosa sia successo in realtà e, francamente, non mi interessa. Per una ragione semplice: a mio avviso, più passano i giorni e più il ping pong tra Washington e Pyongyang appare un gioco delle parti, con la Cina ben felice di fare da paciere, visto che mentre finge di mediare per evitare al mondo un’apocalisse nucleare, sta pompando nel sistema finanziario denaro a pioggia, svalutando lo yuan senza che Donald Trump abbia nulla da ridire al riguardo. Anzi, in un tweet di qualche giorno fa, il presidente USA diceva chiaro e tondo che non poteva rivolgersi a Pechino chiamandola manipolatrice valutaria, visto che stava dando una mano con la Corea del Nord. Siamo alle solite e ce lo mostra questo grafico:

c’è qualche rogna in casa? Negli USA è semplice: spara due missili, gonfia il petto e minaccia invasioni in stile Rambo e la gente è pronta a mettere la bandiera sul porticato di casa e a garantirti sostegno. Film già visto che non stupisce. Il problema è che mentre gli occhi del mondo sono puntati sulla Corea del Nord, altrove accadono cose che andrebbero seguite con attenzione e utilizzate come i puntini dei giochi della “Settimana enigmistica”: unendoli, il quadro si chiarisce. O, quantomeno, trova un senso. Primo, da giorni il governo siriano sta riposizionando la gran parte dei suoi aerei da combattimento in prossimità di una base russa, per evitare che siano colpiti da nuovi bombardamenti americani. Lo riportano fonti del Pentagono alla CNN. La flotta aerea del regime di Damasco si starebbe dunque trasferendo nell’aeroporto internazionale Assad, adiacente alla Khmeimim Air Base, dove si trovano i caccia russi che operano in Siria: lo spostamento sarebbe cominciato all’indomani dell’attacco dei missili Usa del 6 aprile scorso, ordinato dal presidente Donald Trump come rappresaglia all’attacco chimico al villaggio di Sheikhoun.

E a tale riguardo, ecco un paio di notizie. Primo, alti funzionari della Difesa israeliana hanno affermato che il regime siriano di Bashar al Assad è ancora in possesso di tonnellate di armi chimiche: “Fra una e tre”, riferiscono le fonti. Secondo, “Abbiamo degli elementi che ci permetteranno di dimostrare che il regime siriano ha utilizzato scientemente l’arma chimica”. Chi lo ha affermato? Il ministro degli Esteri francese, Jean-Marc Ayrault, riferendosi proprio all’attacco chimico su Khan Shaykhun, nel nord-ovest della Siria. “E’ questione di giorni, porteremo la prova”, ha aggiunto il ministro, specificando che “i servizi di intelligence francese e militare stanno conducendo un’inchiesta”. Tradotto: visto che la Le Pen sostiene Assad e Putin e che Emmanuel Macron è l’unico dei contendenti a essere dichiaratamente schierato contro Damasco, entro domenica ci inventeremo qualche bufala da propinare all’opinione pubblica a urne aperte. Due piccioni con un a fava, lecco il culo a Washington e sfrutto il caso a uso interno. Infine, parlando a margine del voto con cui il Parlamento britannico ha dato via libera al voto anticipato dell’8 giugno prossimo, il ministro degli Esteri, Boris Johnson, ha detto chiaramente che “sarebbe difficile dire no all’America se ci chiedesse aiuto per attacchi contro la Siria”. Insomma, c’è puzza di nuova coalizione anti-Assad.

Da ieri, poi, l’amministrazione Trump ha gettato la maschera nei confronti di una sua vecchia ossessione, casualmente comune anche a Israele e Arabia Saudita. Il presidente ha infatti dato indicazione che venga condotta una revisione dell’accordo sul nucleare iraniano, ha confermato il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer (non si sa se prima o dopo aver rivalutato l’operato di Attila e Jack lo Squartatore). Lo stesso Spicer ha definito la mossa, “un passo prudenziale”: l’amministrazione Trump intende verificare entro 90 giorni il rispetto dell’accordo sul nucleare da parte di Teheran e chiarire se la rimozione delle sanzioni è negli interessi della sicurezza nazionale USA. Alla domanda se Trump sia preoccupato che l’Iran possa imbrogliare, Spicer ha risposto che “sta facendo una cosa prudenziale, chiedendo una verifica dell’attuale accordo”. Il problema è che sul tema è intervenuto, sempre ieri, il Segretario di Stato, Rex Tillerson, il quale ha chiarito – non si sa quanto volontariamente – quale in realtà sia l’agenda politica insita nella mossa.

Tillerson ha infatti negato che Teheran sia inadempiente nei suoi obblighi rispetto all’accordo, fattispecie che già renderebbe inutile la revisione chiesta da Trump ma ha accusato Teheran di sponsorizzare il terrorismo, violare i diritti umani e agire come forza destabilizzante. “In quanto ad azioni e propaganda, l’Iran fomenta discordia. Un Iran non controllato ha il potenziale di muoversi lungo traiettorie come quelle della Corea del Nord e di trasportare con sé il mondo”, ha dichiarato. Ora, ci sono tre cose da notare. Primo, il 31 gennaio scorso hanno avuto inizio le manovre navali denominate “Unified Trident”, svoltesi davanti alle coste del Bahrain, quindi non lontano da quelle iraniane e che hanno visto la Marina britannica guidare per tre giorni navi da guerra americane, francesi e australiane. Obiettivo principale delle manovre è stato simulare proprio un attacco all’Iran. Il tutto, dopo che a inizio gennaio il cacciatorpediniere USS Mahan aveva sparato colpi di avvertimento in direzione di quattro motovedette iraniane. La stessa unità assieme alla USS Hopper, alla nave ammiraglia britannica HMS Ocean e al cacciatorpediniere HMS Daring, alla fregata francese FS Forbin e a unità da guerra australiane, ha preso parte a “Unified Trident”.
Secondo, la decisione statunitense e il monito di Tillerson sono guarda caso arrivati il giorno seguente alla parata del “Giorno delle forze armate”, durante la quale a Teheran è sfilato il nuovo missile di fabbricazione domestica, Sayyad, insieme alle batterie S-300 di fabbricazione russa, carri armati, veicoli corazzati, UAV, jet da combattimento, sistemi radar e di difesa aerea. Dulcis in fundo, sui missili campeggiava la scritta “Morte a Israele” in farsi e il disegno di un pugno che distruggeva la stella di David.

Parlando in occasione della parata, il presidente iraniano, Hassan Rouhani, ha dichiarato che “il popolo deve sempre mantenersi vigile e allerta rispetto alle cospirazioni poste in essere da altri soggetti e deve aumentare il suo potere di deterrenza giorno dopo giorno. Le forze armate iraniane difendono una regione importante e sensibile del Medio Oriente. Prometto una risposta vigorosa e determinata contro potenziali aggressioni: alcuni eserciti nemici stanno compiendo interventi e intromissioni negli affari interni degli Stati, compiono genocidi, sponsorizzano il terrorismo, i colpi di Stato, il tutto con assoluta mancanza di riguardo verso l’opinione della gente e la legge”. USA, Israele e Arabia Saudita sono avvertiti.

Terzo, il 19 maggio prossimo l’Iran andrà al voto per le presidenziali e proprio l’altro giorno, l’ex presidente conservatore, Mahmoud Ahmadinejad, con una mossa a sorpresa, ha presentato la sua candidatura. In un primo momento, Ahmadinejad aveva detto di non voler entrare in corsa perché sconsigliato della Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei e aveva annunciato di voler sostenere la candidatura del suo ex vicepersidente, Hamid Baghaie. Poi, il colpo di scena. Reso tale dal fatto che solo il 5 aprile scorso, Ahmadinejad si era espresso con queste parole al riguardo: “Non ho intenzione di correre per la presidenza e sostengo Hamid Baqaei come candidato più qualificato”. L’elenco definitivo dei candidati che saranno giudicati idonei sarà annunciato dal ministero degli Interni entro il 27 aprile, mentre la campagna elettorale comincerà invece ufficialmente il 28 aprile e terminerà il 17 maggio. Finora i due politici di alto profilo che hanno annunciato la candidatura sono stati il presidente uscente, Hassan Rohani e il custode del Santuario dell’Imam Ali Reza, Ebrahim Raesi, anche se entrambi non hanno però ancora registrato i nomi al ministero.

Washington intende alzare la tensione per entrare a gamba tesa nella campagna elettorale iraniana, tentando di destabilizzarla? Una cosa è certa: la decisione a sorpresa di Ahmadinejad sembra offrire un pretesto perfetto alle preoccupazioni di USA e Israele, sia perché ritenuta divisiva all’interno del Paese, sia per il profilo dichiaratamente aggressivo in politica estera. Tanto più che la principale accusa verso Rohani, destinata a diventare il leit-motiv della campagna elettorale, è quella di aver affossato l’economia, oltretutto attraverso un parziale abbandono del programma atomico e di concessioni alla comunità internazionale pur di giungere a un accordo che avrebbe dovuto imprimere proprio un’accelerazione alla crescita. Di fatto, il patto che Washington ha messo in revisione e che “Mad dog” Mattis vorrebbe stracciare a colpi di missili, rischia di finire sul banco degli imputati anche a livello interno: un mix che, a mio avviso, dovrebbe far spostare in fretta i riflettori da Pyongyang a Teheran, senza scordare il patto d’acciaio iraniano con Mosca e Damasco per la tutela del governo Assad, anch’esso tornato nelle mire di regime change statunitensi.
Ma c’è un altro fronte aperto nella nuova Guerra Fredda, quello afghano. Venerdì scorso a Mosca si è tenuta una Conferenza internazionale sull’Afghanistan, cui hanno partecipato delegazioni di almeno undici Paesi, fra cui Cina, Pakistan, Iran e India ma non quella statunitense, questo nonostante un invito formale e il fatto che Washington dal 2001 sostenga la maggior parte dello sforzo finanziario e militare in appoggio di governi democratici, presieduti prima da Hamid Karzai ed ora da Ashraf Ghani. Gli analisti non hanno esitato a sottolineare che il “no” di Washington andava letto, dopo gli interventi russi in Siria e Libia, come una resistenza all’ingresso di Mosca anche in una regione che gli Stati Uniti considerano strategica per i loro interessi in Asia meridionale e centrale.

Nelle ultime settimane, in effetti, la diplomazia russa è stata molto attiva sulla questione afghana con notizie, mai formalmente smentite, di contatti diretti con esponenti dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, atto che ha non poco irritato il governo di Kabul, intenzionato a restare al centro di ogni trattativa. In febbraio, poi, il ministro degli esteri Serghei Lavrov aveva sostenuto che “i talebani dovrebbero prendere parte direttamente ad un dialogo “costruttivo” sulla pacificazione dell’Afghanistan, mentre l’inviato speciale del presidente Vladimir Putin in Afghanistan, Zamir Kabulov, aveva escluso che gli Stati Uniti potessero decidere di ritirarsi dal Paese: “Per quanto ne so, Trump non prevede nessun ritiro delle truppe ed è logico, perché l’intera situazione collasserebbe”.

Detto fatto, Washington non parla ma agisce: a fronte della richiesta al Congresso di qualche migliaio d uomini in più per spezzare l’impasse creatasi con i talebani (capaci di controllare o disputare 171 dei 400 distretti del Paese) da parte del comandante delle forze degli Usa in Afghanistan, generale John Nicholson, ieri il Pentagono ha annunciato l’invio di 300 marines nella provincia meridionale di Helmand: il loro arrivo è previsto entro fine mese. Si tratta del singolo, più grande dispiegamento di forza USA dal 2014, sintomo chiaro della crescente volontà statunitense di combattere sul terreno e aumentare la propria presenza attiva: nonostante qualifichino loro stessi come “advisers”, i militari USA sono in tutto e per tutto presenti in modalità combat operativa.

Tanto più che a diretta domanda sull’argomento, il colonnello Matthew Reid ha risposto in questo modo: “I marines USA sono sempre dispiegati con mentalità da combattimento”. Tutto questo senza scordare che, nella notte, proprio Mattis ga detto chiaramente che “la questione in Yemen va risolta nel più breve tempo possibile”: ovvero, l’ennesimo proxy tra Arabia Saudita e Iran deve registrare una svolta prima che a Teheran si vada alle urne. Prepariamoci, quindi, a un’escalation in grande stile, soprattutto dopo l’abbattimento dell’elicottero saudita dell’altro giorno, nel quale hanno perso la vita 12 soldati di Ryad: la scusa della rappresaglia è servita su un piatto d’argento. Direi che, al netto di colpi di scena o colpi di testa, Pyongyang appare un diversivo di stile hollywoodiano: attenzione a non distrarsi dagli scenari dove davvero si trova l’azione. Pena venirne travolti.

Di Mauro Bottarelli , il 22 Commenti