IL MITO NEL CATTOLICESIMO
Il cattolicesimo è perduto se rinuncia al mito in cambio della modernità. Una mistificazione che si sta attuando sotto il naso degl’inconsapevoli fedeli. Lotta del Bene contro il Male e l’auto-dissoluzione del cattolicesimo
di Francesco Lamendola
C’un’osservazione particolarmente acuta di quel geniaccio di Georges Sorel, in un testo che non c’entra niente con il cristianesimo, e cioè la sua opera sociologica ormai classica Réflexions sur la violence (Paris, Pages Libres, 1908, pp. 32 sgg.; cit. in Il pensiero politico di Giorgio Sorel, a cura di Giovanni Spadolini, Firenze, Le Monnier, 1972, pp. 140-141):
Un esempio ancora più schiacciante [di “mito”, nel significato che Sorel dà a questa parola] potrebbe esser quello dei cattolici che non si sono mai abbattuti in mezzo alle prove più dure, perché immaginavano che la storia della Chiesa fosse un seguirti di battaglie fra Satana e la gerarchia sostenuta da Cristo e si rappresentavano perciò ogni nuova difficoltà come un episodio di questa guerra, destinata fatalmente a sboccare nella vittoria del cattolicesimo. All’alba del sec. XIX, le persecuzioni rivoluzionarie ravvivarono questo mito della persecuzione satanica, che ha ispirato a Giuseppe De Maistre pagine eloquenti: questo ringiovanimento spiega in gran parte la rinascita religiosa che si ebbe allora. Se oggi il cattolicismo è minacciato, si deve al fatto che il mito della chiesa militante tende a sparire… I costumi dolci, scettici e soprattutto pacifici della generazione presente non sono d’altronde favorevoli alla sua conservazione; e d’altro canto gli avversari della chiesa proclamano a voce alta che non vogliono tornare a un regime di persecuzione che potrebbe ridare l’antica energia alle immagini guerresche… Inutilmente la filosofia intellettualistica avrebbe cercati di dimostrare ai cattolici ardenti, che lottarono per tanto tempo con successo contro le tradizioni rivoluzionarie, che il mito della chiesa militante non è conforme alle teorie scientifiche, formulate dai più dotti autori secondo i metodi critici migliori:non li avrebbe persuasi. Nessun argomento avrebbe avuto la possibilità di scuotere la fede di questi uomini nelle promesse fatte alla chiesa, e, finché questa fede restava salda, il mito non poteva apparire discutibile ai loro occhi.
Dopo aver precisato che, per “mito”, Sorel propone di indicare quei grandi movimenti, come quello socialista (cui egli pensa soprattutto) che rappresentano la loro azione prossima come immagini di battaglie che assicureranno il trionfo della loro causa, la frase più notevole di questa pagina di prosa è la seguente: Se oggi il cattolicismo è minacciato, si deve al fatto che il mito della chiesa militante tende a sparire. Possiamo anche lasciar perdere, o non condividere, la specificità del mito cristiano secondo Sorel - il quale, dopotutto, parla e ragiona da persona intelligente, ma che si colloca all’esterno della prospettiva cristiana, e la giudica, non senza un pesante pregiudizio di matrice positivista, in base a criteri puramente sociologici (ritorneremo in futuro su questo aspetto, che è centrale per la comprensione del fatto cristiano); resta la fecondità della intuizione generale: il cristianesimo si regge su una serie di miti, o meglio, su una concezione mitica del mondo, per cui non c’è cosa peggiore, per esso, che il rinunciare a tale visione in favore di un approccio al reale di tipo scientifico e razionalista. Se gli stessi cristiani, a cominciare dal clero e dai teologi, si mettono su questa strada, è facile preconizzare quel che avverrà: una sorta di dolce suicidio, una vera e propria eutanasia del cristianesimo stesso. Ma, prima di proseguire, e a scanso di fraintendimenti, ci affrettiamo a dare una nostra definizione di ciò che intendiamo per “visione mitica del mondo”. Eccola: una visione che abbraccia l’intero arco della realtà, quella visibile e quella invisibile, quella dei vivi e quella dei morti, quella del tempo e quella dell’eternità, in base a criteri simbolici e ad immagini allegoriche, i soli, cioè, che permettono di esprimere, e sia pure in forma parziale e, se si vuole, “ingenua”, quel che non è suscettibile di comprensione e d’illustrazione mediante il linguaggio logico-discorsivo, quel che non è afferrabile con il solo strumento del Logos razionale, ma che è vero e certo di una verità e di una certezza indubitabili, ancorché si sottragga alle categorie classificatorie e combinatorie delle scienze positive. È una definizione un po’ lunga, lo ammettiamo, ma non era possibile esser più concisi. In definitiva, si tratta di un’idea del mito che corrisponde più a quella di Platone, che non a ciò che per mito intende la cultura moderna. Per quest’ultima, il mito è, a un dipresso, una credenza illusoria e favolosa, con cui gli uomini cercano di organizzare il disordine della realtà in un ordine superiore; credenza che verrà abbandonata e che si dissolverà come nebbia al sole, quando, al suo posto, si affermerà la certezza scientifica del sapere positivo. Per Platone, invece, il mito è una maniera allegorica di esprimere delle verità profonde, indubitabili, perenni, di origine non umana, bensì divina; verità che non si possono esprimere in altra maniera, perché giacciono su di un piano di realtà che è irraggiungibile per mezzo degli strumenti del sapere ordinario, scienza compresa.
È quasi inutile precisare che il torto più grave che si può fare ad un mito è quello d’interpretarlo in maniera letterale, scambiando le sue immagini simboliche per il contenuto di verità che il mito esprime. L’immagine di san Michele arcangelo che calpesta il demonio, o quella della Donna vestita di sole, con il capo coronato da dodici stelle, che schiaccia la testa al serpente, sono solo immagini; ma il contenuto di verità che esprimono è perfettamente vero e reale. Chi si dimentica di questa dimensione allegorica, incorre nello stesso equivoco di colui che scambia la luna per il dito che la indica: guarda il dito, mentre dovrebbe guardare la luna; e, così, gli sfugge completamente il senso di ciò che ha davanti, non lo comprende affatto, peggio, lo comprende alla rovescia, in maniera grottescamente deformata e parziale. Questa è la maniera di porsi sia del credente superstizioso, che nei simboli della religione vede delle cose in sé, sia del nemico della religione, il quale deride e combatte, nella religione, quei simboli, scambiandoli per i contenuti. Ma i simboli sono simboli, e null’altro; sono come il dito che indica la luna. Non si deve guardare ai simboli come se fossero i contenuti; chi lo fa, non arriverà mai a comprendere il loro vero significato; e poco importa che lo faccia da “amico” o da “nemico” della religione. Perciò, quando diciamo che il cristianesimo si fonda su una visione mitica del mondo, non intendiamo affatto dire che si fonda su una visione fantastica e leggendaria, ma che esso si serve, per esprimere i suoi contenuti ultimi, i quali sono inesprimibili e perfino irraggiungibili alla ragione logico-discorsiva, di una serie di miti e di un apparato complessivo che è di ordine mitico; e che, se pure il teologo e il filosofo possono avvicinarsi al Mistero del cristianesimo per via razionale (avvicinarsi, ma solo fino a un certo punto), per il credente qualsiasi quei simboli sono la via più sicura, forse l’unica veramente necessaria, per fare altrettanto, ed, eventualmente, per spingersi perfino oltre: come dimostra il caso di parecchi mistici analfabeti, o di santi bambini.
Ecco perché abbiamo trovato che l’osservazione di Sorel, a proposito del venir meno della tensione mitica nel cattolicesimo, sia particolarmente acuta e veritiera. Quel che sta succedendo oggi, è proprio ciò che Sorel aveva intuito e profetizzato; e il bello – si fa per dire - è che la cosa sta accadendo per un atto volontario dell’intellighenzia cristiana, specialmente i teologi e i quadri superiori del clero, i quali, per un venir meno della fede e per un eccesso di cultura laicista e secolarizzata, han finito per barattare il tesoro inestimabile della visione mitica del mondo, propria del cristianesimo, con il piatto di lenticchie della visione scientifica tipicamente moderna, vale a dire intrisa di razionalismo, materialismo e relativismo. Ciò è accaduto soprattutto sotto la spinta delle tendenze moderniste, le quali, dietro l’obiettivo, apparentemente “moderato” e “innocente”, nonché, in certo qual senso, pienamente legittimo, di riportare la cultura cattolica al passo con la cultura moderna, per esempio sottoponendo lo studio filologico della Bibbia agli stessi, identici criteri di tipo scientifico coi quali si studia qualsiasi altro testo, profano o religioso che sia, han finito, in realtà, per desacralizzare completamente il cristianesimo e per lasciare il credente con un pugno di mosche in mano, distruggendo la sua fede “mitica” ma senza sostituirla con una fede “più certa” e “più vera”, come gli era stato fatto credere. San Pio X vide benissimo il tremendo pericolo, lanciò l’allarme e mobilitò tutte le forze della Chiesa contro di esso, cosa che ancora oggi gli viene rimproverata, più o meno aspramente, anche dalla maggior parte degli storici di parte cattolica, come un eccesso di zelo e una esagerazione al limite del fanatismo e dell’intolleranza: come se si potessero rimproverare i pompieri di guida impudente perché, chiamati a spegnere un terribile incendio che divampa in un quartiere della città, attraversano con i loro mezzi le strade a sirene spiegate e alla massima velocità possibile.
Così, le rappresentazioni dell’arte cristiana e dell’iconografia cristiana, presenti da secoli sulle vetrate delle chiese, negli affreschi delle cattedrali, nelle sculture dei conventi, nelle pitture delle cappelle e delle edicole religiose disseminate lungo le vie, o poste sulle facciate delle case, o sulle pagine miniate dei codici, e così via, lungo i secoli, fino ai santini devozionali dei tempi moderni, o alle illustrazioni dei libri di catechismo, o dei libri di preparazione alla Prima Comunione, fino alla metà del XX secolo, cioè fino ala vigilia del Concilio Vaticano II, hanno tramandato la visione mitica del mondo, rendendola accessibile alle persone semplici, ai bambini, e controbilanciando l’effetto esiziale delle immagini profane, ispirate al diabolico consumismo, della civiltà irreligiosa e secolarizzata di questa tarda modernità (o post-modernità). Il danno che è stato fatto gettando via tutto questo immenso patrimonio, come si vede nell’architettura e nella decorazione delle chiese moderne, o nelle illustrazioni dei libri di religione moderni, è immenso, incalcolabile. Tanto più che ogni immagine rimandava ad un simbolo, e ogni simbolo a un Mistero cristiano; e perciò ricordava costantemente agli uomini, già fin troppo inclini alla superbia e all’arroganza intellettuale, i limiti oggettivi del loro statuto ontologico, e la distanza abissale che li separa da Dio, e che solo l’Amore e la Sapienza di Lui possono colmare, suscitando in essi la fede, per mezzo della grazia. Per esempio, l’altare delle chiese dell’epoca pre-conciliare era stato concepito, da duemila anni, per simboleggiare la trascendenza e l’assolutezza di Dio; averlo voluto mandare in pensione, e sostituirlo con delle orribili, dozzinali tavole di marmo rivolte verso i fedeli, sulle quali il sacerdote officia la Messa voltando le spalle al Santissimo, a quello che era il tabernacolo contenente il Santissimo, è stato il risultato di un pensiero folle, oltre che temerario: perché, in tal modo, si è letteralmente distrutta la simbologia della trascendenza, e, nello stesso tempo, la dimensione della spiritualità che avvolgeva la celebrazione dei sacri Misteri.
Al cuore del cristianesimo, bisogna ricordarlo sempre, v’è un duplice, abissale, insondabile Mistero: quello della unità e trinità di Dio, e quello dell’Incarnazione del Verbo. Il timor di Dio, che non è una espressione poetica o folcloristica, ma uno dei sette doni dello Spirito Santo, consiste appunto nel riconoscimento della incommensurabilità di tale Mistero, e della piccolezza dell’uomo di fronte ad esso (si ricordi l’apologo del bambino che, davanti a sant’Agostino, vuol travasare in una buca, scavata sulla sabbia della spiaggia, tutta l’acqua del mare). Se si toglie il Mistero, si toglie il cristianesimo e lo si ridice a sociologia, a psicologia, o a dottrina sociale; ma lo si distrugge come Rivelazione di Dio agli uomini, per mezzo dell’amore di Gesù Cristo, venuto fra essi e morto per essi, indi resuscitato e tornato al Padre. I modernisti hanno perseguito ostinatamente questo obiettivo e sono ormai a buon punto della loro opera nefasta. È desolante vedere come i teologi, i cardinali e i vescovi siano all’avanguardia nella febbrile autodemolizione: che è folle se condotta in buona fede, criminale se condotta con piena cognizione di causa e con intera consapevolezza dei suoi inevitabili effetti. E tutto questo è accaduto, in gran pare, per il venir meno della tensione “mitica” del cattolicesimo, e per il suo adagiarsi in una falsa pace, in una falsa coesistenza e in un falso dialogo con il mondo moderno e con le altre confessioni e religioni. Da quando ci si è dimenticati che la vita è lotta, e che anche la vita cristiana lo è, precisamente una lotta del Bene contro il Male, si è imboccata la via che conduce ineluttabilmente all’auto-dissoluzione del cattolicesimo. La verità è che la fede si era indebolita nei cattolici moderni, a partire dagli “intellettuali” (teologi, biblisti, storici) e dal clero, e che essi, per mascherare questo fatto, a se stessi oltre che agli altri, hanno imboccato la via della “modernizzazione” del cristianesimo, battezzandola apertura e caricandola di significati positivi: mentre stavano incipriando e profumando un cadavere in decomposizione. È a quest’inganno e a questo tradimento che bisogna reagire, finché c’è tempo, denunciando con forza la mistificazione che si sta attuando sotto il naso degl’inconsapevoli fedeli…
Il cattolicesimo è perduto se rinuncia al mito in cambio della modernità
di Francesco Lamendola
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