“Fare chiarezza”. I dubia e l’urgenza di verità. Intervento
di Anna Silvas
Nella nostra traduzione dall’originale inglese pubblichiamo l’intervento tenuto il 22 aprile durante il Convegno di Roma – l’Hotel Columbus, da Anna M. Silvas, australiana di rito orientale, studiosa dei Padri della Chiesa e docente alla University of New England, che sottolinea il pericolo che la Chiesa cattolica si inoltri anch’essa sulla strada già percorsa secoli fa dai protestanti e dagli ortodossi verso il divorzio e le seconde nozze: proprio ora che la Chiesa copta sta tornando all’indissolubilità senza eccezioni del matrimonio cristiano.
“Fare chiarezza. I dubia e l’urgenza di verità – la verità vi farà liberi” (“Seeking Clarity. The Dubia and the Need for Truth – The Truth Will Set You Free”).
Anna M. Silvas, Sabato 22 aprile 2017
“Vidi le menzogne che il nemico spargeva in tutto il mondo e dissi, gemendo: ‘Cosa può sconfiggere così tante menzogne?’, e udii una voce dal cielo che mi rispondeva: ‘L’umiltà’”, affermò Sant’Antonio il Grande, padre di tutti i monaci.
È la stessa sensazione che provo io all’accettare di parlarvi in questo momento, un anno dopo la pubblicazione dell’Amoris Laetitia. Vi chiedo di perdonarmi, perché mi sembra che vi siano molti fedeli più qualificati di me che dovrebbero parlare al posto mio. L’ambito ecclesiastico contemporaneo è così disseminato di menzogne canoniche, teologiche ed ecclesiologiche e quest’epoca della Chiesa è così strana che è molto difficile azzardarsi a dire qualcosa.
Se dovessi identificare in un solo punto la questione della crisi attuale della Chiesa, utilizzerei il termine ‘modernità’ e la tendenza della Chiesa ad apprezzare in modo così esagerato la ‘modernità’, costi quel che costi. La teologa Tracey Rowland sottolinea che ‘il moderno’ a cui siamo esortati ad aggiornarci non è stato mai definito nei documenti del Vaticano II, il che rappresenta una lacuna veramente straordinaria. Ella afferma: “L’assenza di un esame teologico di questo fenomeno culturale chiamato ‘modernità’ o ‘il mondo moderno’ dai Padri conciliari negli anni 1962-65 è forse uno degli elementi più sorprendenti dei documenti del Concilio Vaticano Secondo”.
La parola latina moderna significa ‘il momento presente’, ‘le ultime novità’, ‘ciò che è più recente’. Il culto della modernità nasce quando facciamo di essa un oggetto di desiderio prioritario per ottenere l’approvazione delle élites, dei proprietari dei media e degli arbitri della cultura. Se nel fare una diagnosi dovessi puntare il dito contro qualcosa, lo farei esattamente contro questo desiderio di emulazione.
Circa due anni fa, una mia giovane amica insegnante, appassionatamente impegnata nella fede cattolica, ha trovato lavoro in una nuova scuola cattolica. Un giorno uno dei suoi studenti di ottavo anno ha fatto un esercizio sulla ‘politica’. I suoi studenti frequentavano il secondo anno di high-school [equivalente alla nostra terza media, N.d.T.], sicché avevano ricevuto otto anni di insegnamento cattolico ed erano già passati per il ‘programma’ (parola orribile: che significa?) sacramentale completo. La mia amica chiese agli alunni quale sarebbe stata la loro politica se fossero stati candidati per le prossime elezioni. Con sua grande sorpresa, tutti loro – eccetto un ragazzo – inclusero il matrimonio tra persone dello stesso sesso e l’agenda LGBT; per cui cercò di porre riparo con una conversazione. Ciò mi ha fatto capire fino a che punto i valori di una modernità puramente secolare fanno più breccia nei ‘cattolici’ di oggi rispetto ai valori della vita in Cristo e all’insegnamento della Chiesa.
L’immersione nelle pratiche della modernità ha portato a una situazione de facto per cui il mythos della modernità si è insediato nel midollo stesso e nelle vene dei cattolici, permeando il loro modo di pensare e agendo in modo implicito. Mi guardo intorno e comincio a chiedermi con raccapriccio quanto questa considerazione possa essere applicata alle gerarchie della Chiesa, forse persino ai suoi migliori componenti. Quanti di loro sono più profondamente, profondamente tributari al ‘programma’ del mondo moderno piuttosto che essere veramente obbedienti alla chiamata di Cristo rivolta alla parte più profonda delle nostre menti e dei nostri cuori?
Sotto il pontificato di Giovanni Paolo II ci sembrava che le cose fossero tornate in qualche modo ‘a posto’ per un certo tempo, per lo meno in alcuni ambiti, specialmente vista la sua intensa spiegazione del mistero nuziale della nostra prima creazione in supporto dell’Humanae Vitae. Questa situazione è continuata sotto Benedetto XVI, con qualche tentativo di porre riparo alla decadenza liturgica e alla ‘feccia’ morale degli abusi sessuali ad opera dei sacerdoti. Avevamo sperato che perlomeno si stessero ponendo dei rimedi. Ora, nei pochi anni del pontificato di Papa Francesco, lo spirito ammuffito e stantio degli anni Settanta è risorto, portando con sé sette altri demoni.
E qualora al principio lo dubitassimo, lo scorso anno l’Amoris Laetitia e i suoi postumi hanno reso perfettamente chiaro che questa è la nostra crisi. Il fatto che quello spirito estraneo sembri aver alla fine ingoiato il Soglio di Pietro, trascinando coorti sempre più estese di una compiacente gerarchia ecclesiastica all’interno della sua rete, è l’aspetto più inquietante e veramente scioccante per molti di noi fedeli cattolici laici. Osservo un gran numero di alti prelati, vescovi e teologi e non riesco a riscontrare in loro, ve lo giuro, la benché minima presenza del sensus fidelium: e questi sarebbero i latori dell’officio dell’insegnamento della Chiesa? Chi rischierebbe la propria anima immortale affidandosi al loro giudizio morale nella Confessione?
Preparando questo intervento, ho riletto attentamente l’Amoris Laetitia dopo quasi un anno. Navigando per le acque torbide del Capitolo Ottavo, mi si è confermata l’impressione che avevo avuto nella mia lettura dell’hanno prima. In realtà, mi è sembrato un documento ancor peggiore di quanto mi forse apparso a una prima lettura, e sì che ne avevo un’opinione veramente negativa.
Non c’è bisogno di offrirne qui altre analisi dettagliate oltre a quelle effettuate da tanti commentatori scrupolosi in quest’ultimo anno, come i primi eroici critici Robert Spaeman e Roberto De Mattei, il Vescovo Schneider [e qui], i ’45 Teologi’, Finis e Grisez e molti altri [vedi indice], ciascuno dei quali dovrebbe essere portato in trionfo quando la storia di questi tempi verrà scritta.
Tuttavia, vi è un gruppo il cui approccio trovo molto strano: quello di alti prelati e teologi sinceramente ortodossi che trattano il tumulto provocato dall’Amoris Laetitia come una questione di ‘fraintendimento’. Si basano esclusivamente sul testo, astraendo da tutti gli antecedenti conosciuti relativi alle parole e alle azioni di Papa Francesco o del suo più vasto contesto storico. È come se volessero interporre un abisso che non possa essere attraversato tra la persona del papa – da cui il documento è stato firmato – da una parte e il ‘testo’ del documento dall’altra. Una volta posto il Santo Padre al sicuro, in quarantena, fuori dal centro dell’attenzione, sono liberi di affrontare il problema, che identificano nell’‘uso improprio’ del testo, per poi esprimere il pio auspicio che il Santo Padre ‘corregga’ questi errori.
Non c’è dubbio sul fatto che la reverenza nei confronti del successore di Pietro abbia a che vedere con queste manovre contorte. Lo so, lo so! Abbiamo avuto a che fare con questo dilemma per un anno o ancor di più. Ma ad ogni lettore in pieno possesso delle sue facoltà mentali che – come ha espresso la Censura dei 45 Teologi – non ‘stia cercando di piegare in qualsiasi direzione le parole del documento, bensì … di carpire una percezione naturale o immediata del significato delle parole da correggere’, tutto questo stride come un’artificialità altamente distorta.
Il ‘tentativo’ operato da Papa Francesco in questo testo è perfettamente decifrabile a partire dal testo stesso, leggendolo in modo normale e naturale e senza filtri. Facciamo alcuni esempi.
Il primo dei Cinque Dubia dei Cardinali conclude: “L’espressione ‘in certi casi’ che si trova alla nota 351 dell’esortazione Amoris Laetitia si può applicare alle persone divorziate che si trovano in una nuova unione e che continuano a vivere more uxorio?”. È fuor di dubbio che una chiarificazione da parte del papa sul proposito della sua nota a piè di pagina sia di urgente importanza per la Chiesa. Tuttavia, ciò che il papa intendeva dire è chiaro dall’inizio dello stesso paragrafo 301, il cui argomento è costituito dalle “persone che vivono in ‘situazioni irregolari’”. Tutto quanto è detto poche linee più in basso su quanti si trovano in situazioni di peccato oggettivo, vale a dire che possano crescere in grazia, carità e santificazione, forse con l’aiuto dei sacramenti, in particolare della Santa Comunione, viene affermato sotto il titolo ‘situazioni irregolari’.
Il fatto che nel novero delle persone ammesse all’Eucarestia pur trovandosi in ‘situazioni irregolari’ cosiddette ‘santificanti’ siano compresi i divorziati e risposati civilmente che non hanno intenzione di rinunciare ad avere relazioni sessuali è segnalato nel paragrafo 298, in cui la nota a piè di pagina 329, un passo di Gaudium et Spes, 41 che abborda la questione della continenza temporanea all’interno del matrimonio così come viene insegnata da San Paolo, viene oltraggiosamente applicata alle persone che non si trovano in un matrimonio cattolico, bensì in ‘situazioni irregolari’, e utilizzata come argomento per sostenere che non debbano vivere come fratelli e sorelle. L’intenzione, introdotta da un travisamento di San Giovanni Paolo e da una sfacciata menzogna sul significato di GS, 51 è ben chiara. Dov’è dunque la difficoltà nel comprendere cosa intenda dire il papa?
Nel paragrafo 299 Papa Francesco ci chiede di discernere ‘quale delle varie forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possa essere superata’, il che mostra con sufficiente chiarezza il suo obiettivo: come possiamo superare queste ‘esclusioni’, principalmente liturgiche, che sono ancora praticate? Dov’è la difficoltà nel comprendere le intenzioni di Papa Francesco?
E vi sono molte altre frasi simili. Già nella prefazione egli avverte che “tutti dovrebbero sentirsi provocati dal Capitolo Ottavo” e più in basso, in quel capitolo (par. 308) ammette indirettamente che questo approccio possa dar adito a confusione. Prestiamogli fede: è proprio questo il suo intento, e non è poi così difficile capirlo.
Abbiamo quindi notato il concentrarsi in modo astratto sul solo testo che esclude puntigliosamente le azioni e la persona di Papa Francesco da ogni considerazione relativa ai propositi del documento. Ma anche gli antecedenti storici più ampi sono rigidamente scartati come mezzi di decifrare il pensiero del papa.
Per menzionarne solo alcuni tra una galassia di incidenti, possiamo citare la pratica risaputa dell’Arcivescovo Bergoglio di ammettere tacitamente alla Santa Comunione, nella sua arcidiocesi, tutte le persone che vi si accostavano, le persone che coabitavano, i divorziati e i risposati civilmente; l’aver scelto personalmente il Cardinal Kasper come autore del discorso introduttivo del Sinodo del 2014, come a voler educatamente chiudere un occhio all’intero passato delle attività di Kasper su queste questioni; i vari modi in cui questi due sinodi sono stati manipolati, come per esempio l’ordine papale di includere nella relazione finale una proposizione sulla comunione ai divorziati e risposati cui i vescovi avevano votato contro nel Sinodo del 2014;
la sua accesa condanna dei farisei e di altre persone rigide nel suo discorso conclusivo del Sinodo del 2015; e, più recentemente, il suo caloroso apprezzamento nei confronti di Bernard Häring, il decano dei teologi morali dissenzienti negli anni Settanta e Ottanta, il cui libro del 1989 sull’ammissione dei divorziati e risposati civilmente all’Eucarestia, ad imitazione dell’oikonomia ortodossa orientale, è stata una munizione per il cannone di Kasper. E poi, ovviamente, vi è l’approvazione da parte di Papa Francesco dell’‘interpretazione’ dell’AL dei vescovi argentini, ossia esattamente nel modo in cui lui voleva: “No hay otras interpretaciones”. Voi conoscete bene tutti questi incidenti, e ve ne sono molti altri che si verificano quotidianamente che permettono di carpire molto bene le intenzioni di Francesco.
Sono sicura che Papa Francesco è ben consapevole della dottrina dell’infallibilità papale e sa quanto elevati siano i suoi limiti, ed è quindi abbastanza astuto per non far scattare mai i suoi meccanismi. Il prestigio unico del papato nella Chiesa cattolica, oltre al papismo pratico e affettivo di molti cattolici, sono utili vantaggi che sfrutterà fino in fondo. Perché dobbiamo finalmente capire che per Francesco l’infallibilità non conta assolutamente nulla, purché egli riesca ad essere quella sorta di agente di cambiamento della Chiesa che vuole essere. Che sia veramente questo il suo spirito lo si apprende dal paragrafo 3 dell’AL, in cui afferma:
“Dato che ‘il tempo è più grande dello spazio’, vorrei puntualizzare che non tutte le discussioni su questioni dottrinali, morali o pastorali devono essere concluse da un intervento del magistero. L’unione dell’insegnamento con la pratica è certamente necessaria nella Chiesa, ma ciò non preclude vari modi di interpretare alcuni aspetti di tale insegnamento o di trarre certe conclusioni da esso. Ciò si verificherà ogniqualvolta lo Spirito ci guiderà all’intera verità (cfr. Gv 16, 13), finché ci introdurrà pienamente nel mistero di Cristo e ci renderà capaci di vedere tutte le cose come Lui”.
Ma io penso che ‘lo spirito’ cui Francesco allude così affabilmente ha molto di più a che vedere col Geist di Hegel che con lo Spirito Santo di cui Nostro Signore parla, lo Spirito della Verità che il mondo non può ricevere, perché né lo vede né lo conosce (Gv 14, 17). D’altra parte il Geist hegeliano si manifesta tra contraddizioni e opposizioni, superandole in una nuova sintesi senza eliminare le polarità o riducendo l’una all’altra. Questo è lo spirito gnostico del culto della modernità.
“Dato che ‘il tempo è più grande dello spazio’, vorrei puntualizzare che non tutte le discussioni su questioni dottrinali, morali o pastorali devono essere concluse da un intervento del magistero. L’unione dell’insegnamento con la pratica è certamente necessaria nella Chiesa, ma ciò non preclude vari modi di interpretare alcuni aspetti di tale insegnamento o di trarre certe conclusioni da esso. Ciò si verificherà ogniqualvolta lo Spirito ci guiderà all’intera verità (cfr. Gv 16, 13), finché ci introdurrà pienamente nel mistero di Cristo e ci renderà capaci di vedere tutte le cose come Lui”.
Ma io penso che ‘lo spirito’ cui Francesco allude così affabilmente ha molto di più a che vedere col Geist di Hegel che con lo Spirito Santo di cui Nostro Signore parla, lo Spirito della Verità che il mondo non può ricevere, perché né lo vede né lo conosce (Gv 14, 17). D’altra parte il Geist hegeliano si manifesta tra contraddizioni e opposizioni, superandole in una nuova sintesi senza eliminare le polarità o riducendo l’una all’altra. Questo è lo spirito gnostico del culto della modernità.
Pertanto, Francesco perseguirà la sua agenda senza l’infallibilità papale, e senza preoccuparsi dei pronunciamenti magisteriali. Ci troviamo qui in un mondo di fluidità dinamica, di avvio di processi aperti, di spargimento dei semi del cambiamento desiderato che trionferà col tempo. Vi sono altri teorici – qui in Italia avete per esempio Gramsci e il suo manifesto del marxismo culturale – insegnano come realizzare la rivoluzione di nascosto. Così, all’interno della Chiesa Francesco e i suoi collaboratori non si confrontano con temi relativi alla dottrina affrontando a viso aperto la dottrina – perché sanno che se lo facessero sarebbero sconfitti –, bensì con un cambiamento incrementale della prassi realizzato al suono della marcia di persuasioni plausibili finché la prassi si consolida sufficientemente nel tempo arrivando a un punto di non ritorno.
Queste tattiche occulte vengono chiaramente operate al ritmo della dialettica hegeliana. Per comprendere che questo è realmente il modus operandi di Papa Francesco, si consideri un certo ‘incidente dietro le quinte’ avvenuto nel Sinodo del 2015: “Se parliamo esplicitamente della comunione ai divorziati e risposati”, ha affermato l’Arcivescovo Forte, riportando una battuta di Papa Francesco, “non avete nemmeno idea del tumulto che scateniamo. Così non ne parleremo in modo esplicito, [ma] lo faremo in modo tale che le premesse vengano piantate, e poi trarremo le conclusioni”. “Tipicamente gesuita”, ha scherzato l’Arcivescovo Forte.
Poi, lentamente, regione per regione, vari vescovi in tutto il mondo cominceranno a ‘interpretare’ l’AL per far capire che la Chiesa ha ormai ‘sviluppato’ la sua prassi pastorale per ammettere i divorziati e civilmente risposati all’Eucarestia, mettendo da parte la clausola sacramentale condizionale più importante che ha retto fino ad ora, a condizione che venga suonata una sonora nota di ‘accompagnamento’. E quanto Papa Francesco vedrà succedere tutto ciò, quale sarà la sua reazione? Si rallegrerà nel constatare che tali vescovi hanno saputo carpire i suoi suggerimenti contenuti nell’AL: ho già menzionato il suo famoso “No hay otras interpretaciones” rivolto ai vescovi argentini; l’ultimo caso è la sua lettera di ringraziamento ai vescovi di Malta per le loro interpretazioni.
Credo sia un’ingiustizia accusare questi vescovi di fare un ‘cattivo uso’ dell’AL. Al contrario, essi hanno tratto conclusioni appropriate per ogni lettore scrupoloso e attento del documento papale. Il biasimo e la tragedia per la Chiesa vanno attribuiti piuttosto all’intento nascosto e ben articolato all’interno della stessa Amoris Laetitia e al papismo ingenuo di una parte dei vescovi, che hanno un concetto così povero dell’obbedienza alla fede imperitura della Chiesa che non riescono nemmeno ad accorgersi quando essa viene gravemente attaccata, anche da parte dei suoi quartieri alti.
In questo gioco di sotterfugi e di intento incrementale, il discorso elaborato sul ‘discernimento’ e sull’‘accompagnamento’ sofferti o sulle situazioni moralmente difficili ha una funzione specifica: quella di essere un velo temporaneo che nasconda il fine ultimo. Non abbiamo visto come funzionano le arti oscure del ‘gioco sporco’ della politica secolare, utilizzato per attivare la fase successiva della trasformazione sociale? Ebbene, adesso vengono utilizzate non solo in politica ma anche all’interno della Chiesa.
Il risultato finale coinciderà esattamente con la tacita pratica messa in atto per anni dall’Arcivescovo Bergoglio a Buenos Aires. Non ci si lasci trarre in inganno: il risultato finale sarà più o meno un permesso indifferente ad accedere alla Santa comunione a chiunque vi si presenti. E così si ottengono l’inclusione universale e la ‘misericordia’ volute dal cielo, vale a dire la banalizzazione terminale dell’Eucaristia, del peccato e della penitenza, del sacramento del Matrimonio, di ogni fede in una verità oggettiva e trascendente, dello svisceramento del linguaggio e di ogni atteggiamento di compunzione di fronte al Dio vivo, al Dio della Santità e della Verità. Se mi è consentito di parafrasare qui un detto di San Tommaso d’Aquino, la misericordia senza la verità è la madre della dissoluzione.
Papa Francesco non ha assolutamente intenzione di giocare seguendo le ‘regole’ di nessuno – men che meno le ‘regole’ vostre o le mie o di chicchessia sul papato. Sapete bene cosa ne pensa delle ‘regole’. Ce lo ripete costantemente. È uno degli spropositi più leggeri all’interno della sua ben nota riserva di insulti. Quando sento parlare quanti ci fanno la lezioncina sostenendo che Papa Francesco è la voce dello Spirito Santo nella Chiesa di oggi, non so se ridere dell’ingenuità di questa affermazione o se piangere per i danni che vengono fatti alle anime immortali.
Direi che Francesco è veramente l’agente di uno spirito, ma del Geist hegeliano della ‘modernità’ che tanto sta operando all’interno della Chiesa. Si tratta, come ho detto prima, di uno spirito ammuffito e stantio, di un vecchio spirito che non ha vita in sé, di una forza privativa che sa solo nutrirsi in modo parassitico di quanto già esiste. Non sono così sicura del fatto che il saggio di Newman Lo sviluppo della dottrina cristiana non possa fornirci tutto ciò di cui abbiamo bisogno per affrontare la crisi attuale. Nelle sue sette ‘note’ o criteri per distinguere tra uno sviluppo genuino della dottrina e la sua corruzione, ci fornisce le risposte necessarie alla prassi hegeliana che prevale dialetticamente sulla teoria.
La settima nota è il “vigore cronico”. Col passare del tempo, una corruzione si mostra eccessivamente vigorosa, ma solo all’inizio dell’“infezione”, poiché non ha la vitalità sufficiente per sostenersi da sola a lungo termine. Farà il suo corso e morirà. La Vita di Grazia, invece, possiede in se stessa la Vita Divina e pertanto prima o poi espellerà tutto ciò che la combatte. La verità perdura. Vi saranno momenti altamente drammatici, ma alla fine essa prevarrà. Questo è il modo in cui la grazia agisce nello sviluppo organico della natura, l’esatto contrario del concetto gnostico secondo il quale “il tempo è più grande dello spazio”.
Miei cari fratelli nella fede nel Cristo Gesù Nostro Signore, questo falso spirito alla fine non prevarrà. Nel XVI secolo l’insurrezione protestante ha rimosso il Matrimonio dalla lista dei sacramenti e ha messo in moto la sua secolarizzazione nell’Occidente.
Costantinopoli ha cominciato a perdere la sua conoscenza dell’accuratezza del Vangelo del Matrimonio con l’Imperatore Giustiniano e con suo codice civile romano sul divorzio. Poco a poco gli scandalosi esempi di imperatrici e imperatori adulteri risposati quando i loro legittimi coniugi erano ancora vivi sono penetrati nella Chiesa orientale e sono divenuti un’abitudine, e così si è formata la corrispondente teologia dell’oikonomia per mascherare questa grave breccia con la maschera della santa Tradizione.
Questo è ciò che Häring, Kasper e compagnia, nella loro ignorante follia, hanno invocato come un esempio che dovremmo seguire. Ma fino ad ora la Chiesa cattolica in comunione con Roma ha mantenuto saldo l’insegnamento domenicale e apostolico sulla sacramentalità e sull’indissolubilità del matrimonio cristiano. Ve lo assicuro: dovreste studiare la storia recente della Chiesa copta su questo tema, perché è molto ispiratrice e incoraggiante. Prendiamo i copti come nostri alleati, in questo e in altri ambiti.
La proposta del Cardinale di pubblicare una correzione fraterna al papa rimane ancora in piedi? Ne abbiamo sentito parlare lo scorso mese di novembre, e ha sicuramente sollevato i nostri spiriti angustiati. Ma siamo già a fine aprile, e non è successo niente. Non posso fare a meno di pensare alla frase di Shakespeare: Una marea muove le vicende umane…, e mi chiedo se la marea è venuta e se n’è già andata e se noi fedeli laici siamo rimasti di nuovo abbandonati sulla spiaggia.
Eppure il Cardinal Burke ha recentemente affermato: “Fino a quando non sarà data una risposta a queste domande, una confusione assai pericolosa continuerà a spargersi nella chiesa, e una delle questioni fondamentali è quella che ha a che vedere con la verità secondo la quale vi sono degli atti che sono sempre e in ogni momento sbagliati, che chiamiamo atti intrinsecamente cattivi, e così noi cardinali continueremo a insistere per avere una risposta a queste domande oneste”.
Beh, cari cardinali, lo spero. Lo spero proprio. Noi fedeli vi supplichiamo: smettetela di calcolare gli esiti prudenti. La vera prudenza dovrebbe suggerirvi quando è ormai tempo di dare una testimonianza coraggiosa, altrimenti detta martirio.
Papa Francesco non presterà mai ascolto a nessuna correzione fraterna, come fece una volta Giovanni XXII. E sapete una cosa? Non sarebbe nemmeno un successo se pubblicasse davvero delle dichiarazioni su queste linee. Lasciate passare un ciclo di 24 ore e possiamo scommettere sul fatto che pronuncerà altre affermazioni che mineranno sottilmente o contraddiranno apertamente quanto ha detto il giorno prima.
Se arrivati a questo punto ancora non abbiamo imparato qual è il suo modo di procedere, siamo davvero le pecore più stupide – o i pastori, secondo i casi. Vi chiedo perdono se mi azzardo a dire questo, ma prendiamone atto, in questo momento il papato non sta funzionando nella Chiesa. Pietro è divenuto di nuovo uno skandalon, la ‘roccia’ è diventata una pietra d’inciampo (cfr. Mt 16, 16-24). Finché saremo costretti ad affrontare questa realtà, per quanto incredibile possa sembrare, saremo incatenati dall’intimidazione e dall’illusione, e la soluzione (1 Cor 10,13) che il Signore ci offre sarà rimandata. Quale tipo di profeta volete che vi mostri in che tempi viviamo? Anania o Geremia? Scegliete voi.
In quale ginepraio noi fedeli laici ci troviamo in questi giorni di dura prova per la Chiesa? Non potrei rispondere in modo migliore che attraverso il seguente commento a un articolo dell’onesto e coraggioso combattente della verità Steve Skojec, apparso su One Peter Five. Pregate per Steve e per la sua famiglia. L’autore del commento è Roderick Halvorsen, di Santa (Idaho). Roderick si è convertito al cattolicesimo dal protestantesimo qualche anno da, e non ha alcuna intenzione di abiurare, ma vede le stesse follie del protestantesimo progressista rilasciare le sue metastasi nella Chiesa cattolica. Egli parla in questo modo di noi fedeli laici:
Ma in realtà, Dio sta mettendo alla prova noi. Ci sta chiedendo di stare in relazione con LUI, sì, personalmente, intimamente e veramente. Ha tolto al cattolicesimo tutte le ‘stampelle’; il potere, la gloria, il rispetto del mondo, leader e modelli affidabili, in breve, tutto quanto può aiutare i fedeli, ma non è necessario per la fede, e – come la ricchezza e il successo mondano – può diventare una fonte di indebolimento della nostra fede, quando cominciamo a riporre la nostra fiducia non più nella persona della nostra fede, Gesù Cristo, ma nella ‘cultura’ della fede.
“Gli rispose Gesù: ‘Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui’” (Gv 14, 23). Pertanto, dobbiamo camminare verso questo dimorare, a questo abitare, a questo essere nascosti con Cristo in Dio (Col 3, 3).
Nel mezzo del collasso sociale, culturale ed ecclesiale è straordinario osservare i segni di una causa comune tra il monachesimo e i fedeli laici che stanno cercando questa dimora interiore insieme al Cristo. L’opzione Benedetto di Rod Dreher, libro apparso poche settimane fa, attesta questo movimento. Poiché non è nei programmi politici efficienti, ma ‘sotto radar’, così per dire, nell’umile vita di comunità ordinata in Cristo, in comunità monastiche tranquillamente stabilite che risiedono gli avamposti di un nuovo universo liturgico tra le rovine dell’Impero Romano occidentale.
Noi fedeli laici, sia pure in un altro modo, abbiamo in mente le chiese domestiche rappresentate dalle famiglie, percepiamo le crisi in aumento di questi tempi e intuiamo che per superarle il terreno della lotta spirituale si trova nelle comunità locali, in ciò che è piccolo, in ciò che è nascosto, in ciò che non è importante agli occhi del mondo. Noi fedeli laici abbiamo un ruolo piccolo o nullo nel mondo ecclesiastico, e in molti casi non abbiamo nemmeno successo mondano. Persone come noi hanno sete di una liturgia alternativa di vita e di comunità, di preghiera e di opere, e alcuni di noi percepiscono che il monachesimo più profondo ha qualcosa da dirci.
Conor Sweeney, un caro amico del John Paul II Institute a Melbourne, che purtroppo verrà presto chiuso, ama utilizzare gli hobbit della mitologia di Tolkien come allegoria di questo stile di vita alternativo cristiano. Poiché furono gli hobbit, un popolo insignificante che non aveva posto nei consigli dei potenti, a ricevere, contro ogni previsione, il ruolo decisivo nel rovesciamento delle potenti forze del Signore oscuro che minacciavano di trascinare la Terra di Mezzo in un regno di barbarie.
Per un altro mio amico, Michael Ryan, uomo sposato e padre, la brillante fonte di ispirazione tra i santi è San Bruno. Ve lo immaginate, il testimone della vita monastica più intensamente contemplativa della Chiesa occidentale, quella dei certosini, diventare il faro di speranza dei fedeli laici? Perché il monachesimo profondo ha tutto a che vedere con la moné, con la ‘dimora’ o con l’‘abitare’ in Cristo, con l’aspettare e osservare con fede piena di speranza, ‘utili’ come il profeta Abacuc che rimane ad osservare sulla torre di guardia, ‘utili’ come Simeone e Anna che frequentano il tempio e aspettano tutta la vita la luce nascente della salvezza e la riconoscono quando arriva, ‘utili’ come le donne che sedevano a distanza e vigilavano la tomba di Nostro Signore il giorno dopo il primo Venerdì Santo, ‘utili’ come la Nostra Santissima Signora, Maria, che rimane in piedi presso la Croce.
Forse la preghiera, una preghiera di questo tipo, è l’atto politico più radicale di tutti, e il nucleo autentico del cristianesimo. Cattolici, dove ci eravamo persi?
Anche Nostro Signore soleva alzarsi molto prima dell’alba e vigilare durante le ore notturne, persino nei giorni di ministero più intenso. I discepoli, meravigliati un giorno dal mistero della Sua preghiera, provarono un’attrazione profonda: Signore, insegnaci a pregare. Questo è il desiderio da emulare di cui abbiamo veramente bisogno: Gesù, l’unico modello alla cui imitazione possiamo dedicarci totalmente senza rimanere delusi. Possiamo davvero farlo? È davvero possibile imparare qualcosa dei sentimenti che riempivano quella mente e quel cuore in quelle ore solitarie di intimità con Suo Padre? Sì, lo è, perché nella Sua immensa compassione Egli l’ha condivisa con noi sotto forma di parole: parole sacre e sante di potere e verità assolutamente degne di fiducia:
Abba! Abbuna de b’ashmayo, yithqaddash shm’okh.Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il Tuo nome…
Chi è interessato può trovare qui il testo del Padre nostro in aramaico (qui per ascoltarlo in mp3), insieme a quello in ebraico, in greco e nella Vulgata.
Chi è interessato può trovare qui il testo del Padre nostro in aramaico (qui per ascoltarlo in mp3), insieme a quello in ebraico, in greco e nella Vulgata.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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