ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 16 aprile 2017

Sicut dixit

                Resurréxit sicut dixit
                            Allelúia

                          

Haec dies, quam fecit Dóminus:
exsultémus, et laetémur in ea.
Confitémini, Dómino, quóniam bonus:
quóniam in saéculum misericórdia eius.

Gesù è risorto dai morti? Non c’è bisogno della fede
Per argomentare che Lo fece, come dice la Scrittura.


Argomentare la Risurrezione
Alla vigilia della Pasqua, ricordiamoci di come sia ragionevole credere nell’evento così straordinario di un essere umano morto che esce fuori dalla tomba attraverso una pietra talmente pesante che impedisce persino di sognare di fare una cosa del genere. Vediamo per primo il teologico “come” della Risurrezione, e poi lo storico “se” dell’accaduto.

Per i cattolici che per il dono della fede soprannaturale credono che con l’Incarnazione, la seconda Persona divina della Santissima Trinità, in pieno possesso della completa Natura divina, abbia unito a Sé una completa natura umana, costituendo due nature in una sola Persona divina, non è difficile comprendere come la Risurrezione abbia avuto luogo. Sulla croce, la divina Persona è veramente morta: non nella sua immortale Natura divina, ma nella sua natura umana, in grado di morire come qualsiasi altro mortale con la separazione della sua anima umana dal suo corpo umano.
Tuttavia, mentre questi due elementi, in Gesù Cristo potevano separarsi, né quella né questo potevano separarsi dalla Persona divina; ed è questo il motivo per cui i cattolici recitano nel loro Credo che Egli (corpo e anima) “patì e morì”, e che Egli (il corpo) “fu sepolto” e che Egli (l’anima) “discese agli inferi” (non l'Inferno dei dannati, ma il Limbo delle anime buone morte e in attesa che la morte redentrice di Cristo aprisse loro le porte del Paradiso chiuse da Adamo ed Eva). Sia il corpo umano sia l’anima umana di Cristo restavano entrambe unite alla Persona divina, e mentre non sarà stato facile per questa Persona morire della morte atroce sulla Croce, fu facile per Ella riunire la Sua anima umana nuovamente al Suo corpo umano nel sepolcro, così che la Sua natura umana completa tornasse a vivere. E nessuna pietra sulla terra avrebbe potuto essere abbastanza pesante da impedirGli di involarsi subito da Sua madre per consolarla.

Ma un uomo deve avere il dono soprannaturale della fede per accettare la realtà della Risurrezione? Non necessariamente. Se una mente incredula, ma retta, prende in considerazione gli argomenti meramente naturali tratti dalla psicologia naturale e dalla storia umana, può facilmente concludere che solo un evento almeno altrettanto sensazionale come la Risurrezione, può spiegare i fatti come li conosciamo (e nessuno dica che la Risurrezione sarebbe troppo dolce o gentile o consolante per essere materia di argomento!  Gli uomini hanno bisogno di argomenti! Dio non ha messo la testa umana in cima al corpo per  niente!).

In primo luogo, la psicologia umana argomenta degli Apostoli. Per tre anni hanno imparato a credere, fidando e amando il divino Maestro. Ma ecco che tutti scappano nell’orto di Getsemani, ed Egli viene giustiziato in pubblico come un comune malfattore. E dopo la Passione essi sono totalmente sfiduciati (cfr Gv. XX, 19). Cosa del tutto normale, viste le circostanze. Eppure, entro 50 giorni eccoli di nuovo a Gerusalemme, ad affrontare i capi degli Ebrei e a convertire questi ultimi perché credano in Gesù Cristo; e lo fanno a migliaia alla volta (cfr Atti II, 41; IV, 4). E nel giro di altri 300 anni questi Apostoli e i loro successori convertono lo stesso Impero Romano. Questi sono i fatti della storia. Che cosa può essere successo, se non qualcosa di talmente sensazionale come la Risurrezione, per spiegare una tale trasformazione psicologica che da cani bastonati (si fa per dire) li ha resi conquistatori del mondo?

In secondo luogo, la storia umana, vista dagli Ebrei. Essi odiavano Cristo, e lo uccisero, come hanno cercato da allora di distruggere la Sua Chiesa. Eppure, entro 50 giorni ecco i suoi discepoli, che comandano loro di farsi battezzare nel nome di Gesù Cristo, e lo fanno impugnando la Risurrezione come loro argomento principale. Il modo migliore per bloccare i loro disegni, non sarebbe stato quello di presentare a tutti il corpo morto di Cristo? E possiamo dubitare che, allora come oggi, essi avessero a loro disposizione il denaro, la polizia e il potere per esibire davanti a tutti il cadavere, se solo fosse stato possibile trovarlo dove avrebbe dovuto essere? Ma il Cristianesimo, invece di essere bloccato, decollò. E l’unica spiegazione possibile è che non ci fosse più alcun cadavere da trovare. Tale che la Risurrezione è vera. E non c’è nemmeno bisogno di avere la fede soprannaturale per accettare questa realtà. Così Pietro aveva ragione – per avere la vita eterna, Atti II, 38 – “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo”.

Kyrie eleison.
Eleison Comments DIX
RESURRECTION  ARGUEDCommenti settimanali di
di S. Ecc. Mons. Richard Williamson
Vescovo della Fraternità Sacerdotale San Pio X


  15 aprile 2017
Pubblichiamo il commento di S. Ecc. Mons. Richard Willamson. Relativo all'uso della sola retta ragione per argomentare e credere nella Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.

Questi commenti sono reperibili tramite il seguente accesso controllato:
http://stmarcelinitiative.com/eleison-comments/iscrizione-eleison-comments/?lang=it



          http://www.unavox.it/Documenti/Doc1025_Williamson_15.04.2017.html           
La rivincita del Crocifisso
di Giacomo Biffi*16-04-2017
Per gentile concessione di Edizioni Studio Domenicano pubblichiamo una riflessione del compianto cardinale Giacomo Biffi (1928-2015) già Arcivescovo di Bologna. Sono due brani tratti da Biffi, La rivincita del Crocifisso, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, pp. 276 ss e 293 ss. Una riflesisone sulla Pasqua e sulla Resurrezione sempre attuale. E' il nostro modo di augurare buona Pasqua a voi lettori della Nuova BQ.
Gesù è vivo o è morto? Sembra solo una questione «anagrafica», ma divide l’umanità e decide del nostro destino. Un giorno forse d’autunno dell’anno 60 il re Agrippa II, in visita al procuratore Porcio Festo che stava a Cesarea Marittima, si vide presentare un insolito prigioniero. Paolo di Tarso non aveva rubato, non aveva frodato, non aveva ucciso. Era in carcere solo perché qualche tempo prima aveva provocato un tumulto, discutendo con i giudei sotto i portici del tempio di Gerusalemme.
Avevano con lui alcune questioni – così tentava di spiegarsi quell’alto funzionario di Roma, che evidentemente non aveva troppa familiarità con i problemi teologici degli israeliti – relative alla loro particolare religione e riguardanti un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere ancora in vita (At 25,19). Gesù – questo sconosciuto ebreo di Nazaret – è vivo o è morto? Agli occhi del procuratore romano era, come si vede, soltanto un problema anagrafico.
In realtà, questo è l’interrogativo che più profondamente spacca oggi ancora l’umanità.
Chi celebra la Pasqua cristiana – se sa per che cosa la celebra – per ciò stesso dichiara di essere convinto che il Crocifisso del Golgota è veramente, realmente, corporalmente vivo. Non c’è divisione più lacerante di questa e più gravida di conseguenze. 
Dalla tomba scoperchiata l’angelo biancovestito dà anche a noi la notizia sbalorditiva, come l’ha data alle donne quella mattina del 9 aprile dell’anno 30: Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui (Mc 16,6). È risorto, vale a dire ha ripreso a vivere con tutto il suo essere, anche con le sue membra corporee. Ha ripreso a vivere non tornando indietro – riprendendo la condizione di prima, propria dell’uomo che non ha ancora incontrato la morte – ma andando avanti, entrando cioè nella condizione che dopo l’ultimo giorno sarà anche la nostra, come professiamo nel Credo: «Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà».
La risurrezione di Cristo ha, per così dire, una duplice valenza: una duplice valenza, che va riconosciuta, va ben compresa e va rispettata. È un fatto effettivamente avvenuto, proprio come tutti i fatti di cronaca; ma è anche un evento che trascende la storia e si colloca sul piano delle realtà eterne, come causa inesauribile della salvezza umana. È perciò al tempo stesso «storica» e «sovrastorica»: è perciò oggetto di un assenso razionale e insieme di un atto di fede. Il sepolcro vuoto (che i soldati e le autorità non possono in alcun modo giustificare); gli incontri col Risorto documentati da innumerevoli testimoni (puntigliosamente elencati da san Paolo in 1 Cor 15,3-8); la stessa inspiegabile trasformazione degli apostoli, che prima sono avviliti, depressi, paurosi, e poi diventano esuberanti di coraggio, di fiducia incrollabile, di generosità fino al martirio: sono tutti dati certi che fondano la nostra convinta adesione e rendono ragionevole il credere.
Quando all’indomani della Pentecoste gli apostoli partono per annunciare il Vangelo a tutte le genti, su comando del loro Signore e Maestro, non hanno altra religione che quella ebraica, non riconoscono altro Dio che il Dio di Abramo, di Mosè e di Davide, non possiedono altro libro sacro (almeno inizialmente) che la Bibbia degli israeliti: tutti elementi teologici e cultuali che non li distinguevano dal resto della popolazione di Gerusalemme e della Giudea.
Che cosa allora era proprio, esclusivo, caratterizzante del Vangelo e della nuova realtà della Chiesa? Era il convincimento e l’annuncio pubblico che Gesù di Nazaret, il Crocifisso del Golgota, era risorto, era adesso vivo, era Signore. Questo è ciò che nel cristianesimo è ancora oggi proprio, esclusivo, caratterizzante. Occorre a questo punto persuadersi che il cristianesimo fin dal suo contenuto primordiale è qualcosa di unico, di decisivo, di imparagonabile.
Prima ancora che una religione, una morale, un culto, una filosofia, è un avvenimento: l’avvenimento della risurrezione di Gesù di Nazaret che si fa principio del rinnovamento degli uomini e delle cose. Perciò è intramontabile: le dottrine nascono, fanno fortuna, incantano per decenni e magari per secoli, poi decadono e muoiono. Il fatto cristiano resta, proprio perché è un fatto; e resta indipendentemente dall’accoglienza e dal numero delle adesioni che riceve.
Tutte le religioni – oggi si sente dire sempre più spesso – hanno un loro valore che è giusto riconoscere. E si può anche ammetterlo, purché non ci si dimentichi che la realtà cristiana in questo discorso non c’entra. Il cristianesimo, primariamente e per sé, non può essere ridotto a un sistema di convincimenti, di precetti, di riti che interpreta e regola i rapporti tra le creature e il Creatore.
Vale a dire, per quanto la frase possa apparire paradossale, primariamente e per sé, non può essere ridotto a “una religione”: collocarlo tra le religioni (anche soltanto per ragioni di sistemazione e di metodo, o per la buona intenzione di favorire il dialogo interreligioso), se non si chiarisce l’intrinseca ambiguità del collegamento o quanto meno il suo significato soltanto analogico, vuol dire travisarlo e precludersi ogni sua autentica comprensione.
Essendo assolutamente eterogeneo il cristianesimo non tollera di essere collocato “tra” le varie forme espressive dello spirito, esattamente come il Figlio di Dio nato da Maria, crocifisso e glorificato, non è assimilabile a nessun fondatore di religione e a nessun defunto personaggio della storia, classificarlo e collocarlo sarebbe fraintenderlo.
*Arcivescovo di Bologna (1928-2015)
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-la-rivincitadelcrocifisso-19560.htm

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