GESU'E'IL SOLO CAPO DELLA CHIESA
«Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa». A lui e solamente a lui è giusto e doveroso guardare, quando la fede vacilla; a lui e solamente a lui spetta di condurre la barca di Pietro, servendosi dell’opera umana
di Francesco Lamendola
In questo momento storico così delicato per la vita della Chiesa e per tutti i seguaci di Gesù Cristo, quando le folle appaiono sedotte da un pastore del gregge che non agisce da pastore, ma da lupo travestito da pastore, e che non si cura della salute delle sue pecorelle, ma che incessantemente ricerca l’applauso e la lode per se stesso, e intanto semina errori teologici e pessimi esempi pastorali, il tutto nella cornice di una liturgia che non ha più nulla di sacro ma che pare ideata apposta per allontanare la anime da Dio, si può trovare un grande conforto nella rilettura di quel poema in prosa che è anche un altissimo documento dogmatico, contenuto quasi al principio della Lettera ai Colossesi (1, 13-20), in cui san Paolo tocca uno dei vertici della scienza delle cose divine, ma anche della sua ricca, profonda e generosa umanità
(seguiamo la traduzione dalla Bibbia di Gerusalemme):
È lui infatti che ci ha liberati
dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti
nel regno del suo Figlio diletto,
per opera del quale abbiamo la redenzione,
la remissione dei peccati.
Egli immagine del Dio invisibile,
generato prima di ogni creatura;
poiché per mezzo di lui
sono state create tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potestà.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte sussistono in lui.
Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa;
il principio, il primogenito di coloro
che risuscitano dai morti,
per ottenere il primato su tutte le cose.
Perché piacque a Dio
di fare abitare in lui ogni pienezza
e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose,
rappacificando con il sangue della sua croce,
cioè per mezzo di lui,
le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.
Cristo, dunque, è colui per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, e per mezzo del quale tutte le cose sono state riconciliate con Dio Padre; di conseguenza, è anche il capo del corpo visibile dei credenti e perciò il capo della Chiesa, il solo, il vero e il santo. A lui e solamente a lui è giusto e doveroso guardare, quando la fede vacilla; a lui e solamente a lui spetta di condurre la barca di Pietro, servendosi dell’opera umana del suo clero e dei suoi fedeli laici. Nessun sacerdote e nessun religioso, nessun vescovo e nessun cardinale, e, a maggior ragione, nessun papa, possono anche soltanto immaginare di venir prima di lui nella guida della santa Chiesa cattolica. Automaticamente, perciò, le parole di un papa che affermi di voler “cambiare la Chiesa” perdono qualsiasi significato, perché a nessuno, tranne che a Cristo, spetterebbe mai una cosa del genere: noi tutti, papa compreso, altro non siamo che operai nella vigna del Signore, e l’operaio non ha il benché minimo diritto di gonfiare il petto e di dire o fare alcunché da cui si possa desumere che si consideri qualche cosa di più che un semplice operaio.
Ma, obietterà qualcuno, il papa è pur sempre il capo della Chiesa; il papa è pur sempre infallibile: dunque, si deve obbedire ciecamente al papa. Niente affatto. Il papa merita obbedienza incondizionata fino a che rimane dentro il solco del Magistero, nelle due fonti della Tradizione e della Scrittura; ma “obbedienza” non è la stessa cosa che “fiducia”, e “fiducia” non è la stessa cosa che “fede”. L’obbedienza è una cosa umana, e anche la fiducia lo è; la fede è cosa divina, e la si deve prestare unicamente a Dio. Chi non ha fede unicamente in Dio, nel Dio che ha parlato per mezzo dei profeti, che è stato preannunciato da Giovanni il Battista, e che si è incarnato in Gesù Cristo, morendo sulla croce per amore degli uomini e risorgendo, poi, il terzo giorno, e ritornando in Cielo presso il Padre suo, e inviando ai suoi seguaci la consolazione e l’illuminazione dello Spirito Santo, non è un cristiano, né, tanto meno, un cattolico, ma un idolatra. Chi presta maggiore attenzione alle parole di un uomo, piuttosto che alla Parola di Dio, così come essa ci è stata trasmessa nelle due fonti della Tradizione e della Scrittura, non è un cristiano, e meno ancora un cattolico, ma un idolatra. E chi prega davanti alla statua di un uomo, sia pure egli il papa, ma un uomo vivente, che la Chiesa non ha proclamato santo - perché mai un santo è stato proclamato tale in vita - e rivolge a lui gli atti della devozione, dentro una chiesa, il giorno di Pasqua, cioè nel giorno in cui si ricorda la Resurrezione dell’unico nostro Salvatore, o anche in qualsiasi altro giorno, questi non è un cristiano, e tanto meno un cattolico, ma un idolatra. Chiunque si dimentichi, anche solo per un istante, che la Chiesa ha un solo ed unico capo, e che questi è il Nostro Signore Gesù Cristo, questi non è un vero cristiano, né un cattolico, ma un idolatra.
Ma, dunque, aveva ragione Lutero, allorché proclamava che noi non abbiano bisogno di alcun mediatore nel rapporto con Dio, se non Cristo, e perciò il clero è inutile, e la Chiesa una istituzione dannosa? Niente affatto. La Chiesa è stata istituita da Gesù in persona, che l’ha affidata a san Pietro: pertanto è evidente, di per sé, che Lutero è stato un eretico e uno scismatico; e chiunque si azzardi a negare questo fatto, a minimizzarlo, a tentare di confonderlo, è partecipe dei suoi stessi errori, ed è anch’egli un eretico e, potenzialmente uno scismatico, perché, rinnegando la vera dottrina, spinge le anime verso l’apostasia, e ne porta tutta intera la tremenda responsabilità. Tuttavia la Chiesa, il clero e lo stesso papa, sono stati voluti e istituiti da Cristo per una ragione ben precisa ed esclusiva: diffondere il Vangelo e salvaguardare la vera fede. Se la Chiesa, il clero o il papa, non diffondono il Vangelo e se non salvaguardano la vera dottrina, essi tradiscono la loro missione, cioè tradiscono Gesù stesso, e divengono la pietra d’inciampo che induce le anime in errore, come gli scribi e i farisei contro i quali tuonava Gesù Cristo: Non siete entrati voi, e avete impedito di entrare a coloro che lo volevano. Non esistono scuse, né attenuanti, per quei membri del clero, i quali, tradendo la loro missione e tradendo la promessa fatta a Gesù Cristo, si rendono propagatori di una falsa dottrina e seminano la confusione e il turbamento nell’anima dei piccoli e dei semplici. Sarebbe meglio per loro che si legassero una macina da mulino al collo, e che si gettassero nel mare. Sono parole, queste, di una severità terribile: ma sono parole di Gesù. Ed è giusto ricordarle, e meditarle, perché, di questi tempi, molti membri del clero stanno facendo passare una immagine di Gesù non corrispondente al vero, modellata secondo i loro umani desideri e le loro umane preoccupazioni, ma difforme dalla sua natura divina e dalla sua missione redentrice: una immagine zuccherosa e “misericordiosa”, d’una misericordia a senso unico: quasi che vi fosse, in Dio, una amorevolezza a prescindere dalla giustizia, e una disponibilità al perdono senza bisogno che il peccatore si penta dei suoi peccati. Nell’osceno affresco sulla controfacciata del duomo di Terni, il pittore omosessuale Ricardo Cinalli ha raffigurato un osceno Cristo “salvatore” che innalza a sé, verso il cielo (un cielo abitato di angeli sinistri, cha paiono diavoli) omosessuali impenitenti i quali continuano a peccare, e uno dei personaggi che assistono a tale blasfema apologia del peccato ha il volto del committente (contento lui, contenti tutti), l’allora vescovo Vincenzo Paglia: non c’è giudizio, non ci sono inferno e paradiso, tutti salgono al Cielo, assolti e perdonati, “giustificati” senza bisogno di pentimento, né di conversione, né di penitenza, né di espiazione. Ecco: questo abominevole dipinto è il simbolo di un clero degenerato, che ha tradito la propria vocazione e si è fatto pietra d’inciampo e occasione di scandalo per le anime dei piccoli e dei semplici.
Ancora, qualcuno potrebbe obiettare: ma Gesù ha detto a Pietro: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che sceglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli; dunque, il papa non può sbagliare, non può cadere in errore. Ebbene, non è vero. Quello stesso Pietro, a cui Gesù stava dicendo tali cose, lo avrebbe rinnegato, di lì a poco, nella notte del suo arresto; e, più tardi, al concilio di Gerusalemme, sarebbe stato ripreso da san Paolo, e giustamente, a motivo della sua ambiguità nei confronti dell’atteggiamento da tenere riguarda alla circoncisione. Gesù non ha mai detto che si sarebbe sostituito al libero arbitrio di Pietro, o dei suoi successori: l’uomo è libero, e, nella sua libertà, è insita la possibilità di cadere nell’errore. Gesù ha promesso, questo sì, che le porte degli inferi non prevarranno mai sulla sua Chiesa; ma non che essa non dovrà soffrire persecuzioni e tribolazioni. E non ha mai assicurato che le tribolazione non possano provenire dal suo interno, oltre che dall’esterno. Vi sono stati, anzi, dei momenti altamente drammatici, nei quali la Chiesa stessa sembrava avviata ad allontanarsi dalla verità di Cristo: è accaduto in occasione della definizione del dogma cristologico e di quello trinitario. Due papi sono già caduti in errore, Liberio ed Onorio; e nulla vieta che altri vi possano cadere. Tuttavia Gesù Cristo, fedele alla sua promessa, ha sempre suscitato dei campioni della fede, che hanno riportato la navicella di san Pietro sulla giusta rotta. Al tempo dell’eresia ariana - eresia gravissima, perché ne andava di mezzo la divinità stessa di Gesù Cristo - si è levato un formidabile campione, sant’Atanasio di Alessandria, che, saldo come una roccia, sfidando incomprensioni e condanne, e osando opporsi anche alle erronee decisioni del papa, ha tenuto dritta la barra del timone, e ha consentito alla Chiesa di riprendersi in tempo e di evitare l’abisso, verso il quale pareva destinata a naufragare.
E tuttavia, obietterà ancora qualcuno, il dogma dell’infallibilità papale ci assicura che tutto quanto dice il vicario di Cristo, deve essere considerato come indubitabilmente veritiero. Vediamo. E, innanzitutto, notiamo la profonda ipocrisia, o, quanto meno, la profonda incoerenza di quanti invocano il dogma dell’infallibilità papale solo se, e quando, ciò fa comodo a loro. Le encicliche, ad esempio, fanno parte del Magistero; e il Magistero è interprete del dogma. Ora, quello stesso Pio IX che volle, e fortissimamente volle, la definizione e l’approvazione del dogma sulla infallibilità papale, mediante la costituzione dogmatica Pastor Aeternus del 18 luglio 1870, aveva pubblicato, appena sei anni prima, insieme all’enciclica Quanta cura, il Sillabo (8 dicembre 1864), un elenco di ottanta proposizioni con le quali condannava le idee-cardine della civiltà moderna: il liberalismo, l’ateismo, il socialismo, il comunismo, l’uguaglianza di tutte le religioni (indifferentismo). Come mai i sostenitori di una interpretazione estensiva della infallibilità papale non parlano mai del Sillabo? Forse che si scotterebbero la lingua, loro che considerano come cosa assolutamente naturale coniugare il cattolicesimo con il socialismo, con il liberalismo, con la democrazia, con la libertà religiosa? Ma lasciamo perdere, ed entriamo nel merito. Che cosa significa “infallibilità papale”? Significa che il Magistero del papa deve considerarsi infallibile, quando si esercita esplicitamente in materia di fede, cioè quando il papa, in qualità di pastore universale, esercita il ministero petrino. Il ministero petrino si esplicita o nella definizione di un nuovo dogma (quale, appunto, quello della infallibilità papale) o quando dà una definizione definitiva di una certa dottrina, definendola esplicitamente come rivelata, e, ovviamente, fornendo il necessario supporto scritturistico e tradizionale. Non vi è ministero petrino nelle omelie ordinarie del papa, tanto meno nelle sue interviste o nelle sue affermazioni estemporanee; anche sulla esortazione apostolica Amoris laetitia è più che dubbio che il papa abbia inteso esercitare il suo ministero petrino, anche perché non ha mai dichiarato espressamente di aver voluto definire, per via rivelata, un nuovo dogma o un dogma preesistente; anzi, per dirla tutta, in quel documento non si parla affatto di dogmi. Lo stesso papa Francesco ha ammesso che Amoris laetitia non è Magistero,
Certamente non è Magistero quando monsignor Paglia dichiara che tutti, anche i cristiani, dovrebbero prendere a modello le specchiate virtù di un uomo come Marco Pannella, uomo, a suo dire, dalla spiritualità esemplare.
Certamente non è Magistero quando monsignor Nunzio Galantino dichiara che Dio risparmiò Sodoma e Gomorra, contraddicendo la sacra Scrittura e lasciando intendere che il peccati dei sodomiti non era poi grave da meritare uno speciale castigo.
Certamente non è Magistero quando monsignor Gian Carlo Perego, della fondazione Migrantes, afferma pubblicamente che il futuro dell’Italia, se ci sarà, passa per il meticciato, ossia per un rimescolamento dei suoi pochi e vecchi abitanti con gl’immigrati africani e asiatici.
Certamente non è Magistero quando padre Sosa Abascal dichiara che noi non sappiamo cosa disse e fece realmente Gesù Cristo, perché ai suoi tempi non esistevano i registratori e che, pertanto, quel che sta scritto nei Vangeli è puramente ipoetico.
Certamente non è Magistero quando padre James Martin, altro gesuita recentemente promosso dal papa, dichiara che la Chiesa dovrebbe riconoscere e santificare le unioni omosessuali, perché l’unica cosa che conta, nelle relazioni umane, è l’amore.
E certamente non è magistero quando il papa dichiara di non sapere perché ci sia la sofferenza, o perché il Padre abbia acconsentito alla sofferenza del Foglio; o quando dice che Gesù, sulla croce, si fece diavolo e serpente (altra cosa, e ben diversa, per dire, come fa san Paolo, che Egli si fece “peccato”, cioè che prese su di sé i peccati degli uomini, per riscattarli); o quando dice che il vero cristiano ha il dovere di accogliere illimitatamente i migranti e i falsi profughi, che vengono a installarsi definitivamente in Italia e in Europa; o quando entra a gamba tesa nelle elezioni politiche di una nazione sovrana, dichiara che uno dei due candidati alla presidenza non è un vero cristiano ed esorta a non votare per lui; e in cento e cento altre occasioni nelle quali ha espresso concetti erronei, imprudenti, ambigui, sovente in maniera estremamente rozza, e senza curarsi affatto dello sconcerto, del disorientamento e del dolore che provoca a milioni di anime, e soprattutto del pericolo cui le espone, per la perdita della vera fede.
Coraggio, dunque.
Gesù Cristo non si è dimenticato, né mai si dimenticherà, delle sue promesse. Noi possiamo solo pregare e avere fede in lui; pregare per noi stessi e per il clero che sta deviando dalla Verità e rischia di trascinare le anime nell’errore; pregare che sorga, se necessario, un nuovo campione della fede, un nuovo sant’Atanasio, che riconduca la Sposa di Cristo sulla retta via, e che, senza rispetti umani, così come la gravità del momento sembra esigere, alzi forte la voce in difesa della sana ed unica dottrina, a conforto delle anime pie e a consolazione dei piccoli e dei semplici, oggi tanto turbati e confusi. Perché, come ci ricorda la sacra Scrittura, noi non dobbiamo affatto preoccuparci di essere graditi agli uomini, ma di piacere solamente a Dio...
Dice il profeta Isaia (49, 15):
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherà mai.
«Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa»
di Francesco Lamendola
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