Padre James Martin, S. J., militante lgbt, nominato consultore della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede
Mercoledì di Pasqua, la Sala Stampa Vaticana ha pubblicato il Bollettino “Rinunce e Nomine”, contenente l’elenco dei nuovi Consultori della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, scelti da Papa Francesco.
Questo servizio per la Comunicazione si occupa di tutti gli organi di stampa, di comunicazione e delle reti sociali del Vaticano: cioè dal sito internet ufficiale, New Va, alla televisione, CTV, al twitter del Papa; cosa che fa capire l’importanza di questa Segreteria che distribuisce nel mondo le informazioni relative al Papa e alla Chiesa cattolica. Se si considera che i mezzi di comunicazione sono ritenuti il “quarto potere” in grado di influenzare le mentalità, si comprende come chi lavora in questo settore abbia tra le mani un vero strumento di propaganda… al servizio del bene… o del male!
Tra i nuovi Consultori voluti da Francesco ve n’è uno che è davvero una sorpresa: il Padre James Martin, gesuita e noto militante lgbt. La sua nomina lascia perplessi e suscita non pochi interrogativi. Come si fa a non chiedersi se dietro questa scelta allarmante non si nasconda la volontà della Santa Sede di far evolvere, grazie alla comunicazione vaticana, gli animi dei cattolici verso un ripensamento sulla questione dell’omosessualità?
Infatti, il Padre James Martin, editorialista della rivista americana dei gesuiti: America, è particolarmente celebre per le sue prese di posizione a favore del mondo arcobaleno. Egli rilascia regolarmente delle dichiarazioni volte a legittimare l’omosessualità e la sue derive, affinché essa sia riconosciuta come un modo di vita perfettamente cattolico. Il «matrimonio per tutti» fa parte delle battaglie di questo avanguardista progressista!
Recentemente ha pubblicato un libro militante per la causa omosessuale. Egli insiste con forza sia perché i membri praticanti della comunità lgbt non vengano più «discriminati» in seno alla Chiesa cattolica, sia per la loro accettazione a pieno titolo per quello che sono. Per il Padre Martin una vita cattolica può essere del tutto gay-compatibile! Al punto che quanto prescrive la morale cattolica, e cioè rifiutare di riconoscere ad un uomo la possibilità di vivere con un altro uomo, sarebbe una «ingiusta discriminazione»!
Ed è proprio questo gesuita furiosamente pro-gay, meritevole di una sanzione disciplinare e dell’essere fatto tacere a vita, che il Papa ha voluto promuovere ad un posto chiave in seno alla comunicazione vaticana! Se non si tratta di un atto compiacente, più che compiacente, nei confronti del mondo lgbt, che qualcuno ci spieghi allora questa scelta indecente e rivoltante… Ci spieghi come il Vaticano possa osare permettersi di combattere la pedofilia mentre contribuisce a promuovere in maniera sovversiva l’omosessualità pratica, visto che entrambi i flagelli sono contro natura!
Ma a La Salette, la Madonna ci ha già annunciato questo tempo di rivolta dei preti contro Dio e la dottrina cattolica:
«I preti, ministri di mio Figlio, i preti, con la loro condotta malvagia e la loro empietà nel celebrare i Santi Misteri, con il loro amore per il denaro, con il loro amore per il successo e per piaceri, i preti sono diventati delle cloache di impurità».
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1973_De-Villasmundo_Vaticano_amico_dei_gay.html
Una lobby omosessuale nella Chiesa?
SOCIETA' SENZA VIRTU' VIRILI
Domanda politicamente scorretta per la cultura oggi dominante:"Una società può fare a meno delle virtù virili?" ci stiamo inesorabilmente femminilizzando ed è un problema che non si può continuare a fingere di non vedere
di Francesco Lamendola
La società moderna si sta progressivamente e inesorabilmente femminilizzando: l’abolizione del servizio militare di leva da un lato, e l’occupazione dell’insegnamento elementare e superiore primario da parte delle donne (con il 95% e l’85% delle cattedre, rispettivamente), insieme alla decadenza della figura paterna nelle famiglie, e al dilagare di quella materna, in famiglia e fuori di essa - come, appunto, nella scuola, anche in quella superiore – pone seriamente un problema, che non si può continuare a fingere di non vedere. E il problema si può esprimere in questa domanda: una società può permettersi di rinunciare alle virtù virili, e fondarsi, sempre di più, su quelle prettamente femminili? Inutile dire che la domanda è di per sé politicamente scorretta, perché la cultura oggi dominante, largamente permeata e condizionata dal femminismo, nega puramente e semplicemente che esistano delle virtù specificamente virili e delle virtù specificamente femminili; e l’ideologia gender, anch’essa sempre più infiltrata nella cultura dominante, e giunta ormai ai vertici della stessa legislazione statale – compresa la legislazione scolastica – nega, tout-court, che vi sia una specifica identità maschile e una specifica identità femminile, in nome di una sessualità ”liquida” e sempre fluttuante, relativa.
Il 23 agosto del 2004, durante il secondo governo Berlusconi, la legge numero 226 ha abolito il servizio militare di leva: sono perciò dodici anni che tale istituto secolare, che esisteva già in alcuni Stati preunitari, ha cessato di esistere. Vale perciò la pena di fare una riflessione, se non un primo bilancio, di ciò che la soppressione del servizio militare obbligatorio ha comportato, e comporta, per una società come la nostra; non limitandola al solo ambito strettamente militare, cioè al punto di vista dell’efficienza tecnica e operativa, ma allargandola anche all’influsso che il servizio militare esercitava nella sfera della società civile, quanto alla formazione dei giovani, e, più in generale, alla diffusione di una cultura fondata sul principio gerarchico, sui valori patriottici e sulle virtù civili, in un’ottica, appunto, specificamente virile. Solo così sarà possibile valutare se ciò sia stato un bene o un male, e se non sia comunque auspicabile pensare e realizzare un istituto, anche di altra natura e con diverse finalità, che ne sia però l’equivalente sotto il profilo formativo e anche spirituale, nel significato più ampio del termine.
La riflessione può essere arricchita partendo da un confronto: la società e la cultura italiane di circa mezzo secolo fa. Fino al principio degli anni Sessanta del ‘900 – c’è poco da fare, i nodi storici sono sempre quelli: il Concilio Vaticano II e il ’68 studentesco – nella cultura dominante non entrava nemmeno l’ipotesi che una società qualsiasi potesse fare a meno delle virtù virili, e che il servizio militare non fosse lo strumento naturale per coltivarle e svilupparle nei giovani di sesso maschile (poco dopo il femminismo avrebbe reclamato piena parità fra uomini e donne in qualsiasi ambito, e dunque anche nell’esercito, scompaginando le carte). Oggi quei concetti, che allora erano largamente condivisi dalla maggioranza delle persone, appaiono come dei documento archeologici, le testimonianze di un passato che, pur risalendo addietro di due generazioni appena, sembra nondimeno incredibilmente lontano, remoto, addirittura alieno. Possibile che le maestre e i sacerdoti, oltre, naturalmente, ai genitori, agli zii, e specialmente ai nonni, la pensassero a quel modo, che avessero una tale concezione della società e del posto che deve occupare, in essa, la vita di ciascun individuo?
Prendiamo il caso di uno strumento linguistico agile e tuttavia completo, come un dizionario, ma non uno qualsiasi, bensì uno di quelli allora concepiti espressamente per un pubblico giovanile: i bambini del secondo ciclo delle elementari e i ragazzini della scuola media inferiore. Oltre alle notizie sull’uso della lingua di due generazioni fa, questo genere di libri, come pure i sussidiari e i libri di lettura per le elementari, sono una vera miniera per capire quali fossero le idee e quali gli indirizzi educativi prevalenti, poiché ogni parola esprime un concetto e i concetti sono in continua evoluzione: mai, però, vi è stata un’evoluzione tanto rapida, come quella che ha investito la società italiana (e non solo quella italiana) negli anni del boom economico, quando l’antichissima civiltà contadina è stata spazzata via quasi da un giorno all’altro, e noi tutti siamo stati scaraventati, volenti o nolenti, nel pieno di una civiltà industriale avanzata, e poi, dopo pochi altri anni ancora, in una incerta società post-industriale, sospesa fra moderno e post-moderno, dove ogni cosa, a cominciare dai concetti, muta con una velocità vorticosa, e di gran lunga superiore alle nostre capacità di metabolizzarla (cfr. specialmente, a questo proposito, il nostro articolo Lo “shock” della modernità banco di prova del nuovo ordine mondiale, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 25/06/2007, e ripubblicato su Il Corriere delle Regioni il 30/10/2014).
Citiamo, dunque, dal Piccolo dizionario della lingua italiana di Guglielmo Valle (Brescia, La Scuola Editrice, 1960, pp. 165-166):
... La disciplina militare è giustamente severa. "È dura", dicono i soldati che incorrono spesso nelle punizioni: la consegna o privazione della libera uscita per lievi mancanze, la segregazione o prigione semplice o di rigore a seconda della gravità della colpa; il rimprovero solenne; il deferimento o denunzia al Tribunale Militare in caso di reato, con l'assegnazione ad una compagnia di disciplina o al carcere militare. Per i graduati è contemplata, è prevista, anche la sospensione dal grado per un certo periodo di tempo, o la degradazione, per sempre. Gli ufficiali che mancano al loro dovere sono puniti con gli arresti a domicilio, e in fortezza. In tempo di guerra la severità è maggiore. Viltà e tradimento - Dio ne guardi - possono essere puniti con la fucilazione, al petto o alla schiena; e talvolta, interi reparti macchiatisi di questi delitti infamanti, furono condannati alla decimazione: uno su dieci, a sorte, pagarono con la vita la colpa commessa in comune.
Verrà un tempo in cui non ci saranno più eserciti combattenti? Questo sperano, per questo lavorano e pregano in molti Paesi gli uomini di buona volontà, ai quali il Signore promise la pace. Noi tutti siamo con loro.
Non dobbiamo dimenticare, però, che lo spirito di disciplina, di ubbidienza ai superiori, la rinunzia ai piaceri e agli interessi particolari, il cameratismo leale, il senso dell'onore, l'indurimento del corpo, l'addestramento fisico, l'intrepidezza, il coraggio, l'eroismo... sono tutte qualità e caratteristiche di una buona educazione militare e insieme sono le pietre sulle quali gli uomini edificano uno Stato civile.
Alcune nazioni altamente civili conservano il servizio militare, mantengono, addestrano e onorano l'esercito non tanto in vista di una guerra, quanto per educare virilmente, da uomini forti, i giovani cittadini.
Guglielmo Valle è stato uno dei tanti onesti scrittori, puliti e bene intenzionati, i quali, fra gli anni Cinquanta e Settanta, hanno combattuto, e perso, la loro nobile battaglia per affermare e conservare i valori tradizionali, in una società che non ne voleva più sapere, oltre che per ragioni ideologiche, per una reazione di fastidio innescata dalle dinamiche del “benessere” (e magari fosse stato veramente tale!); uno che, nell’ambito delle lettere, ha cerato di fare quel che faceva Cino Tortorella per il canto, o Febo Conti (qualcuno se lo ricorda?) per la televisione dei ragazzi. Un’altra volta, magari, parleremo un po’ più diffusamente di lui e delle sue volgarizzazioni dei grandi capolavori letterari, dal Don Chisciotte all’Eneide, testimonianza patetica e ammirevole di una fede tenace nella possibilità di educare i bambini a partire dal patrimonio culturale della cultura “adulta”, introducendoli, nei modi e nelle forme opportuni, a una visione più consapevole della vita; qui ci limiteremo a cogliere lo spunto critico che è presente nel brano sopra citato, in nuce, quasi un’intuizione profetica, circa il ruolo formativo svolto dal servizio militare in seno alla società. Sarebbe bello, egli dice, se si potesse fare a meno degli eserciti, perché questo vorrebbe dire che la guerra non sarebbe più l’elemento risolutivo delle controversie internazionali; ma, anche se si potesse abolire l’esercito domani stesso, siamo certi che la società potrebbe permettersi il lusso di non coltivare più, nei giovani, tutta una serie di virtù virili?
Egli fa l’elenco di tali virtù; pertanto vogliamo cogliere il destro per esaminarle brevemente, una per una, sempre al fine del nostro discorso iniziale, cioè per vedere se una qualunque società possa farne a meno, o se, quanto meno, non debba trovare il modo di coltivarle ugualmente, sia pure in forme diverse da quelle del servizio militare obbligatorio. Ciascuno, poi, tirerà da sé le somme.
a) Lo spirito di disciplina: è importante perché, esercito o non esercito, senza di esso subentra il caos, e ciascuno pretende di fare quel che vuole, dall’industria alla pubblica amministrazione, con risultati fin tropo facilmente prevedibili, e, comunque, senz’altro disastrosi per l’intera collettività. b) Lo spirito di ubbidienza ai superiori:lo è altrettanto, ed è quello che, oggi, sembra essersi liquefatto, per il venir meno di ogni gerarchia. Riconoscere obbedienza ai superiori, e a chi ci è superore, è il fondamento del senso del limite, senza il quale ciascuno pretende di farsi norma a se stesso. E, infatti, ora vediamo il figlio che ride in faccia a suo padre e a sua madre; il bambino che risponde alla maestra con parolacce e, a volte, con l’aggressione fisica; il delinquente che sfida e che sfotte i tutori della legge; lo sciocco ignorante che pretende di dar lezione al dotto e al sapiente.
c) La rinunzia ai piaceri e agli interessi particolari: anche questa è una virtù fondamentale, tanto è vero che sta alla base del successo di una squadra sportiva, o di un’impresa economica, per non parlare, appunto, di un reparto militare; e anch’essa è una di quelle pressoché dimenticate. Nel clima di edonismo dilagante, chi è disposto a fare la benché minima rinuncia al suo piacere e al suo interesse? Chi è disposto a sacrificare anche il più piccolo dei suoi diritti, sia esso vero o presunto?
d) Il cameratismo leale: fa sì che le persone sappiano trattare i loro compagni di lavoro con lealtà e con simpatia, elemento indispensabili perché vi siano concordia sociale e benevolenza reciproca; senza di essi regnano l’invidia, il rancore, il malanimo, l’inganno, la calunnia e il raggiro.
e) Il senso dell’onore: è una virtù immateriale per definizione, la più vicina al rispetto di sé; la sua enorme importanza si comprende per contrasto, laddove è diffuso l’auto-disprezzo, come nella società attuale, perché lì ogni individuo è disposto a compiere le peggiori bassezze, a tradire gli amici e se stesso, a macchiarsi di colpe vergognose, a prostituirsi fisicamente e moralmente.
f) L’indurimento del corpo: non occorre essere degli atleti di professione, dei rocciatori, dei coltivatori di primati sportivi: indurire il proprio corpo significa farne uno strumento docile e obbediente alla volontà, capace di uno stile di vita sobrio, e sprezzante delle fatiche e dei sacrifici.
g) L’addestramento fisico: come nel caso precedente, ma con questa sfumatura di differenza: che un corpo irrobustito è capace di fare cose notevoli, dunque è il fine, mentre l’addestramento fisico è il mezzo; ma anch’esso è importante in se stesso, perché richiede pazienza, tenacia e forza di volontà.
h) L’intrepidezza: è una disposizione permanente dell’animo, come il carattere, e consiste nella fermezza con cui si persegue quel che ci è proposti. Non s’improvvisa, si conquista poco a poco, giorno per giorno; ma è evidente che, per coltivarla, bisogna avere degli obiettivi chiari nella vita, che è proprio quel che manca alle persone, e specialmente ai giovani, dell’attuale generazione.
i) Il coraggio: ci vuole, nella vita, eccome. La vita è una battaglia, di questo ci siamo un po’ dimenticati, e se ne sono dimenticati specialmente gli educatori: sicché i bambini crescono con l’illusione che tutto sia dovuto, e inoltre che ogni cosa sia facile, gradevole e senza rischi. Il padre di famiglia che perde il lavoro, o la cui impresa fallisce, e si suicida, lasciando i suoi cari nello sconforto e nelle più gravi difficoltà materiali, dimostra una fondamentale mancanza di coraggio. Pietà per lui, certamente; ma, per favore, non facciamone un coraggioso, e tanto meno un eroe!
l) L’eroismo: ecco una qualità virile che non solo si direbbe scomparsa dal vocabolario, ma che, se viene nominata, suscita immediatamente ilarità, e quasi una sorta d’incredulità: merito della cultura del sospetto, secondo la quale non esistono fini nobili e altruistici, ma solo menzogne e ipocrisie sociali. E invece l’eroismo è necessario, nella vita: è un coraggio che s’innalza fino al livello del sublime: è eroico il sapersi mettere in gioco, senza riserve e senza paura, per qualcosa di grande, di bello e di puro. Ma ecco la cultura del sospetto che suggerisce all’orecchio: non vi è nulla di grande, di bello e di puro; nulla per cui valga la pena di osare e di sacrificarsi: tutto è fango. Ebbene, che sia maledetta la cultura del sospetto, insieme ai suoi tristi maestri! Per colpa loro, le sorgenti della vita sono state avvelenate quando le nuove generazioni vi stavano accostando le labbra, ancora piene di sogni e di belle aspirazioni… Quando capiremo che queste idee moderne sono solo sterco e veleno?
Una società può fare a meno delle virtù virili?
di Francesco Lamendola
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