«Quale Maria?», chiedeva venerdì sera papa Francesco a
Fatima. È una domanda che si pone anche per la sua interpretazione del
messaggio ai pastorelli, visto che nelle sue parole non hanno trovato spazio la
visione dell'Inferno, la penitenza, la riparazione dei peccati, le conseguenze
storiche del peccato. Tutte cose che fanno parte della realtà di Fatima e che
dovrebbero provocare la nostra libertà.
«Quale Maria?», chiedeva venerdì sera il Papa nel suo discorso pronunciato a Fatima prima della benedizione delle candele, nella cappella delle apparizioni. «Quale Maria?», si è chiesto per dare una risposta che – come spesso accade – divide i cattolici in buoni (pochi) e cattivi (la stragrande maggioranza). Ma «quale Maria?» e soprattutto «quale Madonna di Fatima?», si sono chiesti anche tantissimi cattolici, dopo aver ascoltato la personale interpretazione di papa Francesco a proposito degli eventi accaduti a Cova da Iria giusto cento anni fa. Nel discorso del Papa infatti non c’è traccia di invito alla conversione, di penitenza, di sacrificio per la riparazione dei peccati, della visione dell’inferno, di conseguenze storiche del peccato (eh sì che le guerre continuano e il comunismo non smette di propagare le sue nefaste conseguenze, anche all’interno della Chiesa).
E qui il problema non è l’interpretazione, è il fatto. Può piacere o meno, ma i pastorelli hanno avuto la visione orribile dell’Inferno, Francesco e Giacinta – ieri canonizzati – su richiesta della Madonna hanno liberamente offerto la loro vita e le loro sofferenze per i peccatori, la Madonna ha chiaramente indicato quali sarebbero state le conseguenze storiche del peccato se non ci fosse stata la conversione degli uomini; Maria ha anche indicato la preghiera del rosario e chiesto la consacrazione al suo Cuore immacolato. Il messaggio, pur nella infinita grandezza del Mistero dell’amore di Dio che ci comunica, è molto semplice nel suo contenuto. Se si vuole parlare di Fatima, non si può evitare di misurarsi con questi semplici fatti che costituiscono l’evento unico e straordinario accaduto cento anni fa.
Certo, è stata anche questa apparizione una manifestazione della Misericordia di Dio, ma contrapponendo la misericordia al giudizio e alla giustizia si dà l’idea di una indistinta sanatoria in cui i comportamenti dell’uomo non contano più nulla, tanto ci ha già pensato Cristo a risolvere tutto. Una concezione che risalta evidente in un problematico passaggio dell’intervento di venerdì sera: Gesù «non negò il peccato, ma ha pagato per noi sulla Croce. E così, nella fede che ci unisce alla Croce di Cristo, siamo liberi dai nostri peccati; mettiamo da parte ogni forma di paura e timore, perché non si addice a chi è amato». Insomma, sembra che basti la fede nel Cristo crocifisso per essere salvati, una affermazione che così espressa ricalca la posizione di Lutero, tagliando via la libertà dell’uomo.
Ma in questo modo che senso avrebbe allora mostrare a dei bambini la visione dell’Inferno, o chiedere preghiera, penitenza, sacrificio riparatore dei peccati? Sono domande che non possono essere così disinvoltamente eluse. La Chiesa ha riconosciuto la veridicità di queste apparizioni e i messaggi che vi sono collegati. Il cliché della “Madonna postina”, che tanto è avversato da papa Francesco, non si può applicare alla Madonna di Fatima, per quanto anch’essa fissasse appuntamenti per consegnare dei messaggi.
Siamo davanti a un fatto storico, alla realtà di un messaggio che provoca la nostra libertà. L’amore di Dio si manifesta proprio in questo, è per aver sperimentato questo amore che Francesco e Giacinta rispondono sì alla domanda di Maria sul sacrificio delle proprie vite per salvare i peccatori. Come ogni genitore che ama i propri figli, Maria mette in guardia dai pericoli del peccato non per terrorizzare, ma per aiutarci a scegliere il bene, a rispondere all’amore. Non per niente il “timore di Dio” è uno dei sette doni dello Spirito Santo.
Siamo davanti a un fatto storico, alla realtà di un messaggio che provoca la nostra libertà. L’amore di Dio si manifesta proprio in questo, è per aver sperimentato questo amore che Francesco e Giacinta rispondono sì alla domanda di Maria sul sacrificio delle proprie vite per salvare i peccatori. Come ogni genitore che ama i propri figli, Maria mette in guardia dai pericoli del peccato non per terrorizzare, ma per aiutarci a scegliere il bene, a rispondere all’amore. Non per niente il “timore di Dio” è uno dei sette doni dello Spirito Santo.
Molto più chiare delle mie parole sono però quelle dell’allora cardinale Joseph Ratzinger che, in qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, scrisse nel 2000 il Commento teologico ai segreti di Fatima. Le ripropongo perché - a proposito del terzo segreto e delle visioni dei veggenti - scrisse ciò che ci restituisce l’estrema attualità del messaggio e il compito che noi abbiamo:
«L'angelo con la spada di fuoco a sinistra della Madre di Dio ricorda analoghe immagini dell'Apocalisse. Esso rappresenta la minaccia del giudizio, che incombe sul mondo. La prospettiva che il mondo potrebbe essere incenerito in un mare di fiamme, oggi non appare assolutamente più come pura fantasia: l'uomo stesso ha preparato con le sue invenzioni la spada di fuoco. La visione mostra poi la forza che si contrappone al potere della distruzione — lo splendore della Madre di Dio, e, proveniente in un certo modo da questo, l'appello alla penitenza. In tal modo viene sottolineata l'importanza della libertà dell'uomo: il futuro non è affatto determinato in modo immutabile, e l'immagine, che i bambini videro, non è affatto un film anticipato del futuro, del quale nulla potrebbe più essere cambiato. Tutta quanta la visione avviene in realtà solo per richiamare sullo scenario la libertà e per volgerla in una direzione positiva. Il senso della visione non è quindi quello di mostrare un film sul futuro irrimediabilmente fissato. Il suo senso è esattamente il contrario, quello di mobilitare le forze del cambiamento in bene».
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