ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 11 maggio 2017

Sin da allora, bollati quali “tradizionalisti”

PROFETI DI SVENTURA ?

    Ma se sono la voce di Dio ! le parole e il luogo in cui vennero pronunciate: l’assemblea riunita in apertura del Concilio Vaticano II; il tempo, giovedì 11 ottobre 1962; e colui che le disse, il sommo pontefice Giovanni XXIII 
di Francesco Lamendola  





Mai, forse, un male più grande è stato fatto allo spirito religioso con così poche parole, e pronunciate, forse, con le migliori intenzioni: ma, per la solennità del luogo e del momento, nonché per l’autorità di chi le proferiva, quelle parole si sono depositate nelle coscienze e hanno plasmato addirittura l’immaginario collettivo dei credenti e dei non credenti, al punto da entrare nel linguaggio comune, anche del tutto staccate dal contesto originario.
Le parole sono queste: A noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo; il luogo in cui vennero pronunciate, l’assemblea riunita in apertura del Concilio Vaticano II; il tempo, giovedì 11 ottobre 1962; e colui che le disse, il sommo pontefice Giovanni XXIII. Facevano parte del suo discorso inaugurale ed erano rivolte non solo ai padri conciliari, convenuti a Roma, in San Pietro, da tutti e cinque i continenti, in un’atmosfera febbrile, carica di elettricità e d’impazienti, grandiose aspettative, ma anche al mondo intero, e particolarmente ai media, che seguivano l’evento con eccezionale interesse e lo diffondevano, attraverso la televisione, la radio e la stampa, presso un pubblico di miliardi di persone.
E lo diffondevano non senza imprimergli, fin dalle primissime battute, anzi, fin dalla vigilia, un taglio, diciamo così, caratteristico, consistente nel dare l’impressione che il più e il meglio doveva ancora arrivare, e quindi proiettando le attese dell’opinione pubblica verso traguardi sempre più avanzati, e, nello steso tempo, dirigendo sottilmente il fastidio e l’antipatia generali verso quei cardinali e quei vescovi che parevano fare resistenza al nuovo e che furono, sin da allora, bollati quali “tradizionalisti”, quasi che la Chiesa fosse diventata improvvisamente un partito politico, e quasi che l’esistenza ufficiale di correnti opposte, al suo interno, fosse la cosa più naturale del mondo. Il grande mistero, il grande interrogativo che non cessa di assillare quanti abbiano seguito allora, magari da bambini, e quanti interroghino ora, a distanza di tanto tempo, quella complessa vicenda, così gravida di conseguenze per la vita della Chiesa e per le stesse prospettive future del cattolicesimo, è se qualcuno, in alto, nella Gerarchia, si sia accorto che questo interesse così insistente, quasi spasmodico, e, a dir poco, interessato, degli organi d’informazione, giungeva a condizionare e a orientare sottilmente, fin dal principio, i lavori del Concilio; e se si sia domandato quale intenzione vi fosse dietro una così appassionata smania di cronaca, di approfondimento, di individuazione dei retroscena; e, soprattutto, se si sia reso conto che accettare un tale peso sui lavori conciliari, e porsi, psicologicamente e spiritualmente, in una condizione di oggettivo condizionamento, equivaleva a perdere la propria autonomia nei confronti della società secolare (e secolarizzata) e accettare che la Chiesa, senza averne sempre piena coscienza, si disponesse a sua volta in un’ottica di tipo secolare, vale a dire assumesse il punto di vista del mondo, rinunciando al proprio.
Parole grosse? Niente affatto. Si rifletta sul significato della parola “profeta” nel linguaggio teologico e storico della Bibbia. I Profeti dell’Antico Testamento (con la “p” maiuscola) sono lo strumento dello Spirito Santo: sono gli annunciatori del piano di Dio e coloro i quali vanno preparando, lentamente, ma irresistibilmente, il popolo ebreo, e, in prospettiva, l’umanità tutta, al grandioso evento futuro: l’Incarnazione del Verbo. Il massimo dei Profeti è, infatti, il diretto precursore e annunciatore di Gesù Cristo, Giovanni il Battista, colui che ricapitola il senso delle profezie veterotestamentarie e apre la strada alla Rivelazione definitiva, quella del Nuovo Testamento, operata da Dio stesso incarnato nel figlio di Maria Vergine. Orbene: i Profeti, ripieni dello Spirito Santo, non erano stati chiamati da Dio per annunciare delizie e predicare l’ottimismo a buon mercato, ma per richiamare gli uomini al vero significato della storia e della loro vita individuale, ammonendoli sulle conseguenze inevitabili che derivano dalla disobbedienza a Dio e dal rifiuto del suo amore, rimproverandoli, esortandoli, spronandoli, e mostrando anche loro, in tutta la sua severità, il destino che li attende se non operano in se stessi la conversione, se non smettono di confidare nelle proprie forze e non si arrendono al soffio potente del loro Creatore, che guida ogni cosa al bene, con somma sapienza e sommo amore. I Profeti, quindi, annunciano sovente un futuro di sventure: non lo fanno per il gusto del cupio dissolvi, ma per assolvere a una precisa missione, voluta da Dio; se non lo facessero, che razza di profeti sarebbero? Se Giona non avesse annunciato agli abitanti di Ninive l’imminente castigo di Dio, forse che i Niniviti si sarebbero convertiti e avrebbero allontanato così la distruzione annunciata? Guai a quel profeta che non esegue il mandato ricevuto da Dio: e tale mandato è quello di richiamare gli uomini a Dio; anche, se necessario – e di solito lo è – rappresentando loro la punizione che attende quanti ostacolano e disprezzano il disegno di Dio. Diremo di più: Gesù stesso è stato visto dai suoi contemporanei come un Profeta; e Lui stesso ha annunciato sventura, fino a poche ore prima di spirare sulla croce, per esempio quando ha ammonito in questo modo gli abitanti della Città Santa, mentre già lo stavano conducendo al patibolo (Luca, 23, 27-31):

Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano io petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: ‘Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato’. Allora cominceranno a dire ai monti: ‘Cadete su di noi!’, e alle colline: ‘Copriteci!’. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?”.

Dovremmo allora concludere che anche Gesù è stato un profeta di sventura? Di fatto, l’espressione “essere un profeta di sventura” è entrata nel linguaggio comune, proprio a partire da quel fatidico 1962; prima, non ci risulta che esistesse; e viene usata precisamente per bollare quanti hanno il torto di richiamare gli uomini alle gravi conseguenze dei loro atti sbagliati. Si dirà che Giovanni XXIII non aveva in mente i Profeti della Bibbia, ma gli uomini, i membri del clero, i quali si mostravano giustamente timorosi di por mano a una riforma complessiva della Chiesa, essendovi nell’aria tali e tanti segnali di pericolo, e tanti indizi che lasciavano prevedere come forze potenti, che si tenevano nell’ombra, (come la massoneria, tanto per citarne una: e non solo al di fuori, ma altresì dentro la Chiesa) aspettassero solo quella occasione per infiltrarsi nell’assemblea conciliare e per distorcere la prospettiva del Magistero nel senso da esse desiderato. Benissimo. In tal caso, fra i profeti di sventura bisogna iscrivere, per primo, quel Pio XII il quale, pur condividendo l’opportunità di convocare un concilio ecumenico, di fatto vi aveva rinunciato, non già per stanchezza o personale timore, ma per la lucida, piena consapevolezza dei rischi enormi che ciò avrebbe comportato, stando le cose così come stavano: cioè con una parte del clero, e con settori potenti del mondo secolare, che stavano in agguato, spiando l’occasione per imprimere alla Chiesa una “svolta” in senso modernista e progressista, cioè, in pratica, per far rientrare dalla porta principale quelle idee che Pio X aveva solennemente condannato con l’enciclica Pascendi, nel 1907, e che ora tornavano a premere per farsi strada ed imporsi.
Affinché ciascuno possa farsi una propria idea del contesto esatto in cui le parole di Giovanni XXIII furono pronunciate, e valutarne tutte le implicazioni, è bene andarsi a rileggere non solo il paragrafo terzo, ma tutti i primi quattro paragrafi del terzo capitolo del suo discorso di apertura, intitolato Origine e causa del Concilio Ecumenico Vaticano II:
1. C’è inoltre un’altra cosa, Venerabili Fratelli, che è utile proporre alla vostra considerazione sull’argomento. Ad aumentare la santa letizia che in quest’ora solenne pervade i nostri animi, Ci sia cioè permesso osservare davanti a questa grandiosa assemblea che l’apertura di questo Concilio Ecumenico cade proprio in circostanze favorevoli di tempo.
2. Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa.
3. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.
4. Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa.
Come si vede, l’interpretazione che abbiamo suggerito trova solide ragioni nel testo del discorso: non solo i “profeti di sventura” di cui si parla non sono i veri Profeti, da degli uomini pavidi e trepidanti, ma si afferma a chiare note che essi sono degli sconsiderati, che non hanno imparato nulla dalla storia e che, oltretutto, hanno poca fiducia nei misteriosi disegni della divina Provvidenza: insomma, sono come tanti don Abbondio che temono sempre il peggio, che si lamentano di tutto e che, proprio con il loro modo di fare, tradiscono di avere una ben scarsa fede in Dio. Ma tutto questo è non solo ingeneroso, è anche ingiusto; e non è solamente ingiusto, è anche avventato e poco caritatevole: delegittimando quanti nutrono dei fondati e ragionevoli dubbi sulla opportunità di convocare il Concilio e di mettersi sulla strada delle riforme – poiché sono proprio questi, con tutta evidenza, coloro i quali vengono additati al pubblico disprezzo -, Giovanni XXIII si assume la non live responsabilità di far passare l’idea, esiziale, e non più corretta o ridimensionata dopo di allora, che solo i progressisti hanno ragione che solo essi sono fedeli e fiduciosi rispetto al piano di Dio; che ogni prudenza, che ogni perplessità, che ogni dissenso equivalgono a una specie di tradimento verso Dio e verso la Chiesa, dunque verso il Concilio e le decisioni che in esso verranno prese. È una delegittimazione preventiva dei possibili oppositori, e costituisce, per ciò stesso, un atto gravissimo, inaudito, che condizionerà pesantemente il clima dei lavori conciliari e che sospingerà inevitabilmente le commissioni e le sotto-commissioni, incaricate della stesura dei documenti ufficiali, nonché l’assemblea tutta, che verrà chiamata a ratificarli, in una direzione obbligata: quella del progresso, del cambiamento, della discontinuità con il passato. E già questo rappresenta una forzatura, non solo metodologica e procedurale, ma, cosa ancor più grave, dottrinale e teologica, poiché mai la Chiesa, e mai i sommi pontefici, hanno pensato se stessi in funzione del “progresso”; mai hanno dato per scontato che cambiare si deve, e che il cristiano ha il dovere di mettersi al passo coi tempi, anche se i tempi sono radicalmente irreligiosi e anticristiani. Il Concilio di Trento, per esempio, non esitò ad opporsi frontalmente alle tendenze filo-protestanti, così come il Concilio Vaticano non ebbe alcun timore di condannare le tendenze e culturali contemporanee: liberalismo, razionalismo, materialismo. Dov’è scritto che i concili servono ad aggiornare la Chiesa al nuovo che avanza, se quel ”nuovo” è contrario al Vangelo e incompatibile con la visione cristiana della vita? Insomma, con quel discorso Giovani XXIII ha impresso al Concilio una direzione obbligata: quella desiderata e voluta dal partito “progressista” maturato in seno alla Chiesa, e che, sino allora, non aveva avuto la possibilità di contare le sue forze, chiamarle a raccolta per fare massa critica, e spingere la Chiesa intera nel senso da esso auspicato. Senza dire che i vituperati profeti di sventura avevano visto giusto, come ammise, pochi anni dopo, Paolo VI...

Profeti di sventura? Ma se sono la voce di Dio…

di

Francesco Lamendola

2 commenti:

  1. Gentile dottor Lamendola,

    se è vero - come pare assodato, pur se tenuto rigorosamente occultato all'epoca, e a tutt'oggi - che l'elezione di papa Roncalli fu quella di 'seconda chance' dopo l'annullamento segreto di quella del cardinal Siri, vero eletto al soglio pontificio nel 1958, tutto torna.

    All'epoca qualcuno valutò, nel bene e nel male, che occorreva ingraziarsi l'URRS, e occorreva un 'candidato idoneo' al papato.

    E, alla luce di tutto quello che è accaduto DOPO, ora si può affermare che papa Giovanni XXIII, 'candidato nominato' e non eletto dallo Spirito Santo, diede inizio ad un impercettibile ma sostanziale slittamento:

    IL PASSAGGIO DAL SOLE-CRISTO (che non ha bandiere politiche) al 'Sole dell'avvenire'

    (pare che l'espressione "L'Internazionale è il sole dell'avvenire" sia stata coniata addirittura da Giuseppe Garibaldi. A tutt'oggi è fondante per i movimenti socialisti e comunisti, vedi il sempreverde canto partigiano "Fischia il vento" su musica del Katjusha ("Fischia il vento / urla la bufera / scarpe rotte eppur bisogna andar / A conquistare LA ROSSA PRIMAVERA / DOVE BRILLA IL SOL DELL'AVVENIR"). Sempre in attesa che il socialismo, il sole ROSSO, nella PRIMAVERA dell'avvenire "illuminerà tutti i popoli" dopo aver abbattuto il 'bieco stato borghese'.

    Grandi similitudini con la 'Primavera del Concilio ' che ha fatto tracollare sempre più la Chiesa cattolica verso questo sole di risulta, al di là FORSE delle buone intenzioni dettate da necessità (?) storiche.

    Non è un certo un caso che papa Giovanni divenne assolutamente celebre e gradito alle migliaia e migliaia di socialisti e comunisti, fino ad allora condannati dalla Chiesa (non le persone ma la loro ideologia).

    E per portare a segno il mandato ricevuto - sempre che le cose siano andate davvero così, speriamo sempre nell'emersione della Verità - cosa doveva fare innanzitutto il 'nominato'?

    Minare fin da subito le basi alle colonne portanti della Chiesa, ossia tutti coloro che certamente avrebbero suonato l'allarme già alle prime avvisaglie di devianza dottrinale.

    Ed ecco coniato alla bisogna lo stigma: 'PROFETI DI SVENTURA' !

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    1. Leggo per caso che il Comune di Milano, nell'ambito del ciclo di 'Lezioni di Storia - Memorie in conflitto', organizza anche:

      - conferenza di Guido Formigoni (Università IULM di Milano;
      - 17 maggio '17, ore 21.00
      - Titolo: "Il Concilio, quelli contro"

      "Il Concilio Vaticano II ha mutato l'autocomprensione della Chiesa cattolica nel XX secolo e il suo rapporto col mondo. Ma la sua interpretazione è stata fin dall'inizio controversa: a parte la minoranza lefebvriana, giunta fino allo scisma, molti vi hanno comunque visto un pericoloso salto nel buio, l'inizio di una crisi di autorità; altri, pur favorevoli, hanno invece valutato il percorso di riforma troppo timido e, di fatto, interrotto."

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