ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 1 maggio 2017

Un secondo Olocausto a pezzetti


Una scena dal film Silence

Il cristianesimo è la religione più perseguitata al mondo 


Nel 2016 90 mila cristiani sono stati uccisi per la loro fede. 900 mila quelli uccisi nell’ultimo decennio. Nella quasi totale sordità totale delle istituzioni internazionali. A riportare la notizia un articolo de “L’Inkiesta” che cita un rapporto di un centro studi Usa.
Non c’è solo la “terza guerra mondiale a pezzetti”, quella magistralmente inchiodata all’attenzione del mondo dalla definizione di papa Francesco. C’è anche un secondo Olocausto a pezzetti, e questa volta riguarda i cristiani. Lo conferma l’ultimo rapporto, relativo al 2016, del Center for Study of Global Christianity, fondato alla fine degli anni Cinquanta presso il Gordon-Conwell Theological Seminary di Hamilton, nel Massachussetts. Anche nei dodici mesi da poco conclusi, conferma il rapporto, è stata rispettata la “quota” annua di persecuzione: 90 mila battezzati sono stati uccisi a causa della loro fede, al ritmo di uno ogni 5,8 minuti.
In grande maggioranza (70%) questi martiri contemporanei sono morti in Africa, il resto in Medio Oriente e nel reticolo delle stragi che ogni giorno si compiono in Asia e in altre parti del globo.
Sempre secondo le valutazioni del Center, il numero dei cristiani martirizzati nel decennio 2005-2015 supera abbondantemente le 900 mila persone. E come le recenti vicende di Iraq, Siria ed Egitto dimostrano (per fare solo qualche esempio), questo Olocausto a pezzetti non mostra segni di rallentamento e fa nettamente del cristianesimo la religione più perseguitata al mondo.
È peraltro interessante notare che su 196 Paesi presenti alle Nazioni Unite, ben 102 impediscono in modo più o meno violento ai cristiani di praticare liberamente la loro fede. E meno metà di quei 102 sono Paesi a maggioranza islamica. D’altra parte, conferma Open Doors, al primo posto nella persecuzione c’è l’ateistica Corea del Nord, al quindicesimo l’induista India, al diciassettesimo il buddista Vietnam, al diciottesimo il Kenya che è di maggioranza cristiana, proprio come l’Etiopia che è al ventiduesimo posto.
L’aspetto straordinario di questa vicenda è che i cristiani di ogni parte del mondo, e in particolar modo quelli del Medio Oriente, si sforzano giorno per giorno, con ogni mezzo, di segnalare il loro dramma alle cancellerie che più contano nel mondo. E giorno per giorno, da decenni, si scontrano con l’incapacità dell’Occidente di modificare politiche e strategie che accentuano, invece di ridurre, i loro problemi.



«Ave Eva», a Bolzano, non rilettura, ma dissacrazione


Non è una semplice reinterpretazione, non è nemmeno una nuova chiave di lettura, è autentica dissacrazione, quella che venerdì prossimo andrà in scena – oltre tutto – in una chiesa, quella dei Tre Santi, e all’indomani presso il Chiostro dei Domenicani, a Bolzano, per concludere la tournée presso la Michael Pacher Haus di Brunico: stiamo parlando dello spettacolo Ave Eva, esempio di teatro-danza, che tuttavia ruota attorno a due figure bibliche emblematiche, Eva e Maria Maddalena di Magdala.
Già l’abbinamento non pare dei più felici. Da una parte pone Eva, che, con Adamo, trasmise alla propria «discendenza la natura umana ferita dal loro primo peccato, privata quindi della santità e della giustizia originali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 417); dall’altra, Maria Maddalena (di Magdala), proclamata santa dalla Chiesa Cattolica, colei che Gesù liberò da sette demoni, che divenne Sua discepola seguendoLo sino al monte Calvario, cui per prima Egli apparve poi dopo la Risurrezione per portare il lieto annunzio. E’ evidente quanto strumentale e riduttivo sia accomunarle entrambe sotto una comune «condanna» trasmessa «dal corpo e dalla sessualità», liquidarle come «peccatrici» e trasformarle, proprio per questo, in «donne forti» capaci di «scelte coraggiose».
La “rilettura” del Testo sacro si rivela, in realtà, una contraffazione del medesimo: se il teatro-danza di Elena Widmann propone l’immagine di Progenitori pronti ad uscire da una condizione di armonia ed eternità per generare la vita, la Bibbia ci dice come in realtà, attraverso loro e la loro colpa, sia entrata «la morte nella storia dell’umanità» (Rm 5,12); se sul palco si offre l’immagine dell’Eden come di un grembo dal quale occorre uscire per entrare nella vita reale, nella storia umana, viceversa nella Sacra Scrittura la Caduta indica la cacciata «dal giardino dell’Eden», ad oriente del quale furono posti «i cherubini e la fiamma della spada folgorante», non per accompagnarli cortesemente fuori dal Giardino, come vorrebbe la finzione teatrale, bensì per estrometterli, escluderli e «per custodire la via all’albero della vita» (Gen 3, 24) da un eventuale, loro ritorno; se lo spettacolo propone la trasgressione come un’assunzione di responsabilità per una vita autonoma ed un’immissione dell’umanità nei conflitti propri dell’esistenza, quasi si trattasse di un atto benemerito ed in qualche modo dovuto, il Catechismo imputa «la scelta disobbediente dei nostri progenitori» ad «una voce seduttrice, che si oppone a Dio», pronta «per invidia» a farli «cadere nella morte. La Scrittura e la Tradizione della Chiesa vedono in questo essere un angelo caduto, chiamato Satana o diavolo» (n. 391).
Quanto a Maria Maddalena di Magdala, se sul palcoscenico diviene colei che sperimenta su di sé la liberazione dalle paure più profonde, per i Padri della Chiesa, nella letteratura cristiana medioevale ed in altri autori viene esaltata in Oriente come «isapóstolos» (pari ad un apostolo) ed in Occidente come «apostola apostolorum» (apostola di apostoli), a testimonianza del suo ruolo di annunciatrice del Vangelo alla sequela di Cristo.
Già l’abbinamento tra danza orientale e Sacra Scrittura può sembrare fuori luogo; ma ancor più lo è l’impianto dissacratorio di Elena Widmann, più proteso ad estremizzare un tentativo emancipatorio di Eva e di Maria Maddalena che ad approfondirne l’autentico ruolo nel piano di Salvezza di Dio. E stupisce davvero come una simile interpretazione possa trovar posto in chiese, conventi e strutture ecclesiali… (M. F.)



JE T'AIME, MOI NON PLUS

    “Je t’aime, moi non plus.” Io ti amo, io nemmeno. La grottesca fine dell’Europa. Nessuno avrebbe immaginato che a rilanciare un grido d’amore sarebbe stato un omosessuale ma nessun
profeta disarmato ha vinto la storia 
di Roberto Pecchioli  




Un’immagine ed una frase di pochi giorni fa racchiudono tutto il senso d’impotenza dinanzi alla frana che travolge ogni giorno la nostra tramontata civiltà. L’immagine è quella di un giovane uomo elegante e di bell’aspetto su un palco ufficiale pieno di bandiere francesi che, in qualità di coniuge del poliziotto ucciso nella sparatoria degli Champs Elysées, pronuncia una sorta di elogio funebre, affermando di non odiare gli assassini. Monsieur Etienne Cardiles coniugato al flic Xavier Jugelé conclude il suo breve intervento con “Je t’aime”, ti amo. Quarant’anni fa, all’alba dell’evo nichilista, Jane Birkin e Serge Gainsboug (comunque un uomo e una donna) scandalizzavano l’Europa con la canzone Je t’aime, moi non plus. Ti amo, mugolava lei, ed io nemmeno, replicava il maturo musicista-amante. Nasceva allora quel mondo liquido che avrebbe caratterizzato i decenni successivi: gli amanti consumano, ma non credono per primi ai loro sentimenti.

Certo, nessuno avrebbe immaginato che a rilanciare un grido d’amore sarebbe stato un omosessuale a cui un islamico dei milioni che abbiamo allevato in Europa (le meraviglie dell’immigrazione e dello ius soli…) ha sottratto ingiustamente il compagno. Ma l’Europa Civiltà si è inabissata in quelle parole pronunciate davanti alle telecamere tra ufficialità e sventolio del tricolore transalpino. Rispetto massimo, ovviamente, per il dolore di Cardiles e cordoglio per la giovane vita spezzata, ma, Dio ci perdoni, in un angolo delle viscere abbiamo capito- non condiviso, certo- la forza di ciò che arma la mano dei nemici dell’Europa.
Cardiles non sa odiare chi ha ucciso l’uomo della sua vita (è tremendo lo sforzo di usare i termini rispettosi che la morte esige sempre), il circo mediatico rilancia nel mondo intero, e soprattutto ai nostri occhi di europei atterriti, la sua immagine, la sua idea di famiglia e di lutto. Una canzone politica di tanti anni fa, Paracadutista, gridava che “solo chi l’odio non porta nel cuore, può dire che mai è vissuto d’amore”. A parte i santi e le anime belle, gli uomini e le donne normali, sotto ogni cielo ed in qualunque epoca, hanno odiato chi ha levato la mano contro chi o ciò che amavano: persone, principi, interessi, la terra nativa. Noi non più, je t’aime (forse, e solo per oggi) ed io nemmeno. Chi non ama sul serio, con il cuore, l’anima e la pancia, non solo con la misera ragione umana, non riesce a detestare davvero. Parliamone, dialoghiamo, è la frusta litania europea ed occidentale, mentre l’altro, pur meravigliato, brandisce la spada. Nessun profeta disarmato ha vinto la storia, tranne uno, che il terzo giorno risuscitò, “secondo le scritture”, ma era il figlio di Dio, come ci hanno proposto a credere.
Nessuna civiltà ha mai lontanamente pensato, qualunque fosse il suo rapporto con l’omosessualità, che due uomini o due donne fossero dei coniugi e la loro relazione sia una “famiglia”. Le virgolette sembrano necessarie, purtroppo, e passa per la mente il grandioso affresco di Dante nel quinto canto dell’Inferno. Tra i lussuriosi egli vide Paolo e Francesca, e ne ebbe pietà, ma osservò per prima Semiramide, la regina egizia di cui Virgilio, la ragione umana universale, dice “fu imperadrice di molte favelle. A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, per torre il biasmo in che era condotta. “
Anche l’Occidente ha molte lingue diverse (favelle), è un impero, rende lecito e normale ciò che non può esserlo (libito), ma, a differenza di Semiramide, salta a piè pari il giudizio morale. Nel mondo terminale, non esistono il bene o il male, il giusto o l’ingiusto, ma solo ciò che è legale in un certo momento storico. Si chiama decadenza, e non è così strano che un altro brano della coppia Birkin- Gainsbourg si intitolasse proprio La décadanse, giocando sull’assonanza, in francese, tra decadenza e deca- danza.
Una danza macabra, come quella annunciata ad inizio Novecento, da un altro decostruttore, lo svedese Strindberg, che, qualche decennio dopo l’opera musicale di Saint-Saens, rilanciava in teatro un forte tema iconografico medioevale, quello appunto della danza tra uomini e scheletri. In questo tempo dannato scarseggiano gli uomini, abbondano gli scheletri.  Dunque, non esistono bene o male, vero o falso, solo ciò che la legge scritta consente o vieta in una certa data (“tempus regit actum” non più principio giuridico, ma nuovo universale filosofico), in ossequio ad un pensiero che nega valore ai principi naturali iscritti nel cuore dell’uomo. Noi abbiamo varcato ogni Rubicone, e ben più di Giulio Cesare, abbiamo tratto il dado.
La tragedia è che dopo la decadenza viene la fine, e gli scheletri si trasformano in polvere. Simbolo del tempo meticcio è stato il presidente americano Obama, che legalizzando trionfante il matrimonio omo al grido di “oggi vince l’amore” ha enfatizzato l’alleanza tra i nuovi occupanti delle cupole che Michel Maffesoli chiamò simbolicamente gli alti luoghi, finanza, grande industria, tecnoscienze, intrattenimento, accademie, e l’officina di Vulcano delle nuove moralità postmoderne ed infine post umane.
A chi spara o piazza bombe rispondiamo con le infiorate: un funerale grottesco in stile festival di Sanremo. I nuovi eroi sono poliziotti militanti omosessuali con i vedovi inconsolabili, ragazze morte per caso e sfortuna come la veneziana Solesin deceduta al Bataclan, le due Vanesse, dubbie vispe terese dell’umanitarismo per le quali lo Stato italiano ha versato milioni ai rapitori-tagliagole, giovanotti non si sa se più ingenui o più strumentalizzati come Giulio Regeni ed il giornalista Del Grande, il quale, in fin dei conti, in Turchia era in casa d’altri e non nel nostro ridicolo recinto.
Disposti ad aiutare i lontani ignorando i vicini, abbiamo inverato, e contemporaneamente rovesciato la previsione di un intellettuale francese liberal come Jean François Revel “siamo ormai prossimi a pensare che tutti abbiano ragione tranne noi “. Il fatto è che ci siamo convinti di un unico assunto, ovvero che non esista alcuna verità e nessun principio forte, tranne, ovviamente, il denaro e la sua rivoltante ideologia. Su questo terreno, il pensiero non è debole, come in Gianni Vattimo, ma è totalitario, poiché vieta le convinzioni alternative codice penale alla mano. Di volta in volta reprime saluti non conformi (apologia di regimi seppelliti da tre quarti di secolo), opinioni relative ai popoli ed ai territori bollate tout court come discriminazione e razzismo, (vietato preferire la propria gente!) adesso anche l’omofobia (fobia contro gli invertiti sessuali, dunque malattia da curare con l’intervento dei sacerdoti esorcisti contemporanei, gli psicoterapeuti alleati di accigliati pubblici ministeri).
La coppia eterosessuale Birkin Gainsboug aprì la strada, riducendo l’amore a gridolini di piacere fisico, ma almeno ammettendo onestamente che non di amore si trattava. Nell’anno di Dio 2017, se preferite 1395 dall’Egira, il trasferimento del profeta Muhammad dalla Mecca a Medina, o, per restare in Francia, 228 anni dopo la Bastiglia, il cerchio si chiude. Vince l’amore, recita la narrazione alla moda, dunque se un assassino ammazza a caso un poliziotto gridando Allah Akbar, il caduto sia santo subito specie se militante omo e sia reso ogni onore e gloria al suo sposo, che, per di più, non odia chi ha sparato al povero Jugelé e urla in diretta globale Ti amo. Rispetto per il dolore, sempre, cordoglio per le vite rubate, senza tentennamenti, disprezzo per chi uccide, ovvio, ma a questo siamo ridotti.
La laicissima Francia almeno ci ha risparmiato i consueti belati dei religiosi che dal pulpito ingiungono al perdono, il perdono disarmato ed obbligatorio di chi non sa, non vuole, non può reagire al male. Anzi, sarà poi il male, o non si tratterà che di una nostra valutazione? Riflettendo sul dilemma, comico se non fosse tragico, consoliamoci con Gainbourg e la Birkin. Je t’aime, ti amo, ma soprattutto, “moi non plus”, nemmeno io ti amo. E’ la danza macabra postmoderna, bellezza. A breve l’arrivo dei barbari, che usano la spada e se ne fregano delle sottigliezze, dell’esprit de finesse e di quello de geometrie. Loro, per restare a Blaise Pascal, la loro scommessa (“le pari”) l’hanno già vinta: sono convinti che Dio esista e che guidi le loro azioni.
Europa sterile nel cuore prima che negli accoppiamenti contro natura, affrettati agli ultimi banchetti, seppellisci i tuoi morti lanciando fiori, chiama eroe ogni sfortunato o squinternato. A breve, tutto cambierà, se Dio lo vuole: Inschallah! 

Roberto Pecchioli

In redazione il 1° Maggio 2017


“Je t’aime, moi non plus.” Io ti amo, io nemmeno. La grottesca fine dell’Europa.

di

Roberto Pecchioli

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