L’accoglienza è un principio etico, non un diritto. E chi marcia oggi, lo fa per l’etica dello sfruttamento
Oggi a Milano si tiene il corteo pro-migranti, “20 maggio senza muri” l’hanno chiamato. Un serpentone da Porta Venezia al Castello Sforzesco, luogo scelto per l’arrivo: un castello, massima espressione della fortificazione e della difesa, divenuto luogo di centramento per apolidi di ogni risma. Capite da soli, di cosa stiamo parlando. Sono oltre mille le associazioni che hanno aderito e, in testa al corteo, sfilerà la crème della crème del buonismo in cachemire: da Pietro Grasso, presidente del Senato all’Unicef, da Roberto Vecchioni a Lella Costa, da Claudio Bisio ad Emergency, da Carla Fracci all’ANPI fino all’ineffabile sindaco Beppe Sale e a quella Emma Bonino che è l’agente provocatore dei vari Soros del mondo nel nostro Paese. Da almeno 40 anni.
Ovviamente, per i media sarà un trionfo, anche se dovessero ritrovarsi in quattro gatti o se, per riempire la piazza, gli organizzatori dovessero organizzare truppe cammellate tra gli immigrati e i centri sociali. Ancor di più dopo quanto accaduto in Stazione Centrale sempre qui a Milano, dove un cittadino italiano di origine marocchina da parte di padre, ha accoltellato due militari e un poliziotto durante un controllo. Servirà cancellare non l’alone di quel gesto ma quello ancora più persistente del principio base che è in discussione: il diritto alla sicurezza dei cittadini che ormai vale quanto carta straccia, in nome dei diritti.
Lo dico chiaro: massimalizzare un principio etico ed elevarlo a diritto non è solo una stortura, è un suicidio. Collettivo. E l’accoglienza è un principio etico, non un diritto. Quello alla sicurezza, invece, è un diritto sacrosanto dei cittadini che lo Stato è chiamato a garantire. Punto. E io non voglio pagare il conto della scellerata scelta di una minoranza che, in nome della solidarietà, intende svendere i reali diritti in cambio di principi fotogenici e buonisti. E sicurezza vuol dire anche lavoro, non solo evitare di baccarmi una coltellata nella stazione ferroviaria della mia città. Paradossalmente, non mi interessa nulla di sapere se il ragazzo che ha ferito due militari e un poliziotto sia un simpatizzante dell’Isis, anche perché non lo è: è un tossico disadattato, cresciuto in una famiglia devastata in partenza. Un video postato su un social network lo scorso settembre non significa nulla, così come pensare che chi pubblica video dei filmati di Benito Mussolini sia una persona intenzionata a ricostituire il disciolto Partito fascista.
Altra cosa è il fatto che la seconda carica dello Stato, Pietro Grasso, non solo sia in prima fila al corteo di oggi (suo sacrosanto diritto di cittadino, meno a livello istituzionale) ma che, mentre la Procura di Milano incriminava Ismail Tommaso Hosni per terrorismo internazionale, 270 bis, di fatto ne mettesse in discussione preventivamente e aprioristicamente l’operato: “Non enfatizziamo l’aggressione di Milano”. In un Paese civile, ne avrebbero chiesto le dimissioni. E non i cittadini, il presidente della Repubblica e i ministri di Interno e Giustizia. Tant’è, qui nemmeno un fiato, se non dai partiti di opposizione più dura. I populisti. E xenofobi.
So una cosa, però: che quel ragazzo è un pericolo, a prescindere dall’accusa di essere un radicalizzato che guarda all’Isis come un riferimento: un pericolo “prima per sé che per gli altri”, diranno quelli animati da buoni sentimenti. Bene, a me del fatto che possa farsi del male non frega un cazzo, lo dico chiaro. Mi interessa che sia messo in condizione di non nuocere agli altri: le coltellate, paradossalmente, sono state solo l’epilogo di una vita buttata nel cesso, il problema strutturale è il fatto che le istituzioni gli abbiano permesso di vivere per mesi come un nomade in un furgone in zona Quarto Oggiaro, tra schiamazzi e atti osceni, più volte denunciati dai residenti. Senza che nessuno si degnasse di intervenire.
Altra cosa è il fatto che la seconda carica dello Stato, Pietro Grasso, non solo sia in prima fila al corteo di oggi (suo sacrosanto diritto di cittadino, meno a livello istituzionale) ma che, mentre la Procura di Milano incriminava Ismail Tommaso Hosni per terrorismo internazionale, 270 bis, di fatto ne mettesse in discussione preventivamente e aprioristicamente l’operato: “Non enfatizziamo l’aggressione di Milano”. In un Paese civile, ne avrebbero chiesto le dimissioni. E non i cittadini, il presidente della Repubblica e i ministri di Interno e Giustizia. Tant’è, qui nemmeno un fiato, se non dai partiti di opposizione più dura. I populisti. E xenofobi.
So una cosa, però: che quel ragazzo è un pericolo, a prescindere dall’accusa di essere un radicalizzato che guarda all’Isis come un riferimento: un pericolo “prima per sé che per gli altri”, diranno quelli animati da buoni sentimenti. Bene, a me del fatto che possa farsi del male non frega un cazzo, lo dico chiaro. Mi interessa che sia messo in condizione di non nuocere agli altri: le coltellate, paradossalmente, sono state solo l’epilogo di una vita buttata nel cesso, il problema strutturale è il fatto che le istituzioni gli abbiano permesso di vivere per mesi come un nomade in un furgone in zona Quarto Oggiaro, tra schiamazzi e atti osceni, più volte denunciati dai residenti. Senza che nessuno si degnasse di intervenire.
Cosa ha detto, infatti, una volta ritrovatosi in Questura, il nostro presunto affiliato all’Isis? Si è pentito, ha chiesto scusa e ha denunciato di essere “solo e abbandonato”. Esattamente come chi arriva sulle nostre coste sarebbe qualcuno che “scappa dalla guerra”. A prescindere. C’è sempre una scusa e, soprattutto, c’è sempre una quota di senso di colpa che la società ci scarica addosso, un fardello che è un po’ come il debito pubblico: ogni italiano che nasce, ne ha sul groppone per un controvalore di oltre 30mila euro. Così, al primo vagito. Bene, nella grande società orwelliana in cui viviamo, noi abbiamo la nostra quota parte di responsabilità per il colonialismo, per le guerre, per lo schiavismo, per il traffico di armi che alimenta i conflitti. Vero, tutto vero. Ma se noi le vendiamo quelle armi, qualcuno le compra: siamo stronzi solo noi?
E i signori della guerra, africanissimi, no? E le popolazioni che, invece di ribellarsi, o scappano o accettano quella situazioni di dispotismo e satrapismo, non hanno responsabilità? Proprio nessuna? E i moloch globalisti e progressisti come Barack Obama, quelli che non subiscono mai contestazioni, non hanno responsabilità? Come mai chi oggi sfila, pochi giorni fa non è andato – sempre qui a Milano – a chiedere conto all’ex presidente USA, ora in odore di filantropia, per questo:
sono tutte le operazioni militari USA in atto in Africa, la gran parte delle quali nate e sviluppate sotto l’amministrazione Obama. Pensate siano lì per aiutare lo sviluppo? O per sostenere le popolazioni locali? O, magari, solo per contrastare l’influenza cinese e preparare nuovo sfruttamento e nuove destabilizzazioni? Come mai questo non interessa? Come mai certe persone sono immuni da critiche? Che culo, sono nati con lo stigma della vittima. Sono tutti come Ismail Tommaso Hosni, “soli e abbandonati” o come Barack Obama, democratici e illuminati a prescindere. Io non mi sento in colpa, né tantomeno accetto la tortura martellante delle ONG che ogni 30 secondi compaiono nelle interruzioni pubblicitarie e mi chiedono 1,2 o 5 euro per aiutare i bambini in Africa. Come dire, se cacci i soldi, eviti di ritrovarteli sulle coste. Avete notato come, al pari passo dell’influenza e della presenza di queste associazioni nella società mediatica, sia invece cresciuto il fenomeno migratorio, a prescindere dai conflitti e dalle emergenze in atto? Il sottile ricatto morale di chi spaccia l’accoglienza per un diritto è lo stesso di chi imputa a Donald Trump ogni nefandezza, a prescindere. Guardate questo grafico:
bene, questi stessi media sono quelli che vi raccontano, a modo loro, il dramma dei migranti. In modo unidirezionale. Scegliendoli, però, perché nessuno si è preso il lusso di andare a vedere come stanno i siriani – quelli sì , profughi – nei campi allestiti in Libano e Turchia: ci sarebbero 6 miliardi di ragioni per farlo, perché chi marcia oggi indignato er le strade di Milano, mettendo all’indice chi la pensa come me, inneggia il più delle volte a quell’Europa che si è lavata la coscienza staccando un bell’assegno al governo di Ankara, affinché bloccasse i flussi. Ma si sa, l’Europa è odiata dai populisti, i populisti sono i nuovi fascisti e, quindi, in base alla legge del beduino, il nemico del mio nemico diventa mio amico. O, almeno, alleato. Io non credo alla società multirazziale, credo ai muri, ai confini e alle regole: ho avuto la fortuna di non nascere americano, pur essendone un colonizzato, quindi gradirei mantenere il minimo sindacale di tradizioni e valori, avendone di millenari. Non me ne frega un cazzo dell’incontro con culture nuove, non intendo farmi piacere il sono dei bonghi o la cucina etnica o la poligamia: ai sacerdoti laici dello sradicamento, tutti in fila oggi a Milano, rispondo fieramente con il mio “assente” a un rito che, spacciato per laico e civico, altro non è che un lugubre rituale di resa.
E i signori della guerra, africanissimi, no? E le popolazioni che, invece di ribellarsi, o scappano o accettano quella situazioni di dispotismo e satrapismo, non hanno responsabilità? Proprio nessuna? E i moloch globalisti e progressisti come Barack Obama, quelli che non subiscono mai contestazioni, non hanno responsabilità? Come mai chi oggi sfila, pochi giorni fa non è andato – sempre qui a Milano – a chiedere conto all’ex presidente USA, ora in odore di filantropia, per questo:
sono tutte le operazioni militari USA in atto in Africa, la gran parte delle quali nate e sviluppate sotto l’amministrazione Obama. Pensate siano lì per aiutare lo sviluppo? O per sostenere le popolazioni locali? O, magari, solo per contrastare l’influenza cinese e preparare nuovo sfruttamento e nuove destabilizzazioni? Come mai questo non interessa? Come mai certe persone sono immuni da critiche? Che culo, sono nati con lo stigma della vittima. Sono tutti come Ismail Tommaso Hosni, “soli e abbandonati” o come Barack Obama, democratici e illuminati a prescindere. Io non mi sento in colpa, né tantomeno accetto la tortura martellante delle ONG che ogni 30 secondi compaiono nelle interruzioni pubblicitarie e mi chiedono 1,2 o 5 euro per aiutare i bambini in Africa. Come dire, se cacci i soldi, eviti di ritrovarteli sulle coste. Avete notato come, al pari passo dell’influenza e della presenza di queste associazioni nella società mediatica, sia invece cresciuto il fenomeno migratorio, a prescindere dai conflitti e dalle emergenze in atto? Il sottile ricatto morale di chi spaccia l’accoglienza per un diritto è lo stesso di chi imputa a Donald Trump ogni nefandezza, a prescindere. Guardate questo grafico:
bene, questi stessi media sono quelli che vi raccontano, a modo loro, il dramma dei migranti. In modo unidirezionale. Scegliendoli, però, perché nessuno si è preso il lusso di andare a vedere come stanno i siriani – quelli sì , profughi – nei campi allestiti in Libano e Turchia: ci sarebbero 6 miliardi di ragioni per farlo, perché chi marcia oggi indignato er le strade di Milano, mettendo all’indice chi la pensa come me, inneggia il più delle volte a quell’Europa che si è lavata la coscienza staccando un bell’assegno al governo di Ankara, affinché bloccasse i flussi. Ma si sa, l’Europa è odiata dai populisti, i populisti sono i nuovi fascisti e, quindi, in base alla legge del beduino, il nemico del mio nemico diventa mio amico. O, almeno, alleato. Io non credo alla società multirazziale, credo ai muri, ai confini e alle regole: ho avuto la fortuna di non nascere americano, pur essendone un colonizzato, quindi gradirei mantenere il minimo sindacale di tradizioni e valori, avendone di millenari. Non me ne frega un cazzo dell’incontro con culture nuove, non intendo farmi piacere il sono dei bonghi o la cucina etnica o la poligamia: ai sacerdoti laici dello sradicamento, tutti in fila oggi a Milano, rispondo fieramente con il mio “assente” a un rito che, spacciato per laico e civico, altro non è che un lugubre rituale di resa.
Spiacente, preferisco le barricate alla sopravvivenza per gentile concessione dell’invasore. Julius Evola diceva che l’unica cosa a cui badare, in tempi di verità imposte, era tenersi in piedi tra le rovine: bene, chiunque non sia andato al corteo pro-migranti, al corteo contro i muri, ha fatto la sua parte, anche involontariamente o inconsciamente. Quando Mario Draghi, l’uomo più potente d’Europa e, di fatto, l’unico vero decisore, ci fa sapere che tra le priorità dell’Unione c’è adesso l’integrazione dei migranti, una persona mediamente istruita e con un po’ di sale in zucca dovrebbe capire subito cosa intende. Serve sotto-proletariato per soddisfare quella che è ormai la prassi, schiacciare al ribasso non solo i diritti del lavoro ma la stessa dinamica salariale, creare un esercito di schiavi ricattabili grazie – anche e sempre di più – alla presenza di altri schiavi, i quali accettano qualsiasi condizione, perché “scappano dalla guerra”. Dirsi di sinistra e sfilare a favore della grande invasione, appare coerente quanto pregare Cristo in un cimitero dove si praticano riti satanici. A loro, ai benpensanti, alle anime belle, ai solidaristi della buona società, ho una sola cosa da dire. Anzi, da far vedere. Questa:
pensate che uno Stato dove le dinamiche occupazionali, una volta finita la stagione democristiana degli incentivi per i padroni illuminati, sono quelle riprodotte nel grafico (fresco fresco, è stato pubblicato ieri), necessiti o meno di nuovi schiavi da call center o da raccolta dei pomodori o da magazzino di Amazon? Sfilando oggi, magari involontariamente, state togliendo mattoni dai muri di difesa della nostra società, i pochi rimasti, per utilizzarli nel rafforzamento di quello della distruzione dei diritti, il cui architrave portante è stato il Jobs Act nel passato più recente e il processo mondialista della globalizzazione a partire dagli anni Novanta. “Bisogna evitare di cadere nella trappola della guerra fra poveri”, dicono: e come? Ingrossando le fila dei poveri?
Cosa sperate, nel miracolo marxiano della presa di coscienza di classe da chi arriva dalla Nigeria o dal Marocco con il miraggio delle ultime sneakers, del wi-fi e dello smartphone? Pensate che la rivoluzione la faccia chi, formalmente in fuga dalla fame e dalla guerra, si lamenta per il menù troppo monotono delle strutture di accoglienza? Illusi, il capitalismo e il globalismo possono dormire sonni tranquilli con voi. Che, anzi, non siete illusi ma ipocriti e complici. Spiacente ma io non ci sto. Voi abbattete pure i muri, io continuerò a cercare di alzarli, unendo ai mattoni della tradizione, la calce della dignità. La stessa che i media stanno dipingendo con i colori cupi del razzismo e della xenofobia. Si chiama resistenza, in realtà.
pensate che uno Stato dove le dinamiche occupazionali, una volta finita la stagione democristiana degli incentivi per i padroni illuminati, sono quelle riprodotte nel grafico (fresco fresco, è stato pubblicato ieri), necessiti o meno di nuovi schiavi da call center o da raccolta dei pomodori o da magazzino di Amazon? Sfilando oggi, magari involontariamente, state togliendo mattoni dai muri di difesa della nostra società, i pochi rimasti, per utilizzarli nel rafforzamento di quello della distruzione dei diritti, il cui architrave portante è stato il Jobs Act nel passato più recente e il processo mondialista della globalizzazione a partire dagli anni Novanta. “Bisogna evitare di cadere nella trappola della guerra fra poveri”, dicono: e come? Ingrossando le fila dei poveri?
Cosa sperate, nel miracolo marxiano della presa di coscienza di classe da chi arriva dalla Nigeria o dal Marocco con il miraggio delle ultime sneakers, del wi-fi e dello smartphone? Pensate che la rivoluzione la faccia chi, formalmente in fuga dalla fame e dalla guerra, si lamenta per il menù troppo monotono delle strutture di accoglienza? Illusi, il capitalismo e il globalismo possono dormire sonni tranquilli con voi. Che, anzi, non siete illusi ma ipocriti e complici. Spiacente ma io non ci sto. Voi abbattete pure i muri, io continuerò a cercare di alzarli, unendo ai mattoni della tradizione, la calce della dignità. La stessa che i media stanno dipingendo con i colori cupi del razzismo e della xenofobia. Si chiama resistenza, in realtà.
Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @maurobottarelli
Completamente condivisibile! Mick
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