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lunedì 24 luglio 2017

Ci mancava giusto un cinghiale del bosco

Se il Papa è un drago, un elefante o un orso


Il nuovo libro di Agostino Paravicini Bagliani, edito da Einaudi, analizza storia e simboli dell’antica tradizione che per secoli ha associato animali e romani Pontefici


Colombe, draghi, serpenti, cavalli, asini, muli, pecore, agnelli, cammelli, tori, pappagalli, fenici , pavoni, aquile, grifi, unicorni, cervi, cani, lupi, conigli, scimmie, tartarughe, volpi, ghepardi, leoni, leopardi, orsi, rinoceronti, elefanti e romani pontefici. È una tradizione antica e ininterrotta, quella che apparenta animali reali e immaginari (decine e decine, ma solo alcuni rilevanti) e Papi (non pochi) in un rapporto simbolico e metaforico, ora coerente, ora mutevole. Ma tutti questi animali in quale modo nel tempo hanno accompagnato l’autoaffermazione simbolica del papato? O, al contrario, come sono stati usati - e da chi - per attaccare o delegittimare i “Vicari di Cristo” e le loro aspirazioni? Se è vero che alcune associazioni fanno parte della memoria collettiva (si pensi alla colomba simbolo dello Spirito Santo, che ispira e legittima le elezioni; ai Papi a cavallo raffigurati da grandi maestri, magari con gli imperatori a tener le briglie, e più tardi anche la staffa; ad animali esotici come il leone o l’elefante presenti davvero nei serragli papali o metafore di profili immaginari di Pontefici), altri accostamenti invece richiamano animali - pavoni, fenici, grifoni, leopardi - di cui si è perduto il significato o la storia. 

In ogni caso di tratta di animali tutti legittimati a stare dentro un “bestiario del Papa” . Con la loro presenza reale . Con la loro carica simbolica da decifrare. 

Con la loro funzione identitaria del Vescovo di Roma affidata a immagini retoriche: si pensi alla figura del Papa-leone (Enrico di Würzburg), del papa-pavone (Alessandro di Roes), del Papa-elefante ( Marco da Orvieto), del Papa-aquila (Egidio Romano) e via dicendo. Certo le domande associate a questa singolare presenza, ai differenti usi e riti che l’hanno caratterizzata, alle fasi attraversate (ascesa, declino, oblio, sopravvivenza per inerzia), sono moltissime e richiedono una vasta conoscenza e capacità delle funzioni simboliche, e della loro applicazione.

Qualche esempio. Perché i Papi hanno tenuto presso di sé dall’XI secolo in poi un pappagallo, tanto che il nome del volatile indica oggi un antico cortile del Vaticano? Perché in cerimonie papali, ad esempio quella quasi millenaria della rosa d’oro , il rituale – attestato non più di mezzo secolo dopo l’inizio delle crociate - è ricorso al profumo di origine animale più raro del mondo: il muschio? Perché la corte papale altomedievale è stata la prima a servirsi di un rito di inversione che consisteva nel far cavalcare alla rovescia un asino o un cammello? Perché i doni di animali – destinati ai Papi o da loro spediti – hanno svolto un ruolo così importante nei giochi sottili delle diplomazie? E perché animali come l’asino o il serpente sono stati scelti per deridere il potere papale, mentre il drago ha alimentato aspirazioni di riforma della Chiesa? Come interagiscono quando sono compresenti?  

Inoltre, ad esempio e scendendo nei dettagli, perché se nel IV secolo il drago (reso innocuo da Silvestro in nome di Gesù Cristo) rappresenta la paganità vinta dal Papa, nel XVI secolo, con Gregorio XIII è il simbolo del Papa che si pone a guardia della Porta Santa e della vittoria sui serpenti, gli eretici? Sono domande che lo storico medievista Agostino Paravicini Bagliani si pone e alle quali offre risposte esaurienti nel suo “Il bestiario del Papa”. Attingendo a fonti testuali rilette di prima mano (dal “Liber pontificalis” alle prime raccolte ufficiali di biografie papali, dai libri cerimoniali papali ai diari dei maestri delle cerimonie, dai registri di lettere ai dispacci degli ambasciatori, dalle cronache latine o bizantine ai documenti letterari o scientifici, alle raccolte di profezie e vaticinii) e con una rara conoscenza dell’iconografia di riferimento (dalle rappresentazioni musive o sui paramenti liturgici, dalle miniature e dalle medaglie agli affreschi dei palazzi pontifici o delle chiese romane), l’autore, spiega, motiva, argomenta, ricostruisce contesti, nella consapevolezza di dover tener conto delle continue interferenze reciproche e della storia istituzionale del papato. Lo fa più attento a riflettere sulla relazione storica fra animali e papato nella sfera pubblica quanto privata (spesso segnalata proprio dalla presenza di un volatile o un cucciolo), che ad indugiare sulla varietà simbolica in sé delle presenze nel suo “bestiario”.  

In questa ricostruzione, che non trascura l’origine di percorsi che affondano nella Roma antica, nella Bibbia e nell’ambiente della corte bizantina, pur delineandosi tra Medioevo ed Età moderna, c’è spazio per dettagli rivelatori (il divieto, pronunciato da due Papi dell’VIII secolo di cibarsi di carne equina; i documenti papali di età moderna con la condanna delle corride; altre disposizioni relative a pesca e caccia, ecc.), per analisi affascinanti (circa la riproposizione di motivi ricorrenti come gli animali raffigurati la tiara, la corona papale), per approfondimenti (la complessa storia dell’immagine polemica del “Papa-asino” elaborata a Wittenberg da Lutero e dai suoi collaboratori, Lucas Cranach e Filippo Melantone), per raffronti tra gli usi papali e quelli di altre corti sovrane o principesche (dove pure il prestigio passava per novità zoologiche e ornitologiche). Non trovano invece spazio animali come il pellicano (simbolo cristologico di primaria importanza) o le api dello stemma di Urbano VIII Barberini (presenti persino in San Pietro sul Tabernacolo del Bernini) perché esempi di animali che né paiono attestati nel quadro dell’autorappresentazione del papato, né a differenza di altri hanno avviato elaborazioni teoriche sul papato come istituzione.  

Che per l’autore è ciò che conta in queste pagine. Sorprendente - sottolinea Paravicini Bagliani nella conclusione del volume - l’ elemento comune emergente da questa pur eterogenea messe di dati: la continuità. La presenza di tanti animali «attraversa tempi lunghissimi, che si calcolano in secoli e coprono talvolta l’intero periodo storico del papato romano, fino a oggi». Una continuità impressionante, a dimostrare che anche gli animali fanno storia. Sia che abbiano nomi e vicende per cui sono ricordati come nel caso di Annone, il pachiderma bianco donato a Leone X, o di Musetta, la cagnolina di Pio II sempre pronta ad infilarsi nei guai, sia, soprattutto, quelli senza nome: carichi di significati palesi o arcani, destinati anche a rovesciamenti parodici e polemici (ad esempio nelle cosiddette profezie papali quanto nelle satire nate in ambito protestante).  

La storia di un potere che vuole essere universale, inglobando tutta la storia e tutta la natura. Una continuità soprattutto funzionale a strategie di ordine istituzionale, come se gli animali avessero la funzione di un medium condiviso (anche di «ponte» tra il mondo umano e quello dello spirito), ed una continuità adattabile a al tempo e nel tempo (con le variazioni negli usi simbolici, potenziali riflessi di realtà istituzionali e politiche contingenti, mai di mere coincidenze). Tuttavia, osserva Paravicini Bagliani, «se la continuità è un elemento cardine in questo volume, anche i periodi di silenzio possono avere valore di testimonianza». Non solo «anche le fasi di declino, o di incomprensione per il significato di riti e simboli antichi meritano attenzione». Come aveva già fatto nel suo volume sul “corpo del papa”, anche con questo “bestiario” l’autore continua di fatto il suo viaggio nella storia del potere religioso (e politico) nell’ Europa medievale e moderna. Veri o fantastici, tra cielo e terra, gli animali che popolano queste pagine, costituiscono un osservatorio ragguardevole per disegnare le tappe di autoaffermazione, crisi, ripresa del papato romano.  

Piccola curiosità: il volume, che ha un bel corredo di pertinenti illustrazioni, si apre e si chiude con la figura di Papa Francesco. Di lui nelle prime righe si ricorda che è il primo Pontefice ad aver scelto il nome del santo di Assisi, associato tradizionalmente all’amore per gli animali, e, nelle ultime, si rammenta lo spettacolo “Fiat Lux”, con le immagini proiettate sulla basilica vaticana, la sera dell’apertura del Giubileo della misericordia. Una sorta di Arca di Noé sulla facciata di San Pietro: animali e natura, certo con rimandi che poco hanno a che fare con la grande storia - soprattutto di simboli e archetipi - narrata e interpretata in questa monografia, ma che dicono pur qualcosa di quello stesso bisogno e uso di simboli non estraneo al papato contemporaneo: dal cardellino di Pio XII a Francesco «pastore con l’odore delle pecore». 

“Il bestiario del Papa” di Agostino Paravicini Bagliani (Einaudi, pp. 378, euro 32)  

VIENNA

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