REALTA' SUPERIORE ALL'IDEA
La realtà è superiore all’idea ma cos’è? La chiesa è appiattita sulla
storia e cerca la risposta alle sue domande nella storia si è
dimenticata che Gesù è la sola ed unica risposta che sta al di sopra
della storia nell’Assoluto
di Francesco Lamendola
Nel
disperato tentativo di costruire una qualsiasi dignità filosofica
attorno alle enunciazioni di papa Francesco, il gesuita Gaetano Piccolo,
sull’ultimo numero de La civiltà cattolica (n. 4011-4012, pp. 298 sgg.), nell’articolo La realtà è superiore all’idea, sottotitolo Il pensiero contemporaneo torna a essere realista?,
si arrampica sugli specchi per spiegare che il papa ha genialmente
intuito il cambio di rotta del pensiero dei nostri giorni e si è fatto
interprete di un sano ritorno al realismo, contro le degenerazioni
idealistiche, specialmente nella esortazione apostolica Evangelii gaudium e nella enciclica Laudato si’. Vedremo ora quale peso intellettuale abbia una simile tesi, non senza aver notato, di sfuggita, che una Civiltà cattolica la quale si “apre”con un articolo intitolato Esercizio Zen e meditazione cristiana,
all’indomani della bella pensata di padre Sosa Abascal di andare a
pregare, o meditare, fra i buddisti, come i buddisti, si qualifica da sé
come una cosa ben diversa da ciò che La civiltà cattolica è
stata in passato; così come l’Ordine dei gesuiti si rivela, ogni giorno
di più, come una cosa ben diversa da quello che è stato in passato e che
era nelle intenzioni del suo fondatore, sant’Ignazio di Loyola; e ha
inoltre tutta l’aria di voler fornire giustificazioni a parole e
comportamenti, che siano del papa, o che siamo del generale dei gesuiti
stessi, le quali di cattolico, ormai, hanno poco o niente, e che stanno
ingenerando una confusione sempre più grande tra i fedeli, e un pericolo
sempre più grave per le anime. Ma tant’è: mala tempora currunt;
e padre Antonio Spadaro, il direttore della (un tempo) gloriosa
rivista, essendo uno dei più fervidi sostenitori del “nuovo corso”
bergogliano, non può che imprimerle, con il massimo entusiasmo,
l’indirizzo da ciò richiesto; ne prendiamo atto, e passiamo oltre.
Non
potendo citare l’intero articolo, ci limitiamo a riportare il paragrafo
iniziale, escluse le note (cit., pp. 298-300); naturalmente,
raccomandiamo vivamente chi voglia farsene un’idea completa ed
esaustiva, di andare a leggerselo tutto.
PAPA FRANCESCO E IL PRIMATO DELLA REALTÀ.
Parlando
della dimensione dell’evangelizzazione, nell’esortazione apostolica
“Evangelii gaudium” (EG) papa Francesco affrontava io tema del bene
comune e della pace sociale (EG 217-237). In quel contesto, il Pontefice
postulava quattro principi: il tempo è superiore allo spazio (EG
222-225); l’unità prevale sul conflitto (EG 226-230); la realtà è più
importante dell’idea (EG 231-233); il tutto è superiore alla parte (EG
234-237). Il terzo principio è stato poi ripreso nell’enciclica “Laudato
si’” (LS), laddove siamo invitati ad affrontare la crisi ecologica
pensando al bene comune e andando avanti nella via del dialogo (LS 201).
Questa
insistenza sull’efficacia della realtà, per non perdersi nei possibili
travisamenti del’idea, è estremamente attuale e fortemente presente nel
dibattito filosofico contemporaneo. In diversi contesti culturali – non
solo europei, ma anche negli Stati Uniti e in Australia – si parla
infatti di “nuovo realismo” e talvolta addirittura di un ritorno alla
metafisica. È possibile dunque immaginare una convergenza tra il
dibattuto sollecitato dalle parole di Francesco e la discussione
filosofica in corso. Ciò non dovrebbe sorprendere, poiché proprio la
tradizione filosofica cattolica, che ha trovato i suoi esponenti più
recenti nella neoscolastica di inizio Novecento, aveva sostenuto- senza
grande successo, a giudicare dalla svolta intrapresa dal pensiero
filosofico del secolo scorso in senso piuttosto antimetafisico – il
primato della realtà.
Papa
Francesco sembra dunque recuperare con un tempismo straordinario il
nucleo di un dibattito caro alla tradizione, inserendolo nella
discussione culturale attuale, indicandone anche i possibili risvolti
etici.
L’”Evangelii
gaudium” mette innanzitutto in guardia dal rischio di separare la
realtà dall’idea, rifugiandosi nel regno della sola parola,
dell’immagine, del sofisma. L’affermazione di papa Francesco, secondo
cui la realtà semplicemente è, mentre l’idea si elabora, sembra centrare
il cuore del dibattito contemporaneo, dove il ritorno al realismo,
soprattutto nel contesto europeo, si presenta anche come un atto
d’accusa nei confronti di una filosofia che assolutizzava il primato di
un’elaborazione concettuale: il mondo non c’è affatto, diceva Richard
Rorty, né possiamo pensare che il nostro linguaggio e il nostro pensiero
riflettano la realtà.
Se
dunque la realtà è superiore all’idea, allora i nostri progetti non
possono essere né meramente formali, né disincantati, né ideologici, né
antistorici. L’idea separata dalla realtà rischia di essere
manipolativa, cioè di occultarla realtà solo per i propri scopi, come
ricordava già Platone nel “Gorgia”: l’idea, quando è separata dalla
realtà, opera come la cosmesi, copre il vero volto della persona. Il
corpo reale, ammoniva Platone, si tiene in forma attraverso l’esercizio
fisico, altrimenti può aspirare solo a una bellezza finta attraverso
l’uso di prodotti cosmetici. In altre parole, l’idea pretende a volte di
manipolare la realtà, di ostentare descrizioni affascinanti,
ragionamenti persuasivi, ma che risultano artificiali e disincarnati. I
nostri ragionamenti possono anche essere logici e chiari, ma ciò non
implica che riescano a coinvolgere o a smuovere la realtà.
Concretamente, la politica è continuamente esposta a questo rischio.
La
scelta del punto di partenza si rivela fondamentale: è la realtà che
chiede di essere illuminata dall’intelligenza; invece, non sempre le
nostre idee possono trovare riscontro e applicazione nella realtà. La
realtà si lascia incontrare e conoscere, l’idea non sempre accetta di
essere verificata e modificata dalla realtà.
La parola che illumina la vita della Chiesa è sempre una parola incarnata. Gesù Cristo ha preso un corpo. QUESTO Gesù è il criterio del nostro agire?
Il
problema di questo discorso è che né qui, né dopo, viene data una
definizione di cosa sia “la realtà”. Ora, ciò che caratterizza il
discorso filosofico e lo distingue dal discorso ordinario, è che in
quest’ultimo ci si può anche intendere, press’a poco, pur
adoperando parole imprecise o dal significato incerto; nel primo,
assolutamente no, perché è un discorso concettuale, e se manca la
chiarezza sui termini, anche i concetti diventano confusi e si prestano a
tutte le possibili interpretazioni. In mancanza di una definizione di
cosa sia la “realtà”, siamo costretti a fare delle supposizioni: e
quella più plausibile è che l’Autore intenda, per “realtà”, la
dimensione fisica e materiale delle cose. La citazione dal Gorgia
di Platone va in questa direzione: il corpo reale di cui parla il
filosofo greco è l’equivalente del corpo fisico, così come è in se
stesso, contrapposto al corpo mascherato dalla cosmesi, che è il corpo
come appare, o meglio, come ingannevolmente vien fatto apparire, ma in
effetti non è. Al corpo reale, che è quello vero, si contrappone il
corpo come apparenza e come inganno, realizzato dalla cosmesi. Certo,
anche la cosmesi si serve di tecniche e ingredienti materiali: però il
suo scopo è far sembrare reale e naturale ciò che non lo è, quindi non
di far apparire qualcosa (che non c’è), ma di nascondere i segni del
proprio intervento. Infatti il corpo reale è quello che viene modellato
dall’esercizio fisico; il corpo mendace è quello che si affida unicamente agli espedienti della bellezza finta.
E dunque la ginnastica è una cosa reale, perché fisica; la cosmesi è
una cosa “ideale”, perché mira a far prevalere ciò che vede l’occhio su
ciò che effettivamente è. In tutto questo vi è sia un giudizio
gnoseologico, che un giudizio morale, perché la prevalenza dell’idea
sulla cosa cela una intenzione manipolatoria, basata sull’inganno e non
sulla verità.
L’esempio
paradigmatico di Gesù Cristo rivela ancor più chiaramente l’intenzione
dell’Autore. Egli dice che la parola che illumina la vita della Chiesa è
sempre una parola incarnata, nel senso che Gesù Cristo ha preso un
corpo. Certo che Gesù ha preso un corpo; ma non ha preso solo il corpo.
Per essere uomo fra gli uomini, ha preso il corpo e ha preso anche la
struttura interiore dell’uomo, che una volta si diceva anima (non
sappiamo se la parola, scomparsa da molto tempo dal linguaggio della
filosofia profana, abbia ancora diritto di cittadinanza fra i teologi,
specialmente se di tendenza progressista e neomodernista; o se, per
riguardo a ciò che pensa il mondo, anch’essi abbiamo deciso di
censurarla, uniformandosi al linguaggio della cultura profana, così come
si uniformano al suo sentire e al suo pensare). La differenza è
sostanziale: una cosa è dire che Gesù ha preso un corpo, e un’altra, e
ben diversa, è dire, o piuttosto suggerire, sottintendere, che Gesù era
solo un corpo. Nel primo caso, siamo all’interno della dottrina
cattolica; nel secondo, no: siamo nel naturalismo e nello storicismo,
ossia nell’eresia modernista. Quando si dice che Gesù è il Verbo
incarnato, si dice che Dio ha assunto l’umanità per rivelarsi pienamente
agli uomini, non certo che Egli si è fatto uomo risolvendosi
interamente nella natura umana. Gesù si è fatto uomo, rimanendo Dio; e
si è fatto uomo non solo in senso fisico, ma anche in senso
intellettuale, spirituale, morale. Non era uomo solo perché aveva fame,
sete e sonno come tutti gli altri uomini; era uomo anche perché capace
di intendere, elevarsi (o abbassarsi) e volere, come tutti gli altri
uomini, tanto è vero che era soggetto alle tentazioni e che il diavolo
venne a tentarlo; e che fino all’ultimo, nell’orto degli olivi, pregò il
Padre suo contro la tentazione di sottrarsi alla croce. Ma la
tentazione, per lui, poteva venire anche dall’amore mal consigliato dei
discepoli: quando respinse san Pietro con dure parole, dicendogli: Via da me, Satana; tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini, lo fece perché san Pietro, all’annuncio della Passione, aveva esclamato: Questo non ti accadrà mai!
San Pietro, umanamente, voleva proteggere il suo Maestro; ma Gesù,
divinamente, sapeva che il proprio Sacrificio era necessario, e
tuttavia, da uomo, provava un istintivo raccapriccio all’idea della
propria sofferenza e della propria morte sulla croce.
Ora, tornando a noi, l’Autore dell’articolo afferma che se
dunque la realtà è superiore all’idea, allora i nostri progetti non
possono essere né meramente formali, né disincantati, né ideologici, né
antistorici. Ci sia permesso dire che, da un punto di vista
cattolico, questo è uno strano linguaggio. Che il cristiano non debba
fare progetti meramente formali e disincantati, sta bene; ma che non
debba farli né ideologici, né antistorici, questo non va bene, perché
non è cattolico. Il cristiano deve rifiutare l’ideologia e deve porsi
nel solco della storia? Assolutamente no: riemerge qui l’antipatia di
papa Francesco per l’ideologia, che egli aveva esternato nella omelia di
Santa Marta del 19 maggio 2017. Ma quella che Bergoglio chiama
“ideologia”, è semplicemente la dottrina cattolica: e quando dice che è
buona se unisce , ma diventa cattiva se divide, dice semplicemente il
falso, perché qualsiasi dottrina divide, e la dottrina cristiana più di
qualsiasi altra. Il cristiano è segno di contraddizione: porrò il padre contro il figlio e il figlio contro il padre; la suocera contro la nuora e la nuora contro la suocera.
Dire che la dottrina cristiana non deve creare divisioni è eretico,
perché Gesù stesso è stato segno di contraddizione, e perché Gesù ha
esplicitamente insegnato che la divisione fra la Verità e la menzogna è
il fatto di credere o non credere che Lui, proprio Lui, è la Via, la
Verità e la Vita. Un buddista non ci crede, caro padre Sosa; non ci
crede un giudeo, né un islamico, e tanto meno un ateo. C’è poco da fare:
quella di gettare ponti da tutte le parti e abbattere ogni tipo di muro
è una pratica assurda e non è cattolica. Non è che il cattolico ami i
muri e le divisioni, egli ama la Verità; e la Verità divide, perché i
figli delle tenebre non la vogliono, si infuriano perfino a sentirla
nominare, vorrebbero rimuoverla, cancellarla. Questa è la verità, al di
là delle chiacchiere sul fatto che l’unità prevale sul confitto.
Bisognerebbe invece distinguere tra il conflitto maligno, che è quello
di chi vuol prevaricare sull’altro, e il conflitto benigno, che è quello
che scaturisce dalla difesa della Verità.
La realtà è superiore all’idea; ma cos’è?
di Francesco Lamendola
Del 26 Agosto 2017
continua su:
Allegato Pdf
Realtà superiore all'idea, ma cos'è.pdf
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