ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 29 agosto 2017

L'abdicazione della Chiesa


UNA CHIESA ERETICA

Se la Chiesa non combatte più l’eresia si condanna a diventare eretica. La folle teoria secondo la quale bisogna abbattere ogni muro e gettare solo ponti è il momento d’arrivo di questo autentico suicidio della dottrina di Francesco Lamendola  

  
È chiaro che il discorso, di questi tempi – tempi di buonismo, di permissivismo e di relativismo – non piace, né potrebbe piacere: ma la verità è che la Chiesa ha difeso i depositi della fede sia con la santità di una parte dei suoi membri, sia con la fedeltà al Magistero, e di questo alla Rivelazione, dei suoi fedeli, a cominciare dagli intellettuali; sia, infine con l’attenta sorveglianza sulle tendenze ereticali, che ha prontamente combattuto, in parte con la predicazione, per ristabilire la vera dottrina, e in parte con la repressione, per eliminare le mele marce e impedire che infettassero anche quelle sane. Se la Chiesa, in passato, avesse lasciato correre; se avesse tollerato che dottrine retiche si diffondessero al suo interno, e le corrompessero l’insegnamento, noi, oggi, non avremmo più il cattolicesimo, quale ci è stato tramandato nel corso dei secoli, ma avremmo, al suo posto, un’altra cosa: che potrebbe ancora chiamarsi a quel mondo, ed essere professato da una sedicente chiesa, ma sarebbe, invece, ben lontano dalle autentiche radici. Ora, è chiaro che una dottrina si tramanda in virtù della fede, della speranza e della carità dei suoi seguaci; ed è chiaro che, senza l’intervento e l’ispirazione divina, la Chiesa non sarebbe durata duemila anni, e non avrebbe potuto assolvere il suo compito, quello di custodire e diffondere l’insegnamento di Gesù.

Naturalmente, nessuno auspica il ritorno ai metodi della vecchia Inquisizione; nessuno ha nostalgia dei processi, dei roghi e delle torture: nessuno che sia sano di mente. E tuttavia, è innegabile che si sente la necessità di un organismo che preservi la purezza della fede contro le deviazioni, gli errori e le eresie: senza di esso, la Chiesa diventa una tribuna ultrademocratica, sul tipo dello Speaker’s Corner di Hyde Park, dove chiunque può rivolgersi al pubblico e dire quel che gli frulla per il capo, spacciando qualunque monete falsa per moneta buona. Si dirà che, quanto al clero, sono i seminari, oppure i conventi degli ordini religiosi, che assicurano l’ortodossia della dottrina e prevengono il pericolo che si diffondano, anche tra i fedeli, delle interpretazioni erronee del Vangelo. Sì, questo era vero fino a qualche decennio fa: ora non più. Dalla seconda metà del Novecento, anche nei seminari è arrivata la ventata studentesca anarcoide, culminata poi nel ’68, nella contestazione, nella rivolta contro ogni tradizione e ogni autorità, prima fra tutte quella dei padri di famiglia; anzi, nei seminari è arrivata un po’ in anticipo, e il Concilio Vaticano II si può considerare come il preannuncio del ’68 stesso, con una curiosa inversione dei ruoli: in questo, furono i giovani a contestare i vecchi; in quello, furono i cardinali e i vescovi, gente dai sessant’anni in su, a rivoluzionare la Chiesa e a imporre a tutti gli altri le loro avventate deliberazioni e il loro sedicente “spirito conciliare”, ossia una programmatica e incessante marcia in avanti, contro il passato e contro la tradizione. Il che suggerisce, secondo noi, che, all’epoca del Concilio, esisteva un piano preordinato che partiva dall’altro, ispirato dalla massoneria internazionale e da quella ebraica, lo B’nai B’rith, senza dimenticare i servizi segreti sovietici, che avevano infiltrato i seminari di agenti segreti travestiti da seminaristi, per portare quella assemblea in una direzione che non rifletteva affatto, come poi si è cercato di sostenere, il comune sentire del popolo cattolico, descritto come ansioso di vedere attuate quelle riforme e quelle novità che erano da tempo nei suoi voti. Questa è la leggenda che i mass media hanno cominciato a costruire, con un’opera sapiente e martellante, estremamente capillare, fin da prima che il Concilio si riunisse; e che, in seguito, hanno accreditato come verità certa e indiscussa, da consegnare agli storici così com’era, e sulla quale non erano possibili dubbi di sorta. La verità, invece, è che la stragrande maggioranza del popolo cattolico non ha parteggiato per le novità introdotte dal Concilio, né quelle liturgiche, né quelle pastorali; che le ha accolte, sovente, con incredulità e sgomento; che ha finito per auto-convincersi che cosi fosse giusto, solo perché non esisteva, praticamente, una voce diversa, né fuori, né dentro la Chiesa, dato che quasi tutti i vescovi e i cardinali, fiutata l’aria che tirava, si sono affrettati a schierarsi dalla parte dei vincitori e a far mostra di progressismo e di modernismo, più per tutelare le loro cattedre episcopali e i loro berretti cardinalizi, che per intima convinzione. Ma i semplici credenti, le donne, gli uomini del popolo, erano tutt’altro che ansiosi di vedere abolito il latino, capovolti gli altari, e proclamato il dovere del dialogo coi giudei, i musulmani, gli atei, come fosse la cosa più naturale del mondo: molti ne furono costernati, ma, vedendo che il clero, quasi senza eccezioni, si allineava sulle nuovi posizioni senza fiatare, si rassegnarono e pensarono che era giusto adeguarsi a ciò che diceva chi ne sapeva più di loro. Come sempre, i migliori erano anche i più docili, i più miti, i meno polemici e litigiosi, i meno ansiosi di novità quali che fossero; come sempre, furono loro a preservare, nei limiti del possibile, il vecchio spirito della Chiesa, quello del sano e autentico cattolicesimo, lasciando che certi teologi ultraprogressisti, i Rahner, i Schillebeeckx, i Küng, sproloquiassero sulle colonne delle riviste specializzate o nei pulpiti delle loro chiese del Nord Europa (nei momenti in cui non erano troppo occupati a fornicare con le loro amanti, come nel caso di Karl Rahner, il gran regista del Concilio), e continuando a seguire la fede dei loro avi, a ricevere la Comunione dalle mani consacrate del sacerdote, a recitare il santo Rosario, a manifestare la loro devozione per la Madonna, per san Pio da Pietrelcina o per l’Arcangelo san Michele, a meditare sui sacri Misteri (perché il mistero esisteva ancora, per essi), a pregare contro le insidie del maligno (non era ancora arrivato padre Sosa a dire che il diavolo non esiste), a pensare alla vita eterna, al giudizio, all’infermo e al paradiso, anche se tutte queste cose non interessavano gran che ai Rahner, ai Schillebeeckx e ai Küng; anche se davano loro un po’ fastidio; anche se rappresentavano, ai loro occhi, ciò che del cattolicesimo doveva essere superato e abbandonato, in nome di una fede più “matura”, più “adulta” e più conscia della necessità di dialogare con il mondo moderno. Fra i vescovi, uno solo ebbe il coraggio di reagire, di ergersi in tutta la sua statura, con modestia, senza arroganza, e dire: Non posso rinnegare una sola delle cose che, finora, ho detto e fatto, in piena sintonia con il Magistero della Chiesa: monsignor Lefebvre; ma, essendo solo, fu facile presentarlo come un esaltato, un fanatico, un pazzo, e colpirlo con la sanzione più grave, la scomunica, benché non avesse minimamente attentato alla purezza della fede cattolica. E quante vili calunnie vennero messe in giro, sul suo conto, per screditarlo: perfino che fosse un razzista e che se ne fosse andato dall’Africa per non dover stringere la mano al nuovo vescovo africano di Dakar: propri lui, che aveva tanto amato l’Africa e gli africani da dedicare loro gran parte della sua vita e le sue energie migliori, e che era stato un pastore così ardente di carità e di zelo, da moltiplicare le nuove parrocchie e da convertire e battezzare migliaia di nuovi credenti.
È innegabile che la deriva relativista e l’estrema confusione pastorale e liturgica, perfino dottrinale, che oggi imperversa nella Chiesa e che la spazza ogni dì come un vento di bufera, trova la sua radice nell’abdicazione della Chiesa al suo diritto-dovere di difendere la dottrina cattolica, mediante adeguati strumenti di censura e di denuncia dell’errore. La folle teoria secondo la quale bisogna abbattere ogni muro e gettare solo ponti è il momento d’arrivo di questo autentico suicidio della dottrina: che, come tutte le dottrine, ha bisogno di definirsi, di distinguersi da ciò che non è, di riconoscersi in ciò che è, e di essere riconosciuta per ciò che essa è sempre stata, e non identificata con qualche moda o tendenza del momento, destinata - speriamo – a durar poco. La vecchia Inquisizione non piaceva più: portava con sé troppi brutti ricordi. Lasciamo perdere quanto di esagerato c’era nel senso di colpa dei cattolici, e quanto in loro fosse penetrato lo spirito libertino, massonico, anticristiano, che si serviva dei nomi di Galilei, di Bruno, di Campanella, per agitare contro la Chiesa l’eterna taccia di oscurantista, intollerante, nemica della libertà di pensiero: proprio lei, che ha insegnato ai popoli dell’Europa cosa sia la libertà della coscienza e cosa la dignità della persona, quando essi ignoravano l‘una e l’altra cosa. Ma il fatto è quello: dunque, il 7 dicembre 1965, grazie al Concilio Vaticano II e al nuovo clima da esso inaugurato, l’Inquisizione venne sciolta e sostituita con la Congregazione per la Dottrina della fede. Ora, questo nuovo organismo avrebbe avuto un senso, se avesse raccolto l’eredità del vecchio – che non era fatto solo di crimini e abusi, ma poteva vantare, a suo sostegno, alcuni dei più beni nomi della cultura e della spiritualità cattolica; se avesse fatto suo quello spirito, esclusi, naturalmente, i processi, le torture e i roghi: lo spirito della difesa del cattolicesimo contro i perfidi nemici che vogliono inquinarlo dall’interno, contro il veleno dell’eresia che intossica le anime e crea confusione, disorientamento, malessere morale e spirituale nel popolo di Dio. Insomma, era necessario che i custodi facessero il loro dovere: vigilare, combattere, segnalare il pericolo, ricordare la vera ed unica dottrina. Perché il cattolicesimo, se ci fosse bisogno di ricordarlo, si differenzia dalle innumerevoli chiese e sette protestanti proprio per questo: per l’unità della dottrina. Fra i protestanti, ciascuno legge e interpreta le Scritture come gli sembra meglio; nella Chiesa cattolica, no: una è l’interpretazione, una la dottrina. 

Se la Chiesa non combatte più l’eresia si condanna a diventare eretica

di Francesco Lamendola Del 29 Agosto 2017

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