ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 11 settembre 2017

Il "grande principio" della grande fine?



IL NUOVO MOTU PROPRIO “MAGNUM PRINCIPIUM”: l’Antitesi di Autentico Sviluppo Liturgico, l’Antitesi di “Quo Primum” e di “Summorum Pontificum”
Una nuova lettera papale  motu proprio  sulla liturgia è stata pubblicata oggi. Si chiama Magnum Principium , e a mio parere, è una bomba a orologeria.
Ma per capirlo meglio, dobbiamo innanzitutto avere qualcosa per contrastarlo.
Se avete letto la celebre costituzione apostolica di Papa S. Pio V sulla liturgia,  Quo Primum (1570), sappiate che le riforme liturgiche Tridentine sono state focalizzate sull’unificazione del Rito Latino della Messa, affinché lo stesso Missale fosse utilizzato ovunque in tutta la Chiesa universale. Alcuni passi salienti:
Oltre ad altri decreti del sacro Concilio di Trento, c’erano per Noi altri motivi per rivedere e rielaborare i sacri libri: il Catechismo, il Messale e il Breviario. Con il Catechismo pubblicato per l’istruzione dei fedeli, con l’aiuto di Dio, e il Breviario accuratamente rivisto per la degna lode di Dio, affinché il Messale e il Breviario possano essere in perfetta armonia, adeguati e adatti – perché succeda che nella chiesa ci sia solo una maniera appropriata di recitare i salmi e un solo rito per la celebrazione della messa – abbiamo ritenuto necessario prestare attenzione immediata a ciò che resta ancora da fare, vale a dire la rielaborazione del Messale il più presto possibile.
Quindi, abbiamo deciso di affidare questo lavoro ad uomini sapienti della nostra selezione. Hanno accuratamente raccolto tutto il loro lavoro con i codici antichi nella nostra Biblioteca Vaticana e con codici affidabili, conservati o modificati altrove. Oltre a ciò, questi uomini consultarono le opere di autori antichi e approvati riguardanti gli stessi riti sacri; e così hanno ripristinato il Missale stesso alla forma originale e al rito dei santi Padri. Quando questo lavoro è stato soppresso più volte e successivamente modificato, dopo seri studi e riflessioni, abbiamo comandato che il prodotto finito venisse stampato e pubblicato al più presto, in modo che tutti potessero godere dei frutti di questo lavoro; e così i sacerdoti sapranno quali preghiere dovranno usare e quali riti e cerimonie dovranno osservare da adesso nella celebrazione delle Messe.
Lasciate che ovunque adottino e osservino ciò che è stato tramandato dalla Santa Chiesa Romana, la Madre e la Maestra delle altre Chiese, e lasciate che le Messe non vengano cantate o lette secondo una formula diversa da quella di questo Missale pubblicato da noi. Questa ordinanza si applica ora, e per sempre, in tutte le province del mondo cristiano, a tutti i patriarchi, le chiese cattoliche, le chiese collegiali e parrocchiali, siano essi o religiose, sia uomini che donne, anche ordini militari e di chiese o cappelle senza una specifica congregazione in cui le canzoni conventuali vengono cantate ad alta voce nel coro o lette privatamente in accordo con i riti e le abitudini della Chiesa romana. Questo Missale deve essere utilizzato da tutte le chiese, anche da parte di coloro che nella loro autorizzazione sono esenti, sia per indotto apostolico, abitudine, o privilegio, o anche con giuramento o conferma ufficiale della Santa Sede, o avere i loro diritti e facoltà garantito loro in qualsiasi altro modo.
[…]
Noi ordiniamo specificamente ogni patriarca, amministratore e tutte le altre persone o qualunque altra dignità ecclesiastica, siano essi cardinali della Santa Chiesa Romana o possieda qualsiasi altra posizione o preminenza e ordiniamo loro in virtù di santa obbedienza a cantare o leggere la Messa secondo il rito e la maniera e la norma qui stabiliti da noi e, in seguito, di interrompere e abbandonare completamente tutte le altre rubriche e riti di altri missali, per quanto antichi, che hanno ormai seguito; e non devono celebrare la presunta messa per introdurre cerimonie o recitare preghiere diverse da quelle contenute in questo Missale. [enfasi aggiunta]
Il Magnum Principium ,  d’altra parte, non è affatto preoccupato della “forma e rito originario dei santi padri”. Al contrario, si riferisce al “grande principio” (da cui prende il nome la lettera) del Concilio Vaticano II “secondo cui la preghiera liturgica sarà accolta alla comprensione del popolo in modo che possa essere capita”. Ciò significa, naturalmente, per i rivoluzionari liturgici (allora e adesso) “il compito pesante di introdurre la lingua vernacolare nella liturgia e di preparare e approvare le versioni dei libri liturgici, una carica che è stata affidata ai Vescovi”.
Non ho intenzione di offrire un’analisi approfondita del nuovo motu proprio . Non ho dubbi che altri molto più qualificati di me lo prenderanno presto in considerazione, facendo la lettera a pezzi, pezzo per pezzo. Il mio scopo qui è invece di lasciarvi  il mio senso di ciò che significherà per la Chiesa.
Il risultato di questa lettera – chiaramente non scritto nel solito linguaggio meschino, loquace e incomprensibile del papa e quindi, quasi certamente l’opera di mano di qualcun altro – è che il papa sta ordinando che la legge canonica sia modificata come segue:
Può. 838 – §1. L’ordinamento e la guida della liturgia sacra dipende esclusivamente dall’autorità della Chiesa, vale a dire quella della Sede Apostolica e, come previsto dalla legge, quella del Vescovo diocesano.
§2. È proprio  della Sede Apostolica ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale, pubblicare libri liturgici, riconoscere gli adattamenti approvati dalla Conferenza Episcopale secondo la norma del diritto e esercitare la vigilanza che i regolamenti liturgici siano osservati fedelmente ovunque.
§3. E’ pertinente alle Conferenze Episcopali  preparare fedelmente versioni dei libri liturgici in lingue vernacolari, opportunamente  sistemate  entro limiti definiti e  approvare  e  pubblicare i libri liturgici per le regioni per le quali sono responsabili dopo la conferma della Sede Apostolica.
§ 4. Nel limite della sua competenza, appartiene al Vescovo diocesano a depositarsi nella Chiesa affidata alla sua cura, regolamenti liturgici che sono vincolanti per tutti.
Come alcuni notarono molto presto in questo papato, uno dei suoi temi chiave è stato l’abuso del principio di sussidiarietà – la nozione altrimenti lodevole che deve essere decisa dall’autorità più bassa o meno centrale competente a farlo. Ma la parola chiave qui è “competente”. Le conferenze dei vescovi, che non hanno mai avuto autorità reali, hanno dimostrato tutto tranne che la competenza nel corso di mezzo secolo.  Naturalmente, questo non è il senso della parola utilizzata quando si esamina la sussidiarietà, ma si riferisce invece alla questione se l’organismo che ha preso le decisioni abbia le qualifiche e l’autorizzazione giuridiche di farlo. Quando si tratta della liturgia della Chiesa universale, le conferenze episcopali sono abbastanza fuori dalla loro pertinenza.
Va notato che questa falsa sussidiarietà è stata una caratteristica del pontificato attuale fin dalle prime fasi. Le conferenze dei vescovi sono state identificate da Francesco quasi immediatamente come mezzo per decentrare il potere giustamente concentrato nella Sede Apostolica. Vedi, ad esempio, Evangelii Gaudium 32:
Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale devono sentire la chiamata alla conversione pastorale. Il Concilio Vaticano II afferma che, come le antiche chiese patriarcali, le conferenze episcopali sono in grado di “contribuire in molti e fecondi modi alla realizzazione concreta dello spirito collegiale”. [36] Tuttavia questo desiderio non è stato pienamente realizzato, dato che uno status giuridico delle conferenze episcopali che li vedono come soggetti di attribuzioni specifiche, compresa l’autentica autorità dottrinale, non è ancora stato sufficientemente elaborato. L’eccessiva centralizzazione, piuttosto che dimostrarsi utile, complici la vita della Chiesa e il suo percorso missionario.
Lo abbiamo visto ancora, in modo più concreto e dannoso, in  Amoris Laetitia 3 :
Dal momento che “il tempo è più grande dello spazio”, vorrei chiarire che non tutte le discussioni di questioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte dagli interventi del magistero. L’unità dell’insegnamento e della pratica è certamente necessaria nella Chiesa, ma ciò non preclude diversi modi di interpretare alcuni aspetti di tale insegnamento o di trarne alcune conseguenze. Questo sarà sempre il caso in cui lo Spirito ci guida verso l’intera verità (cfr Gv 16,13), finché non ci conduce completamente nel mistero di Cristo e ci permette di vedere tutte le cose come fa. Ogni paese o regione, inoltre, può cercare soluzioni più adatte alla sua cultura e sensibili alle sue tradizioni e alle esigenze locali. Perché “le culture sono infatti molto diverse e ogni principio generale … deve essere inculturato, se deve essere rispettato e applicato” .3
Questo è il relativismo morale, semplice e semplice.
E abbiamo visto quanto sia stato elaborato per i fedeli, no? Con la decisione sulla possibilità di offrire i sacramenti ai divorziati e risposati demandando la competenza alle conferenze individuali dei vescovi, gli ordinari locali e anche i sacerdoti parrocchiali, è scaturito un caos. Ciò che è consentito in Polonia è vietato in Germania. E così via. Gli insegnamenti morali fondamentali della Chiesa non furono mai destinati a essere relativizzati e parificati attraverso la delega. La Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica, e questa perversione della sussidiarietà pericolosamente erode in modo evidente sia la sua unità che la sua cattolicità, contestando contemporaneamente la sua santità e la sua carica apostolica.
E ora stiamo assistendo alla delegazione di autorità sui testi liturgici a gruppi di vescovi troppo spesso moralmente compromessi o altrimenti incapaci di dare priorità alla Volontà Divina e quindi al bene della Chiesa e delle anime affidate alla loro cura. Gli accrescimenti e le sostituzioni e le variazioni che  Quo Primum ha  cercato di concludere definitivamente attraverso l’esecuzione di un unico missale liturgico per il rito primario e antico della Chiesa vengono ora introdotti volutamente. Solo questa volta, quasi certamente non saranno buone intenzioni, ma manifestazioni erronee della pietà regionale, ma piuttosto una corsa competitiva al fondo per banalizzare e desacralizzare la Messa. Quello che il Concilio Vaticano II ha fatto alla liturgia era abbastanza brutto, dando la licenza al concilium di sciogliere la sua struttura e la sua forma e sostituire le sue magnifiche preghiere con nuove fabbricazioni,  gesti ecumenici e interreligiosi e una riduzione globale nella teologia sacramentale. Ma almeno, si potrebbe dire che il Novus Ordo aveva un missale unico e un’istruzione generale su come dovrebbe essere seguito. Era ancora possibile per i riformisti liturgici sostenere che ciò che accadeva in tante parrocchie in tutto il mondo erano abusi , perché si potevano indicare testi da Roma che indicavano il modo in cui si dovrebbe  offrire la Messa  se si desidera incorporare la riverenza (che è sempre stata , purtroppo, solo un’opzione nel nuovo rito, non un requisito).
Ora, tuttavia, questi abusi possono diventare un vero sforzo dalla base. Pensate globalmente, abusate localmente – con l’approvazione ecclesiastica! Qualcuno crede davvero che la  completamente sventrata Congregazione per il Culto Divino e dei Sacramenti non metterà il suo timbro di approvazione su eventuali modifiche presentate? Non so se sia una pratica standard per la segretaria del CDW aggiungere la nota esplicativa su un motu proprio papale sulla liturgia, ma il prefetto di quel nome della congregazione – il cardinale Robert Sarah – brillava per la sua assenza. Ed è difficile non chiedersi se sia perché non ha voluto fare niente con i suoi contenuti.
Alcuni stanno già speculando che la battaglia su “pro nobis” e “pro multis” nelle parole della Consacrazione tornerà con gusto, con conferenze individuali che potenzialmente permettono cambiamenti ancora più sostanziali a questa preghiera più importante della Messa – cambiamenti abbastanza significativi al punto che la validità del sacramento possa essere messa in discussione. Quanto noioso dobbiamo sperare che il dannato flagello del linguaggio inclusive non riprenderà la sua brutta testa dopo aver pensato che aveva reso il suo ultimo? Ci vuole solo una piccola fantasia per immaginare quanto le cose potrebbero diventare spiacevoli.
Tuttavia, non si può dire che i cattolici non sono ottimisti. Ho già visto argomentare che nulla di sostanziale è davvero cambiato qui. Questa delegazione della traduzione dei testi dovrebbe ancora essere fedele agli originali e deve ancora essere approvata da Roma, quindi perché la gente è preoccupata? Questo argomento sembra strettamente simile a quello avanzato da coloro che hanno affermato che  Amoris Laetitia non cambia la dottrina. La verità è che non lo ha fatto. E questo non ha fatto niente per rallentare la devastazione alla pratica che ha seguito nella sua scia.
E così sarà con la liturgia.
C’è, tuttavia, una nota di speranza in tutta questa confusione. La balkanizzazione intenzionale della “forma ordinaria” della liturgia della Chiesa sarà indubbiamente indebolita ulteriormente. Diventerà sempre più difficile da sostenere. Creerà preferenze e peculiarità, potenzialmente diocesi contro diocesi, e costerà al Novus Ordo quella piccola integrità che ancora conserva.
Forse è questa l’intenzione. Forse sapendo che la stragrande maggioranza dei cattolici partecipa alla cosiddetta “forma ordinaria” della Messa, le forze diaboliche che puntano alla decostruzione della fede cattolica pensano che questo “metterà l’ascia non ai rami e ai germogli, ma molto alla radice, cioè alla fede e ai suoi profondi incendi “. Ma come ha detto spesso la mia amica Hilary White,” la Chiesa non avrebbe potuto sopravvivere ad un altro papa “conservatore”. Francesco ha svegliato la gente e loro non riusciranno mai a dormire nuovamente. E una volta che hanno cominciato a valutare perché  quello che stavano facendo era sbagliato, molti hanno cominciato ad esaminare con un occhio più critico tutto ciò che è accaduto dal Concilio che ha reso possibile il momento presente.
Lo stesso vale per la liturgia: la Chiesa non poteva sopravvivere a questa continua divisione tra due forme dello stesso rito, esprimendo due visioni discordanti della teologia liturgica e dell’antropologia. Non dimenticherò mai di parlare con qualcuno che partecipa solo al Novus Ordo e mi ha sorpreso dicendo: “Il futuro della Chiesa è la vecchia Messa”. Non aveva fatto il cambiamento nella sua vita, ma lo vedeva riflesso sul muro.
E così, quando questi cambiamenti iniziano a uscire, molte persone si rivolgeranno alla Messa Latina Tradizionale e mentre la paura esiste – e lo vedo crescere – che Summorum Pontificum sarà revocato, non credo che questo sia veramente possibile . Perché, come ha affermato il papa Benedetto XVI: “Quello che le generazioni precedenti ritenevano sacro, rimane sacro e grande anche per noi e non può essere tutto all’improvviso interamente proibito o addirittura considerato dannoso”.
Per quelli di noi che hanno trovato la Messa dei secoli, non ci sono ritorni indietro. E se provano a togliercelo, non ci riusciranno. Se ci rimuovono dalle chiese, diremo messe nelle scuole, negli auditorium, nei campi, nelle case delle persone. Lo faremo con la fiducia che altri hanno preso questa  via dolorosa  davanti a noi:
I fatti sono giunti a questo passaggio: le persone hanno lasciato le loro case di preghiera e si sono riunite nei deserti, – una vista imbarazzante; donne e figli, uomini anziani e uomini altrimenti infermi, miseramente infelici all’aria aperta, tra le piogge abbondanti e le tempeste di neve, i venti e le gelate dell’inverno; e ancora d’estate sotto un sole brillante. A questo si sottomettono perché non avranno parte della malvagia eresia ariana.
– San Basilio il Grande; Epistola 242, 376 dC.
Io, per primo, non tornerò indietro. Le antiche liturgie della Chiesa ci nutrono e ci sostengono. Sono la nostra armatura e il nostro armamento. E se vengono per loro… Molon Labe! Venite a prenderci!

Magnum Principium: il motu proprio di Francesco che fa due pesi e duemisure      
 
Dopo il pessimo discorso di Francesco alla 68a Settimana Liturgica Nazionale (durante il quale il Papa ha messo in bocca ai padri conciliari parole mai dette, infischiandosi anche di quanto ribadito da Benedetto XVI e dal Card. Sarah), ecco una nuova picconata alla Liturgia "cattolica" (intesa anche come "univerale") da parte del Vescovo di Roma. 
Il 3 settembre 2017 ha firmato il Motu Proprio "Magnum Principium" con cui  modifica il can. 838 sulle traduzioni dei libri liturgici dal latino alle lingue volgari e sulle competenze della S. Sede e quelle delle Conferenze Episcopali.

Sul pericolo della "frammentazione" nazionale della liturgia (e si teme quindi anche della dottrina, a cui essa è ontologicamente unita) che deriva da questa nuova trovata pontificia, proponiamo due nostre veloci riflessioni. 

LA PRIMA: sul latino e la perdita di "universalità" linguistica

Urge innanzitutto una precisazione che si impone leggendo le prime frasi del testo. 
Il motu proprio esordisce dirompente con l'enfatizzazione del "grande principio" attribuito al Concilio secondo cui 
"la preghiera liturgica, adattata alla comprensione del popolo, possa essere capita, ha richiesto il grave compito, affidato ai Vescovi, di introdurre la lingua volgare nella liturgia e di preparare ed approvare le versioni dei libri liturgici."
Questo, a primo sguardo può sembrare  una cosa corretta, bisogna riconsocerlo. ma di fatto non lo è. 

Tale incipit, ad un occhio non attento, potrebbe sembrare infatti una parafrasi di quanto contenuto nella Sacrosanctum Concilium all'art. 36 





    1. L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini.


    2. Dato però che, sia nella messa che nell'amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti
della liturgia, non di rado l'uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti. 
    3. In base a queste norme, spetta alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all'art. 22- 2 (consultati anche, se è il caso, i vescovi delle regioni limitrofe della stessa lingua) decidere circa l'ammissione e l'estensione della lingua nazionale. Tali decisioni devono essere approvate ossia confermate dalla Sede apostolica.


    4. La traduzione del testo latino in lingua nazionale da usarsi nella liturgia deve essere approvata dalla competente autorità ecclesiastica territoriale di cui sopra.


 E ancora, all'art.  63 si legge:
  

63. Non di rado nell'amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali può essere molto utile per il popolo l'uso della lingua nazionale; le sia data quindi una parte maggioresecondo le norme che seguono:


a) nell'amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali si può usare la lingua nazionale a norma dell'art. 36;
b) sulla base della nuova edizione del rituale romano la competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all'art. 22 - 2 di questa costituzione, prepari al più presto i rituali particolari adattati alle necessità delle singole regioni, anche per quanto riguarda la lingua; questi rituali saranno usati nelle rispettive regioni dopo la revisione da parte della Sede apostolica. Nel comporre i rituali particolari o speciali collezioni di riti non si omettano le istruzioni poste all'inizio dei singoli riti nel rituale romano, sia quelle pastorali e rubricali, sia quelle che hanno una speciale importanza sociale.

 E' di tutta evidenza che i Padri Conciliari hanno detto che il latino deve essere conservato e, solo in un secondo tempo, hanno riconosciuto una possibile (e non scontata) utilità per il popolo il dare un più ampio (e non totale) spazio della lingua vernacola in alcune preghiere, delle letture e dei canti (e non della totalità delle celebrazioni!).

Ciò detto, il Papa, pur dicendo anch'egli che del latino si avrà solo una "perdita parziale", dà per scontato (ed assodato) l'esatto contrario.


LA SECONDA: sulle traduzioni nelle lingue vernacole

E' nell'attribuire alle Conferenze Episcopali maggior campo di azione nel tradurre che il Papa dà il meglio di sè e modifica il can. 838:

L'attuale testo del canone è il seguente


Can. 838 - §1. Regolare la sacra liturgia dipende unicamente dall'autorità della Chiesa: ciò compete propriamente alla Sede Apostolica e, a norma del diritto, al Vescovo diocesano.
   §2. È di competenza della Sede Apostolica ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici e autorizzarne ["recognoscere" nel testo latino n.d.r.]le versioni nelle lingue correnti, nonché vigilare perché le norme liturgiche siano osservate fedelmente ovunque.
   §3. Spetta alle Conferenze Episcopali preparare le versioni dei libri liturgici nelle lingue correnti, dopo averle adattate convenientemente entro i limiti definiti negli stessi libri liturgici, e pubblicarle, previa autorizzazione ["praevia recognitione" nel testo latino, n.d.r.] della Santa Sede.
   §4. Al Vescovo diocesano nella Chiesa a lui affidata spetta, entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono tenuti.
 Il motu proprio lo ha modificato nel seguente modo (che sarà in vigore dal prossimo 1° Ottobre 2017):


Can. 838 - § 1. Regolare la sacra liturgia dipende unicamente dall’autorità della Chiesa: ciò compete propriamente alla Sede Apostolica e, a norma del diritto, al Vescovo diocesano.
   § 2. È di competenza della Sede Apostolica ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici, rivedere [recognoscere nel testo latino n.d.r.] gli adattamenti approvati a norma del diritto dalla Conferenza Episcopale, nonché vigilare perché le norme liturgiche siano osservate ovunque fedelmente.
   § 3. Spetta alle Conferenze Episcopali preparare fedelmente le versioni dei libri liturgici nelle lingue correnti, adattate convenientemente entro i limiti definiti, approvarle e pubblicare i libri liturgici, per le regioni di loro pertinenza, dopo la conferma [post confirmationem nel testo latino n.d.r.] della Sede Apostolica.
   § 4. Al Vescovo diocesano nella Chiesa a lui affidata spetta, entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono tenuti.

La S. Sede non avrà più il compito della preventiva "recognitio" (esame o revisione attenta e dettagliata sulle traduzioni in lingua vernacola; si veda nota 1) sulle traduzioni eseguite dalle Conferenze Episcopali  ma solo quello della "confirmatio" (successiva).
Sulla portata di queste modifiche si veda questa analisi su "fine dei tempi.wordpress" che ben studia ed espone le differenze che pur sottili, sono molto significative.

Di fronte a cotanta sollecitudine del Papa verso le lingue voltari e del (a suo dire) ossequio verso il dettato del Concilio circa le competenze della Conf. Episcopali, attendiamo ora parimenti rispetto di altri "grandi principi" conciliari 

Lo vogliamo aiutare e ne ricordiamo alcun citando, ex multis, i seguenti articoli SC.
  

14. "... i pastori d'anime in tutta la loro attività pastorale devono sforzarsi di ottenerla attraverso un'adeguata formazione. Ma poiché non si può sperare di ottenere questo risultato, se gli stessi pastori d'anime non saranno impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia e se non ne diventeranno maestri, è assolutamente necessario dare il primo posto alla formazione liturgica del clero."

(oggi, a vedere certe celebrazioni, sarebbe senz'altro urgente un motu proprio per questo!)



19. I pastori d'anime curino con zelo e con pazienza la formazione liturgica, come pure la partecipazione attiva dei fedeli, sia interna che esterna, secondo la loro età, condizione, genere di vita e cultura religiosa. Assolveranno così uno dei principali doveri del fedele dispensatore dei misteri di Dio. E in questo campo cerchino di guidare il loro gregge non solo con la parola ma anche con l'esempio.(Scusate ma la dura immaginare oggi un motu proprio che ricordi ai preti che essi sono "dispensatori dei misteri di Dio")
25. I libri liturgici siano riveduti quanto prima, servendosi di persone competenti e consultando vescovi di diversi paesi del mondo.(Bene allora rivedere tutti i libri liturgici moderni, pubblicati dalla commissione composta anche da ebrei e protestanti!). 


29. Anche i ministranti, i lettori, i commentatori e i membri della « schola cantorum » svolgono un vero ministero liturgico. Essi perciò esercitino il proprio ufficio con quella sincera pietà e con quel buon ordine che conviene a un così grande ministero e che il popolo di Dio esige giustamente da essi. Bisogna dunque che tali persone siano educate con cura, ognuna secondo la propria condizione, allo spirito liturgico, e siano formate a svolgere la propria parte secondo le norme stabilite e con ordine.(ben venga un motu proprio destinato alla formazione dei "musicisti" di bonghi e chitarre e di "lettrici" in abiti succinti o di lettori di pubblica condotta moralmente discutibile)
116. La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica, a norma dell'art. 30.

117. Si conduca a termine l'edizione tipica dei libri di canto gregoriano; anzi, si prepari un'edizione più critica dei libri già editi dopo la riforma di S. Pio X. Conviene inoltre che si prepari un'edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese più piccole.



Roberto
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NOTA 1

Nella versione italiana del C.I.C., comunemente in uso, il verbo “recognoscere” è tradotto “autorizzare”, ma la Nota esplicativa del Pontificio Consiglio per l'interpretazione dei Testi Legislativi ha precisato che la recognitio «non è una generica o sommaria approvazione e tanto meno una semplice “autorizzazione”. Si tratta, invece, di un esame o revisione attenta e dettagliata...» (28 aprile 2006).

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