ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 12 settembre 2017

Love was love?


I gay si separano, ma l'unione civile non era il paradiso dell'amore?      

L’amore è amore, si diceva. Ma il matrimonio civile ormai è diventato l'anticamera dell'abbandono

I festeggiamenti per un'unione civile celebrata al Campidoglio (foto LaPresse)
Non sarà una notizia da prima pagina come invece è diventata, ma perché la fantasia è tanto colpita dalla prima separazione di una coppia omosessualelegatasi con unione civile? È questo il motivo: per anni la campagna arcobaleno si è fondata sull’equiparazione de facto fra tale nuovo istituto e il matrimonio, nonché sulla derivazione de jure del matrimonio dal solo sentimento dell’amore. L’amore è amore, si diceva, quindi indipendentemente dall’identità di chi si contraccambia deve essere garantito a tutti il diritto di portarlo a compimento convolando in giuste nozze. 


Ma il matrimonio civile, così com’è ridotto dopo la legge sul divorzio e successive facilitazioni, non sembra proprio la cassaforte più adatta alla conservazione dell’amore; sembra piuttosto un malfermo scivolo verso l’abbandono, irto di minacce e recriminazioni fra contraenti che si pongono l’un l’altro sotto tiro. La separazione, che al senso comune pare ormai accettabile e auspicabile proprio in ragione della volubilità del sentimento, è pertanto diventata la cifra inevitabile dello sposalizio; la separazione è l’invitata muta a tutti i matrimoni.
  
#Loveislove, ci avevano detto, magnificando che le unioni civili sarebbero diventate il paradiso di tutti gli amori; senza vedere che regolarizzare un rapporto con celebrante e testimoni e firme e festa grande significa certificarne la dissolubilità di fronte alla stessa legge che, subdola, la consente. Ecco il bel diritto per cui, carte alla mano, hanno combattuto inconsapevoli i fautori delle unioni civili; rinunziando, come lesivo del sentimento, a quel limbo in cui l’assenza della definizione del rapporto lasciava le coppie omosessuali al sicuro dalla minacciosa scadenza di un contratto che (con la scusa dell’amore) diventa sempre più a termine.




Co-genitori gay separati, l'unico divorzio che ci piace
Un divorzio può essere salutato felicemente? Sì, se corrisponde alla procedura civile di scioglimento di una unione civile, perché rompe una unione contraria alla morale naturale. Claudio Rossi Marcelli, icona del mondo Lgbt e il suo compagno Manlio Sanna si sono separati. Ma intanto ci sono figli in ballo, nati da uteri in affitto.
Un divorzio può essere salutato felicemente? Sì, se corrisponde alla procedura civile di scioglimento di un “matrimonio” omosex oppure di una unione civile, perché in questo caso si rompe una unione contraria alla morale naturale.
E dunque apprendiamo con piacere che Claudio Rossi Marcelli e il compagno Manlio Sanna, uniti civilmente in Svizzera nel 2011, si sono giuridicamente separati. Voi chiederete: e chi saranno mai questi due perché se ne parli? Tra i due quello noto è Rossi Marcelli, attivista gay, autore del libro E il cuore salta un battito dove racconta la relazione con Manlio e curatore per l’Internazionale di una rubrica di consigli per i padri, lui che ha affittato ben tre volte l’utero di una donna e acquistato ovociti di un’altra donna per avere una triade di pargoli: due gemelle, Maddalena e Clelia, concepite con i gameti di Rossi e un bambino, Bartolomeo, con quelli di Sanna. A proposito di consigli, il primo da dare ad un padre sarebbe: fai un figlio con tua moglie alla vecchia maniera.
Di questa coppia scoppiata si parla perché Rossi Marcelli è una icona del mondo arcobaleno: uno dei primi ad uscire allo scoperto raccontando la sua relazione omosessuale, ad avere figli in locazione e a battersi per le unioni civili in Italia. Ed ecco la delusione, quell’arcobaleno diventa grigio topo: l’unione civile si è rotta. La giustificazione di questa disfatta è presto servita: “Noi non eravamo né migliori né peggiori degli altri. E oggi sento di poter trasmettere ancora lo stesso messaggio, ai nostri bambini prima che a tutti gli altri: siamo una coppia come tutte le altre, e le coppie a volte si lasciano”. Ciò a voler dire: matrimonio etero ed omo, tanto che anche per gli uniti civilmente è contemplata la separazione. 
Ma questo sarà vero in punta di diritto, ma meno sotto il profilo sociologico. Infatti, come avevamo già illustrato a suo tempo, i divorzi gay sono più frequenti e precoci di quelli etero. E la Svizzera non fa eccezione. E’ la relazione omosessuale ad essere per sua natura più precaria e fragile di quella etero.
Rossi Marcelli comunica così il suo cordoglio per la fine dell’unione civile: “Dopo un lento ma inesorabile cambiamento del nostro rapporto che non siamo riusciti a fermare, abbiamo deciso di continuare da amici. E da co-genitori. Perché, anche se io e lui non siamo più una coppia, noi cinque restiamo una famiglia”. Dunque, come detto, noi ci rallegriamo che un passo verso la giusta direzione si sia fatto e che quindi il civile patto gay si sia sciolto. Ma come la mettiamo con i figli?
Queste creature hanno avuto la mala sorte di essere state concepite in vitro, portate in grembo da una donna che non li crescerà e che geneticamente non è la loro madre, tolte dal genitore biologico e infine allevate in un ambiente privo della figura genitoriale femminile. E’ un bene ora per questi bambini che i due si siano separati? Da una parte certamente sì, perché perlomeno eviteranno di essere educati all’interno di una relazione omosessuale (posto che – mera chimera – i due non frequentino altri uomini). Su altro fronte, ma il danno potrebbe valere il vantaggio acquisito, oltre a tutti i drammi già subiti in precedenza ora patiranno le ripercussioni psicologiche che la separazione di certo comporterà: tensione tra i due, cambiamento di ritmi di vita, forse di abitazione, etc. In breve in tutta questa vicenda, come sempre accade quando si parla di figli di omogenitori, quelli che escono con le ossa rotte sono sempre loro: i bambini.
Curiosa infine l’espressione usata da Rossi: “co-genitori”. Ora da un punto di vista biologico e giuridico Rossi e Sanna sono genitori, punto e basta. E dunque perché aggiungere la particella “co”? Forse per sottolineare il fatto che entrambi si spenderanno, nonostante la separazione, per i loro figli? Che l’unione sopravvive almeno in riferimento alla loro educazione? Speriamo di no.
Altra perla: “anche se io e lui non siamo più una coppia, noi cinque restiamo una famiglia”. Da una parte Rossi rimarca uno slogan tipico del mondo LGBT: sono i fatti e non certo il matrimonio a generare una famiglia. E dunque avere tre figli in comune è avere una famiglia. Ma questo, anche da un punto di vista meramente empirico, è falso. Infatti le due gemelle sono legate geneticamente solo a Rossi e non a Sanna e, viceversa, Bartolomeo è figlio solo di quest’ultimo. Insomma non c’è legame alcuno, nemmeno giuridico ora, tra Rossi e Sanna, né tra i figli dell’uno e l’altro ex compagno. Su altro fronte quello che dice Rossi contraddice apertamente un altro slogan della cultura gay: è la relazione, seppur non riconosciuta, a costituire una famiglia. Ora la relazione non c’è più e quindi come si fa a parlare di famiglia?

di Tommaso Scandroglio
12-09-2017

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