MA CHI GLI DOVEVA INSEGNARE LA CIVILTA’, AGLI STUPRATORI??
Scusate, pongo una domanda: da chi mai dovrebbero imparare gli immigrati il rispetto della donna, il pudore, la dignità cavalleresca? E chi la insegna ai giovani carabinieri? Forse i manifesti e la pubblicità, inviti alla lussuria e alla esibizione sensuale? Forse la scuola? Le infinite agenzie d’informazione e di Stato che insegnano “La liberazione sessuale” come la ultima delle liberazioni di “tutti i tabù”?
Chi insegna, in una parola, la civiltà? Prendiamo navi intere di maschi musulmani gonfi di testosterone, come dice Silvana De Mari, “senza donne, in età militare, nullafacenti, senza la dignità e la stanchezza che dà un lavoro, privi di controllo sociale, mantenuti in una situazione di irresponsabilità, di impunibilità e di non rintracciabilità , coesi dall’appartenenza a una stessa religione, una religione che vieta la convivenza pacifica, che ordina l’aggressione agli infedeli, che permette ufficialmente lo stupro delle loro donne”, e poi ci aspettiamo che si comportino come cavalieri, buone maniere, baciamano, ed accettare un “no”? Un no dalle donne che trovano qui: donne “liberate”, a cui è stato insegnato fin da bambine che il pudore è schiavitù, il riserbo della propria intimità un tabù superato donne che ballano i discoteca mostrando cosce e seno e pelo pubico, ubriache? Cosa volete che capiscano, quei maschi musulmani? Noi ripetiamo continuamente loro che vengono da una società repressiva che li reprime, e poi, cosa ci aspettiamo?
Dove mai abbiamo insegnato ai giovani maschi – immigrati, carabinieri – che si deve e si può resistere alla concupiscenza? Al contrario, le ideologie e le dottrine correnti, i messaggi è pubblicitari, la depenalizzazione della pornografia, dell’adulterio, dell’aborto, la glorificazione della sodomia con pubbliche sfilate di oscenità, “celebrano la lussuria come liberazione totale”, gridano da ogni angolo, schermo e muro che “il piacere di Venere forma la felicità dell’uomo e che perciò ogni impedimento alla libido della rimuoversi come impedimento alla felicità”.
Leggo queste parole da Iota Unum di Romano Amerio. Da cui potrete apprendere che, dopo il Concilio Vaticano II, anche la Chiesa, nel ’73, in una lettera pastorale dei vescovi tedeschi, dichiarava: “la sessualità informa tutta la nostra vita e […] determina anche la sensibilità la sua sensibilità e fantasia, il nostro pensiero e le nostre decisioni”. MA questo è pansessualismo che avrebbe invidiato Wilhelm Reich. SE la sessualità “informa l’intera nostra vita”, anzi è “determinante persino dei nostri pensieri e decisioni” – capiscono cosa significa “determinante”? . E’determinante quello a cui non si può sfuggire, quello che è decisivo.
E infatti tutta la società liberata insegna ai giovani che la felicità sessuale è la cosa più importante nella vita, il successo erotico è la misura del senso vitale, o del “tuo fallimento come uomo” (o donna). Nemmeno la Chiesa insegna più altro: dove volete che imparino, i giovani, la contenutezza, il riserbo, il mirare a valori più alti del sesso, se persino la Chiuesa desiste ormai dal dire la verità?
La verità del pudore, spiega Amerio, non è affatto moralismo, men che meno un costume storicamente determinato, di cui ci si possa liberare con la “evoluzione” e modernità . La radicale essenza del pudore è metafisica: è la vergogna di un Adamo nato con e per lo spirito in un corpo soggetto allo zoologico, alla eiaculazione come alla defecazione, all’orgasmo come alla digestione, sentito come “l’assoggettamento della parte vedente e razionale alla parte cieca e istintiva”, il quale è “massimo nella consumazione carnale”. Per cui essa va almeno praticata nell’intimità, e “ornata” di segni di amore e gentilezza, di tutti i possibili ornamenti della cultura, della buona educazione, della civiltà e cavalleria, della protettiva sollecitudine che l’uomo deve alla donna amata, della capacità di sospirare da lontano, di ricevere con gratitudine un fazzolettino profumato, di procrastinare il desideri – tutte cose volte se non a spiritualizzare, a civilizzare la zoologia , che va sentita per quel che è: umiliazione della natura umana, nata “per altro”.
Perché, come dice Amerio, si deve mostrare e insegnare che “la natura umana non è incatenata alla concupiscenza, come voleva Lutero, ma è incatenata al combattimento – al combattimento contro la concupiscenza”.
Perché la civiltà si insegna; non nasce da sé in generazioni giovani che, chissà perché, adesso la società liberata proclama essere “tanto maturi da capire da sé”. Capire da sé cosa? E dove? In discoteca fra cocaina e alcol? Dove mai dovrebbero imparare “Il combattimento contro la concupiscenza”, quando la vita ” è presentata irrealisticamente ai giovani come ‘gioia”, dove le conquiste e i “valori” sono lì facili da cogliere, e si nasconde loro – per principio, per partito preso ideologico – che ”la vita è difficile, o se si vuole seria”, che la vita è “una condizione di milizia, anzi di guerra”, che “la vita è difficile e le cose difficili sono interessanti”, perché ciò che è dato come potenzialità deve esser fatto fiorire, coltivato: coltivazione, cultura. Civiltà. Nessuno la insegna più. Da dove devono apprenderla gli immigrati mascalzoni? Da dove i carabinieri?
Quando “il borghese e l’avvocato, il proletario il nero, il bianco, la vedova e l’orfano, tutta la società nel suo carattere endemico e transnazionale, che affonda nel cinismo, il distacco assoluto, il nichilismo, la devianza sociale, la violenza e le altre turpitudini della fuga” (Wyatt Tusérian, un vecchio punk), cosa volete? Che siano i carabinieri a non essere toccati dalla turpitudine? In una società dove i banchieri sono così, sono così i tramvieri dell’ATAc e gli ingegneri dell’ufficio tecnico di Livorno odi ISchia, dove son di scarsa qualità tutti i pubblici dipendenti, perché loro soli dovrebbero essere di qualità superiore? In un mondo dove persino El Papa è trasgressivo, si è liberato dai tabù e sputa sulle regole?, chi glielo avrà mai dovuto insegnare? La civiltà si insegna, e non lo vogliamo, né sappiamo fare. .
Scusate, pongo una domanda: da chi mai dovrebbero imparare gli immigrati il rispetto della donna, il pudore, la dignità cavalleresca? E chi la insegna ai giovani carabinieri? Forse i manifesti e la pubblicità, inviti alla lussuria e alla esibizione sensuale? Forse la scuola? Le infinite agenzie d’informazione e di Stato che insegnano “La liberazione sessuale” come la ultima delle liberazioni di “tutti i tabù”?
Chi insegna, in una parola, la civiltà? Prendiamo navi intere di maschi musulmani gonfi di testosterone, come dice Silvana De Mari, “senza donne, in età militare, nullafacenti, senza la dignità e la stanchezza che dà un lavoro, privi di controllo sociale, mantenuti in una situazione di irresponsabilità, di impunibilità e di non rintracciabilità , coesi dall’appartenenza a una stessa religione, una religione che vieta la convivenza pacifica, che ordina l’aggressione agli infedeli, che permette ufficialmente lo stupro delle loro donne”, e poi ci aspettiamo che si comportino come cavalieri, buone maniere, baciamano, ed accettare un “no”? Un no dalle donne che trovano qui: donne “liberate”, a cui è stato insegnato fin da bambine che il pudore è schiavitù, il riserbo della propria intimità un tabù superato donne che ballano i discoteca mostrando cosce e seno e pelo pubico, ubriache? Cosa volete che capiscano, quei maschi musulmani? Noi ripetiamo continuamente loro che vengono da una società repressiva che li reprime, e poi, cosa ci aspettiamo?
Dove mai abbiamo insegnato ai giovani maschi – immigrati, carabinieri – che si deve e si può resistere alla concupiscenza? Al contrario, le ideologie e le dottrine correnti, i messaggi è pubblicitari, la depenalizzazione della pornografia, dell’adulterio, dell’aborto, la glorificazione della sodomia con pubbliche sfilate di oscenità, “celebrano la lussuria come liberazione totale”, gridano da ogni angolo, schermo e muro che “il piacere di Venere forma la felicità dell’uomo e che perciò ogni impedimento alla libido della rimuoversi come impedimento alla felicità”.
Leggo queste parole da Iota Unum di Romano Amerio. Da cui potrete apprendere che, dopo il Concilio Vaticano II, anche la Chiesa, nel ’73, in una lettera pastorale dei vescovi tedeschi, dichiarava: “la sessualità informa tutta la nostra vita e […] determina anche la sensibilità la sua sensibilità e fantasia, il nostro pensiero e le nostre decisioni”. MA questo è pansessualismo che avrebbe invidiato Wilhelm Reich. SE la sessualità “informa l’intera nostra vita”, anzi è “determinante persino dei nostri pensieri e decisioni” – capiscono cosa significa “determinante”? . E’determinante quello a cui non si può sfuggire, quello che è decisivo.
E infatti tutta la società liberata insegna ai giovani che la felicità sessuale è la cosa più importante nella vita, il successo erotico è la misura del senso vitale, o del “tuo fallimento come uomo” (o donna). Nemmeno la Chiesa insegna più altro: dove volete che imparino, i giovani, la contenutezza, il riserbo, il mirare a valori più alti del sesso, se persino la Chiuesa desiste ormai dal dire la verità?
La verità del pudore, spiega Amerio, non è affatto moralismo, men che meno un costume storicamente determinato, di cui ci si possa liberare con la “evoluzione” e modernità . La radicale essenza del pudore è metafisica: è la vergogna di un Adamo nato con e per lo spirito in un corpo soggetto allo zoologico, alla eiaculazione come alla defecazione, all’orgasmo come alla digestione, sentito come “l’assoggettamento della parte vedente e razionale alla parte cieca e istintiva”, il quale è “massimo nella consumazione carnale”. Per cui essa va almeno praticata nell’intimità, e “ornata” di segni di amore e gentilezza, di tutti i possibili ornamenti della cultura, della buona educazione, della civiltà e cavalleria, della protettiva sollecitudine che l’uomo deve alla donna amata, della capacità di sospirare da lontano, di ricevere con gratitudine un fazzolettino profumato, di procrastinare il desideri – tutte cose volte se non a spiritualizzare, a civilizzare la zoologia , che va sentita per quel che è: umiliazione della natura umana, nata “per altro”.
Perché, come dice Amerio, si deve mostrare e insegnare che “la natura umana non è incatenata alla concupiscenza, come voleva Lutero, ma è incatenata al combattimento – al combattimento contro la concupiscenza”.
Perché la civiltà si insegna; non nasce da sé in generazioni giovani che, chissà perché, adesso la società liberata proclama essere “tanto maturi da capire da sé”. Capire da sé cosa? E dove? In discoteca fra cocaina e alcol? Dove mai dovrebbero imparare “Il combattimento contro la concupiscenza”, quando la vita ” è presentata irrealisticamente ai giovani come ‘gioia”, dove le conquiste e i “valori” sono lì facili da cogliere, e si nasconde loro – per principio, per partito preso ideologico – che ”la vita è difficile, o se si vuole seria”, che la vita è “una condizione di milizia, anzi di guerra”, che “la vita è difficile e le cose difficili sono interessanti”, perché ciò che è dato come potenzialità deve esser fatto fiorire, coltivato: coltivazione, cultura. Civiltà. Nessuno la insegna più. Da dove devono apprenderla gli immigrati mascalzoni? Da dove i carabinieri?
Quando “il borghese e l’avvocato, il proletario il nero, il bianco, la vedova e l’orfano, tutta la società nel suo carattere endemico e transnazionale, che affonda nel cinismo, il distacco assoluto, il nichilismo, la devianza sociale, la violenza e le altre turpitudini della fuga” (Wyatt Tusérian, un vecchio punk), cosa volete? Che siano i carabinieri a non essere toccati dalla turpitudine? In una società dove i banchieri sono così, sono così i tramvieri dell’ATAc e gli ingegneri dell’ufficio tecnico di Livorno odi ISchia, dove son di scarsa qualità tutti i pubblici dipendenti, perché loro soli dovrebbero essere di qualità superiore? In un mondo dove persino El Papa è trasgressivo, si è liberato dai tabù e sputa sulle regole?, chi glielo avrà mai dovuto insegnare? La civiltà si insegna, e non lo vogliamo, né sappiamo fare. .
“Introdurre in un territorio centinaia di migliaia di maschi è un crimine”
di Silvana De Mari
(MB: Ormai dire cose evidenti richiede coraggio civico)
Europa arancia meccanica. Italia arancia meccanica. Rimini arancia meccanica. Il primo dovere di un popolo è garantire la sicurezza delle donne. Tra gli appartenenti allo stesso popolo c’è un patto di non aggressione. Chi viola questo patto è considerato un criminale, perseguito e disprezzato. Chi non appartiene a quel popolo non riconosce quel patto.
Il cosiddetto multiculturalismo, persone di etnia e lingua diversa, con strutture etiche diverse e una diversa maniera di concepire i rapporti uomo e donna che convivono su uno stesso territorio, è un’utopia mortale che permetterà lo sterminio della civiltà più impalpabile ed etera da parte di quella più brutale. Chi non appartiene a quel popolo non riconosce quel patto di non aggressione e se lo viola non è considerato un malvagio dai propri pari. Non da tutti. Ed è considerato un eroe da parecchi dei propri pari.
Qualche mese fa ho tenuto una conferenza a Verona su San Giuseppe, spiegando l’ovvio. È uno dei santi armati. Perché un falegname e non un fornaio, o un sarto? Perché i due Misteri più belli, una Donna bellissima e il suo Bambino non potevano essere affidati a un uomo disarmato. Gesù si dichiara figlio del Padre: il Padre è il Dio degli eserciti. I falegnami hanno le asce. E duemila anni fa partivano dalla materia prima quindi avevano sempre con se l’ascia perché in qualsiasi momento poteva capitare a tiro il ramo giusto, il tronco perfetto.
George Orwell affermava che tutti devono essere armati, essere armati deve essere obbligatorio. Deve essere vietato essere disarmati. Un popolo dove ogni operaio ha un fucile, afferma George Orwell è un popolo dove le ingiustizie e l’arbitri resteranno piccoli. Durante quella conferenza, ho affermato che chi non è in grado di combattere, di combattere fisicamente per la propria libertà, la perde. Alla violenza si risponde con la forza. Gli orchi si fermano militarmente. Quella conferenza ha fatto scandalo. Persino il settimanale femminile del Corsera si è scandalizzato. Ma come? Uno scrittore di libri per ragazzi che non scrive le solite quattro fregnacce che sono il verbo. Il dialogo risolve tutto. L’indignazione e la collera sono sbagliati. Le armi uccidono. Fregnacce. La crudeltà uccide. Le armi uccidono oppure proteggono. In quella scandalosa conferenza ho mostrato l’ascia, un’ascia piccola, quella con cui la mia antenata Barbara De Mari a Capo Corso ha combattuto contro i saraceni, restando viva e libera perché era armata.
Esistono i lupi . Esistono coloro che hanno consegnato ai lupi le chiavi dell’ovile. E poi ci sono i cani da pastore. Chiunque vi voglia buoni, compassionevoli fino al suicidio, incapaci di indignazione e collera, le due fondamentali emozioni di difesa, e soprattutto disarmati, sia fisicamente che spiritualmente , in realtà vi vuole morti. Oppure schiavi.
PORTE APERTE?
Antonio Socci, il Papa e gli immigrati: il durissimo attacco che ha "convertito" Bergoglio
La continua, insistente, ossessiva predicazione di papa Bergoglio a favore dell' emigrazione che esige dall' Italia e dall' Europa di spalancare le frontiere a milioni di migranti, gli ha fatto perdere le simpatie di una grossa fetta di opinione pubblica. Non solo quella più popolare che soffre maggiormente l' irrompere di tante comunità straniere.
Già da tempo sono intervenuti alcuni studiosi laici come Paul Collier, docente di Economia e Politiche pubbliche a Oxford e autore di «Exodus», lo studio fondamentale sul fenomeno migratorio.
Già da tempo sono intervenuti alcuni studiosi laici come Paul Collier, docente di Economia e Politiche pubbliche a Oxford e autore di «Exodus», lo studio fondamentale sul fenomeno migratorio.
Collier, su Catholic Herald, scrive, con riferimento a Bergoglio, che «le reazioni cristiane di fronte ai rifugiati e alle migrazioni sono caratterizzate da una certa confusione morale, e tutto ciò mentre non riescono ad affrontare le necessità reali».
Insieme al "cuore" occorre "la ragionevolezza", altrimenti si fanno danni. Infatti lo studioso ha mostrato che la politica delle porte aperte ha danneggiato proprio i Paesi di provenienza dei migranti, perché li ha privati delle energie migliori per la ricostruzione.
Inoltre danneggia i poveri e i lavoratori dei paesi europei perché lo "Stato sociale" non può provvedere a loro e a milioni di stranieri bisognosi che arrivano. Non ci sono le risorse. E Collier afferma che non si ha diritto di definire "razzismo" le preoccupazioni dei nostri poveri.
Le frontiere degli Stati nazionali - ha aggiunto Collier in polemica con certi strali bergogliani - «non sono abomini morali». Sono, come i muri di ogni abitazione per le nostre famiglie, la protezione della vita pacifica di una comunità. E il diritto di emigrare dal proprio Paese non significa che si ha automaticamente diritto di immigrare dove si vuole.
Insieme al "cuore" occorre "la ragionevolezza", altrimenti si fanno danni. Infatti lo studioso ha mostrato che la politica delle porte aperte ha danneggiato proprio i Paesi di provenienza dei migranti, perché li ha privati delle energie migliori per la ricostruzione.
Inoltre danneggia i poveri e i lavoratori dei paesi europei perché lo "Stato sociale" non può provvedere a loro e a milioni di stranieri bisognosi che arrivano. Non ci sono le risorse. E Collier afferma che non si ha diritto di definire "razzismo" le preoccupazioni dei nostri poveri.
Le frontiere degli Stati nazionali - ha aggiunto Collier in polemica con certi strali bergogliani - «non sono abomini morali». Sono, come i muri di ogni abitazione per le nostre famiglie, la protezione della vita pacifica di una comunità. E il diritto di emigrare dal proprio Paese non significa che si ha automaticamente diritto di immigrare dove si vuole.
Più sbrigativo e drastico è stato l' economista e scrittore Geminello Alvi secondo cui Bergoglio promuove una immigrazione «scriteriata» per l' abitudine dei gesuiti di fare i «filantropi coi soldi altrui». Alvi aggiunge che la predicazione bergogliana è una «disgrazia quotidiana» che ha messo «il cattolicesimo ormai in liquidazione».
Ma ormai sempre più spesso sono i cattolici a contestare la fissazione politico-teologica di Bergoglio sull' emigrazione.
L' altroieri è stata pubblicata da uno scrittore cattolico francese, Henri de Saint-Bon, esperto di Islam e di Chiese orientali, autore di vari libri, una Lettera aperta a papa Francesco che merita di essere considerata attentamente.
Saint-Bon, con un tono molto rispettoso, esprime il suo «smarrimento» di fronte alle «recenti dichiarazioni» del papa «sull' immigrazione e l' Europa». Perché hanno «urtato» la sua sensibilità di cattolico e hanno «ferito molto profondamente i francesi fieri della loro nazione» che essi sentono il dovere di «difendere e proteggere».
L' autore afferma che le dichiarazioni bergogliane «ignorano il concetto di nazione costitutivo naturale di ogni società». Inoltre «mostrano un certo disprezzo dell' Europa, che in duemila anni di storia ha donato tanti santi» e «incoraggiano le popolazioni africane e altre ancora a sradicarsi, con tutti i drammi umani che ne derivano», per «inserirsi con forza nel midollo dei paesi da loro scelti».
Ma ormai sempre più spesso sono i cattolici a contestare la fissazione politico-teologica di Bergoglio sull' emigrazione.
L' altroieri è stata pubblicata da uno scrittore cattolico francese, Henri de Saint-Bon, esperto di Islam e di Chiese orientali, autore di vari libri, una Lettera aperta a papa Francesco che merita di essere considerata attentamente.
Saint-Bon, con un tono molto rispettoso, esprime il suo «smarrimento» di fronte alle «recenti dichiarazioni» del papa «sull' immigrazione e l' Europa». Perché hanno «urtato» la sua sensibilità di cattolico e hanno «ferito molto profondamente i francesi fieri della loro nazione» che essi sentono il dovere di «difendere e proteggere».
L' autore afferma che le dichiarazioni bergogliane «ignorano il concetto di nazione costitutivo naturale di ogni società». Inoltre «mostrano un certo disprezzo dell' Europa, che in duemila anni di storia ha donato tanti santi» e «incoraggiano le popolazioni africane e altre ancora a sradicarsi, con tutti i drammi umani che ne derivano», per «inserirsi con forza nel midollo dei paesi da loro scelti».
Saint-Bon riconosce, come ogni buon cattolico, che i credenti hanno il dovere della carità: «Essa è dovuta, mi pare, allo straniero di passaggio o temporaneo. Ma non sapevo che consistesse nel dar da mangiare e da bere in modo duraturo a colui che irrompe a casa vostra e che vi impone le sue leggi. Che cosa farà Vostra Santità quando dei migranti verranno ad installarsi, contro il Suo volere, anche all' interno del Vaticano, o all' interno di Casa Santa Marta, e Le imporranno la costruzione di una moschea e l' osservanza del Ramadan? Certo, non tutti i migranti sono musulmani, ma molti lo sono, con la volontà, alla lunga, di imporre l' islam in Europa».
Lo scrittore fa presente che in nessun passo delle Sacre Scritture si incoraggia una cosa simile: «Giova forse ricordare che l' enciclica Rerum Novarum qualificava come nocivi i trasferimenti di popolazioni?
Lo scrittore fa presente che in nessun passo delle Sacre Scritture si incoraggia una cosa simile: «Giova forse ricordare che l' enciclica Rerum Novarum qualificava come nocivi i trasferimenti di popolazioni?
Infine il Catechismo della Chiesa Cattolica, precisa nel suo paragrafo 2241, che: "L' immigrato è tenuto a rispettare con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del Paese che lo accoglie, a obbedire alle sue leggi, e a contribuire ai suoi oneri". Dispiace che Vostra Santità non l' abbia ricordato».
Peraltro sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno sempre affermato che il primo valore da difendere è «il diritto di non emigrare» perché dover lasciare la propria terra è un' ingiustizia, non è un bene come fa credere Bergoglio.
Nei giorni scorsi c' è stata anche una gaffe del papa argentino che ha evidenziato la sua rottura rispetto al magistero di Benedetto XVI che è quello di sempre della Chiesa.
Egli infatti - nel suo recente Messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018, che è passato sui media come una sponsorizzazione dello «Ius soli» - ha cercato di legittimarsi con l' autorità di Benedetto XVI, sostenendo che il suo predecessore, nell' enciclica Caritas in Veritate, avrebbe detto che «la sicurezza personale» è da «anteporre sempre» alla «sicurezza nazionale».
Ecco le sue parole: «Il principio della centralità della persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI, ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale». È stato un cattolico ortodosso come Luigi Amicone a eccepire che l' enciclica di Benedetto XVI non afferma questo.
Anzi, Ratzinger, nel passo evocato da Bergoglio, dice una cosa del tutto diversa: «Possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati».
Amicone commenta: «Si capisce chiaramente che in Benedetto XVI non vi è alcuna contrapposizione tra persone migranti e "società di approdo degli stessi emigrati".
Al contrario. Egli richiama la aprospettiva di salvaguardare sia le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate", sia "al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati"».
Peraltro sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno sempre affermato che il primo valore da difendere è «il diritto di non emigrare» perché dover lasciare la propria terra è un' ingiustizia, non è un bene come fa credere Bergoglio.
Nei giorni scorsi c' è stata anche una gaffe del papa argentino che ha evidenziato la sua rottura rispetto al magistero di Benedetto XVI che è quello di sempre della Chiesa.
Egli infatti - nel suo recente Messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018, che è passato sui media come una sponsorizzazione dello «Ius soli» - ha cercato di legittimarsi con l' autorità di Benedetto XVI, sostenendo che il suo predecessore, nell' enciclica Caritas in Veritate, avrebbe detto che «la sicurezza personale» è da «anteporre sempre» alla «sicurezza nazionale».
Ecco le sue parole: «Il principio della centralità della persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI, ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale». È stato un cattolico ortodosso come Luigi Amicone a eccepire che l' enciclica di Benedetto XVI non afferma questo.
Anzi, Ratzinger, nel passo evocato da Bergoglio, dice una cosa del tutto diversa: «Possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati».
Amicone commenta: «Si capisce chiaramente che in Benedetto XVI non vi è alcuna contrapposizione tra persone migranti e "società di approdo degli stessi emigrati".
Al contrario. Egli richiama la aprospettiva di salvaguardare sia le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate", sia "al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati"».
Ma il magistero di Benedetto XVI è stato anche più chiaro.
Nel discorso ai Sindaci dell' Anci, all' udienza del 12 marzo 2011, disse: «Oggi la cittadinanza si colloca, appunto, nel contesto della globalizzazione, che si caratterizza, tra l' altro, per i grandi flussi migratori. Di fronte a questa realtà bisogna saper coniugare solidarietà e rispetto delle leggi, affinché non venga stravolta la convivenza sociale e si tenga conto dei principi di diritto e della tradizione culturale e anche religiosa da cui trae origine la Nazione italiana».
Questa necessità di difendere «la tradizione culturale e anche religiosa da cui trae origine la Nazione italiana» è centrale nell' insegnamento di Benedetto XVI. Ed è pressoché inesistente nei continui interventi di Bergoglio sull' emigrazione.
Infine è inesistente, in Bergoglio, il riconoscimento della laicità dello Stato che ha compiti e doveri (di difesa del territorio, della sicurezza e del benessere popolo italiano), diversi rispetto alla Chiesa che deve insegnare l' amore al singolo cristiano.
La Chiesa fa il suo mestiere annunciando il Vangelo a ogni persona, ma - diceva il cardinal Giacomo Biffi - lo Stato deve fare lo Stato, cioè provvedere al bene collettivo dei suoi cittadini, all' ordine civile e alla prosperità.
Nel discorso ai Sindaci dell' Anci, all' udienza del 12 marzo 2011, disse: «Oggi la cittadinanza si colloca, appunto, nel contesto della globalizzazione, che si caratterizza, tra l' altro, per i grandi flussi migratori. Di fronte a questa realtà bisogna saper coniugare solidarietà e rispetto delle leggi, affinché non venga stravolta la convivenza sociale e si tenga conto dei principi di diritto e della tradizione culturale e anche religiosa da cui trae origine la Nazione italiana».
Questa necessità di difendere «la tradizione culturale e anche religiosa da cui trae origine la Nazione italiana» è centrale nell' insegnamento di Benedetto XVI. Ed è pressoché inesistente nei continui interventi di Bergoglio sull' emigrazione.
Infine è inesistente, in Bergoglio, il riconoscimento della laicità dello Stato che ha compiti e doveri (di difesa del territorio, della sicurezza e del benessere popolo italiano), diversi rispetto alla Chiesa che deve insegnare l' amore al singolo cristiano.
La Chiesa fa il suo mestiere annunciando il Vangelo a ogni persona, ma - diceva il cardinal Giacomo Biffi - lo Stato deve fare lo Stato, cioè provvedere al bene collettivo dei suoi cittadini, all' ordine civile e alla prosperità.
di Antonio Socci
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