ECCO CHI SONO I SANTI
di Francesco Lamendola
La madre di San Massimiliano Kolbe, dopo la morte di suo figlio, ha raccontato che una volta questi, da bambino, era rimasto assai colpito da un rimprovero di lei, che gli aveva detto: Figlio mio, che cosa ne sarà di te?, e si era recato in chiesa a pregare, per rivolgere quella stessa domanda proprio alla Madonna. La quale gli era apparsa e gli aveva parlato dolcemente, mostrandogli poi due corone che teneva in mano, una bianca, simbolo di purezza, e una rossa, simbolo di sacrificio. Gli aveva spiegato chiaramente che, se avesse scelto la bianca, avrebbe conservato la purezza del cuore e della mente; se avesse scelto quella rossa, sarebbe andato incontro ad una morte atroce; poi gli aveva chiesto: Quale delle due desideri? Al che il piccolo Massimiliano, senza esitare neppure un attimo, aveva risposto: Le voglio entrambe!; ed Ella, sorridendo, era scomparsa. La madre era l’unica persona al mondo che conoscesse questo episodio rivelatore; il bambino l’aveva raccontato a lei sola, a una sua precisa richiesta, per poi non parlarne più a nessun altro: era quindi un segreto che loro due soli, oltre alla Vergine Maria, conoscevano.
I cristiani dei nostri giorni, imbevuti di mentalità profana, edonista e relativista, tendono a dimenticare che il Vangelo è proprio questo: l'invito a una scelta radicale pro o contro Cristo, pro o contro il "mondo"; e che tale scelta ha dei costi, che devono essere ben considerati, in tutta la loro serietà: scegliere Cristo vuol dire andare incontro alla persecuzione, o presto o tardi; scegliere il mondo vuol dire ritagliarsi un posto al banchetto imbandito da quanti non cercano altro bene che quello offerto dalla vita terrena. Se ne dimenticano volentieri perché loro, nel mondo, ci stanno benissimo (o, quanto meno, credono di starci benissimo; anche se il loro malessere esistenziale e la loro infelicità sono evidenti), per cui non hanno alcuna voglia di fare quella tale scelta, anzi, preferiscono raccontarsi che non c'è niente di male nel voler conciliare il Vangelo con il mondo, che non c'è alcun motivo per cui non dovrebbero andare perfettamente d'accordo con ciò che piace al mondo. Se, poi, al mondo piace ciò che al cristiano dovrebbe sommamente dispiacere, perché in contrasto grave e palese con il Vangelo - l'aborto, il divorzio, l'eutanasia, tanto per fare qualche esempio - ebbene, tanto peggio: il cristiano moderno non esita a sacrificare il Vangelo, ma senza avere l'onestà di dirlo a chiare note, fingendo anzi di aver solo "adattato" lo spirito del Vangelo alle esigenze del mondo d'oggi. Astuzia miserevole, ipocrisia inaudita, ma in linea con lo spirito della civiltà moderna: mai prendere di petto ciò che si può aggirare, circuire, addomesticare, disinnescare, modificare dall'interno. Perché arrivare allo scontro diretto, esplicito? La cultura moderna vive di un dogma onnipresente: evitare il conflitto, perché il conflitto è male. Ora lo dice anche il papa: evitare tutto ciò che può creare divisione, tensione, conflitto. Tacere su ciò che produrrebbe divisione, parlare solo di ciò che accomuna. Il limite di questo atteggiamento è non considerare che il Vangelo non è una ideologia fra tante, che possa coesistere pacificamente con le altre, anche le più aberranti, mostruose e anti-umane; e che non può fingere di non vedere il male, il peccato e tutto ciò che reca offesa a Dio e all’uomo. Il cristianesimo è pacifico, ma non pacifista;proprio come il Vangelo insegna la bontà, non il buonismo. Sia la pace, sia il bene, non sono valori assoluti nel senso forte della parola: la pace è realizzabile solo insieme all'amore, il bene è realizzabile solo insieme alla giustizia. Se non c'è amore, non ci sarà vera pace; e se non c'è giustizia, non si potrà costruire il bene. La pace senza amore è pacifismo: perché l'amore è disposto a lottare per difendere il proprio oggetto, e chi non è disposto a lottare per questo, non ama davvero, dunque desidera una falsa pace, una pace solo apparente; così come il bene senza la giustizia è solo buonismo, cioè una caricatura, una contraffazione del vero bene: perché il vero bene si persegue nella piena consapevolezza che il male esiste e che occorre combatterlo, e che far finta che il male non ci sia, ma ci sia solo il bene, e che tutti siano bravi, belli e buoni, anche i malvagi più incalliti e perversi, equivale a favorire il male e a indebolire il bene.
E ora torniamo alla visione che san Massimiliano Kolbe, da bambino, della Madonna, e delle profezia che Lei gli fece della sua vita futura, invitandolo a scegliere egli stesso quale tipo di sentiero desiderasse percorrere. La verità è che tutti gli uomini sono chiamati da Dio, che tutti sono stati scelti, fin da prima di essere concepiti, per farsi collaboratori e operai nella vigna del Signore; ma pochi odono la domanda, e sono ancor meno quelli che rispondono. È scritto nel Libro di Isaia (ca. 43): Non temere, perché io sono con te; ti ho chiamato e ho pagato il prezzo del tuo riscatto; e le parole rivolte da Dio al popolo d’Israele sono le stesse che Egli rivolge a ogni singolo uomo. Tutti siamo stati chiamati, tutti siamo stati riscattati, tutti abbiamo Dio accanto a noi; ma c’è una cosa che Egli non può fare: sostituirsi alla nostra volontà, opporsi alla nostra libera scelta. Siamo chiamati da uomini liberi, non da schiavi; non è un padrone tirannico che ci chiama, ma un Padre amorevole: pertanto, a noi rimane la possibilità di scegliere per Lui o contro di Lui, di farci suoi operai oppure di essere suoi nemici. E non si creda che sia possibile una terza opzione: non esiste la neutralità morale, perché Dio è amore, e chi rifiuta Dio, rifiuta l’amore, e quindi ha scelto di essere per il male, di vivere per il male, di militare nell’esercito del male.
Ora, se tutti gli uomini sono chiamati da Dio, il cristiano è colui che, in pienezza di mente e di cuore, decide di rispondere Sì a quella chiamata. Non è pensabile, allora, che un cristiano possa pensare di scansare la Croce, perché la Croce è l’essenza del cristianesimo. Proviamo a immaginare un cristianesimo senza la Croce: Gesù non sarebbe morto sulla Croce, noi non saremmo stati redenti, La Redenzione passa per il mistero della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù: quanti immaginano che Gesù, se avesse potuto, avrebbe scansato la Croce, non hanno capito niente del cristianesimo e del Vangelo. Certo, è vero che Gesù, nell’orto degli olivi, l’ultima notte, ha pregato dicendo: Padre, se è possibile, passi da me questo calice: questo è stato il suo umano, umanissimo desiderio, perché Egli era anche vero uomo, aveva assunto la condizione umana nella carne, sino in fondo, e non per finta (come sostenevano certe eresie antiche, come il monofisismo); però, subito dopo, Egli ha soggiunto: Però sia fatta la tua volontà, non la mia; e Lui sapeva benissimo che la volontà del Padre rendeva necessaria la sua Passione, affinché la Redenzione si compisse. Questo è un mistero vertiginoso, abissale: il Padre volle che il Figlio si sacrificasse per amore degli uomini; un pensiero sconvolgente, che dovrebbe riempire i cristiani di commozione e d’infinita gratitudine: quale padre di questo mondo arriva a richiedere il sacrificio del proprio unico figlio per la salvezza di altri, di una massa di egoisti che, quasi certamente, risponderà con somma ingratitudine, o con perfetta indifferenza, a una così inaudita offerta d’amore? D’altra parte, il sacrificio del Figlio, per avere il valore di una Redenzione, doveva essere perfettamente volontario: Il Padre non ha obbligato il Figlio a sacrificarsi, ma lo ha inviato; e il Figlio, pur pienamente consapevole, umanamente parlando, della terribile sofferenza, morale e materiale, che ciò avrebbe significato, non ha esitato a uniformarsi al suo desiderio.
Ecco: i santi sono degli uomini che prendono a modello questo amore infinito che corre tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, le tre Persone della santissima Trinità (altro che essere sempre impegnate a litigare fra di loro, e sia pure a porte chiuse, come ha affermato, con una battuta assurda, inverosimile, blasfema, papa Bergoglio, nel corso di un’udienza al Palazzo Apostolico del 27 marzo 2017). E lo prendono a modello sino infondo, cioè sino alle estreme conseguenze: conseguenze che sono la denigrazione, l’odio e la persecuzione da parte del mondo. Come ha fatto san Massimiliano Kolbe, il quale ha scelto la via del martirio per seguire sino in fondo la strada indicata da Gesù, e tenuto cosi fede a quella promessa fatta da bambino, nella chiesa della sua infanzia, davanti all’altare della Madonna, alla Madre celeste che gli era apparsa e gli aveva mostrato le due corone, la bianca e la rossa. Senza dubbio, il primo pensiero che viene in mente, davanti a simili esempio di eroismo, e anche il più facile, è che, in fondo, non tutti possiamo essere dei santi. Tuttavia, non è un pensiero cristiano: la verità è che siamo tutti chiamati a essere santi, e che tutti, volendo, lo potremmo. Non che dipenda solo dalla nostra volontà e dalle nostre forze umane; certo che no: dipende dalla grazia di Dio. Ma volere la propria santificazione, e volerla per davvero, non in maniera velleitaria ed epidermica, equivale ad abbandonarsi alla volontà di Dio: e se si è capaci di tanto, la grazia di Dio non manca di venire in soccorso del richiedente. È così che un povero frate francescano polacco, tormentato, sin dalla giovinezza, dalla tubercolosi, e che già era stato dato, a suo tempo, per spacciato, ha potuto vivere una vita piena, una vita all’insegna della santità, compiendo ovunque immense opere di bene, perfino nel lontano Giappone, e sino all’ultimo, cioè sino a quell’opera fatta per mezzo della propria stessa vita, quando si è offerto in sacrificio al posto di un padre di famiglia, nel campo di sterminio di Auschwitz, a dei carnefici ai quali non importava chi fosse il morituro, purché il numero del vittime fosse rispettato. Padre Kolbe ha saputo fare quel che Cristo aveva fatto, accettando volontariamente il sacrificio supremo per amore degli uomini: e, come Lui, è morto serenamente, non già maledicendo qualcuno. Padre Kolbe non era un superuomo; al contrario: era un uomo debole e malato, più volte in pericolo mortale per la grave malattia che lo affliggeva; nondimeno, chi studia la sua vita terrena, scopre una cosa impressionante: la sua costante fedeltà al Vangelo, nelle grandi come nelle piccole cose; la sua scrupolosità, la sua tenacia, la sua fortezza immutabili, la sua determinazione ad andare sempre avanti, accettando qualunque fardello, qualunque fatica, qualunque umiliazione, sempre avanti, con imperturbabile serenità d’animo, come un alpinista intrepido, che non ha paura di nulla, non perché accecato dall’orgoglio puramente umano, ma perché ha deciso di confidare interamente in Dio, di rimettere a Lui ogni decisione, ogni responsabilità, ogni nodo da sciogliere, e di farsi, quanto a se stesso, niente di più che un umile operaio nella vigna del Signore, un servitore il quale sa che non potrebbe fare nulla se dovesse contare sulle sue sole forze.
«Quale corona desideri, la bianca o la rossa?»
di Francesco Lamendola
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