L'opera di corredenzione di San Pio: croce e tormento dell'anima, per il bene delle anime, seguendo l'esempio di Gesù Cristo Nostro Signore
Se mi ami non piangere (Sant'Agostino)
Se mi ami non piangere! Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo,
se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento in questi orizzonti senza fine,
e in questa luce che tutto investe e penetra, tu non piangeresti se mi ami.
Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio,
dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli al confronto.
Mi è rimasto l’affetto per te: una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Sono felice di averti incontrato nel tempo, anche se tutto era allora così fugace e limitato.
Ora l’amore che mi stringe profondamente a te è gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi, tu pensami così!
Nelle tue battaglie, nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine,
pensa a questa meravigliosa casa,
dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme,
nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità.
Non piangere più, se veramente mi ami!
La corredenzione del mondo
Introduzione - di sergio Basile - Lo scritto sopracitato, Se mi ami non piangere(Sant'Agostino), è una straordinaria finestra sull'eternità, che supera la portata devastante del dolore e della sofferenza umana, dando senso cristiano – altissimo – alla lacrime e alla sofferenza terrena, nonché alla morte. L'esistenza, l'accettazione e l'attuazione eroica della passione di Cristo fino alla morte di croce - mirabile, esemplare ed estrema opera di amore e di redenzione dell'umanità, dal male e dal peccato - così come l'esistenza del Paradiso e l'accettazione eroica della passione sulla propria pelle e nella propria vita, da parte di molti giusti, santi e mistici, come San Pio da Pietrelcina, specularmente testimoniano e prefigurano all'estremo opposto l'esistenza dell'egoismo senza limiti, del male personificato, satana, e dell'Inferno: luogo di perdizione eterno e terribile delle anime cattive allontanatesi da Dio e dal suo piano di salvezza. Eppure molti oggi così come non comprendono il senso cristiano della sofferenza e della morte, non credono parimenti all'inferno ( Ndr – vedi qui: La visione dell’Inferno nella società moderna e le rivelazioni di Fatima) e di conseguenza, considerandosi liberi di agire in piena anarchia, alieni dal messaggio cristiano e dal rispetto di ogni principio morale e religioso, non comprendono assolutamente la portata salvifica della Passione di Cristo, né il sacrificio estremo di molti santi e giusti, accostatisi all'opera corredentrice di Gesù, per sommo amore. Il seguente scritto (tratto dall'Epistolario di San Pio da Pietrelcina) nella sua crudezza, ci aiuta a comprendere come la salvezza del mondo e delle anime sia una questione estremamente seria che riguarda ciascuno di noi e assolutamente non esente dal dolore e dalla sofferenza, dell'anima e del corpo.
La sofferenza cristiana dei giusti rappresenta
quel che manca alla passione di Cristo
per la redenzione dell'intera umanità.
Essa diviene pertanto opera preziosissima ed unica di corredenzione.
San Pio rappresenta un modello altissimo di vita cristiana e di accettazione conformante alla salvifica passione di Gesù: questo dolore dà senso al dolore di ciascuno di noi, alle malattie, alla perdita temporanea dei nostri cari, alle croci della vita, specie se ben orientate ed accettate quali parti di un grande e misterioso disegno divino di salvezza. Senza la luce della fede, ovviamente, il dolore finisce per diventare fonte di disperazione inesauribile e frustrazione senza limiti. Sta a noi, dunque,cogliere il senso del dolore e santificarlo al fine di guadagnare il sommo ed eterno bene.
La salvezza delle anime dall'Inferno, infatti,
è una questione di primaria importanza,
per compartecipare alla quale molti santi come Padre Pio,
furono disposti ad accettare il sacrificio della Croce,
conformandosi alla Passione di Cristo
Sergio Basile
di Corrado Gnerre – Il Cammino dei tre sentieri
Il terrore della solitudine
Pietrelcina - di Corrado Gnerre - San Pio da Pietrelcina è il Santo della “sofferenza vicaria”. Egli è stato inchiodato alla Croce per cinquant’anni (partecipando all'opera di corredenzione di molte anime – Ndr). San Pio Ricevette le stimmate visibili il 20 settembre del 1918 e queste sparirono il 20 settembre del 1968. Di lì a tre giorni morì. Ma San Pio non ha sofferto solo per le stimmate. Ha sofferto sin da subito. In occasione della festa vi offriamo alcuni passaggi di sue lettere che ben descrivono le prove che si da subito la provvidenza volle che patisse. “Fratel mio, il mio martirio è superlativamente grande. Il povero cuore vorrebbe sfogare le sue ambasce, ma non ne vedo il modo. Egli è irrequieto, e non sa dove posarsi. La compagnia dei miei e delle persone care non riesce affatto a riempire il gran vuoto che sento in me, anzi a dirvi il vero, le loro cure mi accrescono il martirio del cuore, e più che mai vado esperimentando il terrore della solitudine. Quando avrà fine questo tormento?”(1) “(…) ciò che più è doloroso in questo stato per l’anima è quello di perdere ogni facilità di fare orazione e di meditare e di essere lasciata al buio in una piena e penosa aridità.”(2) “Le desolazioni spirituali sono insoffribili; si vanno sempre più maggiormente incalzando. L’autorità soltanto è quella che mi sostiene in mezzo a tanto buio. Il mio cuore è irrequieto; cerca di posarsi e non sa dove. Il vuoto che sento in me mi riempie di spavento. La memoria non rammenta quasi più nulla; l’intelletto cerca la verità prima e quando sembra apprenderla ed intenderne qualche cosa, tutta di un tratto viene piombata nelle più fitte tenebre.”(3) “Invero tutto è tristezza intorno a me e non vi è parte alcuna che non sia in alta afflizione: la parte sensitiva è posta in un’amara e terribile aridità; le potenze tutte dell’anima in un vuoto di tutte le loro apprensioni, che mi riempie di un estremo spavento.”(4)
(1) Padre Pio da Pietrelcina, Epistolario, IV, pp.190-191. (2) Padre Pio da Pietrelcina, Epistolario, II, 45. (3) Padre Pio da Pietrelcina, Epistolario, I, 364. (4) Padre Pio da Pietrelcina, Epistolario, I, 270.
Nessun raggio di luce
“Vi sono certi momenti in cui sul cielo dell’anima mia si addensano nubi sì oscure e tenebrose, da non lasciare intravedere neanche debolmente un raggio di luce. E’ l’alta notte per la povera anima. Tutto l’inferno su di lei si riversa con i suoi ruggiti cavernosi, tutta la mala vita passata e quel che più è spaventoso è che l’anima istessa con la sua fantasia e la sua immaginazione sembra votata a congiurare contro se stessa. I belli giorni passati all’ombra del suo Signore spariscono del tutto dalla mente. Lo strazio che prova la povera anima è tale, che non saprei differenziarlo dalle pene atrocissime che soffrono i dannati nell’inferno.”(5)
(5) San Pio da Pietrelcina, Epistolario, I, 186.
Il deserto dell'anima di Padre Pio
“Il buon Gesù ha posto in una estrema desolazione il mio spirito; a stento sento di sentire di vivere la vita dei figlioli di Dio. Tutto è deserto, tutto è sconforto per l’anima in questi momenti di trepidazione e di speranza. (…). Di tanto in tanto una tenuissima luce che viene dall’alto, tanto per rassicurare la povera anima che il tutto è regolato dalla provvidenza divina (…), ma ahimé! di lì a poco ella, la povera anima, viene immersa in una desolazione ben più funesta di quella di prima. (…). (Poi) nell’alta punta dello spirito sente simile ad un lieve soffiare di vento primaverile quella bellissima assicurazione del divin maestro che non può cadere un capello dal nostro capo, senza la permissione del nostro Padre celeste, che egli veglia paternalmente su di lei, e che provandola con simili desolazioni, lo fa sempre per amore e per la sua perfezione. E così, o padre, l’amarezza della prova viene addolcita dal balsamo della bontà e della misericordia di Dio.”(6) “(…) questa mia speranza in Gesù accresceva sempre più la collera della milizia di satana contro di me. Ed, ahimè, con quante lagrime, con quanti sospiri, con quanti gemiti chiedevo l’aiuto del cielo! Ma questo mi pareva che fosse divenuto di bronzo.”(7)
(6) Padre Pio da Pietrelcina, Epistolario, I, 263. (7) Padre Pio da Pietrelcina, Epistolario, I, 128.
La storia dei santi: maestra dell'umanità
“La vita è per me insopportabile e solo la sopporto per piacere allo Sposo delle anime che così vuole, sebbene però, e non ve lo nascondo, assai violenza bisogna che mi faccia per emettere quest’atto di rassegnazione. In certi momenti è tale la forza che fo a me stesso per quest’atto di rassegnazione da dislogarmi tutte le ossa. Il desiderio di essere sciolto per unirmi a lui è una spada che mi trafigge e mi trapassa il cuore da più anni; è una fiamma che mi va consumando lentamente.”(8) “Ai mondani sembra incredibile che vi siano delle anime che soffrono nel vedersi dalla provvidenza prolungata la vita. Eppure la storia dei santi è e sarà la maestra dell’umanità. Dalle pene atrocissime che le anime dei giusti soffrono nel vedersi lontane dal loro centro, possiamo formarci, o Raffaelina, una languida idea di ciò che dette anime soffrono persino nel dover soddisfare ai bisogni più necessari della vita, quali sono il mangiare, il bere e il dormire. E se Iddio pietoso non accorre, specie in certi momenti ed in certi giorni, con una specie di miracolo col togliere loro la riflessione nel mentre che adempiono a questi atti necessari della vita, per le poverine è tale il tormento che esperimentano nel fare un atto solo di simil fatta, di cui non possono esse esentarsi, che io, senza tema di mentire, non saprei trovare un po’ di assimilazione se non in ciò che dovettero esperimentare quei martiri che furono bruciati vivi dando così loro la vita a Gesù in testimonianza della loro fede. Forse per qualcuno questa similitudine, potrebbe sembrare una esagerazione bella e pura, ma so io, mia cara Raffaelina, quello che mi dico. Il giorno dell’universale giudizio vedremo purtroppo queste anime che senza aver dato il loro sangue per la fede, dico che le vedremo coronate, al pari dei martiri, con la palma del martirio.”(9)
(8) Padre Pio da Pietrelcina, Epistolario, II, 14. (9) Padre Pio da Pietrelcina, Epistolario, II, 53.
Una croce per co-redimere le anime
“Cosa devo dirvi delle cose appartenenti al mio spirito? Il mio stato si va facendo sempre più critico, e la prova è giunta sino al punto da poter quasi dire: non ne posso più. Dio mio, dove si andrà a finire di questo passo? Non vedi che io muoio in ogni istante senza lasciare mai di vivere di quella vita che non vorrebbe vivere e che si sopporta per solo motivo di non contravvenire ai vostri giusti ed eterni ed eterni voleri?”(10) “L’è questa spina conficcata sempre lì nel cuore, che non mi lascia libero un istante. Io non riesco, figliuola mia, a rimuoverla nemmeno per un istante. Con questa croce conficcata nell’alta punta dello spirito, ogni bene mi è di tormento, ogni occupazione, ogni distrazione mi è noiosa, la vita stessa mi è pesante ed amara. Vi penso, meglio, la sento, la veggo sempre lì il giorno, l’ho sempre presente nei miei sogni la notte. Essa è sempre la prima che mi si presenta al pensiero e allo svegliarmi è sempre la prima che mi si presenta per lacerare il cuore, e l’ultima con cui e sopra di cui mi addormento. Deh, mia buona figliuola, aiutami.”(11)
(10) Padre Pio da Pietrelcina, Epistolario, I, 513. (11) Padre Pio da Pietrelcina, Epistolario, III, p.723.
Corrado Gnerre – Il Cammino dei Tre Sentieri
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23 settembre – Festa di san Pio da Pietrelcina. Ti aiutiamo a capire cosa ha sofferto per noi
di Corrado Gnerre – Il Cammino dei tre sentieri
introduzione di Sergio Basile
Francisco e Giacinta Marto, Veggenti di Fatima, si sono fatti santi in così poco tempo anche perché sono andati “diretti” al contenuto essenziale della vocazione cristiana: preghiera e sacrificio mossi ed informati dalla Carità divina. Si sono saputi immolare perché rapiti, avvolti da quella Carità oceanica che tutto muove e tutto crea, di quella Carità di cui la Vergine Benedetta, apparendo a Fatima ai Pastorelli, si è fatta « Maestra che introduce i piccoli veggenti nell’intima conoscenza dell’Amore trinitario e li porta ad assaporare Dio stesso come la cosa più bella dell’esistenza umana. Un’esperienza di grazia che li ha fatti diventare innamorati di Dio in Gesù, al punto che Giacinta esclamava: “Mi piace tanto dire a Gesù che Lo amo! Quando Glielo dico molte volte, mi sembra di avere un fuoco nel petto, ma non mi brucio”. E Francesco diceva: “Quel che m’è piaciuto più di tutto, fu di vedere Nostro Signore in quella luce che la Nostra Madre ci mise nel petto. Voglio tanto bene a Dio!” (Memorie di Suor Lucia, I, 42 e 126) » (1).
È questa profonda esperienza di Dio che li ha misticamente addestrati facendoli giungere, attraverso una generosità mai satura, ad una Carità che si dilatava verso i bisogni di tutto il mondo. Consolare Gesù e Maria offesi era la loro grande passione. Parlando di Francisco, il papa Giovanni Paolo II all’Omelia della beatificazione ricordava che a lui « Dio si fece conoscere “tanto triste”, come egli diceva. Una notte, suo padre lo sentì singhiozzare e gli domandò perché piangesse; il figlio rispose: “Pensavo a Gesù che è tanto triste a causa dei peccati che si fanno contro di Lui”. Un unico desiderio (…) muove ormai Francesco ed è quello di “consolare e far contento Gesù” (…). Francesco sopportò le grandi sofferenze causate dalla malattia, della quale poi morì, senza alcun lamento. Tutto gli sembrava poco per consolare Gesù; morì con il sorriso sulle labbra. Grande era, nel piccolo, il desiderio di riparare per le offese dei peccatori, offrendo a tale scopo lo sforzo di essere buono, i sacrifici, la preghiera » (2).
« Anche Giacinta, la sorella più giovane di lui di quasi due anni, viveva animata dai medesimi sentimenti », ma a Lei fu dato soprattutto di condividere e vivere l’afflizione della Madonna per i peccati che si commettono e per le anime che vanno all’Inferno, « offrendosi eroicamente come vittima per i peccatori. Un giorno, quando essa e Francesco avevano ormai contratto la malattia che li costringeva al letto, la Vergine Maria venne a visitarli in casa, come racconta Giacinta: “La Madonna è venuta a vederci e ha detto che molto presto verrà a prendere Francesco per portarlo in Cielo. A me ha chiesto se volevo ancora convertire più peccatori. Le ho detto di sì”. E, quando si avvicina il momento della dipartita di Francesco, la piccola gli raccomanda: “Da parte mia porta tanti saluti a Nostro Signore e alla Madonna e dì loro che sono disposta a sopportare tutto quanto vorranno per convertire i peccatori”. Giacinta era rimasta così colpita dalla visione dell’Inferno, avvenuta nell’apparizione di luglio, che tutte le mortificazioni e penitenze le sembravano poca cosa per salvare i peccatori (3).
Il loro sacrificio, la loro penitenza, la loro sofferenza erano mossi dal desiderio di interporsi tra Dio ed i peccatori ingrati e, placando la Sua giustizia oltraggiata, salvare tanti dall’eterna dannazione: « Nella Sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima, quando la Madonna domanda: “Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?” (Memorie di Suor Lucia, I, 162) » (4). I santi Francisco e Giacinta, così, sono andati davvero all’essenziale, facendosi vittime con Gesù Vittima, agnellini immolati con l’ “Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” (cf. Gv 1, 29).
Li muoveva una carità gigante e mai sazia di offrire e soffrire per amor di Gesù e Maria, per la salvezza dei peccatori, per riparare i peccati. Suor Lucia, nelle sue Memorie, racconta numerosissimi fioretti legati alle penitenze ed ai sacrifici dei suoi piccoli cugini. Ne riporto qualcuno ad edificazione di tutti:
« Passati alcuni giorni, andavamo con le nostre pecorelle per un sentiero sul quale trovai un pezzo di corda di un carro. La raccolsi e, giocando, l’annodai a un braccio. Non tardai ad accorgermi che la corda mi faceva male. Dissi allora ai miei cugini: “Guardate. Questa fa male! Potremmo legarla alla vita e offrire a Dio questo sacrificio”. Quei poveri bambini accettarono prontamente la mia idea, e subito la dividemmo fra noi tre. Il nostro coltello, fu lo spigolo d’una pietra battuta su un’altra. Sia per la grossezza e l’asprezza della corda, sia perché a volte la stringevamo troppo, questo strumento talora ci faceva soffrire orribilmente. Giacinta qualche volta lasciava cadere alcune lacrime per il dolore che la corda le causava; e quando io le suggerivo di toglierla, rispondeva: “No! Voglio offrire questo sacrificio al Signore, in riparazione e per la conversione dei peccatori”. Un’altra volta, giocavamo cogliendo dai muri certe erbe con le quali, stringendole nelle mani, si produce un piccolo scoppio. Giacinta raccogliendo quelle erbe, raccolse senza volere anche delle ortiche, con le quali si punse. Sentendo il dolore, le strinse ancor di più nelle mani, e ci disse: “Guardate, guardate un’altra cosa con cui ci possiamo mortificare!” Da quel giorno, prendemmo l’abitudine di darci ogni tanto con le ortiche dei colpi sulle gambe, per offrire a Dio anche quel sacrificio » (5).
Ancor più commovente ed eroica era la generosità da cui i piccoli Santi erano mossi nell’offrire a Dio le sofferenze morali, che ricevevano come provenienti direttamente dalle Sue paterne mani. Pregante è questa pagina delle Memorie di suor Lucia, che racconta la loro esperienza quando furono fatti prigionieri dal Sindaco di Ourém: « Quando, dopo averci separati, ci riunirono di nuovo in una stanza della prigione dicendo che da lì a poco sarebbero tornati per friggerci, Giacinta si allontanò da noi verso una finestra che si apriva sul mercato del bestiame. Pensai, all’inizio, che stesse distraendosi con quel che vedeva, ma presto mi accorsi che stava piangendo. Andai a prenderla, e le chiesi perché piangesse: “Perché – rispose – moriremo senza rivedere i nostri papà e le nostre mamme! E con le lacrime che le scorrevano per le guance: “lo voglio almeno veder la mia mamma!” “Ma dunque non vuoi offrire questo sacrificio per la conversione dei peccatori?” “Lo voglio, lo voglio”. E con le lacrime che le bagnavano il viso, con le mani e gli occhi alzati al Cielo, fece la sua offerta: “O mio Gesù! È per Vostro amore, per la conversione dei peccatori, per il Santo Padre e in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria!” I carcerati che erano presenti a questa scena ci vollero consolare e dicevano: “Ma dite al sindaco questo vostro segreto”. Cosa importa a voi che quella Signora non voglia? “Dirlo, no! – rispose Giacinta, con vivacità – piuttosto voglio morire!” (6).
È, questa Carità sacrificale, carità che non inganna e non illude gli altri nè si prende gioco di Dio, perché è la stessa Carità di Cristo sofferente e morente per noi: “Non c’è Carità più grande di chi dà la vita per i propri amici” (cf Gv 15, 13). In questo senso, questa carità sacrificale è il più fruttuoso “amore per i poveri” del mondo perché non ubriaca nell’illusione di salvarli dai mali sociali e dai disagi economici (« i poveri li avrete sempre con voi », ricordava il Signore – Gv 12, 8) ma, per mistero soprannaturale, realizza una “vicaria spirituale” per cui i veri amanti di Dio e delle anime liberano tanti loro fratelli dal peccato e dalle fiamme dell’Inferno: « La cosa veramente sconvolgente, indicibile, è la sofferenza vicaria, l’esistenza di vittime che silenziosamente, da tutti ignorate, si caricano di sofferenze per pagare colpe altrui, espiano per tutti, liberando anche tante anime del Purgatorio. Questa opera è l’unico, grande movimento di liberazione, l’unica vera “teologia della liberazione” che renda felici delle moltitudini e che non provochi tragedie » (7).
Note
1) Papa BENEDETTO XVI. Omelia sulla spianata del Santuario di Fatima, 13 maggio 2010: https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/homilies/2010/documents/hf_ben-xvi_hom_20100513_fatima.html
2) Papa GIOVANNI PAOLO II, Omelia, Messa per la beatificazione dei venerabili Francesco e Giacinta, 13 maggio 2000: https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/travels/2000/documents/hf_jp ii_hom_20000513_beatification-fatima.html
3) Papa GIOVANNI PAOLO II, Omelia citata.
4) Papa BENEDETTO XVI, Omelia citata.
5) Suor LUCIA DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA, Memorie, Secretariados dos Pastoriňos, Fatima8 2005, p. 92.
6) Ivi, pp. 51-52.
7) A. SOCCI, Il segreto di Padre Pio, Rizzoli, Milano 2007, p. 226.
LE NOSTRE MESSE SCIALBE E QUELLA DI PADRE PIO, UN «MISTERO TREMENDO» VISSUTO AI PIEDI DELLA CROCE
«Un aspetto essenziale del sacro ministero, e ravvisabile nella vita di padre Pio, è l’offerta che il sacerdote fa di se stesso, in Cristo e con Cristo, come vittima di espiazione e di riparazione per i peccati degli uomini. Il sacerdote deve avere sempre davanti agli occhi la definizione classica della propria missione, contenuta nella Lettera agli Ebrei: “Ogni sommo sacerdote, scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati”… Questa offerta deve raggiungere la sua massima espressione nella celebrazione del sacrificio eucaristico. E chi non ricorda il fervore col quale padre Pio riviveva, nella Messa, la passione di Cristo? Da qui la stima che egli aveva della Messa – da lui chiamata “un mistero tremendo” – come momento decisivo della salvezza e della santificazione dello uomo mediante la partecipazione alle sofferenze stesse del Crocifisso. “C’è nella Messa – diceva – tutto il Calvario”. La Messa fu per lui la “fonte ed il culmine”, il perno ed il centro di tutta la sua vita e di tutta la sua opera».
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