ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 30 settembre 2017

Un esempio per noi


Dio ci chiama a una nuova crociata / 3

L’albero di fichi senza frutti significa la stessa cosa della donna curva; il fatto che sia risparmiato l’albero di fichi indica lo stesso che il raddrizzamento della donna (san Gregorio Magno).

Non è un indovinello. San Gregorio Magno sta commentando, collegandole, due pericopi che nel Vangelo di san Luca si susseguono: la parabola del fico sterile e la guarigione della donna curva (Lc 13, 6-17). L’esegesi allegorica del grande Papa vede in entrambi un’immagine dell’umanità, piegata dal peccato originale e incapace di portare buoni frutti, nella sua condizione decaduta. Il fatto che il padrone del campo vada a cercare frutti per la terza volta richiama al Pontefice le tre forme in cui Dio ha soccorso l’umanità: la legge naturale, che ogni uomo può riconoscere con l’intelletto per dirigere i propri comportamenti; la legge positiva, rivelata per mezzo di Mosè al popolo eletto; la grazia, concessa con la propria stessa presenza grazie all’Incarnazione. Le anime dei perversi non si lasciano però né correggere dalla legge naturale, né istruire dai precetti né convertire dai miracoli, nonostante le cure di quanti sono preposti alla vigna del Signore.


Uno sguardo al contesto scritturistico e all’uso liturgico del passo ci suggerisce di applicare la geniale intuizione di san Gregorio, in prima istanza, all’antico Israele. Il passo evangelico è infatti utilizzato il sabato delle Quattro Tempora d’autunno, che coincide grosso modo con la festa ebraica dello Yom Kippur, il giorno della grande espiazione. L’epistola della Messa (Eb 9, 1-13) afferma chiaramente che lo scopo cui mirava il rito di purificazione che il sommo sacerdote eseguiva quel giorno, entrando da solo, un’unica volta all’anno, nel Santo dei Santi, è stato in realtà ottenuto con la morte, risurrezione e ascensione al cielo di Gesù, penetrato nel vero santuario di Dio (di cui quello terreno era una copia) non con il sangue di animali, ma con il proprio stesso sangue. A differenza del rito mosaico, che era solo una prefigurazione di per sé inefficace, l’atto compiuto da Cristo ci ha procurato una redenzione definitiva ed eterna.

Anche il contesto biblico incoraggia questa interpretazione a livello letterale. La parabola del fico sterile è strettamente connessa all’episodio precedente, in cui Gesù, a partire da fatti luttuosi che gli sono stati riferiti, ammonisce gli ascoltatori che, se non si convertono, faranno tutti una fine analoga a quella delle vittime, che rappresentano tanto la Galilea delle genti quanto la stessa Città santa (cf. Lc 13, 1-5). Alla fine del capitolo il Signore profetizza l’esclusione dei suoi contemporanei dal Regno di Dio e rimprovera Gerusalemme, che uccide i profeti, di non aver permesso che Egli radunasse i suoi figli, sebbene ci avesse provato tante volte anche in passato (indice, questo, della coscienza divina di Gesù). Altri – gli ultimi che saranno primi – prenderanno il loro posto venendo da Oriente e Occidente, mentre Dio abbandonerà il Suo tempio e i giudei non vedranno più il Messia, finché un giorno non diranno: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Lc 13, 35; cf. Lc 13, 28-30.34-35).

«Ipocriti! Sapete discernere l’aspetto della terra e del cielo; come mai non discernete questo tempo di grazia?» (Lc 12, 56). San Marco, dal canto suo, mostra le terribili conseguenze di questo mancato riconoscimento: l’enigmatica maledizione del fico senza frutti inquadra la cacciata dei mercanti dal tempio, divenuto una spelonca di ladri, ma destinato ad essere casa di preghiera per tutte le genti (cf. Mc 11, 12-21). L’antica economia sacrificale, rimasta infruttuosa e isterilitasi in un formalismo corrotto, ha esaurito la sua funzione e sta per lasciare il posto alla nuova, fondata sull’unico Sacrificio realmente efficace, che sarà offerto a Dio da un capo all’altro della terra (cf. Mal 1, 11). Il tempio di Gerusalemme sarà raso al suolo quarant’anni più tardi e la parte d’Israele che non sarà divenuta Chiesa sarà dispersa. Anche l’ultima possibilità offerta al fico dal coltivatore, che con la propria Passione vuole zappargli intorno e concimarlo prima che il padrone lo tagli (cf. Lc 13, 7-9), si sarà rivelata vana per la maggioranza del popolo.

San Paolo, giudeo convertitosi dalla sua intransigenza farisaica, intravede tuttavia uno spiraglio di speranza: un piccolo resto è rimasto fedele e Dio, un giorno, reinnesterà sul ceppo dell’olivo santo i rami da Lui potati per far posto ai rami di olivastro, i cristiani provenienti dal paganesimo; una volta entrata la totalità delle genti, anche Israele si convertirà e sarà salvato (cf. Rm 11, 4-5.16-27). Il Signore aveva già misteriosamente preannunciato questo evento raddrizzando – con una semplice parola d’autorità – la donna che da diciotto anni era tenuta curva, tanto da non poter guardare in alto, da uno spirito di infermità (Lc 13, 11-13), cioè dalle illegittime dottrine rabbiniche che opprimevano tutto il popolo, da lei simboleggiato. Per questo san Paolo applica proprio alla sua gente, induritasi in un’osservanza esteriore, questo versetto dei Salmi: «Siano oscurati i loro occhi sì da non vedere e fa’ loro curvare la schiena per sempre!» (Rm 11, 10; cf. Sal 68, 24). La loro caduta non è però irreversibile: se il loro rigetto occasionò la riconciliazione del mondo, che cosa non comporterà la loro riammissione (cf. Rm 11, 15)?

Quanto avvenuto nella storia sacra è un esempio per noi (cf. 1 Cor 10, 6). L’albero piantato e coltivato da Dio, poi resosi nuovamente infruttuoso, sarà tagliato, ma ributterà con la conversione di tanti non cristiani – compresi gli ebrei – e rifiorirà in uno splendore mai visto prima. Non intendo preconizzare un’altra Chiesa, ma un suo radicale rinnovamento operato non dagli uomini, ma da Dio. Quello che il Signore si aspetta da noi, in termini di necessaria preparazione e collaborazione, è che formiamo quel piccolo resto da cui, dopo la catastrofe, ripartirà la Chiesa del tempo futuro. Non siamo in grado di prevedere in che consisterà tale sconvolgimento (scisma, guerra mondiale o cataclisma naturale), ma questo non è essenziale. Anziché romperci la testa in inutili pronostici o lasciarci fuorviare da presunte rivelazioni, concentriamoci sul presente e su quello che dobbiamo fare per predisporre agli eventi noi stessi e quanti lo vorranno.

Pur senza perderci in improbabili previsioni, possiamo comunque cogliere i segnali che il nostro tempo ci invia e organizzarci di conseguenza. In Italia le forze dell’ordine sono state per lo più private della capacità operativa di proteggere i cittadini e di impedire i crimini comuni. I genitori, per poter mandare i figli a scuola, sono ormai costretti a lasciarli avvelenare con i cosiddetti vaccini, mentre chi resiste rischia di vedersi tolta la patria potestà – per non parlare del rischio che i bambini siano sessualmente pervertiti fin dall’asilo. Tasse esorbitanti, poi, monopoli mafiosi e regolamenti asfissianti soffocano ogni iniziativa con cui i giovani possano costruirsi un futuro. È quindi del tutto legittimo cominciare a provvedere da sé ribellandosi alla terrificante schiavitù del Leviatano mondialista. Essere pochi non è un problema, anzi rientra pienamente nelle condizioni stabilite dal Cielo; l’importante è che quei pochi siano realmente uniti a Cristo per mezzo di Maria, credendo, pregando e facendo penitenza.

Bisogna dunque formare piccole unità di credenti riunite da un sacerdote fedele e collegate in rete. Un riconoscimento formale non è strettamente necessario, a meno che non si riveli indispensabile per tutelare i membri del gruppo; in questo caso, in linea di massima, è meglio chiederlo a livello civile che a livello ecclesiastico. Ogni unità dovrebbe comprendere, nei limiti del possibile, almeno un medico, un avvocato e un militare, in previsione di circostanze in cui non sia possibile curarsi nelle strutture pubbliche, o ci si debba difendere da ingiuste accuse o leggi inique, o si sia costretti all’autodifesa (che è un obbligo morale nei confronti degli indifesi e di coloro di cui si ha la tutela). Sarebbe poi un’ottima cosa incrementare le scuole parentali già esistenti e, se ci sono le forze, crearne di nuove, oppure, per gli adolescenti, aprire dei dopo-scuola in cui correggere le storture dell’istruzione ufficiale e offrire ai ragazzi un ambiente sano di socializzazione.

È altresì urgente formare competenti evangelizzatori, laici e consacrati, che portino la luce del Vangelo a tutti, musulmani, cinesi, ebrei e – perché no? – massoni, così da farne, da nemici, ardenti apostoli, proprio come l’uomo di Tarso. A livello intraecclesiale, diamo con entusiasmo la nostra adesione alla Correctio filialis sommergendo il Vaticano di comunicazioni di appoggio, senza curarci dell’esecrazione del mondo e dei lealisti. Come e quando il Signore interverrà, lo lasciamo al Suo divino consiglio; ma, da parte nostra, ci vuole un deciso sussulto di resistenza attiva perché il Suo intervento trovi almeno una base su cui innestarsi: anche qui la grazia suppone la natura.

Tu, sorgendo, avrai pietà di Sion, perché è tempo di averne pietà […]. È il Signore che ha edificato Sion [= la Chiesa] per manifestarsi nella sua gloria. Egli ha guardato alla preghiera degli umili e non ha disprezzato la loro supplica. Questo sia scritto per la generazione futura, perché il popolo che sarà creato lodi il Signore (Sal 101, 14.17-19).

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