Fate domande (ma non dubia) guardandomi negli occhi
Il seguente testo è apparso, a firma “Francesco”, sulla Repubblica odierna. E’ stato poi ripreso in più luoghi. Secondo la stucchevole propaganda di certi pasdaran bergogliani, il poverino sarebbe vittima di un complotto giornalistico, che modifica e distorce sistematicamente ciò che egli dice. Ma le parole del diretto interessato, e la ricorrente pubblicazione di libri in cui si riportano le interviste da lui rilasciate (è appena del 2014 il precedente, targato LEV, per non contare il volume intitolato “Dialogo”, a quattro mani con Scalfari), raccontano una storia ben diversa. A chi vuole, auguriamo di aprire gli occhi. [RS]
Ho faccia tosta, ma sono anche timido. A Buenos Aires avevo un po’ timore dei giornalisti. Pensavo che avrebbero potuto mettermi in difficoltà e per questo non davo interviste.
Ma un giorno mi sono lasciato convincere da Francesca Ambrogetti, pensando al bene che ne sarebbe potuto venire. Mi ha convinto e io mi sono fidato di lei. E quindi una volta al mese, alle nove del mattino, vedevo lei e Sergio Rubìn, e alla fine uscì il libro-intervista “El Jesuita”.
Ho sempre avuto timore delle cattive interpretazioni di ciò che dico.
Di quella prima intervista da arcivescovo di Buenos Aires non mi piacque la copertina, ma rimasi molto contento di tutto il resto. La storia delle mie interviste da arcivescovo è cominciata così. In seguito ne ho date altre a Marcelo Figueroa e Abraham Skorka. Sempre sulla fiducia nelle persone con le quali dialogavo.
Ero già Papa quando p. Antonio Spadaro venne a chiedermi un’intervista. La mia reazione istintiva fu di incertezza, come in passato, e gli dissi di no. Poi sentii che potevo avere fiducia, che dovevo fidarmi. E accettai. Con lui ho fatto due lunghe interviste che sono raccolte in questo volume. Spadaro è il direttore della Civiltà Cattolica, rivista da sempre strettamente legata ai papi. Lui è stato presente nelle interviste e nelle conversazioni di questo libro e si è fatto carico delle mie parole.
Dopo quella prima intervista nell’agosto del 2013 sono venute le altre, anche quelle che do in aereo nel ritorno dai viaggi apostolici. Anche lì, in quei viaggi, mi piace guardare le persone negli occhi e rispondere alle domande con sincerità. So che devo essere prudente, e spero di esserlo. Prego sempre lo Spirito Santo prima di cominciare ad ascoltare le domande e di rispondere. E così come non devo perdere la prudenza, non devo perdere nemmeno la fiducia. So che questo può rendermi vulnerabile, ma è un rischio che voglio correre.
Le interviste per me hanno sempre un valore pastorale. Tutto quello che faccio ha valore pastorale, in un modo o in un altro. Se non avessi questa fiducia, non concederei interviste: per me è ben chiaro. E’ una maniera di comunicazione del mio ministero. E unisco queste conversazioni nelle interviste con la forma quotidiana delle omelie a Santa Marta, che è, diciamo così, la mia “parrocchia”. Ho bisogno di questa comunicazione con la gente. Lì, quattro giorni a settimana, vengono a trovarmi venticinque persone di una parrocchia romana, insieme ad altre.
Ho una vera e propria necessità di questa comunicazione diretta con la gente. Concedere un’intervista non è come salire in cattedra: significa incontrarsi con giornalisti che spesso ti fanno le domande della gente. Una cosa in cui mi ritrovo bene è anche parlare con piccole riviste e giornali popolari. Mi sento ancora più a mio agio. Infatti in quei casi ascolto davvero le domande e le preoccupazioni della gente comune. Cerco di rispondere in modo spontaneo, in una conversazione che voglio sia comprensibile, e non con formule rigide. Uso anche un linguaggio semplice, popolare. Per me le interviste sono un dialogo, non una lezione.
Per questo non mi preparo. A volte ricevo le domande in anticipo, ma quasi mai le leggo o ci penso sopra. Semplicemente non mi viene in mente niente. Altre volte, in aereo, immagino le domande che potrebbero farmi. Ma per rispondere ho bisogno di incontrare le persone e di guardarle negli occhi.
Sì, ho ancora paura di essere male interpretato. Ma, ripeto, voglio correre questo rischio pastorale. Questo mi succede anche in altri casi. A volte nei miei intervistatori ho notato (anche in chi si dice molto lontano dalla fede) grande intelligenza ed erudizione. E pure, in alcuni casi, la capacità di lasciarsi toccare dal “tocco” di Pascal. Questo mi commuove e lo apprezzo molto. […]
Desidero una Chiesa che sappia inserirsi nelle conversazioni degli uomini, che sappia dialogare. E’ la Chiesa di Emmaus, in cui il Signore “intervista” i discepoli che camminano scoraggiati. Per me l’intervista è parte di questa conversazione della Chiesa con gli uomini d’oggi.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.