ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 6 ottobre 2017

Pietro no, lui sì.

Dio tollera i nostri peccati? Pietro ha tradito o rinnegato Gesù?



Cari Amici non è pignoleria la nostra, ma sana apologetica e comprensione nell’uso di certi termini che, leggendo i Vangeli o il Magistero ecclesiale, fanno la differenza.
Non è la prima volta che il santo Padre Francesco, e non solo lui, attribuisce a Pietro il “tradimento” usando lo stesso termine per Giuda “il traditore”. Si poteva pensare ad un errore di lingua, il Papa spiega le sue omelie mattutine in italiano e forse, l’uso di certi termini, non fanno per lui alcuna differenza, si esprime in buona fede. O quando dice espressamente che “Dio tollera i peccati“… Sono in molti che ci hanno scritto chiedendoci un chiarimento, anche per l’ultima omelia del mattino 4 ottobre, nella quale il santo Padre ha espresso questi due pensieri in modo ambiguo:
  1. basti pensare, ha rilanciato il Papa, «all’abbandono dei discepoli, al tradimento di Pietro».
  2. In questo modo si può «fare oggi un colloquio con lui: quante volte io cerco di fare tante cose e non guardo te, che hai fatto questo per me? Tu che sei entrato in pazienza — l’uomo paziente, Dio paziente — e che con tanta pazienza tolleri i miei peccati, i miei fallimenti?».
Dio tollera i nostri peccati e i nostri fallimenti?
Ci scusiamo se per alcuni può sembrare una vana pignoleria, la nostra, ma non è così. Nell’uso di certi termini ci giochiamo davvero molto. Dio non può tollerare affatto i peccati e i nostri fallimenti, cerchiamo di capire il perchè.
Non ce lo inventiamo noi, ecco le parole di Benedetto XVI all’Angelus del 13 marzo 2011: ” Di fronte al male morale, l’atteggiamento di Dio è quello di opporsi al peccato e salvare il peccatore. Dio non tollera il male, perché è Amore, Giustizia, Fedeltà; e proprio per questo non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva…”
Il problema nelle parole di Papa Francesco sta in quella separazione tra “peccato e male”, sembra quasi – ed è qui l’ambiguità – che il male e il peccato siano due atti separati mentre sono due aspetti di una sola radice. Dio non può tollerare il male perché ci conduce al peccato e dunque si oppone, non tollera anche il peccato perché esso ci condurrebbe a morte certa, alla dannazione eterna, se lo tollerasse Dio sarebbe in contraddizione.
Papa Francesco avrebbe dovuto dire che Dio “tollera IL PECCATORE”, Dio sopporta e tollera l’uomo – amandoci – non i nostri fallimenti, ma il fatto che l’uomo è fragile e facile al fallimento ed Egli lo aiuta e lo sostiene non nel suo peccare o fallire, ma nel rialzarsi, nel convertirsi, nel riscattarsi per “non peccare più.”
Che cosa comporta se si prendessero alla lettera le parole usate da Papa Francesco?Accadrebbe il pensare che Dio, tollerando il peccato, accetta anche la situazione degli uomini che vivono nel peccato perché fragili e incapaci di correggersi. Da qui l’inutilità dell’uomo a convertirsi, a smetterla di peccare, smetterla di lottare per combattere i vizi, si vive come si può ché tanto Dio perdona tutto. Sembra così – purtroppo – che al Papa Francesco interessino solo i peccati contro la carità intesa esclusivamente quale gesto di umanitario servizio ai poveri quale unica offesa a Dio, imperdonabile, per lui non esisterebbe la gravità di altro genere di peccato, sembra che tutto il resto venga così inserito nella “fragilità” e nei fallimenti “tollerati da Dio”. Va da sé che tutto ciò rientra nella pura eresia.
Nella pastorale odierna che proviene in gran parte dall’eresia Modernista e dalla nouvelletheologiec’è un chiaro disfacimento della volontà dell’uomo a non peccare, e si va dicendo che “tanto nessuno riesce a vivere senza peccare, siamo tutti peccatori…” quasi fosse una giustificazione al peccare. Purtroppo questo pensiero ha radici luterane sulla Giustificazione, ed ha infettato anche la cattolicità. Lutero prende la frase giovannea: “Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; e se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto…” (1Gv.2,1) per giustificare l’impossibilità degli uomini di non cadere nel peccato, e dunque di confidare in Cristo, credere in Lui, e tutto si risolverà, indipendentemente dalla nostra volontà.
Lutero attacca così la dottrina del “libero arbitrio”, per lui l’uomo è incapace di non peccareed ecco la sua dottrina sulla Giustificazione atta a tollerare il peccato, purchè tu sia un cristiano, la sua battaglia contro la Grazia. E mentre Lutero è anche contro le opere buone, Papa Francesco inserisce queste quale atto meritorio e riscatto dei nostri peccati. In sostanza il Papa cattolicizza in parte l’eresia protestante sul peccato e non fa più distinzione tra la tolleranza verso gli uomini che cadono nel peccato, ma che debbono rialzarsi, e il peccato in sé che è un male e come tale non può mai essere giustificato o tollerato, non esiste il “male minore”, così come non esiste una magia bianca e nera, buona  o cattiva.
“L’insegnamento della Chiesa è il seguente: tra due mali, non se ne può scegliere nessuno. Ogni male offende Dio. E Dio non va offeso né tanto né poco…In verità, se è lecito talvolta tollerare un minor male morale a fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali. ” (Padre Angelo Bellon OP)  
Contraddice anche il Concilio di Trento, che colpisce di anatema chi dice che «per l’uomo giustificato e costituito in grazia, i comandamenti di Dio sono impossibili da osservare» (Denz-H, n. 1568). «Dio infatti non comanda l’impossibile; ma quando comanda ci ammonisce di fare quello che puoi, di chiedere quello che non puoi, e ti aiuta perché Tu possa» (Denz-H, n. 1356).
Infatti Giovanni prosegue spiegando che colui che persiste nel proprio peccato, non è affatto una questione di debolezza, ma di volontà perversa, esso si è lasciato attrarre dal demonio: “Colui che persiste nel commettere il peccato proviene dal diavolo, perché il diavolo pecca fin da principio. Per questo è stato manifestato il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo”(1Gv.3,8). Se Dio è venuto per distruggere le opere del demonio che sono il peccato e la nostra stessa fragilità e fallimento, come può tollerarlo?
Compito dell’uomo non è crogiolarsi e rassegnarsi nel peccare, ma reagire convertendosi. “Dio perdona il peccatore, non il voler peccare” (Sant’Alfonso Maria de Liguori, “Apparecchio sulla morte”)
Facciamo nostre le parole di Padre Riccardo Barile, domenicano: ” Il demonio tenta di inserire nei discorsi degli uomini di Chiesa – per lo più in buona fede – una percentuale di tenebre. Però queste “false luci” sono smascherabili con una ordinaria vigilanza.(…) Lutero cancella i sacramenti dei quali non parla il NT; altri vorrebbero tornare a una situazione ecclesiologica del primo millennio come se ciò che è venuto dopo fosse una deviazione; Adorazione eucaristica e Rosario sono sottovalutati perché si sono affermati in una certa epoca; se certi giovani (seminaristi) sono seri, sono “tridentini” e ciò non va bene ecc. Insomma, è un citare la Bibbia e la storia senza la vivente presenza di Cristo e senza la coscienza che lo Spirito fa crescere la Chiesa. E anche qui è possibile intravedere Satana come angelo di luce. (…) L’adattamento della parola rivelata alle varie culture e all’uomo di oggi «deve rimanere legge di ogni evangelizzazione» (GS 44). Quando però resta il prevalente o unico principio pastorale disconoscendo il male del mondo e la concupiscenza, è fatale adattare la parola rivelata più alla concupiscenza che all’uomo nuovo creato in Cristo… ” cliccare qui per il testo integrale.
San Pietro ha tradito o rinnegato Gesù? Che differenza c’è?
Prendiamo dalla Vulgata ufficiale in latino e leggiamo il passaggio che ci interessa:
At ille negavit coram omnibus dicens: “ Nescio quid dicis! ”. (…) Et iterum negavit cum iuramento: “Non novi hominem! ”. (…) Tunc coepit detestari et iurare: “Non novi hominem!”. Et continuo gallus cantavit; et recordatus est Petrus verbi Iesu, quod dixerat: “ Priusquam gallus cantet, ter me negabis ”. Et egressus foras ploravit amare. (Mt.26,69-75)
Leggiamo ora le stesse frasi tradotte, ufficialmente, in italiano: Ed egli negò davanti a tutti: “Non capisco che cosa tu voglia dire”.(..) Ma egli negò di nuovo giurando: “Non conosco quell’uomo”. (..) Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo!”. E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: “Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte“. E uscito all’aperto, pianse amaramente.  (Mt.26,69-75)
Il tradimento di Giuda fu un atto completamente diverso, un atto terribile preannunziato dal Cristo (Gv.13,21-30) in modo diverso dal rinnegamento di Pietro. Non si tratta di fare i pignoli, ma di comprendere, negli atti compiuti da Pietro e da Giuda, due azioni completamente diverse e mosse da pensieri diversi: tradire e rinnegare non sono la stessa cosa, non almeno a riguardo dei fatti narrati dai Vangeli, e delle loro conseguenze. Giuda «cercava l’occasione propizia per consegnarlo»(Lc.22,1,6; Mt.26,14-16; Mc.14,10-11), nonostante siano state avanzate diverse motivazioni per il tradimento di Giuda, i testi evangelici insistono su un particolare aspetto: Giovanni dice espressamente che il diavolo aveva messo nel cuore di Giuda di tradire Gesù. Analogamente scrive Luca (Gv 13,27; Lc 22,3).
Tradire – lat. tradĕre – significa letteralmente «consegnare», «consegnare ai nemici», «consegnare con tradimento»…. rinnegare – lat. *renegare, der. di negare – significa «dire di no»; dichiarare di non aver conosciuto una persona che si è conosciuta. La comprensione degli atti che ne derivano è completamente diversa, come diverso è il significato.
Pietro non tradì il Maestro, per pura paura negò di averlo mai conosciuto. Messo sotto pressione dalle domande, mentre Gesù veniva interrogato, Pietro ha un crollo emotivo, ha paura, non sa come andrà a finire, dimentica la profezia che Gesù gli aveva fatto e, quando il gallo cantò, egli si ricordò di quelle parole “tu mi rinnegherai tre volte”, allora scappò piangendo, pentendosi, vergognandosi amaramente, anche dopo aver incrociato lo sguardo di Gesù mentre passava sul corridoio all’interno del cortile. Pietro, al contrario di Giuda, non aveva preparato il tradimento, era invece convinto che gli sarebbe stato fedele fino alla fine, il peccato, la debolezza di Pietro è stata il suo orgoglioso e superbo convincimento che nulla avrebbe potuto ostacolare la sua fedeltà al Maestro il quale gli aveva dimostrato tutto il suo amore e, soprattutto, gli aveva già affidato incarichi potenti cambiando solo a lui, nel gruppo dei Dodici, il proprio nome. Gesù lo aveva messo in guardia, ma Pietro testardo qual’era, si riteneva al sicuro.
Tutt’altra cosa accadde a Giuda che essendo già descritto come un ladro: «siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (Gv 12,4-6), apre la porta ai consigli del demonio il quale lo istigherà al tradimento, non mosso dalla paura, ma per avidità e per delusione. Giuda, al contrario di Pietro, crede nel Messia politico, il suo stare con Gesù è mosso più dalla battaglia politica. Quando però capisce anche lui che Gesù non è venuto a fare battaglie politiche, si sente tradito lui stesso da Gesù, non lo vede più come quel “messia” che attendeva e decide di tradirlo.
I due finali li conosciamo bene: Pietro “pianse amaramente”, si vergognò e scappò rifugiandosi, molto probabilmente e come narrano alcuni mistici beatificati dalla Chiesa, nel Cenacolo tacendo e soffrendo, facendosi consolare dalla Madre di Gesù… Dopo la risurrezione Gesù si fa incontro a Pietro e Pietro si lascia abbracciare dal Perdono di Cristo, fa la triplice confessione di amare Gesù più di tutti…(Gv.21,15-19). Giuda si pente anche lui, è vero, riconosce l’innocenza del Cristo, riconosce di aver “venduto” l’Amico e si rende conto che quei danari sono sporchi, si reca allora al Sinedrio e glieli riconsegna. Fin qui tutto bene, Giuda poteva ancora salvarsi, il primo passo, quello del pentimento, l’aveva fatto.
L’errore commesso da Giuda è ancora una volta la superbia, l’orgoglio, il tradimento. Invece di raccogliersi in pianto come aveva fatto Pietro, Giuda scappa piegandosi su se stesso, non chiede aiuto a nessuno, confida ancora in se stesso e non ritiene Gesù capace di poterlo perdonare per ciò che ha fatto, non crede nella risurrezione di Gesù, non crede che dopo la sua morte ci sia un “dopo”. E mentre Pietro con gli Apostoli “attendono l’evolversi della situazione, insieme e chiusi per paura delle ripercussioni”, Giuda brancola nel buio della sua personale disperazione, non si perdona, non corre dai fratelli a chiedere perdono e consolazione, ancora una volta medita un tradimento, quello alla propria vita. Si autocondanna, sentendosi responsabile della morte di Gesù, medita di auto infliggersi la morte. Ma non è così che Dio ragiona e ci fa ragionare.
Perciò, quando sentite qualcuno dire che Pietro” ha tradito”, ragionevolmente abbiate in voi la chiarezza che l’uso di questo termine non è corretto nel caso di Pietro. E’ vero che tutti noi “tradiamo” Gesù quando pecchiamo, ma spetta poi all’esame della coscienza – raccolti nel confessionale – stabilire e comprendere se il nostro è stato un rinnegamento o un tradimento. Nel tradimento di Giuda c’è in atto la corruzione della mente e del cuore, la corruzione dei pensieri; nel rinnegamento di Pietro c’è principalmente la paura, la vergogna di appartenere a Cristo. Il pianto amaro e sincero di Pietro lo porta a salvarsi, il pianto di Giuda corrotto però dai suoi pensieri e dalla superbia, lo conducono al suicidio.
È una tecnica di Satana che si trasforma in angelo di luce: piazzare piccole porzioni di tenebre in un quadro che di per sé è luminoso nella previsione che il ricettore vedrà tutto come luminoso. Senza demonizzare il resto positivo, siamo chiamati a vedere e separare queste porzioni di tenebra….” (Padre Riccardo Barile OP)
Laudetur Jesus Christus
https://cooperatores-veritatis.org/2017/10/05/dio-tollera-i-nostri-peccati-pietro-ha-tradito-o-rinnegato-gesu/

Antonio Socci: "ECCO COME BENEDETTO XVI HA SPIEGATO E CONFUTATO (IN ANTICIPO) CERTE IDEE"



(Nella foto Bergoglio nell’Aula Paolo VI, in Vaticano, con una terrificante statua di Lutero che hanno portato dalla Germania)

Mentre ormai ogni giorno ci arrivano notizie surreali – l’ultima è la celebrazione di Lutero sui foglietti della Messa (QUI) – ci si chiede cosa sta accadendo nella Chiesa.

Molti vorrebbero capire che concezione abbia, Bergoglio, della Chiesa, della liturgia, dei sacramenti.
Vorrebbero comprendere quale filo rosso unisca le innovazioni “rivoluzionarie” dell’Amoris laetitia sulla comunione ai divorziati risposati con la celebrazione di Lutero, con il banchetto fatto nella Basilica di san Petronio e con tante altre trovate bergogliane (compreso il fatto che non si inginocchia davanti al tabernacolo e all’Eucaristia)…

Nella “Correzione filiale” dei giorni scorsi si leggeva fra l’altro:

“Santo Padre, ci permetta infine di esprimere anche la nostra meraviglia e dolore per due eventi accaduti nel cuore della Chiesa, i quali similmente manifestano il favore di cui gode l’eresiarca tedesco sotto il Suo pontificato. Il 15 gennaio 2016 è stata concessa la Santa Comunione a un gruppo di luterani finlandesi nel corso della celebrazione di una Santa Messa nella basilica di San Pietro. Il 13 ottobre 2016, Vostra Santità ha presieduto un incontro di cattolici e luterani in Vaticano, nella Sala Nervi, in cui era stata eretta una statua a Martin Lutero”.

Alla luce di tutto questo molti paventano che il recente Motu proprio sulle traduzioni liturgiche rappresenti uno scaltro spiraglio per la manipolazione (dal basso) della liturgia verso una sua protestantizzazione, ovvero una vera e propria “abolizione del sacrificio”.
Sono preoccupazioni eccessive? Ma tutti questi elementi in quale direzione portano? Che teologia c’è dietro tutto questo?
C’è dietro una concezione mai dichiarata nella sua totalità, mai spiegata esplicitamente, ma che comincia ora a delinearsi con chiarezza.
Non si tratta di una concezione “sua”, di Bergoglio, ma dappertutto – nei discorsi e nei suoi gesti – si sente il riflesso di correnti ideologiche che negli scorsi decenni hanno impazzato in certi ambienti clericali.
In ambito cattolico hanno avuto un tono più “moderato” (camuffato?). Ma ci sono anche teologi – di ambito protestante o modernista – che hanno elaborato in maniera “radicalizzata” certe idee.

Cliccare per ingrandire

Il grande papa Benedetto XVI aveva illustrato in anticipo e confutato queste concezioni. Rileggendo le sue parole ognuno può valutare se esse costituiscono (in tutto, in parte o per nulla) una chiave di lettura per gli eventi di cui oggi siamo testimoni nella Chiesa.
La citazione che qui sotto riportiamo si trova nel sito Cooperatores Veritatis, sotto il titolo: “Davanti al protagonista. La difesa di Ratzinger dell’Eucaristia e la Divina Presenza reale: Gesù ha detto ‘Fate questo’ e non ‘Fate ciò che volete’ ” (QUI).
Sono pagine tratte dal libro di Benedetto XVI (Joseph Ratzinger)Davanti al protagonista. Alle radici della liturgia, Cantagalli 2009. Che è inserito ovviamente nell’Opera omnia.
* * * *
(…) In un punto, invece, si dovrà contraddire Schurmann. La tesi secondo cui l’Eucaristia apostolica si ricollega alla quotidiana comunità conviviale di Gesù con i suoi discepoli è, nell’esegeta di Erfurt, limitata alla questione circa l’origine della forma della celebrazione, ma viene in ampi circoli radicalizzata nel senso che all’Ultima Cena si nega completamente il carattere di istituzione e si fa derivare l’Eucaristia più o meno esclusivamente dai pasti che Gesù consumava con i peccatori.
Ma con tali posizioni, si fa coincidere l’Eucaristia secondo l’intenzione di Gesù con una dottrina della giustificazione rigidamente luterana come dottrina della grazia concessa al peccatore; se infine i pasti con i peccatori vengono ammessi come unico elemento sicuro della tradizione del Gesù storico, si ha per risultato una riduzione dell’intera cristologia e teologia su questo punto.
Ma da ciò segue poi un’idea dell’Eucaristia che non ha più nulla in comune con la consuetudine della Chiesa primitiva.
Mentre Paolo definisce l’accostarsi all’Eucaristia in stato di peccato come un mangiare e bere «la propria condanna» (cf.1Cor.11,29) e protegge l’Eucaristia dall’abuso mediante l’anatema (cf.1Cor.16,22), appare qui (in Erfurt e in Shurmann) addirittura come essenza dell’Eucaristia che essa venga offerta a tutti senza alcuna distinzione e condizione preliminare; essa viene interpretata come il segno della grazia incondizionata di Dio, che come tale viene offerta immediatamente anche ai peccatori, anzi, anche ai non credenti – una posizione che, comunque, ha ormai ben poco in comune anche con la concezione che Lutero aveva dell’Eucaristia.
Il contrasto con l’intera tradizione eucaristica neotestamentaria in cui cade la tesi radicalizzata ne confuta il punto di partenza: l’Eucaristia cristiana non è stata compresa partendo dai pasti che Gesù ebbe con i peccatori, e non può neppure essere considerata semplicemente come continuazione della quotidiana comunione conviviale di Gesù con i suoi (…).
BENEDETTO XVI – JOSEPH RATZINGER
antoniosocci.com

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