SAN PETRONIO, BOLOGNA. AH NO, SCUSATE…ERA UNA PREVISIONE PER
IL FUTURO. ASPETTANDO I SALAFITI…:-)))
Invece l’aspetto della cattedrale felsinea trasformata in sala da pranzo con bagni annessi era questo:
http://www.marcotosatti.com/2017/10/01/san-petronio-bologna-ah-no-scusate-era-una-previsione-per-il-futuro-aspettando-i-salafiti/
Pranzo in Basilica, si chiama profanazione
Pranzo di Natale a
Roma nella chiesa di Santa Maria in Trastevere
Caro direttore,
tutti sanno che il Papa visiterà la diocesi di Bologna
domani 1 ottobre; molti sanno che il primo “atto pastorale” sarà la visita
dell’Hub regionale di via Mattei; pochi sanno però che il pranzo seguente con i
poveri sarà dentro – dentro! – la basilica di san Petronio; nessuno, che io
sappia, ha reagito a questa profanazione programmata del luogo santo, almeno
pubblicamente.
Intanto c'è da dire che l'iniziativa solo marginalmente ha a
che fare con i poveri; posso assicurare che dentro la Basilica, a mangiare con
il vescovo e con il Papa, ci sarà certamente anche qualche povero, ma non si
tratterà solo di loro. Ci saranno responsabili e dipendenti di varie
associazioni “caritative” della diocesi, che lo stipendio ce l’hanno, regolare
e a tempo indeterminato. Ma se anche vi fossero solo i poveri, bisognerebbe
iniziare a porsi qualche domanda sulla liceità ed opportunità di queste
iniziative, visto che non siamo in tempi di assedio o di calamità pubbliche,
che sole motivano queste eccezioni. L'idea di un pranzo in chiesa, che lascia
quanto meno perplessi, in realtà è già “consuetudine”, visto che è da anni che
si svolge nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, sempre con mons. Matteo
Zuppi, ora arcivescovo di Bologna, in cabina di regia. Ma quella del primo
ottobre avrà una dimensione ed una risonanza ben più incisive: quasi 1400
coperti, con tanto di bagni chimici dentro la basilica, alla presenza
dell’arcivescovo e del Papa…
La prima domanda che mi sono fatta è stata questa: ma in
tutta Bologna non ci sono edifici che potrebbero ospitare il Papa, il vescovo e
i “poveri” per mangiarsi due tortellini? La risposta è ovvia. Ma ciò vuol dire
che, a prescindere dalle intenzioni, tale evento assesterà un colpo decisivo
alla tradizionale distinzione tra sacro e profano, un colpo che sarà rafforzato
dalla celebrazione della Messa allo stadio dall’Ara. Certamente l’alta
affluenza di persone richiede uno spazio aperto, ma è la coincidenza delle due
cose ad essere molto eloquente: il pranzo in chiesa, la Messa allo stadio…
Ci sono due logiche che si stanno affrontando teologicamente
da diversi decenni e che hanno comportato già da tempo scempi nei luoghi sacri
e nelle celebrazioni liturgiche. La prima logica è quella che mantiene una
distinzione tra sacro e profano, nelle persone, negli oggetti, nei luoghi,
negli spazi. La seconda dice che il profano non esiste: con l’Incarnazione
tutta la realtà è sacralizzata. Ma solo il primo, con buona pace di tutti,
esprime il pensiero della Chiesa, chiaramente presente anche nell’attuale
Codice di Diritto Canonico (ci limitiamo ai luoghi sacri): «Sono sacri quei
luoghi che vengono destinati al culto divino o alla sepoltura dei fedeli
mediante la dedicazione o la benedizione» (§ 1205). Conseguenza della
sacralizzazione di un luogo: «Nel luogo sacro sia consentito solo quanto serve
all’esercizio e alla promozione del culto, della pietà, della religione e
vietato qualunque cosa sia aliena dalla santità del luogo. L’Ordinario, però,
per modo d’atto può permettere altri usi, purché non contrari alla santità del
luogo» (§1210). Ancora: «Tutti coloro cui spetta, abbiano cura che nella
chiesa… sia tenuto lontano da esse tutto ciò che è alieno alla santità del luogo»
(§1220).
Il canone 1210, sopra citato, è particolarmente importante:
dentro i luoghi sacri, cui convengono il culto pubblico e la preghiera, e
quanto li favorisce (si pensi a predicazioni, catechesi, etc.), possono essere
destinati dall’Ordinario ad altri usi non contrari alla santità del luogo.
Questa santità non significa un aspetto meramente morale, come se, per esempio,
offrire un pranzo gratuitamente possa considerarsi un’azione non contraria alla
santità di una chiesa, mentre far pagare il pranzo sì. Non è questione solo di
intenzioni o di condotte morali… La santità di cui si parla qui riguarda la
finalità sacra oggettiva di quel luogo: «una cosa è detta sacra perché è
ordinata al culto divino. Come infatti una cosa ha natura di bene perché è
ordinata a un fine buono, così diventa in qualche modo divina se è destinata al
culto di Dio» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae II-II, q. 99, a. 1).
Il vescovo deve sempre ricordare che ciò che è dedicato a
Dio è suo in sommo grado e perciò non può essere usato per iniziative che non
siano oggettivamente orientate a Lui come fine e centro, indipendentemente
dalle intenzioni soggettive. In altre parole: quando in una chiesa si compiono
azioni non sacre (il che non significa necessariamente peccaminose), che si fanno
tranquillamente altrove, quella chiesa viene profanata: si toglie a Dio ciò che
si era dedicato esclusivamente a Lui. Perciò, il 1 ottobre a Bologna, se le
parole hanno ancora un significato, assisteremo ad una profanazione. Niente di
meno.
E ci troveremo di fronte all’ennesimo atto che rafforzerà la
perdita del senso del sacro, con delle conseguenze che forse non riusciamo
nemmeno a immaginare. Ogni volta che una realtà consacrata a Dio viene
profanata, cosa accade? Se il sacro viene profanato, a cascata il profano, che
attende di essere sacralizzato, viene sfigurato, colpito nella sua aspirazione
ad essere sacralizzato. Mangiare in una chiesa non porta a sacralizzare una
realtà profana, come molto ingenuamente si potrebbe pensare, ma a profanare una
realtà sacra e quindi ad allontanare la stessa profanità dall’essere
sovraelevata.
Ne Lo spirito della liturgia, Ratzinger ricordava che «la
Nuova Gerusalemme non ha più bisogno di un tempio, perché Dio, l'Onnipotente, e
l'Agnello sono il suo Tempio; la città in cui invece del sole e della luna sono
la gloria di Dio stesso e la sua lampada, l'Agnello, a dare la nuova luminosità
(cf. Ap. 21, 22s.): questa realtà non c'è ancora». Siamo in uno stato
intermedio, dove la realtà profana aspira alla piena sacralizzazione e per
questo ha bisogno di realtà sacre. Per questo motivo alla domanda se vi sia
ancora bisogno di spazi, tempi e segni sacri, la risposta di Ratzinger è
inequivocabile: «Sì, ne abbiamo bisogno, proprio per imparare attraverso l'
“immagine”, attraverso il segno, a vedere il cielo aperto; per diventare capaci
di riconoscere nel cuore trafitto del Crocifisso il mistero di Dio [...]. Noi
prendiamo parte alla liturgia celeste, sì, ma questa partecipazione ci si
comunica attraverso i segni terreni, che il redentore ci ha indicati come
spazio della sua realtà. Nella celebrazione liturgica si compie in certo qual
modo il rovesciamento dell'exitus in reditus. La liturgia, da mediatrice, fa
entrare il tempo terreno nel tempo di Gesù Cristo e nel suo presente».
Se si profanano le azioni, i luoghi, i tempi, le persone
sacri, tutta la realtà scivola verso il basso e non solo resta incatenata nella
propria profanità, ma diventa gradualmente sempre più aliena e in opposizione a
Dio. Ed è lo spettacolo cui assistiamo ormai ogni giorno. Kyrie eleison
Luisella Scrosati
Roma banchetto. Roma Italia.
Gli antichi romani mangiavano tre volte al giorno - " ientaculum", "prandium" e cena. La colazione e pranzo erano cosi' veloci, che non apparecchiavano il tavolo e non si lavavano le mani.
La colazione, di solito, consisteva nelle rimanenze della cena precedente (formaggio, olive, latte fresco, pane e miele). Pero' la cena, sicuramente, aveva una grande importanza e durava a lungo.
D'estate la cena iniziava alle due del pomeriggio, d'inverno, un'ora piu' tardi - quando la popolazione romana tornava dalle terme. La cena si concludeva a notte fonda, spesso, fino alla mattina.
Nell'antica roma la cena dei ricchi patrizi si svolgeva in una sala indipendente - triclinium. "Triclinia" era una specie di divano a tre posti, fatto di legno o in muratura, parzialmente coperto con cuscini e coperte.
Durante i festeggiamenti gli schiavi potevano assistere i padroni, seduti ai loro piedi. I figli dei padroni sedevano davanti ai loro tavoli. Gli ospiti provenivano dalla campagna e dalla provincia. Se arrivavano piu' di nove persone, aggiungevano "stibadia" - un grande lettone, che permetteva di accomodare da 6 a 12 persone. Tutti gli ospiti erano divisi in merito della loro posizione sociale. Nel centro della sala troneggiava il padrone di casa.
I schiavi servivano gli ospiti. A questo scopo sceglievano le persone piu' curate e di bell'aspetto, vestiti alla moda ed istruiti per servire a tavola ed all'arte scenica. I schiavi con i capelli rasati con i vestiti di stoffa ruvida si occupavano delle pulizie.
Gli antichi romani mangiavano semi coricati, appoggiandosi al braccio sinistro. I cibi, che erano gia' tagliati a piccoli pezzi, erano presi con le mani. I cibi liquidi e semiliquidi con un cucchiaio.
Durante il ricevimento utilizzavano una tunica molto leggera - synthesis, che veniva cambiata ad ogni portata. Esistevano anche i tovaglioli.
La cena era divisa in tre parti. Antipasti, una vera cena e brindisi in una sala apposita. Gli antipasti piu' gettonati: olive, uova, cipolla, ostriche e verdura. Tutto accompagnato con vino diluito con il miele. Tale miscuglio era considerato un aperitivo.
Il menu della cena consisteva in sette portate e si concludeva con un dessert. Il vino ero diluito e non doveva superare 1/3 del totale della bibita alcolica. Pero' in onore dell'ospite brindavano tante volte, quante lettere aveva il suo nome. Tutto il brindisi si svolgeva in una sala separata e molto pulita, sotto l'occhio vigile del "magister bibendi" o "triclinarca".
Bisogna sottolineare, che un rutto a tavola era considerato un vero complimento all'arte culinaria dei padroni di casa. L'imperatore Claudio e' stato ancora piu' audace, ha fatto una legge che permetteva di far uscire i gas intestinali durante le lunghe cene e cerimonie festive.
Un'altra curiosita'. Una parte del pavimento del triclinio era coperta dal vomito, perche' era considerato normale liberare lo stomaco, per poter assaggiare i nuovi cibi. Alla fine della cena, gli invitati portavano con loro i resti dei cibi, come un dono del padrone di casa.
Il padrone di casa doveva provvedere a sfamare la servitu' che era composta da liberi cittadini di Roma. Per questo motivo, molto spesso, acquistavano il cibo, che usavano sia per la servitu', sia per gli ospiti. Il cibo di dubbia provenienza e scadenza. Le cene hanno iniziato a perdere in qualita' dei piatti. Allora, l'imperatore Nerone, ha fatto una legge che non obbligava piu' il padrone di casa a dare da mangiare alla servitu', ma doveva pagare il cibo indicato per loro.
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