UNA DOTTRINA CAPOVOLTA
La neochiesa sta capovolgendo la dottrina. Da un po’ di tempo in qua, basta essere stati eretici come Lutero o inclini all’eresia come Teilhard de Chardin o anticristiani come Pannella e subito si viene felicemente arruolati di Francesco Lamendola
Si legga e si mediti a fondo questo passo della Seconda lettera ai Corinzi (6, 14-18; 7, 1; traduzione della Bibbia di Gerusalemme), in cui san Paolo scrive:
Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli. Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l’iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre? Quale intesa tra Cristo e Beliar, o quale collaborazione tra un fedele e un infedele? Quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente, come Dio stesso ha detto:
“Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò
e sarò il loro Dio,
ed essi saranno il mio popolo.
Perciò uscite di mezzo a loro
e riparatevi, dice il Signore,
non toccate nulla d’impuro.
E io vi accoglierò,
e sarò per voi come un padre,
e voi mi sarete come figli e figlie,
dice il Signore onnipotente.”
In possesso dunque di queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a compimento la nostra santificazione, nel timore di Dio.
E adesso si legga il paragrafo 303 dell’esortazione apostolica Amoris laetitia di papa Francesco, all’interno del capitolo ottavo, intitolato Accompagnare, discernere e integrare la fragilità, in cui si parla delle persone divorziate e risposte che vogliono ugualmente accostarsi ai sacramenti:
A partire dal riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti, possiamo aggiungere che la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio. Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. In ogni caso, ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno.
Dunque, da un lato san Paolo ammonisce i cristiani a non accompagnarsi agli “infedeli”, per non rimanere contaminati dalla loro idolatria; raccomandazione che evidentemente ha poco significato per monsignor Vincenzo Paglia, il quale, elogiando il defunto Marco Pannella, ha detto, fra l’altro, che il Marco pieno di spirito continua a soffiare; e Io mi auguro che lo spirito di Marco ci aiuti a vivere in quella stessa direzione, dove, a parte l’assoluta incompatibilità fra i “valori” etici di Pannella e quelli del Vangelo, l’insistenza sullo “spirito” (lettera minuscola) del defunto, che “continua a soffiare”, ha il sapore di un’atroce e blasfema parodia del soffio dello Spirito Santo. San Paolo, poi, citando una serie di passi dei Profeti antichi, e paragonando i cristiani al popolo d’Israele, dice che essi devono “separarsi” dagli altri, affinché Dio possa abitare in mezzo a loro, trovandoli puri e incontaminati. Alla fine, esorta i fedeli alla purezza fisica e morale, e li invita a sforzarsi di essere quali Dio ci vuole, mediante la santificazione. Il messaggio è chiaro: è l’uomo che deve prendere Cristo quale modello, vincere le proprie tentazioni e, aiutato dalla grazia divina, innalzarsi al di sopra della propria dimensione carnale, al di sopra della propria anima concupiscente, e puntare alla propria santificazione, per poter piacere a Dio; e chiedere in dono, per riuscirci, il timor di Dio, che è uno dei sette doni dello Spirito Santo. Come dire che, senza timor di Dio, la tensione verso la santità rimane uno sforzo vano: l’uomo non può santificarsi da se stesso, ma deve abbandonarsi a Dio, domandando a Lui gli strumenti per realizzare il passaggio dall’uomo vecchio, fatto di brame disordinate e appetiti della carne, all’uomo nuovo, diventando realmente figlio di Dio, nella piena trasparenza spirituale.
Papa Francesco con il giullare Roberto Benigni
Papa Francesco, da parte sua, afferma esattamente l’opposto. Degli uomini e delle donne che vivono in condizione di peccato mortale, avendo infranto il Sacramento del matrimonio, dice – dopo aver minimizzato alquanto il peccato stesso, definendolo una situazione che non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo (proposta generale? ma qui si parla di un peccato molto specifico!), che la coscienza - perché la protagonista di tutto il discorso è “la coscienza”, non l’anima umana - può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio. Cioè: la sincerità e l’umiltà consistono nel dire a Dio che non si può fare altro che continuare a vivere nel peccato. Poi viene il bello, si fa per dire: perché, dopo un tale sfoggio di “umiltà e sincerità”, la coscienza, soggetto, potrebbe scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. In altre parole: vedendo la “complessità dei limiti” nei quali il peccatore si dibatte, Dio stesso domanda a costui di persistere nel proprio peccato, poiché si tratta del massimo che questi potrebbe fare, anche con la miglior buona volontà. E chi scrive u tale sproposito ha pure il coraggio di chiamare il peccato, “donazione”; e di aggiungere, per buona misura, che essa “non è ancora pienamente l’ideale oggettivo”, ma insomma, è pur sempre ciò che all’uomo riesce di fare, date le circostanze, e Dio non solo se ne accontenta, ma è proprio quel che domanda all’uomo. Ribadiamo il concetto: Dio domanda all’uomo di stare nel peccato, non di uscirne. Non gli chiede più di santificarsi, né di puntare ad imitare il modello rappresentato da Cristo: gli chiede di essere sincero e onesto nel peccato, tutto qui. Non è l’uomo che deve imitare Cristo, è il Padre che abbassa le sue richieste nei confronti dell’uomo, sino al punto di autorizzarlo e confortarlo a permanere in stato di peccato mortale. Ed, evidentemente, anche di accostarsi all’Eucarestia, profanando un altro Sacramento. Quanto al sacerdote, che lo assolve pur in assenza di un serio impegno di mutare stile di vita, di convertirsi e di promettere di non rinnovare il peccato, a lui, come pare, spetta la violazione del terzo Sacramento: quello della confessione. Tre Sacramenti profanati, affinché i divorziati risposati, o passati comunque a nuove unioni, possano accostarsi alla santa Eucarestia, come se il loro peccato fosse stato un furto di caramelle. Come nel caso dell’aborto, quel che conta è il “discernimento” da parte del sacerdote. Del resto, se la Chiesa cattolica deve trasformarsi in un “ospedale da campo” (l’immagine è sempre di Bergoglio), nulla di strano nel fatto che la cosa più importante, in un ospedale da campo, sia quella di operare in fretta, anche in maniera approssimativa, e poi subito passare alla medicazione del ferito successivo, come in una catena di montaggio. L’importante è salvare i corpi, non le anime. Anche se san Paolo dice, sempre nella Seconda lettera ai Corinzi, che bisogna concentrare l’attenzione non sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili durano un attimo, mentre quelle invisibili sono eterne (4, 18).
Insomma: da una parte san Paolo, il Nuovo Testamento, che ci spronano a fissare lo sguardo sulle cose invisibili, a distaccarci dalle cose materiali destinate a perire, e quindi a guadagnarci la vita eterna, mediante l’imitazione di Cristo e la soppressione dei desideri terreni; dall’altra Vincenzo Paglia che ci esorta a imitare Marco Pannella, a farci guidare dal suo “spirito” che aleggia nel mondo – lo spirito del più strenuo sostenitore del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia, dall’uso delle droghe, dell’omosessualità, delle unioni di fatto; e il papa Francesco, il quale, dopo aver elogiato Emma Bonino, e averla definita una grande italiana – lei, la donna che ha condiviso le stesse “battaglie” di Marco Pannella e che continua a portarle avanti - ci esorta a confidare in Dio anche senza uscire dal peccato, anzi, ad avere fiducia nel fatto che Dio nulla ci chiede di meglio, se non rimanere sprofondati nel peccato, visto che non saremmo capaci di uscirne. Di chiedere l’aiuto di Dio, il dono della grazia, mediante la preghiera e mediante la riconciliazione con il Padre, che passa per il pentimento e il proponimento di non più peccare, niente. E quanto all’esortazione di san Paolo, di non mescolarsi agli increduli, ciò che dice papa Francesco, ciò che dicono i vari Rahner, Paglia, Galantino, Perego, Cipolla, Sosa, Bianchi, Martin, è esattamente l’opposto: bisogna andare da tutti, mescolarsi con tutti, invitare i musulmani alla Messa, pregare coi buddisti, nascondere i crocifissi per non offendere gli altri, abbracciare i massoni, “sdoganare” gli omosessuali, “includere” gli atei, riconoscere che gli ebrei non hanno bisogno della conversione e che, quindi, è sbagliato e razzista pregare affinché si convertano.
Non occorre essere delle persone particolarmente acute per cogliere una stridente contraddizione, un’assoluta e radicale incompatibilità fra le parole di san Paolo e quelle di Bergoglio e dei suoi fedelissimi. Il fatto è che le parole di san Paolo sono perfettamente in linea con tutta la Bibbia e, soprattutto, con l’insegnamento di Gesù Cristo. Il quale, sul peccato e sulle sue conseguenze mortali per l’anima, è stato estremamente chiaro (Giovanni, 20, 22-23): Ricevete lo Spirito Santo. A coloro cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati. E anche san Francesco, il più grande santo del cristianesimo medievale, quello al quale il papa Bergoglio ha voluto rifarsi, assumendone il nome come auspicio di carità e santità, scrive, nel Cantico di frate Sole: Guai a cquelli ke morrano ne le peccata mortali. Sì: perché non tutti i peccati saranno perdonati, secondo il Vangelo e secondo la sana teologia di tutti i secoli, nell’arco di questi duemila anni. Quindi, non tutti gli uomini andranno in paradiso: anche se il papa Francesco la pensa in tutt’altro modo, e insegna che (udienza generale del 23 agosto 2017 in Piazza san Pietro), alla fine della storia, ci sarà una immensa tenda dove Dio accoglierà tutti gli uomini per abitare definitivamente con loro. Se li accoglierà TUTTI, ciò significa che nessuno andrà all’inferno, e che nessuno, evidentemente, sarà stato ritenuto peccatore.
La neochiesa sta capovolgendo la dottrina
di Francesco Lamendola
continua su:
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/la-contro-chiesa/2191-capovolta-la-dottrina
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Vedi qui.
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