LA FAKENEWS DEL PAPA E LA LEGGE SUL FINE VITA. IL CASO
BRANDI IN PARLAMENTO. LA VITTORIA DEL BUS DELLA LIBERTÀ.
Questa mattina devo esprimere tutta la mia solidarietà ai colleghi vaticanisti. Capisco la loro sofferenza. Come ben scrive Giovanni Tridente, “Oggi è il trionfo del titolismo”. Parliamo ovviamente della notizia del messaggio del Pontefice in tema di accanimento terapeutica ed eutanasia. E della cosiddetta “apertura” del Pontefice alla legge sul fine vita. Va da sé che nel messaggio, preparato, come è ben probabile, con l’ausilio della Pontificia Accademia per la Vita, come quasi sempre accade in queste occasioni, di legge non si parla. E il “no” all’accanimento terapeutico, non è esattamente una notizia fresca: risale al 1958, proclamato da quel sinistrorso radicaleggiante di papa Pacelli, e ribadito, senza soluzione di continuità da quei bombaroli di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Quindi capisco molto bene la sofferenza dei colleghi, e i contorcimenti di alcuni di essi, certamente più consci di me di questo fatto, simpaticamente violentati dalle autorità del loro giornale con titoli enfatici sulla legge, che in realtà poco corrispondono agli articoli. Che tipo di Fakenews è questa? Perché se non è una fakenews al 100 per 100, almeno al 75 per cento lo è. Poi, come vedrete se avete la pazienza di leggerlo (lo pubblico in integrale in fondo) il messaggio insieme a molte cose buone contiene anche delle ambiguità, che peraltro, e chiedo scusa se sospetto ingiustamente, penserei di attribuire alla consulenza della Pontificia Accademia per la Vita, il cui presidente, come ricorderete, parlava positivamente dello spirito di Marco Pannella . E senza voler entrare nel tema vi raccomando la lettura di questo articolo della Nuova Bussola Quotidiana, scritto da un esperto. ( ) . Ma ormai ci siamo rassegnati: l’ambiguità è un tratto caratteristico di questo regno, e riflette evidentemente delle caratteristiche personali ben radicate.
Come abbiamo detto, trovate in calce l’intervento integrale del Papa.
IL CASO DEL CAMION VELA DI CAFFARRA IN PARLAMENTO
E sempre in tema di vita e valori, e di persone che per essi si battono, senza ambiguità, registriamo con piacere una notizia, che riportiamo:
“LA LIBERTA’ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO IN ITALIA. LA VICENDA SULLA CENSURA AL CAMION VELA IN RICORDO DI CAFFARRA E L’INTERROGATORIO DI TONI BRANDI FINISCONO IN PARLAMENTO
ROMA – 16 novembre 2017
Per aver voluto tributare omaggio in modo lecito, legittimo e legale alla memoria del Cardinal Caffarra, insieme a Giovanni Paolo II ideatore e fondatore della Pontificia Accademia della Vita, l’associazione ProVita Onlus ha subito un’ingerenza ingiustificata della Polizia di Stato: la “vela” è stata fermata per due ore e il presidente, Toni Brandi, è stato interrogato per 45 minuti al Commissariato. (di Borgo, n.d.r.)
Questa grave limitazione alla libertà di manifestazione del pensiero dovrà essere giustificata dal Ministro Minniti ai Parlamentari Centinaio, Fedriga, Meloni, Malan, Pagano e Roccella, i quali hanno presentato interrogazioni scritte in proposito, delle quali si può leggere cliccando su questo link.
Della vicenda ci eravamo occupati QUI.
IL BUS DELLA LIBERTÀ HA VINTO IL PROCESSO. LA BATTAGLIA PER IL CONSENSO INFORMATO AL MIUR
E allo stesso tempo, e sempre in tema di difesa di esseri umani, e di valori, parliamo della vittoria ottenuta da Generazione Famiglia contro l’assurda decisione dello IAP d proibire il messaggio anti-gender del Bus della Libertà. Ecco il comunicato:
Cari amici,
una bellissima notizia…
VITTORIA!
abbiamo vinto il ricorso contro l’ingiunzione dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), che ci ordinava di interrompere la campagna di affissioni iniziata a Roma a fine settembre in occasione del tour del Bus della Libertà.
Questo ci suscita due sentimenti sicuri.
Primo: una grande soddisfazione. Tener duro, perseverare, crederci, sacrificarsi per arrendersi agli esiti “fatali”… rende e ripaga.
Secondo: un’immensa gratitudine. Nei confronti di chi? Vostri! Oltre a tutti voi che ci seguite e sostenete sempre in mille modi con grande entusiasmo, molti di voi hanno risposto anche all’appello che avevamo fatto per aiutarci a pagare le spese legali per affrontare questo caso.
Grazie a tutti!
L’udienza davanti al Giurì dello IAP si è svolta venerdì scorso, a Milano. In quella sede, il Comitato di Controllo dell’Istituto ha confermato tutte le “accuse”.
In primis, il fatto che il messaggio: “Basta violenza di genere: i bambini sono maschi, le bambine sono femmine” fosse nel complesso ingannevole e soprattutto discriminatorio.
Abbiamo passato le settimane scorse a smontare questi rilievi, con una profonda ricerca anche nella giurisprudenza passata dello IAP, ma anche citando i casi concreti di abusi verificatisi nelle scuole a causa dell’Ideologia Gender.
La nostra linea difensiva è stata questa: il messaggio non esprime in alcun modo un giudizio sulla condizione personale di chi non si riconoscesse nel proprio sesso biologico. Non è mai stato, non è e non sarà mai nostro scopo occuparci in alcun modo di questo.
Il nostro messaggio denuncia casi concreti di violenta costrizione ai danni di bambini e bambine affinché adottino comportamenti e attitudini naturalmente propri del sesso opposto. Costringere i bambini a fare le femmine e le bambine a fare i maschi.
Questo è assolutamente inaccettabile, e abbiamo fatto di tutto per restare liberi di poterlo denunciare.
È stata una linea vincente, e siamo rimasti liberi. Tutti noi!
E ora, torniamo a concentrarci sugli obiettivi della nostra associazione. Prima di tutto: entrare a far parte del Forum Nazionale delle Associazioni di Genitori nelle Scuole (FONAGS) accreditato presso il Ministero dell’Istruzione. Siamo nella fase conclusiva della domanda di accesso.
Una volta nel FONAGS, migliaia di genitori avranno dentro il Ministero dell’Istruzione una rappresentanza nuova capace di fare qualcosa che spesso serve ma che non sempre altre realtà hanno avuto coraggio di fare: sbattere i pugni.
A proposito: è urgente firmare e diffondere questa petizione per chiedere al Ministro Fedeli di inserire nella riforma in corso del Patto Educativo di Corresponsabilità anche il Consenso Informato Preventivo da richiedere ai genitori prima di inserire qualsiasi attività sulla sessualità e sull’affettività in orario scolastico.
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL MEETING REGIONALE EUROPEO
DELLA “WORLD MEDICAL ASSOCIATION”
SULLE QUESTIONI DEL “FINE-VITA”
[Vaticano, Aula Vecchia del Sinodo, 16-17 novembre 2017]
Al Venerato Fratello
Mons. Vincenzo Paglia
Presidente della Pontificia Accademia per la Vita
Invio il mio cordiale saluto a Lei e a tutti i partecipanti al Meeting Regionale Europeo della World Medical Association sulle questioni del cosiddetto “fine-vita”, organizzato in Vaticano unitamente alla Pontificia Accademia per la Vita.
Il vostro incontro si concentrerà sulle domande che riguardano la fine della vita terrena. Sono domande che hanno sempre interpellato l’umanità, ma oggi assumono forme nuove per l’evoluzione delle conoscenze e degli strumenti tecnici resi disponibili dall’ingegno umano. La medicina ha infatti sviluppato una sempre maggiore capacità terapeutica, che ha permesso di sconfiggere molte malattie, di migliorare la salute e prolungare il tempo della vita. Essa ha dunque svolto un ruolo molto positivo. D’altra parte, oggi è anche possibile protrarre la vita in condizioni che in passato non si potevano neanche immaginare. Gli interventi sul corpo umano diventano sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute. Occorre quindi un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona.
Il Papa Pio XII, in un memorabile discorso rivolto 60 anni fa ad anestesisti e rianimatori, affermò che non c’è obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili e che, in casi ben determinati, è lecito astenersene (cfr Acta Apostolicae Sedis XLIX [1957],1027-1033). È dunque moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito “proporzionalità delle cure” (cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull’eutanasia, 5 maggio 1980, IV: Acta Apostolicae Sedis LXXII [1980], 542-552). L’aspetto peculiare di tale criterio è che prende in considerazione «il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali» (ibid.). Consente quindi di giungere a una decisione che si qualifica moralmente come rinuncia all’“accanimento terapeutico”.
È una scelta che assume responsabilmente il limite della condizione umana mortale, nel momento in cui prende atto di non poterlo più contrastare. «Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire», come specifica il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2278). Questa differenza di prospettiva restituisce umanità all’accompagnamento del morire, senza aprire giustificazioni alla soppressione del vivere. Vediamo bene, infatti, che non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso, equivale a evitare l’accanimento terapeutico, cioè compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte.
Certo, quando ci immergiamo nella concretezza delle congiunture drammatiche e nella pratica clinica, i fattori che entrano in gioco sono spesso difficili da valutare. Per stabilire se un intervento medico clinicamente appropriato sia effettivamente proporzionato non è sufficiente applicare in modo meccanico una regola generale. Occorre un attento discernimento, che consideri l’oggetto morale, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. La dimensione personale e relazionale della vita – e del morire stesso, che è pur sempre un momento estremo del vivere – deve avere, nella cura e nell’accompagnamento del malato, uno spazio adeguato alla dignità dell’essere umano. In questo percorso la persona malata riveste il ruolo principale. Lo dice con chiarezza il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità» (ibid.). È anzitutto lui che ha titolo, ovviamente in dialogo con i medici, di valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalità nella situazione concreta, rendendone doverosa la rinuncia qualora tale proporzionalità fosse riconosciuta mancante. È una valutazione non facile nell’odierna attività medica, in cui la relazione terapeutica si fa sempre più frammentata e l’atto medico deve assumere molteplici mediazioni, richieste dal contesto tecnologico e organizzativo.
Va poi notato il fatto che questi processi valutativi sono sottoposti al condizionamento del crescente divario di opportunità, favorito dall’azione combinata della potenza tecnoscientifica e degli interessi economici. Trattamenti progressivamente più sofisticati e costosi sono accessibili a fasce sempre più ristrette e privilegiate di persone e di popolazioni, ponendo serie domande sulla sostenibilità dei servizi sanitari. Una tendenza per così dire sistemica all’incremento dell’ineguaglianza terapeutica. Essa è ben visibile a livello globale, soprattutto comparando i diversi continenti. Ma è presente anche all’interno dei Paesi più ricchi, dove l’accesso alle cure rischia di dipendere più dalla disponibilità economica delle persone che dalle effettive esigenze di cura.
Nella complessità determinata dall’incidenza di questi diversi fattori sulla pratica clinica, ma anche sulla cultura della medicina in generale, occorre dunque tenere in assoluta evidenza il comandamento supremo della prossimità responsabile, come chiaramente appare nella pagina evangelica del Samaritano (cfr Luca 10, 25-37). Si potrebbe dire che l’imperativo categorico è quello di non abbandonare mai il malato. L’angoscia della condizione che ci porta sulla soglia del limite umano supremo, e le scelte difficili che occorre assumere, ci espongono alla tentazione di sottrarci alla relazione. Ma questo è il luogo in cui ci vengono chiesti amore e vicinanza, più di ogni altra cosa, riconoscendo il limite che tutti ci accumuna e proprio lì rendendoci solidali. Ciascuno dia amore nel modo che gli è proprio: come padre o madre, figlio o figlia, fratello o sorella, medico o infermiere. Ma lo dia! E se sappiamo che della malattia non possiamo sempre garantire la guarigione, della persona vivente possiamo e dobbiamo sempre prenderci cura: senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte. In questa linea si muove la medicina palliativa. Essa riveste una grande importanza anche sul piano culturale, impegnandosi a combattere tutto ciò che rende il morire più angoscioso e sofferto, ossia il dolore e la solitudine.
In seno alle società democratiche, argomenti delicati come questi vanno affrontati con pacatezza: in modo serio e riflessivo, e ben disposti a trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise. Da una parte, infatti, occorre tenere conto della diversità delle visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose, in un clima di reciproco ascolto e accoglienza. D’altra parte lo Stato non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti coinvolti, difendendo la fondamentale uguaglianza per cui ciascuno è riconosciuto dal diritto come essere umano che vive insieme agli altri in società. Una particolare attenzione va riservata ai più deboli, che non possono far valere da soli i propri interessi. Se questo nucleo di valori essenziali alla convivenza viene meno, cade anche la possibilità di intendersi su quel riconoscimento dell’altro che è presupposto di ogni dialogo e della stessa vita associata. Anche la legislazione in campo medico e sanitario richiede questa ampia visione e uno sguardo complessivo su cosa maggiormente promuova il bene comune nelle situazioni concrete.
Nella speranza che queste riflessioni possano esservi di aiuto, vi auguro di cuore che il vostro incontro si svolga in un clima sereno e costruttivo; che possiate individuare le vie più adeguate per affrontare queste delicate questioni, in vista del bene di tutti coloro che incontrate e con cui collaborate nella vostra esigente professione.
Il Signore vi benedica e la Madonna vi protegga.
Dal Vaticano, 7 novembre 2017
Francesco
MARCO TOSATTI
Papa ed eutanasia, un intervento problematico
- EDITORIALI
- 17-11-2017
Ha preso l’avvio ieri e si concluderà oggi il Meeting Regionale Europeo della World Medical Association organizzato in Vaticano unitamente alla Pontificia Accademia per la Vita sui temi cosiddetti di “fine vita”. La World Medical Association non è un ente o un’associazione in qualche modo legata alla Santa Sede, ma è una laicissima associazione di medici. Alcuni suoi membri, come Benedetta Frigerio ha già avuto modo di illustrare da queste colonne qualche giorno fa (clicca qui), sono infatti a favore di eutanasia e aborto.
Ieri Papa Francesco ha inviato i suoi saluti ai partecipanti di questo convegno(clicca qui). Basta dare un'occhiata alle prime reazioni della grande stampa per comprendere che il messaggio del Santo Padre presenta accanto a passaggi sicuramente condivisibili, altri ambigui ed altri ancora formulati in modo erroneo. Esaminiamo quelli più problematici.
Il Papa parte da un fatto: la medicina ha fatto passi da gigante e questo può avere effetti positivi e negativi. In merito agli aspetti positivi il Pontefice afferma: «La medicina ha infatti sviluppato una sempre maggiore capacità terapeutica, che ha permesso di sconfiggere molte malattie, di migliorare la salute e prolungare il tempo della vita. Essa ha dunque svolto un ruolo molto positivo». Subito dopo Francesco elenca invece i rischi di tale progresso scientifico-tecnico: «D’altra parte, oggi è anche possibile protrarre la vita in condizioni che in passato non si potevano neanche immaginare. Gli interventi sul corpo umano diventano sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute. Occorre quindi un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona». A seguire il Papa cita, per commentare tali effetti nocivi, alcuni documenti del Magistero che trattano dell’accanimento terapeutico. Ora occorre chiedersi se le situazioni descritte dal Papa configurano accanimento terapeutico. Vediamole una ad una.
Il Papa da una parte afferma che vivere più a lungo è un bene, ma vivere più a lungo in condizioni di salute critica non lo è. Occorre a questo proposito ricordare che curare un paziente permettendogli di vivere più a lungo, sebbene con una qualità di vita non elevata perché affetto da gravi disabilità, patologie croniche severe, etc., non configura accanimento terapeutico. L’accanimento terapeutico infatti, come ricorda correttamente il Pontefice, è una sproporzione tra trattamenti e risultati sperati. Se grazie alla tecnologia oggi disponibile posso mantenere in vita per lungo tempo una persona affetta da sindrome della veglia aresponsiva (il cd paziente in stato vegetativo) ciò non configura accanimento terapeutico, ma in realtà è un obbligo morale in capo al medico e al paziente. La proporzione, in questi casi, deve guardare all’effetto positivo “vita”, non al “benessere”. In caso contrario scadremmo nell’etica della qualità della vita e non prestare le dovute cure configurerebbe un caso di eutanasia omissiva. Come ebbe a scrivere la bioeticista Claudia Navarini, per i sostenitori dell’eutanasia «non sarebbero eventuali trattamenti gravosi e inutili a costituire una forma di accanimento, ma sarebbe un accanimento il fatto stesso di mantenere in vita un morente o un malato grave» (C. Navarini, Eutanasia, in T. Scandroglio, Questioni di vita o di morte, Ares). I casi Welby, Eluana e Charlie sono paradigmatici in questo senso.
Altra frase problematica del Santo Padre già prima citata: «Gli interventi sul corpo umano diventano sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi». Ricordiamo che tali interventi per il Papa sono effetti negativi dell’ipertecnologia della medicina e configurano accanimento terapeutico. Ma l’accanimento terapeutico si realizza proprio quando il trattamento è inefficace. Quando invece, come scrive il Papa, fosse efficace, anche se non risolutivo, l’intervento è moralmente accettabile. Molti di noi portano gli occhiali: correggono un difetto della vista, ma non risolvono il difetto della vista. Eppure questa protesi non può venire derubricata ad accanimento terapeutico. Se i medici dovessero astenersi da tutti gli interventi non risolutivi, addio ad esempio alla cura della patologie croniche. Il medico, come ricorda lo stesso Pontefice, è chiamato non solo a guarire, ma anche a curare, cioè a migliorare o stabilizzare le condizioni di un paziente che per ipotesi mai guarirà.
Ulteriore periodo molto scivoloso: alcuni interventi «possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute». In merito al sostentamento delle funzioni biologiche possiamo riferirci alla nutrizione, idratazione e ventilazione assistita (ma non solo a loro dato che l’espressione “funzioni biologiche” può essere riferita ad un infinità di attività dell’organismo: la funzione metabolica epatica, la funzione endocrina, etc.). Se questi presidi vitali riescono a soddisfare il loro fine proprio - cioè adiuvare l’assimilazione di cibo, di liquidi e la respirazione – se non c’è sproporzione tra sollievo arrecato e dolore inferto e tra beneficio prodotto e danni procurati, allora significa che questi mezzi di sostentamento vitale non scadono nell’accanimento terapeutico, bensì equivalgono «a promuovere la salute» e «giovano al bene integrale della persona». Non somministrarli configurerebbe una scelta eutanasica. Anche laddove l’intervento avesse carattere sostitutivo – pensiamo ad esempio alla circolazione extracorporea durante un’operazione chirurgica – ciò non significa che di per se stesso l’intervento rappresenta una forma di accanimento terapeutico.
In breve al passaggio già menzionato, «gli interventi sul corpo […] possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute», occorreva aggiungere un “sempre”: «gli interventi sul corpo […] possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale sempre a promuovere la salute», perché in particolari circostanze tali interventi seppur adiuvanti o sostitutivi di funzioni biologiche possono configurare accanimento terapeutico.
Altro passaggio critico. Chi deve decidere se c’è o meno accanimento terapeutico? Il Papa afferma che l’ultima parola spetta al paziente, seppur in dialogo con i medici: «È anzitutto lui che ha titolo, ovviamente in dialogo con i medici, di valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalità nella situazione concreta, rendendone doverosa la rinuncia qualora tale proporzionalità fosse riconosciuta mancante». Francesco cita a questo proposito il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità» (n. 2278). Però leggiamo per intero il periodo citato parzialmente dal Papa: «Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente».
Il Catechismo ci dice questo: per capire se i trattamenti terapeutici configurano accanimento terapeutico occorre da una parte la competenza del medico, che ci potrà dire se, secondo letteratura e sua esperienza personale, quel tipo di cura è efficace o meno, e dall’altra il paziente, perché è solo lui, a patto che sia vigile e cosciente, che ci può comunicare ad esempio se tale cura gli reca troppo dolore, se si sente meglio, etc. Detto ciò però il criterio indicato dal Catechismo non scade nel soggettivismo assolutista, infatti il Catechismo specifica che le volontà del paziente devono essere rispettate solo se ragionevoli, cioè conforme a morale, e solo se dunque tutelano gli oggettivi interessi del paziente, ossia la sua dignità.
Detto in soldoni: se una paziente dichiarasse che non vuole più nutrirsi con le peg perché a suo insindacabile giudizio la nutrizione assistita configura accanimento terapeutico, questa volontà sarebbe irragionevole e quindi non da rispettare. L’ultima parola spetta alla valutazione del bene oggettivo della persona, bene oggettivo spesso non riconosciuto dalla persona stessa. Di contro, rispettare sempre e comunque il giudizio del paziente su cosa è o non è accanimento terapeutico aprirebbe la porta all’eutanasia. Quella stessa porta che il Santo Padre, nel messaggio inviato ai partecipanti del convegno che si sta svolgendo in Vaticano, vorrebbe che rimanesse sempre chiusa.
Il Catechismo ci dice questo: per capire se i trattamenti terapeutici configurano accanimento terapeutico occorre da una parte la competenza del medico, che ci potrà dire se, secondo letteratura e sua esperienza personale, quel tipo di cura è efficace o meno, e dall’altra il paziente, perché è solo lui, a patto che sia vigile e cosciente, che ci può comunicare ad esempio se tale cura gli reca troppo dolore, se si sente meglio, etc. Detto ciò però il criterio indicato dal Catechismo non scade nel soggettivismo assolutista, infatti il Catechismo specifica che le volontà del paziente devono essere rispettate solo se ragionevoli, cioè conforme a morale, e solo se dunque tutelano gli oggettivi interessi del paziente, ossia la sua dignità.
Detto in soldoni: se una paziente dichiarasse che non vuole più nutrirsi con le peg perché a suo insindacabile giudizio la nutrizione assistita configura accanimento terapeutico, questa volontà sarebbe irragionevole e quindi non da rispettare. L’ultima parola spetta alla valutazione del bene oggettivo della persona, bene oggettivo spesso non riconosciuto dalla persona stessa. Di contro, rispettare sempre e comunque il giudizio del paziente su cosa è o non è accanimento terapeutico aprirebbe la porta all’eutanasia. Quella stessa porta che il Santo Padre, nel messaggio inviato ai partecipanti del convegno che si sta svolgendo in Vaticano, vorrebbe che rimanesse sempre chiusa.
Infine una nota di carattere generale. Il messaggio del Papa è incentrato per buona parte sull’accanimento terapeutico perché «oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo». Parrebbe quindi che il vero pericolo oggi nelle corsie di ospedale sia l’accanimento terapeutico e non l’eutanasia. Ma così non è. Le norme esistenti in molti Paesi, le pratiche cliniche diffuse, le linee guida di alcune società mediche, i fatti di cronaca come quelli che hanno interessato il piccolo Charlie e dj Fabo, le cliniche per la “dolce morte” sparse qua è là nel mondo, ci portano a dire che la vera emergenza è l’eutanasia, non certo l’accanimento terapeutico.
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