ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 27 novembre 2017

Il “cerchio magico”

 NON ASCOLTA NESSUNO


Non risponde non ascolta nessuno. Sassolini nelle scarpe? Il cardinale Müller ha rilasciato una sofferta intervista: "Il rischio è di una dinamica scismatica difficile da recuperare la soluzione è un dialogo chiaro e schietto" 
di Francesco Lamendola  


 

Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, dice Gesù Cristo ai suoi discepoli, e, attraverso di loro, a ciascuno di noi, a ciascuno di noi che abbiamo creduto e che crediamo in Lui. Ed è lo stesso Gesù Cristo il quale, in un’altra occasione, ha detto loro: Non c’è servo che sia superiore al padrone. Dunque, se qualcuno vuole essere suo seguace, deve prendere Lui quale modello perfetto e insuperabile: non ce ne sono altri, né mai ce ne saranno. E Gesù è umile; e ha esaltato l’umiltà come la virtù fondamentale di chi lo vuol seguire. Lo ha fatto in tutte le occasioni possibili, lo ha ripetuto sino allo sfinimento. Chi vuol essere il primo, sarà l’ultimo; chi vuol essere degno di Lui, deve servire i suoi fratelli; chi lo vuole imitare, deve imparare a farsi piccolo, perché solo facendosi piccoli si entra nel regno di Dio.
Esteriormente, si direbbe che il papa Francesco si ricordi di queste raccomandazioni. Non tralascia mai, in occasione della santa Pasqua, di lavare i piedi a dodici poveri, meglio se stranieri e musulmani, in ricordo del gesto fatto da Gesù con i dodici. Inoltre, loda volentieri i suoi amici, anche se sono modelli di vita diametralmente contrari al Vangelo, come Eugenio Scalfari, Emma Bonino e Marco Pannella: e già qui, più che nella sfera dell’umiltà, siamo in quella dell’ambiguità, o peggio; perché nella vita di Gesù, il solo modello al quale ci dobbiamo ispirare, non si trova nulla del genere. 

Gesù non loda Erode Antipa, né Anna o Caifa; al contrario: e non dimentica che Erode Antipa è colui che ha fatto tagliare la testa a Giovanni il Battista. Gesù non confonde mai le relazioni personali con gl’individui, con l’approvazione del loro stile di vita, quando esso è peccaminoso o contrario alla legge di Dio; Gesù non è mai ambiguo, non è mai interpretabile in maniera contraria a se stesso, se appena si possiede un minimo di buona fede nell’accostarsi alle sue parole e alle sue azioni. Bergoglio, sì. Talmente ambiguo che ha fatto dell’ambiguità il segno caratteristico del suo Magistero: valga per tutti il caso di Amoris laetitia; ma la stessa cosa si potrebbe dire per decine e decine di omelie dalla Messa officiata nella Casa Santa Marta, e per una quantità impressionante di interviste, interventi, discorsi improvvisati, anche nel corso di visite pastorali: uno più sconcertante, più scioccante dell’altro. Gesù, per esempio, si rifiuta di giudicare la donna adultera, nel momento in cui giudicarla avrebbe significato consegnarla alla lapidazione; nondimeno, nel congedarla, le raccomanda: Vai, e non peccare più. Gesù è chiarissimo in tutte le sue parole e in tutti i suoi atti. Chiama peccato il peccato; e raccomanda al peccatore di non peccare più, di convertirsi, di cambiar vita. Questo fa Gesù, il Figlio di Dio, il nostro Redentore e il nostro unico modello di vita e di dottrina.
Ma Bergoglio, no. Dice che le situazioni esistenziali sono complesse, difficili, e che il peccatore può non saper fare di meglio che restare nel proprio peccato; e che non solo la Chiesa, ma Dio stesso, in tali casi, non gli domandano niente di più, anzi, non si aspettano da lui niente di diverso. Si legga il paragrafo 303 di Amoris laetitia. Dice anche che la coscienza individuale è il criterio supremo al quale fare appello, quando ci si trova in situazioni d’incertezza morale e non si sa bene a qual partito appigliarsi. Strano; stranissimo. Credevamo che l’istanza suprema alla quale rivolgersi, in simili casi, fosse il Vangelo di Gesù Cristo, nonché l’esempio concreto della sua vita. E credevamo che il papa, che è il suo vicario in terra, questo ci avrebbe detto; così come, del resto, hanno sempre fatto i duecentosessantacinque papi che si sono finora succeduti sul soglio di san Pietro. Alcuni santi, alcuni ammirevoli, altri moralmente discutibili, e certuni addirittura pessimi. Nessuno di loro, però, mai, ha osato affermare ciò che ha detto Bergoglio, e lo ha detto sin dall’inizio, sin dalla sua scandalosa intervista a Scalfari, nel settembre del 2013, qualche mese dopo essere stato eletto: che in caso di dubbio morale, quel che si deve fare è rivolgersi alla propria coscienza. Questo non è cattolicesimo e non è neppure cristianesimo: questo è relativismo della più bell’acqua. Ed è quel relativismo che lo ha indotto a non aprire bocca allorché i suoi fedelissimi facevano a pezzi la dottrina cattolica: padre Sosa, dicendo che non si sa cosa Gesù abbia detto realmente, e aggiungendo, per buona misura, che il diavolo non esiste; monsignor Galantino, asserendo che Dio non distrusse, ma risparmiò Sodoma e Gomorra, e, inoltre, che Lutero fu mandato dallo Spirito Santo; monsignor Paglia, poi, invitando tutti a prendere Marco Pannella quale modello di vista spirituale e moralmente ispirata, e facendo raffigurare, sulla controfacciata del duomo di Terni, quand’era vescovo di quella città, un affresco blasfemo che, oltre a lordare la figura di Gesù Cristo, costituisce un’aperta e sfacciata apologia dei più gravi disordini sessuali, l’omofilia, il transessualismo, la prostituzione. Però, quando vuol far sentire la sua voce, Bergoglio sa farlo, e molto bene: per esempio, per contraddire e umiliare pubblicamente il cardinale Sarah, il quale cerca disperatamente di porre un freno agli abusi liturgici e all’anarchia che regna, in questo campo, nelle singole diocesi; oppure quando ha voluto far vedere la disistima in cui tiene il maggior teologo cattolico vivente, il cardinale Müller, la cui “colpa”, probabilmente, oltre ad essere stato un fidato collaboratore di Joseph Ratzinger, è stata quella di avere adottato una linea ferma in materia d’indissolubilità del matrimonio. Allo scadere dei suoi cinque anni di mandato come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, lo ha liquidato, senza lasciarvelo neanche un giorno in più. E questo mentre lo scandaloso cardinale Coccopalmerio, il cui segretario si abbandona a orge e festini gay, con tanto di droga, nei palazzi vaticani, è da dieci anni suonati presidente del Pontifico Consiglio per i testi legislativi: precisamente, dal 2007, pur avendo ben passato l’età della pensione (curiose coincidenze: è lo stesso cardinale che, evidentemente dotato di facoltà divinatorie, disse, a suo tempo, che il nuovo papa sarebbe venuto dall’America Latina; prendiamone buona nota: questi personaggi che sanno le cose in anticipo, sono poi quelli che restano in sella più a lungo).
È noto che quattro stimati cardinali, Caffarra, Meisner, Burke e Brandmüller, rivolsero a suo tempo una richiesta di chiarimenti circa alcuni punti di Amoris laetitia, e come egli non li ha mai degnati di una risposta (i primi due, nel frattempo, sono passati a miglior vita), così come ha rifiutato loro anche un incontro privato. Ed è noto come non abbia mostrato alcun segno di aver recepito la “correzione filiale” proposta, su quei medesimi punti, da sessantadue sacerdoti e teologi, i quali, del pari, gli hanno scritto, confidando in un suo cenno di riscontro. Nel primo caso, anzi, aveva lasciato che monsignor Pio Vito Pinto, dicesse, con tono di non dissimulata minaccia, che il papa avrebbe anche potuto privare della berretta cardinalizia i quattro cardinali su citati, per punirli della loro “insubordinazione”; nel secondo caso, ha lasciato che i suoi fedelissimi rispondessero con tono astioso e piccati alla “correzione filiale”, dipingendo i suoi estensori come delle persone sleali e ribelli all’autorità del santo padre. Quando non vuole rispondere, quindi, il papa non risponde; e pazienza se l’interrogante, nel frattempo, muore: vuol dire che riceverò la risposta dal Signore Iddio. E quando vuole umiliare qualcuno, lo licenzia e ignora i suoi saggi, amichevoli avvertimenti. Ed è questo il caso, appunto, dell’ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, Müller, ora sostituito da un suo fedelissimo, lo spagnolo Ladaria Ferrer: come da copione. Müller, ripetiamo, è un teologo coi controfiocchi (non un ciarlatano come certi personaggi che si spacciano, di questi tempi, per teologi), con oltre 400 pubblicazioni scientifiche al suo attivo; ed è inoltre una persona retta, onesta, coerente, indefettibile dai suoi doveri. Un uomo tutto d’un pezzo, come ce n’erano una volta, e ora sempre di meno; un uomo leale, che non ha mai detto o fatto alcunché per mettere in difficoltà il papa, anche se, nello stesso tempo, non ha potuto tacere davanti alle interpretazioni moderniste e relativiste di certe sue affermazioni, perché, come si addice a un vero pastore d’anime, bisogna sempre piacere a Dio piuttosto che agli uomini. Egli è anche un uomo equilibrato, corretto, alieno da ogni faziosità; ragion per cui, all’epoca in cui i quattro cardinali rivolsero al papa i loro legittimi dubia, che rappresentavano anche quelli di milioni e milioni di cattolici, egli assunse una posizione moderatrice, auspicando che un dialogo venisse instaurato. Insomma, a differenza dei membri del “cerchio magico” di Begoglio i suoi potentissimi consiglieri che si limitano a dargli sempre ragione, e che lo spingono su posizioni sempre più intransigenti e sempre più insofferenti verso qualsiasi critica, anche la più legittima e la più motivata, il cardinale Müller ha fatto quanto stava in lui per impedire che il papa si chiudesse in una sorta di fortezza inespugnabile, tagliando i ponti (proprio lui, che parla sempre di ponti da gettare e di muri da far crollare!) con quanti, nella Chiesa, non comprendono né il suo stile, né il senso delle sue “riforme”, e ne sono, anzi, ogni giorno più turbati e amareggiati: il tutto senza mai venir meno ad una assoluta lealtà nei confronti del pontefice, e mandando giù parecchi bocconi amari, come quando il solito Sosa Abascal polemizzò con lui proprio sulla indissolubilità del matrimonio (e fu allora che l’ineffabile generale dei gesuiti, di provatissima fede bergogliana – al punto che non dice: io sto con Gesù Cristo, ma: io sto con il papa Francesco -, rilasciò quella inverosimile dichiarazione circa l’inattendibilità dei quattro Vangeli a causa del fatto che, all’epoca di Gesù, non esistevano i registratori per inciderne la voce), e il papa non aprì bocca, non diciamo per difenderlo, ma neanche per mandargli un sia pur minimo messaggio di solidarietà indiretta: il papa di solito così loquace, così solerte nel far sentire la sua opinione su qualsiasi argomento.
Ora il cardinale Müller ha rilasciato una sofferta intervista al giornalista Massimo Franco del Corriere della Sera. Non crediamo che l’abbia fatto per togliersi dei sassolini dalle scarpe; o, comunque, non principalmente per quello: un uomo della sua statura morale, che serve da 66 anni la sua Chiesa con dedizione assoluta, è superiore a tali meschinità. E cosa ha detto, in questa intervista? Che esiste un gruppo di personalità intenzionate a fare fronte comune contro il papa, ma che lui ha rifiutato di farvi parte, perché ciò sarebbe in contraddizione con tutta la sua vita e con la sua stessa idea di sacerdozio. Però ha detto anche un’altra cosa, e ci pare che sia questo il cuore delle sue dichiarazioni: che coloro i quali dissentono dal papa, o che avanzano delle domande, coloro i quali non capiscono la sua azione e attendono dei chiarimenti, andrebbero ascoltati, perché, altrimenti, si va verso uno scisma. 

Non risponde, non ascolta nessuno

di Francesco Lamendola

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Il cardinale Müller e i veri nemici del Papa                    


Sono tanti gli spunti della bella intervista rilasciata dal cardinale Gerhard Müller a Massimo Franco per il Corriere della Sera. Ma sono due soprattutto le cose che vale la pena sottolineare.
Anzitutto l’ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nel sottrarsi allo squallido schema che vuole dividere il mondo in “amici” e “nemici” del Papa, fa vedere come sia possibile mantenere una profonda unione con il successore di Pietro pur criticando alcune sue scelte o modi di fare: «Come diceva il teologo del Cinquecento, Melchior Cano, i veri amici non sono coloro che adulano il Papa ma quelli che lo aiutano con la verità e la competenza teologica ed umana». E di certo anche in questa intervista non mancano appunti precisi al Papa: dalla mancanza di dialogo all’interno della Chiesa al modello di papato «più come sovrano dello Stato del Vaticano che come supremo insegnante della fede». Amore al Papato, franchezza con il Papa. Di contro, non può non venire in mente che alcuni dei più accesi sostenitori di papa Francesco, che non perdono occasione per fustigare chiunque osi esprimere anche solo una domanda, siano – vedi Enzo Bianchi – proprio tra coloro che vorrebbero liquidare il Papato. Curiosa coincidenza.
Il cardinale Müller rivendica con orgoglio il suo amore per la Chiesa e respinge qualsiasi tentativo di strumentalizzare la vicenda del suo mancato rinnovo alla Congregazione per rinchiuderlo nell’angolo degli “oppositori” del Papa. Non ci sono complotti contro Francesco, dice Müller, e però ricorda al Pontefice la grave responsabilità che ha di fronte alle domande e alle perplessità che arrivano da tante parti della Chiesa. I cardinali che hanno espresso Dubia su Amoris Laetitia e i 62 firmatari della Correctio Filialis vanno ascoltati e non liquidati sbrigativamente come “farisei”: proprio questo atteggiamento di chiusura potrebbe aprire la strada a processi scismatici, mette in guardia l’ex prefetto.  
È una presa di posizione, quella del cardinale Müller, che ci conforta perché più volte anche noi siamo intervenuti per rivendicare la possibilità di esprimere perplessità e critiche su alcuni atti o anche su alcuni pronunciamenti politici e sociali di papa Francesco senza in nessun modo voler mettere in discussione la comunione con Pietro. È proprio perché amiamo la Chiesa e sappiamo quanto sia importante il Papato che sentiamo il dovere di esprimere un giudizio su quel che accade e ferisce tanti fedeli.
C’è un secondo aspetto che emerge con prepotenza dalle parole di Müller e che in qualche modo è collegato al primo, anzi è una causa fondamentale delle difficoltà all’interno della Chiesa. L’ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede denuncia con forza il “cerchio magico” che sta intorno a papa Francesco e che è il primo responsabile delle epurazioni – a Roma e non solo - che ormai si succedono con continuità. Perché queste persone si preoccupano soprattutto «di fare la spia su presunti avversari».

Lui stesso è stato vittima di questa cricca di delatori che «servono solo se stessi». Dice a proposito degli eventi che hanno portato alla sua mancata riconferma alla Congregazione: «Il Papa mi confidò: “Alcuni mi hanno detto anonimamente che lei è mio nemico” senza spiegare in qual punto». Nessuna possibilità di difesa gli è stata concessa: «Dopo quarant’anni al servizio della Chiesa – prosegue il racconto - mi sono sentito dire questo: un’assurdità preparata da chiacchieroni che invece di instillare inquietudine nel Papa farebbero meglio a visitare uno strizzacervelli». Sempre a spie e delatori si deve il licenziamento in tronco di tre validissimi collaboratori alla Congregazione per la Dottrina della Fede, poco prima dell’uscita di scena dello stesso Müller. Erano molto preparati e dediti al lavoro sui casi di pedofilia, cacciati senza un perché: «Le persone non possono essere mandate via ad libitum, senza prove né processo, solo perché qualcuno ha denunciato anonimamente vaghe critiche al Papa mosse da parte di uno di loro…».
Questa è la situazione che c’è oggi in Vaticano e il problema di spie e delatori, che adulano il Papa solo per fare carriera, è un fenomeno purtroppo generalizzato.
Il cardinale Müller ovviamente non fa nomi, ma non è difficile individuare almeno alcuni elementi del “cerchio magico”: monsignori dalle improvvise carriere brillanti, giornalisti e intellettuali che si premurano quasi quotidianamente di additare al pubblico ludibrio i presunti “nemici” del Papa. È «il danno più grave che causano alla Chiesa», afferma Müller. E noi siamo completamente d’accordo.
Riccardo Cascioli             

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