ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 3 novembre 2017

Il gentilone della CEI

È TORNATO RVC. HA LETTO L’ULTIMA ESTERNAZIONE DI GALANTINO, E NON SA SE RIDERE O PIANGERE. BENTORNATO, COMUNQUE.

Che sorpresa! Dopo un lungo periodo di vacanza – credo che sia stato molto all’estero è tornato farsi vivo Romana Vulneratus Curia (RVC per gli amici, e ormai, anche per i nemici). Temevo che si fosse stufato di seguire i disastri abituali della Chiesa e del Paese, e di farsi vivo con Stilum Curiae. Un po’ forse era così; ma poi ha letto l’ultima recente esternazione di mons. Galantino, segretario generale di quello che scherzosamente chiamiamo l’Ufficio Affari Religiosi del governo e del partito al potere, e ed è stato troppo. come potete vedere…

“Gentile dottor Tosatti, è qualche mese che non le scrivo solo perché non ho più letto le esternazioni del Segretario Cei, tanto che ho pensato che lo avessero tacitato. Invece leggo oggi (2 novembre ) sul quotidiano La Stampa un’intervista proprio a mons. Galantino e non riesco a smettere di ridere e piangere nello stesso tempo. Sua Eccellenza Galantino lamenta in detta intervista di esser spesso frainteso ( “mi vengono attribuite posizioni mai prese e parole mai pronunciate“) e invita i suoi critici a parlare “con cognizione di causa e con conoscenza di dati” (si riferisce ai dati Istat). Ma quali dati Istat ? Lui sa interpretare i dati Istat? Per spiegare che? Ma dove ha letto che si imputa agli immigrati la mancanza di lavoro in Italia? Semmai si imputa al crollo della natalità che ha comportato crollo dello sviluppo economico e il trasferimento degli investimenti in paesi a basso costo di produzione, per compensare le non nascite con maggiori consumi individuali. E i responsabili di questo crollo della natalità sono quelli che il suo collega della Pontificia Accademia delle scienze sociali invita in Vaticano (Paul Ehrlich, Jeffrey Sachs, Ban Ki-Moon…). Ma non li invita per convertirli, bensì per ascoltare i loro indottrinamenti errati di malthusianesimo ambientalista.
Invece di documentarsi, studiare, informarsi, anche con fonti un po’ diverse, “per riappropriarsi del diritto di esser informati, giudicare e decidere su fonti veritiere” (come dice nell’intervista) Galantino resterà convinto di conoscere i dati Istat e dormirà felice. Ma non ho finito. Mi ha sbalordito anche la provocatoria affermazione del segretario Cei: “I diritti (ma anche i doveri) possono essere riconosciuti e garantiti solo in un clima di dialogo e di incontro”. Perbacco! L’esempio di clima di dialogo e di incontro ricevuto dai cardinali dei DUBIA e dai firmatari della correctio, che vengono dall’Alto e sono quindi esemplari, lo smentiscono, però. Straordinario poi l’esempio fatto da Galantino sulla sua esperienza di emigrato in Svizzera, quando era studente per pagarsi gli studi, al fine di capire la sofferenza degli immigrati in Italia …Ma mons. Galantino dovrebbe studiare, informarsi e documentarsi seriamente, almeno quando si riferisce allo jus soli che ci sta venendo imposto proprio grazie agli obbedienti responsabili della “cosa pubblica”. Lo jus soli   è solo la naturale conseguenza del processo di immigrazione voluto e pianificato, proposto con eccessiva solerzia umanitaria, ma che prescinde dal problema e dalle vere soluzioni. Quello su cui mons. Galantino dovrebbe riflettere è che detto processo (che sfrutta questi poveri esseri umani) toglierà lavoro sì, ma non ai disoccupati italiani, ma proprio a Galantino. Ciò perché, come è stato dichiarato, l’obiettivo è imporre, anche con le migrazioni, una forma di sincretismo religioso (legga le dichiarazioni di Kofi Annan all’ONU nel 2000). Quando, presto, ciò avverrà disoccupato sarà mons. Galantino. Tosatti, la prego, spieghi al caro mons. Galantino che è vero, “leggere e informarsi costa!”, ma gli dica che anche pensare costa, ma è un costo che non si può sostenere, anche essendo ricchi, se non si sa farlo”. Suo RVC
Marco Tosatti

http://www.marcotosatti.com/2017/11/03/e-tornato-rvc-ha-letto-lultima-esternazione-di-galantino-e-non-sa-se-ridere-o-piangere-bentornato-comunque/ 


Profughi? Tutte balle! Non sono poveri e non scappano dalla guerra né dalla fame


Anna Bono, docente di Storia dell’Africa all’Università di Torino: “C’è una propaganda che li esorta a venire in Italia spiegando che qui è tutto gratis”

Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa all’Università di Torino, conoscendo a fondo la materia, ribalta un bel gruzzolo di luoghi comuni. Spiega che chi sbarca o viene traghettato sulle nostre coste, arrivando prevalentemente dall’Africa subsahariana, per la stragrande maggioranza dei casi non è un profugo. E nemmeno un povero in fuga dalla fame. Ma un giovane maschio, spesso appartenente al ceto medio, che non scappa da guerre o persecuzioni. “La maggior parte di chi lascia l’Africa subsahariana per l’Europa non scappa né dalla guerra né dalla povertà estrema”.
Professoressa, ci raccontano che gli immigrati che arrivano in Italia sono profughi.
I dati dicono che dall’inizio dell’anno il numero di persone che hanno fatto domanda di asilo politico, e che hanno ottenuto risposta positiva, si assesta intorno al 4%. Significa che tutti gli altri non rientrano nei parametri previsti dalla convenzione di Ginevra, quindi non sono persone che hanno lasciato il loro Paese sotto la minaccia di perdere la libertà o la vita: non sono persone perseguitate.
E ci raccontano che chi non scappa dalla guerra però scappa dalla fame.
I costi elevatissimi dell’emigrazione clandestina contraddicono questa tesi comune. Ormai è risaputo che chi vuole venire in Europa deve mettere insieme 4mila, 5mila o 10mila dollari per potersi appoggiare a un’organizzazione di trafficanti che provveda all’espatrio. Cifre appunto elevatissime soprattutto se rapportate ai redditi medi dei Paesi di provenienza. Chi arriva generalmente appartiene al ceto medio o medio basso, comunque per la gran parte non si tratta di indigenti. C’è chi risparmia, chi si fa prestare il denaro dai parenti, chi paga a rate, chi vende una mandria, però i soldi ci sono, i trafficanti vogliono essere pagati in contanti. È gente che ha una disponibilità economica. Certo c’è la delusione di vivere in Paesi dove avanzano prevalentemente i raccomandati: la spinta può arrivare anche da lì, da delusioni lavorative, come succede per chi parte dall’Italia.
Per quale motivo chi è eventualmente coinvolto in un conflitto dovrebbe far rotta dall’Africa subsahariana verso l’Europa?
Infatti non succede questo. In Africa i profughi sono milioni e milioni ma la quasi totalità di coloro che ottengono asilo non lascia il continente. I profughi sono più di 60 milioni, dato del 2015, di cui 41 milioni sono profughi interni, sfollati. Quando si vive in uno stato di conflitto o di pericolo ci si allontana solo il minimo indispensabile per mettersi al sicuro, pensando di poter fare ritorno a casa propria. La maggior parte delle persone si allontana restando all’interno dei confini nazionali, mentre un’altra porzione di persone oltrepassa i confini per essere ospitata nei campi dell’Unhcr anche per lungo tempo, come per il caso della Somalia. Benchè la diaspora somala sia una delle più numerose al mondo, a causa di vent’anni di instabilità e del terrorismo di Al Shaabab, solo una parte dei profughi è fuggita all’estero: la gran parte ha oltrepassato i confini nazionali riparando nel vicino Kenya.
Qual è la situazione nei Paesi di partenza?
Molti emigranti arrivano per esempio da un Paese come il Senegal che non è in guerra, non vive gravi problemi di conflitti e come tutti i Paesi africani, con poche eccezioni, vive un periodo positivo dal punto di vista economico. Da anni quasi tutta l’Africa presenta una crescita del prodotto interno lordo costante e in certi casi consistente. Il problema è che questa crescita non si traduce in vero e proprio sviluppo economico o umano, anche a causa della corruzione endemica e del malgoverno.
Per quale motivo telegiornali, grande stampa e larga parte della politica insistono nel parlare erroneamente di “sbarchi di profughi o rifugiati”?
Mass media, politici, chiunque parli di immigrazione utilizza emigrante, profugo o rifugiato come fossero sinonimi. Ma ovviamente non lo sono. In parte ciò è frutto di una confusione involontaria. In parte però si tratta di un errore voluto, perché c’è la tendenza ad affermare che chiunque lasci il proprio Paese abbia una forma di disagio e dunque abbia il diritto di essere ospitato. Questo approccio si traduce in ciò che vediamo: centinaia di migliaia di persone in marcia per arrivare in Europa. Molti dei quali non sono indigenti e per la maggior parte, circa l’80%, sono giovani uomini di età non superiore ai 35 anni. Poi c’è una fetta crescente di minori non accompagnati, metà dei quali non si sa che fine faccia. Si parla tanto di accoglienza e poi lasciamo sparire 5mila bambini nel nulla.
L’esodo è favorito da una sorta di propaganda?
Nei Paesi dell’Africa subsahariana esistono pubblicità che incitano ad andare in Italia, spiegando che qui è tutto gratis. E in effetti lo è. Mi immagino le telefonate di questi ragazzi ai loro amici, in cui confermano che effettivamente tutto viene assicurato loro gratuitamente.
Come vede la questione in prospettiva?
Se continuiamo ad andarli a prendere a poca distanza dalle coste africane, come illustrava una vignetta satirica di Krancic, la situazione non potrà che peggiorare. In Grecia non sbarca quasi più nessuno da quando è stato siglato l’accordo con la Turchia. Se chi pensa di venire in Italia ha la certezza di essere rimandato indietro, non avendo le caratteristiche per ottenere l’asilo, alla fine desiste. Manca la volontà politica. Che ci sia un divario notevole tra le condizioni di vita dell’Africa, del Sudamerica o di una parte dell’Asia rispetto all’Occidente è evidente. Però noi abbiamo 4 milioni e 600mila poveri assoluti e il 40% dei giovani senza lavoro, numeri di cui tenere conto.
Fonte: Marco Dozio da http://www.ilpopulista.it

http://www.maurizioblondet.it/profughi-tutte-balle-non-poveri-non-scappano-dalla-guerra-ne-dalla-fame/

Immigrati e “invasione”, il documento segreto di Soros: i 14 parlamentari italiani “affidabili”

Ci sono 14 parlamentari italiani giudicati “affidabili” da Open Society, la fondazione del magnate ungherese Goerge Soros attivissima nelle politiche a sostegno di profughi e immigrazione. Soros viene considerato il maggiore sponsor mondiale della “invasione” dell’Occidente, qualcuno parla addirittura di “sostituzione etnica”. E il dossier segreto sui suoi rapporti con l’Europarlamento di Strasburgo, di cui parla Maria Giovanna Maglie su Dagospia, proprio per questo suona assai inquietante. 
Nel documento, filtrato da Open Society. si fa riferimento con nomi e cognomi a 14 europarlamentari italiani: 13 sono del Pd e uno della Lista Tsipras. Del Pd sono Brando Maria Benifei, Sergio Cofferati, Cecile KyengeAlessia Mosca, Andrea Cozzolino, Elena Gentile, Roberto Gualtieri, Isabella De Monte, Luigi Morgano, Pier Antonio Panzeri, Gianni Pittella, Elena Schlein, Daniele Viotti. Della Lista Tsipras è Barbara Spinelli. Tutti loro rientrano nel “gruppone” di politici giudicati ottimi partner strategici da Soros e compagnia terzomondista, 226 parlamentari su 751, più 7 vicepresidenti, decine di coordinatori e di questori, i membri di 11 commissioni e 26 delegazioni.
Tra gli “amici” ci sono anche 38 esponenti del Ppe, 36 del Partito Liberale, 34 della Sinistra nordica e a addirittura 7 tra Conservatori e Conservatori e riformisti europei. “Pratica lobbistica classica”, sottolinea la Maglie, anche se qui non si sta parlando di sostegno a questa o quella attività economica ma di un complicatissimo, difficilissimo esperimento sociale, economico, culturale. L’Europa sta ridisegnando la sua immagine e il suo futuro, e il sospetto che tutto questo non solo sia reso obbligato dalle migrazioni di massa, ma anche favorito da qualcuno che nel business dell’accoglienza ha più di qualche interesse rende il tutto decisamente preoccupante. 
Non a caso Open Society Foundation si propone di “far accettare agli europei i migranti e la scomparsa delle frontiere”, come reso noto da un progetto finanziato per 18 miliardi di dollari. E qualcuno, tra Stasburgo e Bruxelles, sarà pronto a fare sponda. 

liberoquotidiano.it

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