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Risposta ai “dubia” o eresia conclamata? Il problema della pubblicazione sugli “Acta Apostolicae Sedis” della lettera ai vescovi di Buenos Aires
Qualche mese fa, in occasione della pubblicazione sul sito del Vaticano della lettera di compiacimento del Vescovo di Roma ai vescovi della regione ecclesiastica di Buenos Aires per i Criterios básicos para la aplicación del capitulo VIII de Amoris laetitia – lettera del Vescovo di Roma, a quanto ci risulta, probabilmente richiesta da persone vicine all’attuale establishment vaticano, prima che giungesse un parere avanzato dai vescovi predetti ad un gruppo di teologi moralisti, e che “blindava” i criteri elaborati in quel momento - un insigne canonista, il prof. Edward Peters, docente di diritto canonico a Detroit, affermava che quella lettera e quei Criteri non potessero assumere valore legislativo in ambito canonico né vincolante, in quanto la pubblicazione online non costituiva una modalità prevista dal can. 8 § 1 C.I.C. (cfr. E. Peters, On the appearance of the pope’s ‘Buenos Aires’ letter on the Vatican website, in In the Light of the Law – A Canon Lawyer’s Blog, Aug. 24, 2017) Concludeva, quindi, mostrando una certa rassicurante tranquillità:
«There are, to be sure, many important publications coming out of the Holy See and/or the Vatican City State (L’Osservatore Romano, Communicationes, Enchiridion Vaticanum, the Insegnamenti of recent popes, and so on) some of which carry canonically and magisterially significant documents in a complex (and sometimes confusing) variety of formats. Sorting out these fontes essendi and fontes cognoscendi is stuff for professionals; our focus today is on key points of codified canon law, on some very important disciplinary provisions presented in that law, and specifically on where such laws and norms for pastoral activity are set out authoritatively.
And that, folks, is not the Vatican website».
Aveva ragione. Per quell’insigne canonista serviva la pubblicazione sugli Acta Apostolicae Sedis.
La qual cosa è avvenuta puntualmente. In effetti, pochi giorni fa, il testo della Lettera del Vescovo di Roma, unitamente ai Criterios básicos elaborati dai vescovi argentini sono apparsi sul fasc. 10 dell’anno 2016 degli Acta Apostolicae Sedis, pp. 1071-1074. Ora, va detto che gli Acta sono pubblicati con circa un anno di ritardo rispetto a quello di riferimento. Per cui, la pubblicazione risale davvero a pochi giorni fa. Senonché questi due documenti – ed è qui la novità di rilievo – sono stati pubblicati con un rescritto ex audientia SS.mi, a firma del card. Segretario di Stato, Pietro Parolin, datato 5 giugno 2017.
Quest’atto, dal nome altisonante (ex audientia SS.mi), che non compare nel sito del Vaticano, in verità, oltre a disporre la pubblicazione dei due predetti atti negli Acta, qualificava gli stessi come espressione del Magistero Autentico:
Summus Pontifex decernit ut duo Documenta quae praecedunt edantur per publicationem in situ electronico Vaticano et in Actis Apostolicae Sedis, velut Magisterium authenticum.
Ex Aedibus Vaticanis, die V mensis Iunii anno MMXVII
Petrus Card. Parolin
Secretarius Status
Non solo. Ma negli Acta, la Lettera del Vescovo di Roma appare così titolata: EPISTULA APOSTOLICA Ad Excellentissimum Dominum Sergium Alfredum Fenoy, delegatum Regionis Pastoralis Bonaërensis, necnon adiunctum documentum (de praecipuis rationibus usui capitis VIII Adhortationis post-synodalis “Amoris Laetitia”).
Tutta questa terminologia – unitamente all’elevazione dei due documenti a “Magistero autentico”, che evoca direttamente, quanto a sua vincolatività, il can. 752 c.i.c. – spazza via ogni perplessità circa la natura della missiva del Vescovo di Roma.
In effetti, nel settembre 2016, non pochi autori non vi avevano ravvisato alcun allarmismo, stante – affermavano – la natura assuntamente “privata” e non vincolante dell’atto in questione. Tra questi segnaliamo il domenicano P. Giovanni Cavalcoli (Circa la infelice lettera del santo padre ai vescovi argentini: una nota sulla questione della comunione ai divorziati risposati, in Isola di Patmos, 14.9.2016) ed il giornalista Riccardo Cascioli (cfr. Amoris Laetitia, il dibattito non è finito, in LNBQ, 13.9.2016). Cosa diranno oggi questi nostri autori??? Ribadiranno quanto da loro detto più di un anno fa e cioè che trattasi non di documento magisteriale, bensì di missiva avente carattere privato??? Vorranno affermare ciò nonostante il rescritto, minimizzandolo???
Per la verità, già l’anno scorso quest’affermazione lasciava molto a desiderare dal punto di vista canonistico e logico. In effetti, un documento che era pubblicato – come nel caso della Lettera in questione e dei Criterios básicos sul quotidiano de L’Osservatore romano e diffuso dalla Radio Vaticana, ben difficilmente poteva ritenersi meramente privato, se non compiendo una notevole forzatura del dato oggettivo della pubblicazione ufficiale nel quotidiano della Santa Sede.
D’altro canto, l’affermazione circa l’irrilevanza magisteriale di missive pontificie pretesamente private era facilmente smentita da una semplice lettura dell’Enchiridion Symbolorum del Denzinger. Basta sfogliarlo per rendersi conto che la maggior parte dei documenti ivi registrati e che costituirebbero il magistero papale sono costituiti da missive “private” papali a vescovi, singoli o gruppi di una regione ecclesiastica, a imperatori , re e capi di governo. Documenti, dunque, per loro natura, nati come “privati” sono entrati a pieno titolo nel Magistero. Da sempre, per di più, come notato da un nostro Amico, anche gli atti privati di un Pontefice fanno testo, quando esplicitano la mens di un provvedimento. Per esempio, il “De Synodo Dioecesana libri tredecim” fu senz’altro un’opera scritta da Benedetto XIV – Prospero Lambertini come dottore privato; ma la Curia Romana, interrogata sul senso della “Vix pervenit”, non esitava a rimandare i richiedenti al passo delDe Synodo in cui papa Lambertini scriveva di aver voluto condannare la tesi secondo cui l’usura moderata doveva considerarsi illecita solo se esercitata nei confronti dei poveri. Altro esempio che ci viene in mente è la nota lettera al vescovo di Gubbio, Decenzio, del papa Innocenzo I del 416 d.C.: una lettera indiscutibilmente privata, ma che ha assunto il carattere di magistero in ambito liturgico, tanto da essere stata ripresa più volte e pubblicata nel Corpus iuris canonici.
Dunque, l’affermazione secondo cui la lettera del Vescovo di Roma rivestisse carattere privato era un’indubbia forzatura ed una minimizzazione del suo significato.
Oggi, a seguito della pubblicazione negli Acta e del rescritto del 5 giugno scorso, che, allontanando ogni dubbio, eleva i due documenti al rango di “Magistero autentico”, ogni questione sembra essere superata.
Così come difficilmente sostenibile è la convinzione secondo la quale i due atti costituirebbero nel loro insieme documenti aventi portata limitata, geograficamente circoscritta e limitata alla regione ecclesiastica di Buenos Aires. Pure tale opinione non ci sembra convincente. Invero, sebbene sia indiscusso che negli Acta sovente siano state pubblicate missive dirette a singoli vescovi o che interessassero i vescovi di una nazione o di una regione ecclesiastica, nondimeno, nel presente caso, la qualificazione di “magistero autentico” data dal rescritto, sembra escludere una portata limitata solo a quella regione. In effetti, il magistero autentico, per sua natura, non può certo essere circoscritto ad un ambito territoriale, ma riguarda necessariamente l’intero Orbe cattolico, sebbene lo stesso sia stato occasionato da vicende regionali. Un esempio ci è offerto dall’Epistola apostolica di Leone XIII Testem benevolentiae nostrae al card. Gibbons di Baltimora del 22.1.1899, con la quale quel pontefice condannava l’eresia – antesignana del modernismo – nota comeamericanismo.
Nel nostro caso, il Vescovo di Roma qualificava la lettura fornita dai vescovi argentini nei loro Criterios básicos, prevedenti una gradualità di passaggi per l’accesso dei c.d. divorziati risposati alla Comunione (ovvero alla c.d. piena comunione, come si legge nel punto n. 6 deiCriterios), come l’unica possibile della sua esortazione Amoris laetitia e segnatamente del famigerato cap. VIII di questa su cui, come noto, i famosi quattro porporati avevano avanzato i loro Dubia.
Per cui, non vi sono ragioni ostative a considerare questo documento come magistero autentico del Vescovo di Roma. Altro è dire se questo magistero sia davvero autentico, e quindi conforme alla Tradizione ed al Magistero bimillenario della Chiesa. Ma di questo, supponiamo, i fedeli e chi di dovere dovrà prendere atto, traendone le debite conseguenze.
Nonostante ciò, ci sono autori, pur molto illustri, che hanno cercato di minimizzare la portata della pubblicazione sugli Acta dei due documenti e della loro qualificazione di “magistero autentico”, forse ben consci delle conseguenze che una siffatta denominazione – più della pubblicazione in se stessa – possa rappresentare.
A parte quanto riferito dall’ottimo Marco Tosatti su Stilum Curiae (ripreso da Chiesa e postconcilio) circa il rescritto – il quale autorizzerebbe soltanto la pubblicazione, ma di cui si omette di riferire la qualificazione data ai due documenti da quest’atto a firma del card. Parolin – v’è da notare come un insigne canonista giunga a tal punto a minimizzare la portata dei due documenti da renderli praticamente irrilevanti sul piano teologico e canonico (cfr. E. Peters, On the appearance of the pope’s letter to the Argentine bishops in the Acta Apostolicae Sedis, in in In the Light of the Law – A Canon Lawyer’s Blog, Dec. 4, 2017).
Per l’Autore, se bene abbiamo inteso il suo contributo:
1) il can. 915 c.i.c. sarebbe tuttora vigente, in quanto il Vescovo di Roma, nella sua lettera, così come i vescovi argentini nei loro Criterios básicos non avrebbero in alcun modo messo in discussione né abrogato né emendato quel canone, su cui continuerebbe a poggiarsi il divieto per i divorziati risposati di potersi accostare all’Eucaristia. Su questo punto insiste anche in altri contributi (cfr. Id., Three ways to not deal with Canon 915, in The Catholic World Report, Jan. 24, 2017);
2) il legislatore canonico, allorché voglia introdurre una nuova legge, è solito adoperare forme particolarmente solenni ed in special modo una lettera apostolica in forma di motu proprio (cioè “di propria iniziativa” e non in risposta ad altri); non si adopererebbero, quindi, semplici lettere apostoliche – come nel presente caso – che, al contrario, «are written to smaller groups within the Church and deal with more limited questions—not world-wide questions such as admitting divorced-and-remarried Catholics to holy Communion» (ivi). Per questo, si afferma: « The pope’s letter to the Argentines appears simply as an “apostolic letter”, not as an “apostolic letter motu proprio”, and it references no canons» (ivi);
3) questo punto prende di mira direttamente il rescritto, di talché i due documenti non possano qualificarsi come “magistero autentico” della Chiesa. A dire dell’Autore, «the content of any Church document, in order to bear most properly the label “magisterial”, must deal with assertions about faith and morals, not provisions for disciplinary issues related to faith and morals. Church documents can have both “magisterial” and “disciplinary” passages, of course, but generally only those teaching parts of such a document are canonically considered “magisterial” while normative parts of such a document are canonically considered “disciplinary”» (ivi). I due documenti, in sostanza, non conterrebbero asserzioni circa la fede e la morale, ma solo disposizioni di carattere disciplinare, comunque ambigue ed incapaci «of leaving the door open to unacceptable practices, suffices to revoke, modify, or otherwise obviate Canon 915 which, as noted above, prevents the administration of holy Communion to divorced-and-remarried Catholics» (ivi).
A nostro sommesso avviso le obiezioni, pur proposte da un insigne Autore, non ci sembrano insuperabili.
1a) Sebbene la Santa Sede abbia individuato il fondamento giuridico del divieto per i divorziati risposati di accostarsi alla Comunione nel can. 915 c.i.c. (cfr. Pont. Cons. per i Testi legislativi, Dichiarazione, 24.6.2000), nondimeno va notato che la lettera di questa disposizione normativa risulta avere una portata più ampia e generale. Ci spieghiamo: il canone, per come è costruito, concerne una pletora di soggetti, che sarebbe riduttivo limitare e riferire solo ed esclusivamente ai divorziati risposati l’inciso finale «coloro che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto». Certo, questi vi rientrano. Ma non sono i soli. Lo notava lo stesso futuro card. Burke, all’epoca arcivescovo di Saint Louis, in un suo scritto pubblicato ad hoc e concernente giusto il canone in questione (Canon 915: The Discipline Regarding the Denial of Holy Communion to Those Obstinately Persevering in Manifest Grave Sin, in Periodica de re canonica, 2007, pp. 3-58). Ricorda il futuro porporato, vi rientrerebbero, ad es., anche i politici che sostengono pubblicamente una legislazione contraria alla legge naturale o sostengono normative sull’aborto o l’eutanasia.
A voler essere rigorosi, il rapporto tra il canone in oggetto ed il divieto di cui si discute è digenus a species. Per cui, sarebbe stato eccessivo, incongruo ed illogico immaginare che il legislatore canonico, per espungere una categoria specifica di persone dal novero di coloro ai quali è fatto divieto accostarsi alla Comunione in quanto ostinatamente perseveranti in peccato grave manifesto, agisse sulla norma generale e non piuttosto, invece, come sarebbe stato ragionevole, su quella specifica e singola. Ed è proprio quello che ci sembra abbia fatto il legislatore canonico, il quale non ha voluto agire, mediante abrogazione o emendamento, sulla disposizione generale, bensì sul divieto particolare e specifico, lasciando intatta la disposizione generale, che, abbiamo detto, non si riferiva solo e soltanto ai divorziati risposati, ma ad una pletora di peccatori ostinati e manifesti. Pertanto, la mancata abrogazione o modifica della norma generale non può dirsi di per sé indice che la disciplina, per la categoria dei divorziati risposati e solo per questa, non sia stata mutata dal legislatore.
A ciò si aggiunga un’ulteriore considerazione. Pur volendosi aderire alla prospettazione dell’Autore qui in discussione, di per sé il legislatore canonico – va ricordato – non è tenuto ad abrogare una norma in maniera espressa. Il can. 20 c.i.c., in effetti, consente al legislatore canonico di abrogare una disciplina previgente pure in maniera tacita o implicita, allorché la legge posteriore sia incompatibile con la precedente (come parrebbe verosimile nel presente caso) oppure quando sia riordinata ex novo la materia, oggetto della legge precedente. Nel nostro caso, almeno per quanto concerne la vexata quaestio dei divorziati risposati, sembra indubbio che il divieto ad hoc – assoluto e senza deroghe – sancito nella Familiaris Consortio e dal diritto divino sia stato fatto cadere già a seguito dell’esortazione Amoris laetitia. Oggi, sicuramente lo è atteso che il Vescovo di Roma, facendo propri i Criterios básicos ed elogiandoli come unica ermeneutica possibile della sua esortazione, abbia inteso ammettere la categoria dei divorziati risposati – o come si dice degli adulteri – alla Comunione, prevedendo per essi una gradualità nell’ammissione al Sacramento. Pertanto il divieto – un tempo assoluto – non sarebbe più da considerarsi così stringente. Certo, come afferma il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi nellaDichiarazione del 2000, che abbiamo richiamato, si tratta di un divieto di diritto divino. Non si discute. E tuttavia allora si pone un indubbio contrasto tra il diritto umano e quello divino di cui deve prendersi atto, senza cercare di eluderlo affermando l’irrilevanza dei due documenti e senza volerne trarre le logiche conseguenze teologiche e canoniche. Per concludere, la mancata menzione del can. 915 non è ex se dirimente ed un ostacolo a considerare come “magistero autentico” del vescovo di Roma quegli atti. Con tutte le implicazioni, teologiche e canoniche, che ciò comporta.
2a) Anche la seconda obiezione sollevata dall’insigne autore non può essere da noi condivisa. Invero, nessuna disposizione canonica prescrive che una legge ecclesiastica assuma la forma del motu proprio ovvero debba contenere forme espressive sacramentali proprie e solenni. L’unica prescrizione che è dato riscontrare nella codificazione canonica concerne la promulgazione e pubblicazione negli Acta Apostolicae Sedis. La circostanza che il legislatore canonico abbia voluto disattendere la prassi – non codificata – sino ad oggi seguita, non implica che questa vincoli in qualche maniera l’attuale legislatore a far assumere ad una legge canonica una certa forma anziché un’altra. D’altronde, nella storia della Chiesa abbiamo avuto indiscutibilmente forme assai diverse e variegate di leggi: addirittura orali. Un esempio è dato dall’approvazione in forma orale, vivae vocis oraculo, da parte di papa Innocenzo III, dell’Ordine e della Regola di S. Francesco d’Assisi (il c.d.Propositum o Prima Regola). Nessuno dubita che papa Lotario dei conti di Segni avesse approvato l’Ordine, sebbene in forma orale. Secondo quanto riporta la Legenda Maior, «quando il Papa approvò la Regola e diede mandato di predicare la penitenza, e ai frati, che avevano accompagnato il Santo, fece fare corone, perché predicassero il verbo di Dio. Analogamente vale per la Seconda Regola, detta anche non bollata, anch’essa approvata oralmente dal papa Onorio III nel 1221. L’approvazione per iscritto avvenne solo con la Terza Regola, detta bollata, con la bolla del 29.11.1223, Solet annuere. In essa indiscutibilmente si legge che la Regola fu approvata da Innocenzo III (con una legge data … oralmente): «Eapropter, dilecti in Domino filii, vestris piis precibus inclinati, ordinis vestri regulam, a bonae memoriae Innocentio papa, praedecessore nostro, approbatam, annotatam praesentibus, auctoritate vobis apostolica confirmamus et praesentis scripti patrocinio communimus».
Dunque, nessuno dubitava che la legge di approvazione dell’Ordine e della Regola fosse valida sebbene data in una forma inusitata, cioè oralmente.
Un altro esempio, vicino ai nostri giorni, è il discorso del Vescovo di Roma ai Partecipanti al Corso promosso dal Tribunale della Rota lo scorso 25.11.2017. In esso il predetto Episcopo dettava delle precise disposizioni canoniche – in forma orale – riguardo alla legge matrimoniale concernenti il Processo breviore. Le espressioni verbali adoperate erano inequivocabili: «… stabilisco di seguito quanto ritengo determinante ed esclusivo nell’esercizio personale del Vescovo diocesano giudice …». Dunque, il legislatore canonico, anche qui, ha adoperato una forma inusuale: nessun atto scritto, nessun motu proprio, nessuna costituzione apostolica, ecc., ma addirittura orale!
Un’ultima puntualizzazione riguardo all’obiezione sollevata. In realtà, la missiva del Vescovo di Roma ai vescovi della regione ecclesiastica di Buenos Aires è, a rigore, motu proprio, in quanto nessuno (formalmente) gliel’aveva richiesta né i vescovi argentini avevano preteso l’approvazione dei loro Criterios. Anzi, erano in attesa – da quel che è dato sapere – che un gruppo di teologi moralisti si esprimesse sugli stessi. Per cui, la lettera del Vescovo di Roma era giunta a sorpresa, senza essere avanzata (formalmente) da alcuno. In questo senso era indiscutibilmente motu proprio. I Criterios sono stati solo l’occasio legisper l’emanazione dell’approvazione formale di questi.
3a) Pure la terza obiezione dell’autore non ci sembra consistente. Un atto normativo, avente carattere disciplinare, è senz’altro un atto di magistero. Anche attraverso la legge canonica si esprime il magistero. Ad es., i canoni contenenti una censura ecclesiastica, senza dubbio, pur avendo carattere disciplinare, assumono valore magisteriale. Per cui, non si ravvisa alcuno serio ostacolo, dal punto di vista formale, a che i due documenti, aventi carattere applicativo dell’esortazione Amoris laetitia, possano essere considerati magistero autentico del Vescovo di Roma Bergoglio, non potendosi sostenere che siano suoi … pensieri in libertà o mere riflessioni private … .
Un’ultima obiezione, collegata a questa, è se i due documenti – perché la qualità di “magistero autentico” è stata attribuita dal rescritto ai due documenti nel loro insieme e non solo alla lettera di approvazione del Vescovo di Roma! - contengano un insegnamento in materia di fede o di morale, dettando solo delle regole di carattere disciplinare. Indubbiamente, a nostro avviso, contengono, nel loro insieme, un insegnamento in materia di morale, poiché mirano a derogare ad un precetto morale assoluto, di diritto divino, ammettendo – con gradualità – i divorziati risposati alla Comunione. Sarebbe un’evidente forzatura negare tale realtà, di cui va preso atto. Non si tratta di disposizioni … neutrali …, ma che esprimono chiaramente un “magistero” del Vescovo di Roma, che, peraltro, plaudendo ai Criteri elaborati dagli argentini, interpreta anche l’esortazione Amoris laetitia, indicando quella come unica interpretazione possibile del documento («No hay otras interpretaciones», scrive il Vescovo di Roma), facendo scorgere, come afferma ancheLNBQ, «una volontà chiara di far evolvere la dottrina, più che sostenerne un suo sviluppo omogeneo». Automaticamente, dunque, ciò esclude altre possibili ermeneutiche, pur proposte in varie sedi: di ciò è consapevole il teologo John Joy, che, intervistato da One Peter Five, afferma: «adding the letter to the AAS could, in fact, damage the credibility ofAmoris Laetitia by potentially removing the possibility that it could be interpreted in an orthodox way through establishing, via its publication in the official acts of the Apostolic See, that the unorthodox interpretation is the official one».
Non è, in verità, l’Amoris Laetitia ad uscire danneggiata – da tale pubblicazione – nella sua credibilità, ma è, a rigore, l’ortodossia cattolica.
Di là di tali obiezioni, in effetti, la questione non è formale, bensì sostanziale: se cioè il Vescovo di Roma sia incorso in una violazione del diritto divino positivo, consentendo – sia pur con una gradualità – ad una categoria di persone ben determinata (i c.d. adulteri o divorziati risposati) la possibilità di accostarsi alla Comunione, sebbene la Chiesa da tempo immemore ne avesse vietato l’accesso (cfr. D. Hitchens, Analysis: The Pope’s dramatic – and confusing – move on Communion, in Catholic Herald, Dec. 4, 2017, il quale ricorda «That brings us to the third reason why the latest move will not simply make Catholics accept a new doctrine. The Church down the ages has taught that the divorced and remarried, if in a sexual relationship, cannot receive Communion. You’ll find it in the Church Fathers; in the teaching of Popes St Innocent I (405) and St Zachary (747); in the recent documents of Popes St John Paul II, Benedict XVI and the Congregation for the Doctrine of the Faith. All the teaching of the Church about sin, marriage and the Eucharist would have been understood by those promulgating it to have excluded the sexually-active divorced and remarried from Communion. This has also become part of the Catholic mind: the prohibition is casually referred to by the likes of GK Chesterton and Ronald Knox as Catholic doctrine, and there can’t be much doubt that if you picked a random saint from the history of the Church and asked them what the Church taught, they would tell you the same thing»). Come osserva Lifesitenews, «The problem with Amoris Laetitia, it is clear, is not merely with “liberal bishops” who interpret it, but with the pope whose manifest interpretation of his own document is impossible to square with the perennial doctrine and discipline of the Catholic faith» (A. Guernsey, Pope Francis Promulgates Buenos Aires Guidelines Allowing Communion for Some Adulterers in AAS as his “Authentic Magisterium”, in Rorate caeli, Dec. 2, 2017; Id., Here’s how Pope Francis elevated communion for adulterers to ‘authentic magisterium’, in Lifesitenews, Dec. 4, 2017. Cfr. D. Cummings McLean, Confusion explodes as Pope Francis throws magisterial weight behind communion for adulterers, ivi; C. Wooden, Pope’s letter to Argentine bishops on ‘Amoris Laetitia’ part of official record, in NCR, Dec. 5, 2017; . Persino il solitamente prudente Andrea Tornielli, si spinge a registrare apertis verbis il cambiamento dottrinale (ammesso che sia possibile …, ovviamente): «Trentacinque anni dopo Familiaris consortio la situazione è notevolmente cambiata. La secolarizzazione è avanzata, i matrimoni sfasciati si sono moltiplicati, e si sono moltiplicati i casi di persone sposate in chiesa senza aver fede e piena coscienza dell’atto sacramentale. Amoris laetitia fa un passo ulteriore, chiedendo maggiore accompagnamento per queste persone e spiegando che in alcuni casi, dopo un percorso di discernimento, e dunque senza automatismi né regole prefissate nei manuali, si può arrivare anche ad assolvere in confessionale e a permettere la comunione eucaristica» (così A. Tornielli, Amoris laetitia, il Papa rende ufficiale la lettera ai vescovi argentini, inVatican Insider, 6.12.2017).
Ma questo è un altro e diverso discorso, che non potrà non avere delle conseguenze sul piano teologico e su quello canonico. Sul piano teologico, in quanto tale violazione ed antinomia nei confronti del diritto divino si tradurrebbe in una sorta di ridefinizione deldepositum fidei e, quindi, in una vera e propria eresia, con la conseguenza che non può considerarsi, in alcun modo, magistero della Chiesa, tantomeno autentico e, dunque, vincolante in coscienza, detto insegnamento contrastante col diritto divino, neppure per ragioni pratiche di approccio pastorale (cfr. Francis leverages AAS for heresy!, in AKA Catholic, Dec. 4, 2017; Pope Declares Troubling Interpretation of AL 'Authentic Magisterium', in Church Militant, Dec. 2, 2017).
Si osserva, in effetti, che «Doctrinal development, to the extent that it is possible, cannot coherently be understood to permit a pope to use his teaching authority to contradict his predecessors, and impose that contradiction on Catholics as something they are obliged to believe» e che l’autorità papale «“exists only to preserve and safeguard” the revelation given to the Apostles», cosicché i due documenti qualificati come “magistero autentico” «scarcely “oblige Catholics to believe anything inconsistent with what the Church has so far taught and which they were already under an obligation to believe”» (D. Hitchens, op. ult. cit.).
Sul piano canonico in quanto tale eresia si tradurrebbe nell’incapacità dell’attuale Vescovo di Roma di (continuare a) rivestire tale sua carica. Non a caso, quasi un anno fa, il card. Burke dichiarava, in un’intervista a Catholic World Report (CWR), che se un papa dovesse «formally profess heresy he would cease, by that act, to be the Pope» (cfr. D. Martin,Communion to Adulterers Promulgated as “Authentic Magisterium”, in Canada Free Press, Dec. 5, 2017).
Conseguenze queste davvero inedite e dirompenti sul piano ecclesiale (cfr. Alcune notazioni sulla pubblicazione negli AAS dei criteri interpretativi dell’AL dei vescovi argentini e della lettera papale, in Chiesa e postconcilio, 6.12.2017). Ed, in effetti, ci pare non senza ragione, il blog Veri Catholici – famoso per aver lanciato una Lettera Aperta su Il Giornale lo scorso 9 novembre (ne parlava anche Marco Tosatti, qui) – affermava che, a seguito di tale pubblicazione sugli Acta, sia giunto il tempo di convocare un Sinodo imperfetto «to issue a formal canonical correction of the Pope» (The Time has come to convene an “imperfect” Synod!, in Veri Catholici, Dec. 3, 2017). Si giungerà a ciò? Nessuno può, al momento, dirlo né prevederlo. Quel che è certo è che, come afferma The Remnant, è che ci troviamo di fronte ad un atto «counter-magisterial» e che l’interpretazione della famosa nota 351 dell’Amoris laetitia è stata confermata come titola il sito Katholisch (Auslegung von Fußnote 351 lehramtlich bestätigt).
Due note finali. La prima: non c’è dubbio che, come ricordato da alcuni, il Vescovo di Roma, con tale suo atto, tutt’altro che privato, abbia de facto dato una risposta chiara ed eloquente ai famosi Dubia dei Quattro (ora Due) cardinali, indicando, senza giri di parole, come la sua esortazione debba essere interpretata, rigettando altre chiavi di lettura e codificando l’errore (cfr. L’interprétation ultra-libérale d’Amoris laetitia par les évêques d’Argentine : magistère authentique selon le pape François, in Medias-Presse.info, 4 déc. 2017; J. Erbacher, Papst hat keine Dubia, in Papstgeflüster – Das Vatikan-Blog, 6. Dez. 2017; J. M. Vidal, Ésta es la respuesta del Papa a los cardenales de las 'dubia', in Periodista digital, 6 Dicie. 2017).
La seconda è che per coloro che sostengono una lettura “nella continuità del Magistero”, certamente ora diventa più arduo dare all’esortazione del Vescovo di Roma (ed ai due documenti in questione) un’ermeneutica che non contravvenga alla verità (cfr. C. Bunderson, Analysis: Argentine letter on Amoris is in the Acta. Does that change things?, in CNA, Dec. 5, 2017); una lettura che – ad onor del vero – ci pare poco onesta, fittizia e falsa, in quanto distorcente il pensiero altrui – del Vescovo di Roma nella specie – e poco rispettoso nei riguardi del ruolo e della dignità che, a parole, gli si riconosce.
La verità non ha bisogno di voli pindarici, fingendo che il re non sia nudo!
Tanto più che è proprio questa chiave di lettura, pur mossa da buone intenzioni, che alimenta la confusione in atto nella Chiesa. Tale confusione e l’asserita ambiguità derivano proprio dal fatto che si pretende di manipolare e distorcere il pensiero altrui, cercando di attribuirgli un significato che esso non ha. Per cui, come spesso capita in tali casi, la toppa non è adeguata, per eccesso o per difetto, allo strappo che si è prodotto, con la conseguenza di far apparire confuso ciò che sarebbe evidente.
Un pregio i due documenti pubblicati sugli Acta l’avranno: almeno il merito di chiarire definitivamente la mens del loro autore. Prendiamone atto. Piaccia o no. La questione è ora sul tavolo e la mossa è passata al campo cattolico.
Augustinus Hipponensis
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