QUANDO DUNS SCOTO VINSE LA DISPUTA SULL'IMMACOLATA E RISOLSE PER LA CHIESA UN MISTERO TEOLOGICO
Uno straordinario chiarore soprannaturale illuminò il volto del Papa, il Beato Pio IX, commosso al punto da interrompersi più volte per il singhiozzo e le lacrime, quando la mattina dell’8 dicembre 1854, alla presenza di duecento cardinali e vescovi, proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria.
Un colpo di cannone fu sparato da Castel Sant’Angelo: era il segnale affinché le campane di Roma suonassero a festa dalle undici alle dodici. L’esultanza dei romani fu condivisa dai cattolici di tutto il mondo. Anche a Torino, nell’Oratorio di Valdocco, immensa fu la gioia di Don Bosco e di Domenico Savio, il fondatore della “Compagnia dell’Immacolata”.
Un colpo di cannone fu sparato da Castel Sant’Angelo: era il segnale affinché le campane di Roma suonassero a festa dalle undici alle dodici. L’esultanza dei romani fu condivisa dai cattolici di tutto il mondo. Anche a Torino, nell’Oratorio di Valdocco, immensa fu la gioia di Don Bosco e di Domenico Savio, il fondatore della “Compagnia dell’Immacolata”.
In realtà, il Popolo di Dio, guidato dal sensus fidei, cioè dalla capacità infusa dallo Spirito Santo che abilita alla comprensione delle realtà di fede, più con il cuore che con la mente, aveva sempre creduto che la Madonna fosse stata concepita priva del peccato originale. I fedeli partecipavano volentieri alle feste liturgiche che si celebravano per onorare questo suo privilegio e, in preghiera, si affollavano dinanzi agli altari intitolati all’Immacolata Concezione.
Per giungere alla definizione del dogma, tuttavia, era necessario un argomento teologico “forte”. E questo fu fornito al Papa da un grande teologo francescano, vissuto nel XIII secolo. Si tratta di Duns Scoto. Chiamato così perché nato in Scozia, studiò nell’università più importante del suo tempo, quella di Parigi, e, conseguiti brillantemente i gradi accademici, insegnò teologia in Inghilterra e poi in Francia e Germania.
Muore in questo Paese, a soli 43 anni, lasciando, però, un numero considerevole di opere dove il suo pensiero colpisce per acutezza e profondità. Giustamente è stato definito “doctor subtilis”.
Muore in questo Paese, a soli 43 anni, lasciando, però, un numero considerevole di opere dove il suo pensiero colpisce per acutezza e profondità. Giustamente è stato definito “doctor subtilis”.
Come tutti i francescani, anche Duns Scoto nutriva una grande devozione per la Madonna. Mosso da tale sentimento di pietà filiale, questo eccellente teologo volle rispondere all’obiezione, apparentemente insormontabile, che molti ponevano riguardo alla Concezione Immacolata di Maria. Questi sostenevano che poiché Cristo è il Redentore di tutti gli esseri umani, se si afferma che la Madonna è nata senza il peccato originale, si nega l’universalità dell’azione salvifica di Cristo, cosa evidentemente contraria alla Rivelazione.
Quei pensatori, che pure amavano la Madonna, ritenevano che ella fosse stata santificata nel grembo di sua madre, sant’Anna, o al momento della nascita, ed in modo superlativo, ma pur sempre dopo essere stata segnata dal peccato originale.
Quei pensatori, che pure amavano la Madonna, ritenevano che ella fosse stata santificata nel grembo di sua madre, sant’Anna, o al momento della nascita, ed in modo superlativo, ma pur sempre dopo essere stata segnata dal peccato originale.
Ed ecco il colpo di genio di Duns Scoto, che giustamente Papa Giovanni Paolo II definì “cantore dell’Immacolata Concezione”.
L’argomento da lui elaborato è tecnicamente definito “redenzione preservativa”. Parte da una premessa inoppugnabile: la mediazione salvifica di Cristo è stata perfetta. Questa perfezione comporta che almeno una creatura sia stata preservata in anticipo, ancora prima del suo concepimento, dal peccato originale. Questa creatura purissima è la Madre del Signore, cui si addiceva il “non plus ultra” della santità proprio a motivo della sua missione nella storia della salvezza. Ecco le parole di Scoto: “Cristo esercitò il più perfetto grado possibile di mediazione relativamente a una persona per la quale era mediatore. Ora per nessuna persona esercitò un grado più eccellente che per Maria. Ma ciò non sarebbe avvenuto se non avesse meritato di preservarla dal peccato originale”.
Da quel momento, non soltanto la gente semplice e pia, ma anche i dotti e i sapienti aderirono senza riserve alla convinzione che la Madonna, la creatura più pura e bella, è stata concepita del tutto immune dal peccato originale. Teologi come San Pietro Canisio e San Roberto Bellarmino spiegavano questo insegnamento nei loro catechismi, molto diffusi e studiati. Santi predicatori, come Alfonso de’ Liguori, parlavano con trasporto di questo privilegio mariano, infiammando i loro ascoltatori. In molte università spagnole ed italiane i professori giuravano di difendere questa dottrina fino alla morte, se fosse stato necessario.
Si giunse così all’8 dicembre del 1854 quando Papa Pio IX, con la sua infallibilità in materia di fede, dichiarò l’Immacolta Concezione un articolo di fede da credersi. Merito anche di quel teologo francescano che aveva fatto capire, più di cinque secoli prima, che la Madonna, senza peccato originale, è il capolavoro della Redenzione di Cristo.
L’argomento da lui elaborato è tecnicamente definito “redenzione preservativa”. Parte da una premessa inoppugnabile: la mediazione salvifica di Cristo è stata perfetta. Questa perfezione comporta che almeno una creatura sia stata preservata in anticipo, ancora prima del suo concepimento, dal peccato originale. Questa creatura purissima è la Madre del Signore, cui si addiceva il “non plus ultra” della santità proprio a motivo della sua missione nella storia della salvezza. Ecco le parole di Scoto: “Cristo esercitò il più perfetto grado possibile di mediazione relativamente a una persona per la quale era mediatore. Ora per nessuna persona esercitò un grado più eccellente che per Maria. Ma ciò non sarebbe avvenuto se non avesse meritato di preservarla dal peccato originale”.
Da quel momento, non soltanto la gente semplice e pia, ma anche i dotti e i sapienti aderirono senza riserve alla convinzione che la Madonna, la creatura più pura e bella, è stata concepita del tutto immune dal peccato originale. Teologi come San Pietro Canisio e San Roberto Bellarmino spiegavano questo insegnamento nei loro catechismi, molto diffusi e studiati. Santi predicatori, come Alfonso de’ Liguori, parlavano con trasporto di questo privilegio mariano, infiammando i loro ascoltatori. In molte università spagnole ed italiane i professori giuravano di difendere questa dottrina fino alla morte, se fosse stato necessario.
Si giunse così all’8 dicembre del 1854 quando Papa Pio IX, con la sua infallibilità in materia di fede, dichiarò l’Immacolta Concezione un articolo di fede da credersi. Merito anche di quel teologo francescano che aveva fatto capire, più di cinque secoli prima, che la Madonna, senza peccato originale, è il capolavoro della Redenzione di Cristo.
Ai tempi di Duns Scoto la maggior parte dei teologi opponeva un’obiezione, che sembrava insormontabile, alla dottrina secondo cui Maria Santissima fu esente dal peccato originale sin dal primo istante del suo concepimento: di fatto, l’universalità della Redenzione operata da Cristo – evento assolutamente centrale nella storia della salvezza – a prima vista poteva apparire compromessa da una simile affermazione. Duns Scoto espose allora un argomento, che verrà poi adottato anche dal beato Papa Pio IX nel 1854, quando definì solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Questo argomento è quello della “Redenzione preventiva”, secondo cui l’Immacolata Concezione rappresenta il capolavoro della Redenzione operata da Cristo, perché proprio la potenza del suo amore e della sua mediazione ha ottenuto che la Madre fosse preservata dal peccato originale. I Francescani accolsero e diffusero con entusiasmo questa dottrina, e altri teologi – spesso con solenne giuramento – si impegnarono a difenderla e a perfezionarla.
A questo riguardo, vorrei mettere in evidenza un dato, che mi pare importante. Teologi di valore, come Duns Scoto circa la dottrina sull’Immacolata Concezione, hanno arricchito con il loro specifico contributo di pensiero ciò che il popolo di Dio credeva già spontaneamente sulla Beata Vergine, e manifestava negli atti di pietà, nelle espressioni dell’arte e, in genere, nel vissuto cristiano. Tutto questo grazie a quel soprannaturale sensus fidei, cioè a quella capacità infusa dallo Spirito Santo, che abilita ad abbracciare le realtà della fede, con l’umiltà del cuore e della mente. Possano sempre i teologi mettersi in ascolto di questa sorgente e conservare l’umiltà e la semplicità dei piccoli! Lo ricordavo qualche mese fa: “Ci sono grandi dotti, grandi specialisti, grandi teologi, maestri della fede, che ci hanno insegnato molte cose. Sono penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura, della storia della salvezza, ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo... L’essenziale è rimasto nascosto! Invece, ci sono anche nel nostro tempo i piccoli che hanno conosciuto tale mistero. Pensiamo a santa Bernardette Soubirous; a santa Teresa di Lisieux, con la sua nuova lettura della Bibbia ‘non scientifica’, ma che entra nel cuore della Sacra Scrittura” (Omelia. S. Messa con i membri della Commissione Teologica Internazionale, 1 dicembre 2009).
Infine, Duns Scoto ha sviluppato un punto a cui la modernità è molto sensibile. Si tratta del tema della libertà e del suo rapporto con la volontà e con l’intelletto. Il nostro autore sottolinea la libertà come qualità fondamentale della volontà, iniziando una impostazione che valorizza maggiormente quest'ultima. Purtroppo, in autori successivi al nostro, tale linea di pensiero si sviluppò in un volontarismo in contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista. Per san Tommaso d’Aquino la libertà non può considerarsi una qualità innata della volontà, ma il frutto della collaborazione della volontà e dell’intelletto. Un’idea della libertà innata e assoluta – come si evolse, appunto, successivamente a Duns Scoto – collocata nella volontà che precede l’intelletto, sia in Dio che nell’uomo, rischia, infatti, di condurre all’idea di un Dio che non è legato neppure alla verità e al bene. Il desiderio di salvare l’assoluta trascendenza e diversità di Dio con un’accentuazione così radicale e impenetrabile della sua volontà, non tiene conto che il Dio che si è rivelato in Cristo è il Dio “logos”, che ha agito e agisce pieno di amore verso di noi. Certamente l’amore supera la conoscenza ed è capace di percepire sempre di più del pensiero, ma è sempre l’amore del Dio “logos” (cfr Benedetto XVI, Discorso a Regensburg, Insegnamenti di Benedetto XVI, II [2006], p. 261). Anche nell’uomo l’idea di libertà assoluta, collocata nella volontà, dimenticando il nesso con la verità, ignora che la stessa libertà deve essere liberata dei limiti che le vengono dal peccato. Comunque, la visione scotista non cade in questi estremismi: per Duns Scoto un atto libero risulta dal concorso di intelletto e volontà e se egli parla di un “primato” della volontà, lo argomenta proprio perché la volontà segue sempre l’intelletto.
www.vatican.va/…/hf_ben-xvi_aud_…#
A questo riguardo, vorrei mettere in evidenza un dato, che mi pare importante. Teologi di valore, come Duns Scoto circa la dottrina sull’Immacolata Concezione, hanno arricchito con il loro specifico contributo di pensiero ciò che il popolo di Dio credeva già spontaneamente sulla Beata Vergine, e manifestava negli atti di pietà, nelle espressioni dell’arte e, in genere, nel vissuto cristiano. Tutto questo grazie a quel soprannaturale sensus fidei, cioè a quella capacità infusa dallo Spirito Santo, che abilita ad abbracciare le realtà della fede, con l’umiltà del cuore e della mente. Possano sempre i teologi mettersi in ascolto di questa sorgente e conservare l’umiltà e la semplicità dei piccoli! Lo ricordavo qualche mese fa: “Ci sono grandi dotti, grandi specialisti, grandi teologi, maestri della fede, che ci hanno insegnato molte cose. Sono penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura, della storia della salvezza, ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo... L’essenziale è rimasto nascosto! Invece, ci sono anche nel nostro tempo i piccoli che hanno conosciuto tale mistero. Pensiamo a santa Bernardette Soubirous; a santa Teresa di Lisieux, con la sua nuova lettura della Bibbia ‘non scientifica’, ma che entra nel cuore della Sacra Scrittura” (Omelia. S. Messa con i membri della Commissione Teologica Internazionale, 1 dicembre 2009).
Infine, Duns Scoto ha sviluppato un punto a cui la modernità è molto sensibile. Si tratta del tema della libertà e del suo rapporto con la volontà e con l’intelletto. Il nostro autore sottolinea la libertà come qualità fondamentale della volontà, iniziando una impostazione che valorizza maggiormente quest'ultima. Purtroppo, in autori successivi al nostro, tale linea di pensiero si sviluppò in un volontarismo in contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista. Per san Tommaso d’Aquino la libertà non può considerarsi una qualità innata della volontà, ma il frutto della collaborazione della volontà e dell’intelletto. Un’idea della libertà innata e assoluta – come si evolse, appunto, successivamente a Duns Scoto – collocata nella volontà che precede l’intelletto, sia in Dio che nell’uomo, rischia, infatti, di condurre all’idea di un Dio che non è legato neppure alla verità e al bene. Il desiderio di salvare l’assoluta trascendenza e diversità di Dio con un’accentuazione così radicale e impenetrabile della sua volontà, non tiene conto che il Dio che si è rivelato in Cristo è il Dio “logos”, che ha agito e agisce pieno di amore verso di noi. Certamente l’amore supera la conoscenza ed è capace di percepire sempre di più del pensiero, ma è sempre l’amore del Dio “logos” (cfr Benedetto XVI, Discorso a Regensburg, Insegnamenti di Benedetto XVI, II [2006], p. 261). Anche nell’uomo l’idea di libertà assoluta, collocata nella volontà, dimenticando il nesso con la verità, ignora che la stessa libertà deve essere liberata dei limiti che le vengono dal peccato. Comunque, la visione scotista non cade in questi estremismi: per Duns Scoto un atto libero risulta dal concorso di intelletto e volontà e se egli parla di un “primato” della volontà, lo argomenta proprio perché la volontà segue sempre l’intelletto.
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L’Immacolata più famosa di Roma svetta sopra i palazzi di piazza di Spagna e domina il cielo della Città Eterna dall’alto di una colonna bimillenaria; è la testimonianza pubblica e civile data dalla cristianità a quello straordinario trionfo di Maria che fu la proclamazione del dogma dell’Immacolata.
Ogni passeggiata romana, dalla più compitamente devota alla più sfacciatamente mondana, non può non solcare il selciato della celebre piazza di Spagna. La monumentale e ingegnosa scalinata tardo-barocca su cui svetta la Chiesa di Trinità dei Monti è uno dei più amati scorci della Roma papalina, la cui magnificenza riesce persino ad oscurare altre preziosità monumentali barocche.
Questo luogo ormai dominato dal turismo carnale racchiude però un tesoro della vita devozionale romana: ogni anno, l’8 dicembre, il popolo romano si riunisce lì non per eventi di moda o per il bighellonaggio perditempo, bensì per prestare il suo ossequio, nella piccola e contigua piazza Mignatelli, all’Immacolata Madre di Dio. Parliamo infatti della celebre Colonna dell’Immacolata a cui ogni anno i pompieri di Roma, secondo una tradizione poco meno che secolare, offrono un serto di fiori con una spettacolare e acrobatica manovra, alla presenza dello stesso Vicario di Cristo. La Colonna dell’Immacolata è però al contempo una catechesi visiva sul dogma dell’Immacolata Concezione e sulle altre prerogative della Santissima Madre di Dio, oltre che un compendio della storia di questo dogma, storia tanto più gloriosa quanto più contrastata.
Una colonna romana illibata
L’8 dicembre 1854, nel solenne contesto cerimoniale della basilica di San Pietro, il beato pontefice Pio IX dichiarava, dopo secoli di battaglia e di discussione, che «la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento» (Ineffabilis Deus). Proprio nel momento in cui, rivestito della pienezza del ministero petrino, il Beato definiva tale dogma, una luce – evidentemente inspiegabile e soprannaturale – lo colpiva da una finestra della basilica, dando agli astanti un attestato della benevolenza divina all’opera del “dolce Cristo in terra”. Immediatamente la città di Roma – che ancora era veramente la città del Papa – si industriò per dare una testimonianza pubblica e civile a questo straordinario trionfo dell’Immacolata, trionfo del soprannaturale in un secolo troppo sfrontatamente “naturale” e trionfo della grazia davanti all’insolenza del peccato.
All’architetto modenese Luigi Poletti sorse subito un’idea brillante. Da ormai 80 anni una grande colonna romana giaceva abbandonata nel cortile della Curia Innocenziana, l’attuale palazzo del Parlamento a Montecitorio, allora sede degli uffici economici della Santa Sede. Questa colonna lunga ben 12 metri di prezioso marmo cipollino era venuta alla luce nel 1777 durante gli scavi presso il monastero delle benedettine a Campo Marzio: questo gigante accasciato balzò subito all’occhio dei cultori delle antichità romane – particolarmente numerosi nel XVIII secolo – i quali proposero varie soluzioni per riutilizzarla. Tutte le proposte presto caddero nel vuoto per due motivi: la pesantezza di questa colonna, che richiese ben 10 argani e cento persone per spostarla, e soprattutto un difetto strutturale alla base che la rendeva inutilizzabile. Pertanto non si poté fare meglio che spostarla di qualche centinaio di metri nel cortile di Palazzo Montecitorio, dove attraversò incolume il periodo rivoluzionario come un ingombrante ma innocuo relitto del passato. Ai cultori e agli architetti una cosa era però chiara: questa colonna di prezioso marmo non solo era al presente inutilizzabile ma non era mai stata utilizzata, nemmeno dagli stessi Romani, in quanto era fragile alla base, con evidente tendenza a sfaldarsi... la colonna insomma giaceva lì inutilizzata da qualcosa come due millenni!
Una colonna mai utilizzata che all’architetto Poletti – nel momento in cui pensava come onorare pubblicamente il nuovo dogma – venne immediatamente in mente: cosa meglio di una colonna illibata e rimasta nascosta da quasi due millenni, per fare da base e da trono all’Immacolata, venuta al mondo proprio quasi due millenni prima? Una colonna che giaceva lì così come era uscita dalle mani dello scultore e mai contaminata dall’utilizzo in costruzioni pagane, proprio in attesa del dogma che definisse la Madre di Dio come Immacolata, uscita completamente pura dalle mani del Creatore e rimasta tale. Ecco che quindi con tre anelli di ferro, mascherati da un fregio bronzeo, si ovviò al problema strutturale, permettendo a quella colonna provvidenzialmente sfuggita dall’uso pagano e profano, di far svettare su Roma la più sacra delle creature: l’Immacolata Concezione.
L’Immacolata tra Spagna e piazza di Spagna
Piazza di Spagna è certamente uno dei luoghi più belli di Roma ma domandarsi perché proprio lì sia stata posta la Colonna dell’Immacolata non è una questione senza valore. Numerose altre piazze avrebbero potuto ben ospitare tale commemorazione monumentale del glorioso dogma e l’accostamento a qualche basilica avrebbe potuto sembrare più idoneo; peraltro la Colonna non domina nemmeno la piazza di Spagna ma è quasi rinchiusa in un suo cantuccio, chiamato piazza Mignatelli. Il motivo in realtà è semplice: l’architetto Poletti, le autorità papali e i benefattori che permisero la realizzazione dell’opera, vollero con ciò avvicinare il più possibile la Colonna al palazzo dell’ambasciata di Spagna, per tributare un ringraziamento alla nazione che più di tutte le altre si era spesa nel corso dei secoli per l’affermazione del dogma dell’Immacolata Concezione.
La posizione “immacolista” – cioè di coloro che nella discussione con i “macolisti” sostennero fortemente l’esenzione della Madonna da ogni peccato sin dal concepimento – vanta infatti una lunga tradizione nella penisola iberica, fino almeno dalla grande opera del terziario francescano, il beato Raimondo Lullo († 1316). Nel corso dei secoli la quasi unanimità delle università e dei teologi spagnoli – soprattutto francescani – sostennero l’Immacolata Concezione, tanto che l’università di Salamanca nel 1618 si vincolò con voto solenne a difendere il privilegio di Maria Santissima. Anzi dalla Sicilia il cosiddetto “voto sanguinario” – con cui si prometteva di difendere l’Immacolata Concezione fino all’effusione del sangue – si diffuse soprattutto in Spagna: singoli uomini e intere città suggellarono firmando con una goccia del loro sangue questa promessa, che avrebbe fatto molto discutere gli illuministi e i cattolici tiepidi. Non di meno gli stessi re s’impegnarono per diffondere tale privilegio: sotto Filippo III (1578-1621) la Spagna fu consacrata all’Immacolata e sotto Carlo III (1716-1788) – sovrano pur profondamente influenzato dall’Illuminismo – l’Immacolata fu dichiarata “Patrona della Spagna”. Più volte i re spagnoli si trovarono a vietare pubblicamente la diffusione di opinioni contrarie all’Immacolata, fino a decretare talora delle espulsioni, e, soprattutto, numerose volte si fecero promotori presso la Santa Sede della dichiarazione ufficiale di tale dogma.
Tutto ciò basta a spiegare come il Papa stesso, una volta riconosciuta la verità indiscutibile di tale privilegio, abbia voluto tributare alla nazione spagnola l’onore di veder sorgere di fronte alla propria rappresentanza diplomatica la magnifica Colonna commemorativa.
Dal feudalesimo alla missione
La monarchia spagnola, all’epoca della promulgazione del dogma, spettava alla famiglia dei Borbone, la quale aveva ramificazioni in molti paesi d’Europa. Risulta quindi interessante che proprio il re delle due Sicilie, Ferdinando II di Borbone, nipote di Carlo IV di Spagna, abbia fornito i mezzi finanziari per concludere la costruzione della monumentale Colonna dell’Immacolata. Il principale motivo della sua munificenza fu che l’8 dicembre 1856, alla fine della Santa Messa per l’Immacolata, il sovrano era stato ferito dalla baionetta del soldato mazziniano Agesilao Milano, che lo considerava un tiranno. Ritenne la sua sopravvivenza una grazia dell’Immacolata, il che lo spinse a costruire una chiesa all’Immacolata a Napoli e a contribuire alla costruzione del monumento a Roma, risolvendo al contempo una vertenza che da quasi un secolo opponeva il regno al Papa: il tradizionale tributo della “chinea”, con la quale il re di Napoli, ammetteva la sua sottomissione feudale al Sommo Pontefice, nonostante ormai non più rispettato dai sovrani delle due Sicilie, fu ufficialmente e definitivamente abrogato dal Santo Padre in cambio del devoto gesto di Ferdinando II. In tal modo lo stesso Papa che difendeva a spada tratta i domini temporali della Chiesa dalle pretese dei cosiddetti “patrioti” italiani, rinunciava alla sottomissione feudale del re delle due Sicilie (erede del regno di Napoli), dimostrando la profonda concretezza di chi sa a che cosa il Sommo Pontefice possa rinunciare e a che cosa no. Il governo temporale della Chiesa – a differenza di un diritto feudale – non è un mero dominio politico, che così come si è realizzato nella storia può cessare, bensì un’esigenza teologica che assicura alla Chiesa la libertà necessaria a svolgere il suo ministero spirituale di maestra e guida di tutte le genti verso la Verità e la salvezza. L’ubicazione della colonna tuttavia sembra ricordarci questa profonda verità: se la Colonna sta dirimpetto all’ambasciata spagnola, tuttavia sulla medesima appendice della piazza di Spagna, si apre anche la severa facciata del palazzo di Propaganda Fide, la congregazione vaticana che da secoli si occupa dell’evangelizzazione dei popoli e dell’espansione della Fede cattolica nel mondo. L’Immacolata Concezione, proclamata con un atto del supremo Magistero del Papa, diviene così la stella a cui deve guardare la Chiesa per condurre la sua missione spirituale nel mondo, ovvero l’evangelizzazione dei popoli.
Ai piedi dell’Immacolata Madre Semprevergine: Mosè e Davide...
L’architetto Poletti progettò d’innalzare verticalmente la colonna marmorea come imponente basamento per il trionfo dell’Immacolata Concezione, svettante sopra i palazzi circostanti, e come solido piedistallo al suo benedetto piede, con cui schiaccia e schiaccerà la testa del serpente infernale fino alla fine dei tempi. La colonna poggia a sua volta però su un massiccio piedistallo marmoreo a più livelli, in cui l’autore ha concentrato l’aspetto catechetico del monumento. Sullo sfondo dell’armonico piedistallo di candido marmo, spiccano ai quattro angoli le voluminose statue di altrettanti personaggi veterotestamentari: Mosè, il re Davide e i profeti Isaia ed Ezechiele. L’inserzione così evidente di quattro personaggi dell’Antico Testamento ha una notevole funzione pedagogica: quel dogma così tanto contrastato e frutto di discussioni plurisecolari, in realtà, a chi avesse ben inteso lo spirito delle Scritture e non si fosse irrigidito sulle sue limitate visioni, doveva essere già palese nell’Antico Testamento, perché così come tutte le Scritture parlano di Cristo, al contempo e inseparabilmente, parlano di Maria.
Parlando di Maria, l’Antico Testamento, sin dal Pentateuco e poi via via nei Salmi e nei Profeti, enuncia anche i suoi privilegi tra cui il principale e, in un certo senso, il più grande: l’Immacolata Concezione. Già la bolla Ineffabilis Deus fondava teologicamente il dogma – la cui proclamazione è immortalata anche in un bassorilievo sottostante – innanzitutto sul celebre Protovangelo – il primo annuncio del futuro Redentore – ovvero su Genesi 3,15, il cui autore, come per tutto il Pentateuco, fu sostanzialmente il grande Mosè. «Io porrò inimicizia tra te e la donna» (Gen 3,15): rivolgendosi al serpente maligno, il Signore gli profetizzò che nell’immensa lotta tra il bene e il male, il suo acerrimo nemico sarebbe stata la Donna. La Donna avrebbe vinto il serpente proprio perché in questa grande lotta Ella non sarebbe mai stata sottomessa allo spirito maligno, ma sempre lo avrebbe tenuto sotto i suoi piedi. Questa Donna non è certo Eva – che anzi fu “madre della disgrazia” – bensì Maria Santissima, Madre della grazia, che, a differenza del resto del genere umano, sfuggì da ogni sottomissione alla morte e al peccato, ed è così veramente e senza dubbio Immacolata sin dal suo concepimento.
Perché mai però, tra tutto il genere umano, una donna è stata scelta per godere di questo esimio privilegio di essere priva del peccato originale, di ogni altro peccato e della stessa concupiscenza che ci spinge al peccato? È la seconda statua a spiegarcelo al tocco della sua cetra: «L’Altissimo ha santificato la sua dimora», canta il re Davide, il salmista per eccellenza, nel Salmo 46. Il motivo che giustifica il privilegio unico di cui fu adornata la Vergine Maria è proprio la sua Maternità divina, il suo legame singolarissimo con il Verbo di Dio: non a caso il bassorilievo appena a sinistra nel livello inferiore illustra appunto l’Annunciazione. In quanto destinata a divenire Madre di Dio, ad ospitare nel suo grembo l’Immenso e a divenire il suo tempio per nove mesi, Maria Santissima fu “santificata” nel modo più alto e completo: proprio perché la sua carne doveva divenire la carne di Cristo, doveva essere, insieme a tutta la sua persona, completamente santa, ovvero priva di peccato e piena di grazia, piena di benedizioni celesti. Come un tempio viene separato e consacrato per divenire luogo della presenza di Dio, così Maria, vero Tempio di Dio, doveva essere separata dal resto dell’umanità peccatrice e consacrata, ovvero riempita di grazia divina, per ospitare degnamente il Verbo Incarnato.
...e i santi profeti Isaia ed Ezechiele
Se il dogma dell’Immacolata – il terzo dogma mariano della storia – poggia su quello della Maternità divina, proclamato ad Efeso nel 431, esso ha collegamenti evidenti con l’altro dogma allora promulgato, quello della Verginità perpetua, dato che l’Assunzione lo sarà solo nel 1950. Sono i due profeti a rivelarci questa armonia nascosta tra i due dogmi: Colei che, in quanto pensata dall’eternità come Madre di Dio, era stata preservata dal peccato originale e, così, da ogni altro peccato – mantenendo la purezza integra dell’anima – doveva, divenendo effettivamente Madre di Dio, mantenere anche la purezza completa e integra del corpo, che aveva già volontariamente votata a Dio. La maternità annunciatale dall’Angelo non doveva essere in contraddizione con la verginità che aveva promesso a Dio, come esigenza della sensibilità e purezza spirituale di Colei che, piena di grazia, non poteva che rendere a Dio tutto ciò che Le aveva dato. Ecco allora che il passo di Isaia 7,14, la profezia data all’empio re Acab, risuona con tutto il vigore del carisma profetico a cantare il miracolo per cui Maria divenne vera madre senza perdere la sua verginità, né nel concepire (virginitas ante partum) e né nel partorire Gesù (virginitas in partu): «Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio». E poi, per aggiungere il terzo giglio allo stelo verginale di Maria e completare questo coro veterotestamentario, ecco la figura imponente e la parola infuocata del profeta Ezechiele: «Questa porta rimarrà chiusa» (Ez 44,2). In questo modo l’Immacolata Madre di Dio completa la perfezione integra della sua anima, priva di peccato, con l’integrità del suo corpo, celebrata anche dalla verginità dopo il parto: la Verginità perpetua nelle parole di Ezechiele è infatti come la porta “bella” del Tempio (o porta della misericordia), destinata a rimanere chiusa al passaggio di qualsiasi uomo, perché riservata al passaggio di Dio. Nessuna immagine potrebbe essere più adatta a compendiare i tre dogmi mariani. La “porta bella” è la porta inviolata del Tempio, porta non utilizzabile dagli uomini ma destinata solo a Dio, anzi è la porta che ne conserva la presenza, così come la Semprevergine Maria custodì nel suo grembo inviolato il Redentore in quanto Madre di Dio. La “porta bella” o “speciosa” è pero anche detta porta della misericordia – “hesed” in ebraico – ma “hesed” si traduce anche come grazia: la porta chiusa è la porta della grazia, niente di più adatto per Colei che in quanto Immacolata – priva di qualsiasi tipo di peccato – era anche “piena di grazia”, come la chiamò l’Angelo Gabriele.
Un colosso di bronzo... e di grazia
Se finora, tra colonne romane e ambasciate spagnole, tra profeti di marmo e re in carne ed ossa, abbiamo girato in lungo e in largo attorno a questo benedetto monumento, non resta che arrampicarci su di esso o prender posto sulle vertiginose scale dei devoti pompieri per arrivare su su, verso ciò che ci interessa veramente: l’Immacolata. La cima della colonna romana, tramite un capitello di fattura moderna, ci introduce alla statua della Madre di Dio: un colosso di bronzo altro 4 metri e pesante 20.000 libbre (circa 9 tonnellate) uscito dalle forge di Giuseppe Obici di Spilamberto. Potremmo pensare che il dogma dell’Immacolata meritasse una statua di candido marmo, intagliata fino a renderla un’esile figura manierista, così da comunicarci perfettamente il carattere celestiale della Santissima Madre di Dio, che calcò sì la terra peccatrice ma rimanendone estranea, nella sua purezza angelica e nella sua impeccabilità “divina”. Invece l’Immacolata più famosa di Roma è un pesante colosso di scuro bronzo, innalzato a fatica verso il cielo nel 1857 da una squadra di pompieri, che trasmette un senso di gloriosa e inarrestabile forza, svettando sopra i palazzi circostanti e imponendosi agli sguardi degli astanti più distratti.
La testa del serpente, che muove il suo corpo sinuoso sulla superficie del globo, non risulta solo schiacciata dalla pesante massa bronzea, ma persino oppressa, annientata, scomparendo quasi sotto il calcagno poderoso della Vergine. È il trionfo di Maria, il trionfo dell’Immacolata: il dogma del 1854 non sancì solo la fine di una disputa teologica e non rappresentò un mero contentino dato ai devoti di Maria, ma iniziò una nuova fase nella storia della lotta tra il bene e il male, tra la grazia e il peccato. Il riconoscimento ufficiale del privilegio di Maria Santissima segna una nuova epoca, l’epoca di Maria, in cui lo scontro tra l’Immacolata Madre di Dio e l’iniquo serpente dovrà giungere alle sue estreme conseguenze. Ma la Colonna dell’Immacolata sta lì proprio a dirci chi vincerà: è Maria, la Sempre Vittoriosa, che ora domina il cielo della Città Eterna dall’alto di una colonna bimillenaria a cospetto di tutta la storia dell’umanità – quella pagana e quella cristiana – e che tornerà a vincere anche sopra questa inquieta modernità segnata da satana. Un colosso sì ma un colosso di grazia, in cui le libbre di bronzo non possono eguagliare il grado di carità e in cui la pesante mole non può impedirci di guardare in viso la Santissima Madre di Dio, per scoprirvi due occhi distolti dalla terra e pieni di Cielo. È questo il senso dell’Immacolata Concezione: occhi volti al Cielo, a contemplare quel Dio che regna sovrano nel suo Cuore, e piedi ben fissati a terra, per continuare a tenere sotto il benedetto piede l’iniquo serpente che minaccia la vita dei tanti figli.
Questo luogo ormai dominato dal turismo carnale racchiude però un tesoro della vita devozionale romana: ogni anno, l’8 dicembre, il popolo romano si riunisce lì non per eventi di moda o per il bighellonaggio perditempo, bensì per prestare il suo ossequio, nella piccola e contigua piazza Mignatelli, all’Immacolata Madre di Dio. Parliamo infatti della celebre Colonna dell’Immacolata a cui ogni anno i pompieri di Roma, secondo una tradizione poco meno che secolare, offrono un serto di fiori con una spettacolare e acrobatica manovra, alla presenza dello stesso Vicario di Cristo. La Colonna dell’Immacolata è però al contempo una catechesi visiva sul dogma dell’Immacolata Concezione e sulle altre prerogative della Santissima Madre di Dio, oltre che un compendio della storia di questo dogma, storia tanto più gloriosa quanto più contrastata.
Una colonna romana illibata
L’8 dicembre 1854, nel solenne contesto cerimoniale della basilica di San Pietro, il beato pontefice Pio IX dichiarava, dopo secoli di battaglia e di discussione, che «la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento» (Ineffabilis Deus). Proprio nel momento in cui, rivestito della pienezza del ministero petrino, il Beato definiva tale dogma, una luce – evidentemente inspiegabile e soprannaturale – lo colpiva da una finestra della basilica, dando agli astanti un attestato della benevolenza divina all’opera del “dolce Cristo in terra”. Immediatamente la città di Roma – che ancora era veramente la città del Papa – si industriò per dare una testimonianza pubblica e civile a questo straordinario trionfo dell’Immacolata, trionfo del soprannaturale in un secolo troppo sfrontatamente “naturale” e trionfo della grazia davanti all’insolenza del peccato.
All’architetto modenese Luigi Poletti sorse subito un’idea brillante. Da ormai 80 anni una grande colonna romana giaceva abbandonata nel cortile della Curia Innocenziana, l’attuale palazzo del Parlamento a Montecitorio, allora sede degli uffici economici della Santa Sede. Questa colonna lunga ben 12 metri di prezioso marmo cipollino era venuta alla luce nel 1777 durante gli scavi presso il monastero delle benedettine a Campo Marzio: questo gigante accasciato balzò subito all’occhio dei cultori delle antichità romane – particolarmente numerosi nel XVIII secolo – i quali proposero varie soluzioni per riutilizzarla. Tutte le proposte presto caddero nel vuoto per due motivi: la pesantezza di questa colonna, che richiese ben 10 argani e cento persone per spostarla, e soprattutto un difetto strutturale alla base che la rendeva inutilizzabile. Pertanto non si poté fare meglio che spostarla di qualche centinaio di metri nel cortile di Palazzo Montecitorio, dove attraversò incolume il periodo rivoluzionario come un ingombrante ma innocuo relitto del passato. Ai cultori e agli architetti una cosa era però chiara: questa colonna di prezioso marmo non solo era al presente inutilizzabile ma non era mai stata utilizzata, nemmeno dagli stessi Romani, in quanto era fragile alla base, con evidente tendenza a sfaldarsi... la colonna insomma giaceva lì inutilizzata da qualcosa come due millenni!
Una colonna mai utilizzata che all’architetto Poletti – nel momento in cui pensava come onorare pubblicamente il nuovo dogma – venne immediatamente in mente: cosa meglio di una colonna illibata e rimasta nascosta da quasi due millenni, per fare da base e da trono all’Immacolata, venuta al mondo proprio quasi due millenni prima? Una colonna che giaceva lì così come era uscita dalle mani dello scultore e mai contaminata dall’utilizzo in costruzioni pagane, proprio in attesa del dogma che definisse la Madre di Dio come Immacolata, uscita completamente pura dalle mani del Creatore e rimasta tale. Ecco che quindi con tre anelli di ferro, mascherati da un fregio bronzeo, si ovviò al problema strutturale, permettendo a quella colonna provvidenzialmente sfuggita dall’uso pagano e profano, di far svettare su Roma la più sacra delle creature: l’Immacolata Concezione.
L’Immacolata tra Spagna e piazza di Spagna
Piazza di Spagna è certamente uno dei luoghi più belli di Roma ma domandarsi perché proprio lì sia stata posta la Colonna dell’Immacolata non è una questione senza valore. Numerose altre piazze avrebbero potuto ben ospitare tale commemorazione monumentale del glorioso dogma e l’accostamento a qualche basilica avrebbe potuto sembrare più idoneo; peraltro la Colonna non domina nemmeno la piazza di Spagna ma è quasi rinchiusa in un suo cantuccio, chiamato piazza Mignatelli. Il motivo in realtà è semplice: l’architetto Poletti, le autorità papali e i benefattori che permisero la realizzazione dell’opera, vollero con ciò avvicinare il più possibile la Colonna al palazzo dell’ambasciata di Spagna, per tributare un ringraziamento alla nazione che più di tutte le altre si era spesa nel corso dei secoli per l’affermazione del dogma dell’Immacolata Concezione.
La posizione “immacolista” – cioè di coloro che nella discussione con i “macolisti” sostennero fortemente l’esenzione della Madonna da ogni peccato sin dal concepimento – vanta infatti una lunga tradizione nella penisola iberica, fino almeno dalla grande opera del terziario francescano, il beato Raimondo Lullo († 1316). Nel corso dei secoli la quasi unanimità delle università e dei teologi spagnoli – soprattutto francescani – sostennero l’Immacolata Concezione, tanto che l’università di Salamanca nel 1618 si vincolò con voto solenne a difendere il privilegio di Maria Santissima. Anzi dalla Sicilia il cosiddetto “voto sanguinario” – con cui si prometteva di difendere l’Immacolata Concezione fino all’effusione del sangue – si diffuse soprattutto in Spagna: singoli uomini e intere città suggellarono firmando con una goccia del loro sangue questa promessa, che avrebbe fatto molto discutere gli illuministi e i cattolici tiepidi. Non di meno gli stessi re s’impegnarono per diffondere tale privilegio: sotto Filippo III (1578-1621) la Spagna fu consacrata all’Immacolata e sotto Carlo III (1716-1788) – sovrano pur profondamente influenzato dall’Illuminismo – l’Immacolata fu dichiarata “Patrona della Spagna”. Più volte i re spagnoli si trovarono a vietare pubblicamente la diffusione di opinioni contrarie all’Immacolata, fino a decretare talora delle espulsioni, e, soprattutto, numerose volte si fecero promotori presso la Santa Sede della dichiarazione ufficiale di tale dogma.
Tutto ciò basta a spiegare come il Papa stesso, una volta riconosciuta la verità indiscutibile di tale privilegio, abbia voluto tributare alla nazione spagnola l’onore di veder sorgere di fronte alla propria rappresentanza diplomatica la magnifica Colonna commemorativa.
Dal feudalesimo alla missione
La monarchia spagnola, all’epoca della promulgazione del dogma, spettava alla famiglia dei Borbone, la quale aveva ramificazioni in molti paesi d’Europa. Risulta quindi interessante che proprio il re delle due Sicilie, Ferdinando II di Borbone, nipote di Carlo IV di Spagna, abbia fornito i mezzi finanziari per concludere la costruzione della monumentale Colonna dell’Immacolata. Il principale motivo della sua munificenza fu che l’8 dicembre 1856, alla fine della Santa Messa per l’Immacolata, il sovrano era stato ferito dalla baionetta del soldato mazziniano Agesilao Milano, che lo considerava un tiranno. Ritenne la sua sopravvivenza una grazia dell’Immacolata, il che lo spinse a costruire una chiesa all’Immacolata a Napoli e a contribuire alla costruzione del monumento a Roma, risolvendo al contempo una vertenza che da quasi un secolo opponeva il regno al Papa: il tradizionale tributo della “chinea”, con la quale il re di Napoli, ammetteva la sua sottomissione feudale al Sommo Pontefice, nonostante ormai non più rispettato dai sovrani delle due Sicilie, fu ufficialmente e definitivamente abrogato dal Santo Padre in cambio del devoto gesto di Ferdinando II. In tal modo lo stesso Papa che difendeva a spada tratta i domini temporali della Chiesa dalle pretese dei cosiddetti “patrioti” italiani, rinunciava alla sottomissione feudale del re delle due Sicilie (erede del regno di Napoli), dimostrando la profonda concretezza di chi sa a che cosa il Sommo Pontefice possa rinunciare e a che cosa no. Il governo temporale della Chiesa – a differenza di un diritto feudale – non è un mero dominio politico, che così come si è realizzato nella storia può cessare, bensì un’esigenza teologica che assicura alla Chiesa la libertà necessaria a svolgere il suo ministero spirituale di maestra e guida di tutte le genti verso la Verità e la salvezza. L’ubicazione della colonna tuttavia sembra ricordarci questa profonda verità: se la Colonna sta dirimpetto all’ambasciata spagnola, tuttavia sulla medesima appendice della piazza di Spagna, si apre anche la severa facciata del palazzo di Propaganda Fide, la congregazione vaticana che da secoli si occupa dell’evangelizzazione dei popoli e dell’espansione della Fede cattolica nel mondo. L’Immacolata Concezione, proclamata con un atto del supremo Magistero del Papa, diviene così la stella a cui deve guardare la Chiesa per condurre la sua missione spirituale nel mondo, ovvero l’evangelizzazione dei popoli.
Ai piedi dell’Immacolata Madre Semprevergine: Mosè e Davide...
L’architetto Poletti progettò d’innalzare verticalmente la colonna marmorea come imponente basamento per il trionfo dell’Immacolata Concezione, svettante sopra i palazzi circostanti, e come solido piedistallo al suo benedetto piede, con cui schiaccia e schiaccerà la testa del serpente infernale fino alla fine dei tempi. La colonna poggia a sua volta però su un massiccio piedistallo marmoreo a più livelli, in cui l’autore ha concentrato l’aspetto catechetico del monumento. Sullo sfondo dell’armonico piedistallo di candido marmo, spiccano ai quattro angoli le voluminose statue di altrettanti personaggi veterotestamentari: Mosè, il re Davide e i profeti Isaia ed Ezechiele. L’inserzione così evidente di quattro personaggi dell’Antico Testamento ha una notevole funzione pedagogica: quel dogma così tanto contrastato e frutto di discussioni plurisecolari, in realtà, a chi avesse ben inteso lo spirito delle Scritture e non si fosse irrigidito sulle sue limitate visioni, doveva essere già palese nell’Antico Testamento, perché così come tutte le Scritture parlano di Cristo, al contempo e inseparabilmente, parlano di Maria.
Parlando di Maria, l’Antico Testamento, sin dal Pentateuco e poi via via nei Salmi e nei Profeti, enuncia anche i suoi privilegi tra cui il principale e, in un certo senso, il più grande: l’Immacolata Concezione. Già la bolla Ineffabilis Deus fondava teologicamente il dogma – la cui proclamazione è immortalata anche in un bassorilievo sottostante – innanzitutto sul celebre Protovangelo – il primo annuncio del futuro Redentore – ovvero su Genesi 3,15, il cui autore, come per tutto il Pentateuco, fu sostanzialmente il grande Mosè. «Io porrò inimicizia tra te e la donna» (Gen 3,15): rivolgendosi al serpente maligno, il Signore gli profetizzò che nell’immensa lotta tra il bene e il male, il suo acerrimo nemico sarebbe stata la Donna. La Donna avrebbe vinto il serpente proprio perché in questa grande lotta Ella non sarebbe mai stata sottomessa allo spirito maligno, ma sempre lo avrebbe tenuto sotto i suoi piedi. Questa Donna non è certo Eva – che anzi fu “madre della disgrazia” – bensì Maria Santissima, Madre della grazia, che, a differenza del resto del genere umano, sfuggì da ogni sottomissione alla morte e al peccato, ed è così veramente e senza dubbio Immacolata sin dal suo concepimento.
Perché mai però, tra tutto il genere umano, una donna è stata scelta per godere di questo esimio privilegio di essere priva del peccato originale, di ogni altro peccato e della stessa concupiscenza che ci spinge al peccato? È la seconda statua a spiegarcelo al tocco della sua cetra: «L’Altissimo ha santificato la sua dimora», canta il re Davide, il salmista per eccellenza, nel Salmo 46. Il motivo che giustifica il privilegio unico di cui fu adornata la Vergine Maria è proprio la sua Maternità divina, il suo legame singolarissimo con il Verbo di Dio: non a caso il bassorilievo appena a sinistra nel livello inferiore illustra appunto l’Annunciazione. In quanto destinata a divenire Madre di Dio, ad ospitare nel suo grembo l’Immenso e a divenire il suo tempio per nove mesi, Maria Santissima fu “santificata” nel modo più alto e completo: proprio perché la sua carne doveva divenire la carne di Cristo, doveva essere, insieme a tutta la sua persona, completamente santa, ovvero priva di peccato e piena di grazia, piena di benedizioni celesti. Come un tempio viene separato e consacrato per divenire luogo della presenza di Dio, così Maria, vero Tempio di Dio, doveva essere separata dal resto dell’umanità peccatrice e consacrata, ovvero riempita di grazia divina, per ospitare degnamente il Verbo Incarnato.
...e i santi profeti Isaia ed Ezechiele
Se il dogma dell’Immacolata – il terzo dogma mariano della storia – poggia su quello della Maternità divina, proclamato ad Efeso nel 431, esso ha collegamenti evidenti con l’altro dogma allora promulgato, quello della Verginità perpetua, dato che l’Assunzione lo sarà solo nel 1950. Sono i due profeti a rivelarci questa armonia nascosta tra i due dogmi: Colei che, in quanto pensata dall’eternità come Madre di Dio, era stata preservata dal peccato originale e, così, da ogni altro peccato – mantenendo la purezza integra dell’anima – doveva, divenendo effettivamente Madre di Dio, mantenere anche la purezza completa e integra del corpo, che aveva già volontariamente votata a Dio. La maternità annunciatale dall’Angelo non doveva essere in contraddizione con la verginità che aveva promesso a Dio, come esigenza della sensibilità e purezza spirituale di Colei che, piena di grazia, non poteva che rendere a Dio tutto ciò che Le aveva dato. Ecco allora che il passo di Isaia 7,14, la profezia data all’empio re Acab, risuona con tutto il vigore del carisma profetico a cantare il miracolo per cui Maria divenne vera madre senza perdere la sua verginità, né nel concepire (virginitas ante partum) e né nel partorire Gesù (virginitas in partu): «Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio». E poi, per aggiungere il terzo giglio allo stelo verginale di Maria e completare questo coro veterotestamentario, ecco la figura imponente e la parola infuocata del profeta Ezechiele: «Questa porta rimarrà chiusa» (Ez 44,2). In questo modo l’Immacolata Madre di Dio completa la perfezione integra della sua anima, priva di peccato, con l’integrità del suo corpo, celebrata anche dalla verginità dopo il parto: la Verginità perpetua nelle parole di Ezechiele è infatti come la porta “bella” del Tempio (o porta della misericordia), destinata a rimanere chiusa al passaggio di qualsiasi uomo, perché riservata al passaggio di Dio. Nessuna immagine potrebbe essere più adatta a compendiare i tre dogmi mariani. La “porta bella” è la porta inviolata del Tempio, porta non utilizzabile dagli uomini ma destinata solo a Dio, anzi è la porta che ne conserva la presenza, così come la Semprevergine Maria custodì nel suo grembo inviolato il Redentore in quanto Madre di Dio. La “porta bella” o “speciosa” è pero anche detta porta della misericordia – “hesed” in ebraico – ma “hesed” si traduce anche come grazia: la porta chiusa è la porta della grazia, niente di più adatto per Colei che in quanto Immacolata – priva di qualsiasi tipo di peccato – era anche “piena di grazia”, come la chiamò l’Angelo Gabriele.
Un colosso di bronzo... e di grazia
Se finora, tra colonne romane e ambasciate spagnole, tra profeti di marmo e re in carne ed ossa, abbiamo girato in lungo e in largo attorno a questo benedetto monumento, non resta che arrampicarci su di esso o prender posto sulle vertiginose scale dei devoti pompieri per arrivare su su, verso ciò che ci interessa veramente: l’Immacolata. La cima della colonna romana, tramite un capitello di fattura moderna, ci introduce alla statua della Madre di Dio: un colosso di bronzo altro 4 metri e pesante 20.000 libbre (circa 9 tonnellate) uscito dalle forge di Giuseppe Obici di Spilamberto. Potremmo pensare che il dogma dell’Immacolata meritasse una statua di candido marmo, intagliata fino a renderla un’esile figura manierista, così da comunicarci perfettamente il carattere celestiale della Santissima Madre di Dio, che calcò sì la terra peccatrice ma rimanendone estranea, nella sua purezza angelica e nella sua impeccabilità “divina”. Invece l’Immacolata più famosa di Roma è un pesante colosso di scuro bronzo, innalzato a fatica verso il cielo nel 1857 da una squadra di pompieri, che trasmette un senso di gloriosa e inarrestabile forza, svettando sopra i palazzi circostanti e imponendosi agli sguardi degli astanti più distratti.
La testa del serpente, che muove il suo corpo sinuoso sulla superficie del globo, non risulta solo schiacciata dalla pesante massa bronzea, ma persino oppressa, annientata, scomparendo quasi sotto il calcagno poderoso della Vergine. È il trionfo di Maria, il trionfo dell’Immacolata: il dogma del 1854 non sancì solo la fine di una disputa teologica e non rappresentò un mero contentino dato ai devoti di Maria, ma iniziò una nuova fase nella storia della lotta tra il bene e il male, tra la grazia e il peccato. Il riconoscimento ufficiale del privilegio di Maria Santissima segna una nuova epoca, l’epoca di Maria, in cui lo scontro tra l’Immacolata Madre di Dio e l’iniquo serpente dovrà giungere alle sue estreme conseguenze. Ma la Colonna dell’Immacolata sta lì proprio a dirci chi vincerà: è Maria, la Sempre Vittoriosa, che ora domina il cielo della Città Eterna dall’alto di una colonna bimillenaria a cospetto di tutta la storia dell’umanità – quella pagana e quella cristiana – e che tornerà a vincere anche sopra questa inquieta modernità segnata da satana. Un colosso sì ma un colosso di grazia, in cui le libbre di bronzo non possono eguagliare il grado di carità e in cui la pesante mole non può impedirci di guardare in viso la Santissima Madre di Dio, per scoprirvi due occhi distolti dalla terra e pieni di Cielo. È questo il senso dell’Immacolata Concezione: occhi volti al Cielo, a contemplare quel Dio che regna sovrano nel suo Cuore, e piedi ben fissati a terra, per continuare a tenere sotto il benedetto piede l’iniquo serpente che minaccia la vita dei tanti figli.
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