ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 8 dicembre 2017

Due maniere di fare una rivoluzione


CATTOLICO O RIVOLUZIONARIO?


Scusi, lei è cattolico o rivoluzionario? la dichiarazione del papa Francesco: "Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non erano sbagliate era un riformatore". L'enorme differenza tra il concetto di riforma e di rivoluzione 
di Francesco Lamendola  



Sono in parecchi a pensare e a dire, o ad aver detto e scritto, che Gesù Cristo è stato un grande rivoluzionario: che, nella storia umana, non c’è stata rivoluzione più grande di quella cristiana; e che un vero cristiano è anche, perciò stesso, un genuino rivoluzionario. Poiché in queste frasi vi è qualche cosa di vero, ma anche molto di falso, e soprattutto di ambiguo, sarà bene chiarire, una volta per tutte, che cosa sia e che cosa non sia “rivoluzionario”. Abbiamo capito, infatti, a chi piace la rivoluzione e crediamo di avere anche capito perché le sue lodi richiedono un lavorio preparatorio, che passa attraverso la rivalutazione del concetto di “riforma”. Si celebra la riforma oggi per poter celebrare la rivoluzione domani; o meglio, per creare quella particolare atmosfera psicologica e culturale che dà per scontato il valore positivo della rivoluzione, qualunque essa sia.

Tale atmosfera esiste già, da quando esiste la civiltà moderna, nella cultura profana; si pensi a ciò che, nell’immaginario collettivo, compreso quello dei sedicenti intellettuali, evocano le parole “rivoluzione americana”, “rivoluzione francese”, “rivoluzione russa”, eccetera. Mancava, però, una eguale atmosfera celebrativa e quasi sentimentale nella cultura cattolica, per non dire della Chiesa cattolica e nel clero: e questo era appunto il tassello del mosaico che mancava affinché il concetto di rivoluzione venisse rivalutato universalmente. Piaccia o non piaccia, la mentalità cattolica, e sia pure come semplice forza d’inerzia, vuol dire ancora qualcosa nel mondo, e specialmente in Italia; era perciò necessario che la cultura cattolica e la Chiesa cattolica, dopo aver esercitato una sorta di coscienza critica sul concetto di rivoluzione e sul ruolo delle rivoluzioni nella storia moderna, venisse modificato, ma dall’interno; che il giudizio negativo venisse ritrattato, rivisto, corretto e, se possibile, rovesciato; che l’idea positiva della rivoluzione si affermasse anche dentro l’ultima cittadella della Tradizione, cioè la Chiesa.
Per giungere a questo, bisognava procedere a tappe. L’Europa moderna, per esempio, nasce con la Rivoluzione francese, preparata, a sua volta, dalle due rivoluzioni inglesi del XVII secolo: da allora in poi, la parola “rivoluzione” ha un suono gradevole agli orecchi dell’opinione pubblica, poiché positiva è stata la narrazione mitologica che di essa è stata data dagli storici e dai filosofi della storia, nonché da tutto l’apparato della cultura dominante. La Chiesa, però, non la pensava così; la Chiesa, che era stata la prima vittima di quella rivoluzione, sapeva, e insegnava, che non c’è nulla di bello e di glorioso, e, oltretutto, nulla di spontaneo e naturale, nelle rivoluzioni moderne. Da parte sua, la cultura cattolica aveva sempre messo in guardia contro l’infatuazione rivoluzionaria delle masse, culminata con la diffusione del marxismo e, dopo l’Ottobre del 1917, con il mito di cartapesta del comunismo sovietico, la cui forza d’espansione, nondimeno, si è irraggiata in quasi tutto il mondo, fin oltre gi anni ’70 del Novecento, dopo aver raggiunto un “picco” con i movimento operai e studenteschi legati al 1968. Il Risorgimento italiano, opera della massoneria rivoluzionaria, è sempre stato guardato, e giustamente, con occhio fortemente critico dalla cultura cattolica: ciò che rappresentava un ostacolo alla diffusione di quella uniforme immagine positiva della rivoluzione, che si voleva imporre a livello della coscienza del popolo italiano. Ebbene, per giungere a tanto era necessario che i cattolici incominciassero a rivedere i loro “pregiudizi” antirivoluzionari e a familiarizzarsi con le potenzialità positive del concetto di rivoluzione: però per gradi, perché non era possibile attuare una simile svolta tutta d’un colpo.
Il Concilio Vaticano II fu il laboratorio sperimentale per attuare questa inversione di tendenza, abilmente pilotata dall’alto, e con il massiccio contributo, non certo disinteressato, dell’insieme dei mezzi d’informazione che si occuparono di quell’evento, più o meno tutti diretti e controllati da quella élite rivoluzionaria mondiale che si chiamata massoneria. Bisogna sempre ricordare, infatti, che l’élite finanziaria che domina la politica mondiale e le manifestazioni della cultura, dell’arte e dello spettacolo, nonché l’informazione, è, in se stessa, rivoluzionaria, il suo fine essendo la sovversione permanente, allo scopo di poter meglio dominare i popoli. È un errore credere che il potere sia sempre, per sua natura, nemico delle rivoluzioni: così era nel mondo pre-moderno; ma con la modernità le cose sono cambiate. La civiltà moderna è di per se stessa rivoluzionaria: l’esaltazione del progresso illimitato costituisce una ideologia intrinsecamente rivoluzionaria, perché il progresso distrugge, a velocità crescente, ciò che era giusto, buono e vero fino al giorno prima, e non può che procedere così, accelerando sempre più il suo moto grazie agli sviluppi della tecnologia, specialmente informatica. Pertanto, se esiste un potere planetario che tutto vuol controllare, ma che non ama rivelarsi, esso deve essere per forza rivoluzionario: è l’unica maniera per non farsi scavalcare dalle rivoluzioni del progresso e, nello stesso tempo, per tenere in schiavitù miliardi di persone da parte di poche centinaia.
Dunque, nel triennio 1962-65 i mezzi d’informazione e gli stessi commentatori cattolici del Concilio riuscirono a far passare ciò che, fin a quel momento, nel mondo cattolico non era mai “passato”: l’idea di un significato positivo della rivoluzione; ma lo fecero, molto abilmente, presentando la rivoluzione come una semplice “riforma”. Si consideri, infatti, che ci sono due maniere di fare una rivoluzione: una rapida e netta, l’altra lenta e graduale. Nel secondo caso, si può perfino far sì che le persone e i popoli non percepiscano, se non sporadicamente, il carattere rivoluzionario del processo in atto, specie se tutti i mezzi dell’informazione della cultura parlano sempre e solo di “riforme”. Ma delle riforme sistematiche, capillari, quotidiane, radicali, formano, tutte insieme, una rivoluzione: le riforme sono “solo” riforme se il contesto rimane sostanzialmente lo stesso; se la somma delle riforme conduce a un contesto totalmente nuovo, allora esse non erano che le singole tappe di una rivoluzione. È lo stesso schema che oggi la neochiesa bergogliana sta applicando alla rivoluzione di Lutero, fatta passare, ovviamente in senso positivo, come semplice riforma. Ciò che è implicito, anche se non viene detto, è che il Concilio di Trento e i cinquecento anni della Chiesa cattolica che a quel Concilio si sono ispirati, diventano, automaticamente, se non proprio una “controrivoluzione”, quanto memo una “controriforma”: proprio come hanno sempre sostenuto i luterani. La Chiesa di Trento viene così declassata dagli stessi cattolici, anche senza bisogno di dirlo a voce alta, ad un lungo, penoso errore: a una inutile, ottusa opposizione alle necessarie riforme, proclamate e attuate da Lutero, Calvino e Zwingli. Di “riforma cattolica” non si parla quasi più; e libri come quello di Hubert Jedin  sul Concilio di Trento, oggi non sono più citati dai cattolici. Come mai? Perché, una volta deciso di riabilitare Lutero, diventa impossibile elogiare la riforma cattolica, che fu l’opera di rinnovamento della Chiesa cattolica attuato su se stessa, dall’interno, e non il falso rinnovamento che fu, in realtà, un tentativo di distruzione,  attuato dagli eretici, dall’esterno. Insomma: una volta deciso, in nome di una delirante ricerca dell’unità religiosa ad ogni costo, di proclamare che gli eretici erano stati nel giusto, ma senza ammettere apertamente di aver avuto torto, i cattolici, o sedicenti tali, della neochiesa, dovevano e devono fare in modo di far sparire i riformatori cattolici del Concilio di Trento, la cui sola memoria potrebbe dar ombra ai ritrovati “amici” luterani. Ornai manca poco che, proseguendo su questa strada, il papa debba chiedere scusa alla regina Elisabetta d’Inghilterra se il suo predecessore Enrico VIII fu costretto a far decapitare san Tommaso Moro, e se sua figlia Elisabetta si vide obbligata a far squartare e bruciare vivi tutti i preti e i fedeli cattolici che le riuscì di stanare nella sua fortunata isola.
Tale rivisitazione della storia, in senso filo-protestante e, implicitamente, filo-rivoluzionario, viene condotta da quei cattolici i quali, di questo tempi, vanno cianciando che Martin Lutero è stato un riformatore e che le sue – ottime – intenzioni erano, appunto, quelle di riformare la povera Chiesa cattolica, che ne aveva tanto, tanto bisogno. Tali incredibili affermazioni hanno preso il “la” da una esplicita dichiarazione del papa Francesco, il quale, nel giugno del 2016, ritornava da un viaggio “apostolico” a Yerevan, capitale dell’Armenia (ma sappiamo cosa sono, in realtà, i suoi viaggi apostolici: il contrario di quel che la parola parrebbe indicare). Il papa, in quella occasione ha testualmente detto (compreso lo strafalcione nell’uso dei modi verbali): Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non erano sbagliate. Era un riformatore. Stava preparando il terreno per il viaggio a Lund, in Svezia, dell’autunno successivo, il 31 ottobre - giorno dell’affissione delle 95 tesi sul portale della chiesa del castello di Wittenberg -, con le concelebrazioni cattolico-protestanti, a sua volta in preparazione della celebrazione e della rivalutazione definitiva, il 31 ottobre 2017, del cinquecentenario della cosiddetta riforma luterana, con tanto di emissione di un francobollo (sacrilego) da parte delle Poste Vaticane, con il Crocifisso ai piedi del quale si vedono solo Lutero e Melantone, e non più la Madonna e san Giovanni. Riassumendo: se Lutero è stato non un rivoluzionario, ma un riformatore, allora Lutero deve essere rivalutato e riscattato; e una volta stabilito che Lutero era un bravo cristiano, animato dalle migliori intenzioni, si potrà suggerire, ma con discrezione, che le rivoluzioni, in fondo, sono buone anch’esse, perché animate, al solito, dalle migliori intenzioni. Si rivalutano le riforme per rivalutare Lutero, ma non tutte: non si rivaluta la riforma cattolica del Concilio di Trento; si rivalutano solo le riforme che, in realtà, non furono riforme, ma rivoluzioni, e intanto si fa finta che siano state riforme, con l’obiettivo nascosto di rivalutare, diciamo così a livello “subliminale”, le rivoluzioni.Anche il Concilio Vaticano II è stato fatto passare per una grande “riforma”, mentre è stato una rivoluzione. 

Scusi, lei è cattolico o rivoluzionario?
 di  
Francesco Lamendola

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"La Chiesa tradisce il Vangelo se preferisce la politica a Dio"

La Chiesa deve tornare ad occuparsi di fede. Sembra ormai un "mantra" questo dei cardinali dei "dubia". Intervista sul luteranesimo al cardinale Brandmueller
"Quanto più si occupa di politica lasciando da parte la realtà di Dio, grazia e peccato tanto più si tradisce il Vangelo", a parlare è Walter Brandmüller, cardinale cattolico e firmatario dei "dubia" sulla discussa esortazione apostolica di papa Francesco, "Amoris Laetita".
Il porporato tedesco ha preferito non affrontare le tematiche di più stretta attualità. Apparentemente niente dichiarazioni - dunque - sulla mancata risposta del pontefice alle questioni sollevate o sulla divisione dottrinale che sta interessando la Chiesa di questi tempi. Ma il cardinale - in realtà - pare aver utilizzato risposte acute per chiarire e definire il suo pensiero complessivo sullo stato delle cose. 
Walter Brandmüller - infatti - è sì un uomo di Chiesa, ma anche uno storico e un professore. Una personalità abituata - quindi - a lasciar trapelare messaggi precisi mediante riferimenti storici. Massimo esperto di Concili e strettissimo collaboratore di Benedetto XVI, il cardinale cita Joseph Lortz e Erwin Iserloh: due storici della Chiesa che non hanno affatto tralasciato le differenze e gli scontri dottrinali. Sembra quasi voler dire - insomma - che nella storia contemporanea del cattolicesimo qualcuno stia trascurando apertamente questi aspetti. Brandmüller non cita mai papa Bergoglio: così come ribadito nelle settimane passate dal cardinale Burke - del resto - la fedeltà di questi cardinali al Santo Padre non è minimamente messa in discussione e - anzi - l'unico intento dichiarato sembra essere quello di favorire l' unità della Chiesa di Roma. Il cardinale risponde esaustivamente - però - all'oggetto dell'intervista: il dialogo con il protestantesimo. Non nomina neppure Monsignor Galantino, ma indirettamente pare suggerirgli di studiare "di più". Lutero sarebbe visto da alcuni come un fenomeno "esotico". Quello che è considerato da molti il miglior amico di Joseph Ratzinger destruttura - insomma - un certo modo di intendere il dialogo religioso con la fede luterana.
Cardinale Brandmueller, il dibattito su Lutero sta animando la Chiesa cattolica. C'è in atto una vera e propria rivalutazione di questa figura?
"Già dopo la comune esperienza di persecuzione da parte Nazista, i conflitti confessionali tra cattolici e protestanti nella storiografia su Lutero venivano sempre di meno. Joseph Lortz o Erwin Iserloh furono esponenti di una storiografia cattolica oggettiva, serena, imparziale – senza, però, sottovalutare il dissenso dottrinale".
Monsignor Galantino si è spinto a dire che la riforma luterana è "un evento dello Spirito Santo". Non sarà un po' troppo?
"Infatti, in paesi dii cultura cattolica “Lutero” o “Riforma” vengono spesso percepiti come fenomeni esotici e quindi – per alcuni – affascinanti. Però, prima di esternarsi su ciò converrebbe studiare un po’più di giornali".
Alcuni ritengono che la scelta di posizionare la statua di Lutero in Vaticano sia stata fuori luogo. Lei cosa ne pensa?
"Il dissenso tra le varie forme del Protestantesimo – e ne sono molte – e la fede cattolica concerne le fondamenta. Già i concetti p. es. di fede, sacramento, grazia, chiesa nella dottrina protestante hanno un senso nettamente contrastante a quello della fede cattolica – ma, qui non è la sede di parlarne di più".
Quali sono le linee di demarcazione dottrinale che ancora separano cattolicesimo e luteranesimo? Si legge persino del rischio di "messa ecumenica"...
"Si parla di una “messa ecumenica”? Si, volentieri – meglio oggi che domani. Ma: prima di suonare le campane andrebbe chiarito che cosa sia la messa. Magari una cerimonia di incontro fraterno in memoria di Gesù, o, piuttosto, la celebrazione del mistero del sacrificio eucaristico, come insegna in ultimo la Sacrosanctum Concilium del Vaticano II".
Alcuni hanno definito le posizioni rigide sul tema in questione come "borbottii dei tradizionalisti"....
"A proposito di borbottilioni tradizionalisti: Sono uno di loro essendo convinto che la tesi di Pitagora sia ancora vera?".
Sembra, a volte, che una parte della Chiesa abbia assunto un atteggiamento tipicamente luterano: anteporre le questioni politiche a quelle spirituali. E' un'interpretazione corretta?
"Con ciò tocca un nervo! Quanto più si occupa di politica lasciando da parte la realtà di Dio, grazia e peccato tanto più si tradisce il Vangelo. In un intervista di ben 20 minuti sull’anno 1517 e su Lutero un alto rappresentante del protestantesimo tedesco con nessuna parola menzionò Dio o Gesù".

Diego Fusaro: La società senza Padre. Il capitale contro padre, patria e Padre Eterno

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