ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 18 dicembre 2017

La via dell'inferno è aperta e larga


NEOCHIESA: INFERNO DI FALLITI


I Santi hanno visto l’inferno e il papa? Ecco da chi è formata la neochiesa modernista e progressista: da un esercito di falliti e frustrati, residuati della stagione della contestazione, carichi di rancore e bramosi di rivalsa 
di Francesco Lamendola   
 

Farebbero sorridere, se non suscitassero indignazione, le parole di padre Arturo Sosa Abascal sulla non esistenza del diavolo: perché,se il diavolo non esiste, non esiste neppure l’inferno; e se l’inferno non esiste, allora il cristianesimo è una menzogna e Gesù Cristo è venuto sulla terra per niente, dal momento che le anime non corrono alcun pericolo di dannazione e che il male non doveva essere affrontato e vinto dal Figlio di Dio, per riscattare l’umanità che giaceva sotto il suo dominio. Ma che l’inferno esista, ed esistano pure i diavoli, non è affatto una opinione personale di qualcuno, di qualche cattolico tradizionalista e bigotto: è parola del Magistero, e, prima ancora, parola di Dio. Gesù ne ha parlato spesso; lo ha affrontato faccia a faccia, nel deserto, quando ha subito le sue tentazioni, e le ha vinte; e poi, lungo tutta la sua vita terrena, quando ha liberato una quantità d’indemoniati. Anche gli altri testi del Nuovo Testamento, le lettere di san Paolo, quelle di san Pietro, i due principi degli Apostoli, parlato del diavolo e della sua terribile realtà; e così pure l’Apocalisse, che descrive la battaglia finale fra le armate del diavolo e gli Angeli del Signore.  Non solo: molti Santi e Sante, anche nei tempi moderni, hanno visto l’inferno: la beata Anna Katharina Emmerick, Jean-Marie-Vianney, il santo curato d’Ars, san Giovanni Bosco, santa Faustina Kowalska, suor Lucia dos Santos, padre pio da Pietrelcina: lo hanno visto così come voi vedete le case di fronte, quando uscite in strada dal vostro portone; lo hanno visto e ne hanno riportato un’impressione fortissima, incancellabile. Ne hanno poi parlato, naturalmente, per mettere in guardia le anime contro il pericolo di finire in esso.

Fra quelli che l’hanno visto c’è anche la grande santa Brigida di Svezia (1303-1373), co-patrona d’Europa, insieme a santa Caterina da Siena e a santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), una delle maggiori mistiche di tutta la storia del cristianesimo. Fra le altre cose Gesù Cristo, nel corso delle sue visioni, disse alla grande santa:
La via dell'inferno (...) è aperta e larga e molti entrano per essa. Ai cattivi s'apre la via dell'inferno, ove caduti non ne usciranno mai più: privai della gloria e della grazia, saranno pieni di miseria e di obbrobrio sempiterno. Perciò dico queste cose e metto in mostra la mia carità affinché tornino a me quelli che mi abbandonarono e riconoscano che sono io il Creatore, quello che hanno dimenticato. (...) Ecco io mi lamento che vi siete da me allontanati e dati al diavolo mio nemico, voi avete abbandonato i miei comandamenti e seguite la volontà del diavolo e obbedite alle sue suggestioni, non pensate che io sono l'immutabile ed eterno Dio, vostro Creatore. (...) Perciò portate il giogo e il peso del diavolo con falsa gioia e non sapete né sentite queste parole, prima che arrivi lo smisurato dolore. Né vi basta questo, ma è tanta la vostra superbia che se poteste porvi sopra di me lo fareste volentieri. E tanta è in voi la voluttà della carne, che volentieri preferireste far senza di me, piuttosto di lasciare il disordine della vostra voluttà. E poi la cupidigia vostra è insaziabile, come un sacco senza fondo perché non v'è niente che possa soddisfarla.
Colpisce il fato che la Chiesa dei nostri giorni non parla mai di queste cose, non parla mai dei Novissimi, non ricorda mai alle anime la semplice e inquietane verità che una vita di disordini, spesa nella ricerca del solo piacere e priva di pentimento, conduce all'eterna dannazione. Certo, vi è anche la misericordia del Signore: di entrambe le cose si deve parlare e la Chiesa, fino agli anni del Concilio Vaticano II, di entrambe ha sempre parlato: della misericordia di Dio e del tragico, irreversibile destino delle anime che rifiutano il suo amore. Padre Ermes Ronchi, un tipico predicatore in stile bergogliano, che ha tenuto gli esercizi spirituali presso la Santa Sede, parla solo del primo aspetto e se la prende con la Chiesa del passato per aver praticato quella che lui chiama "la pedagogia della paura": ma parlare della realtà dell'inferno non è fare del terrorismo psicologico, è ottemperare a un preciso dovere cristiano. Dire una mezza verità è come dire una menzogna, perché si lascia credere agli ascoltatori una cosa non vera: e ciò accade quando si parla solo della misericordia di Dio, omettendo di aggiungere che una cosa non può fare nemmeno la misericordia di Dio: portare alla salvezza le anime che non la vogliono. Stiano bene attenti questi preti della neochiesa, i quali, ingannando i fedeli, si assumo una responsabilità tremenda: essi mettono in pericolo le anime altrui ma, naturalmente, pure la propria.

Nuovi santi della neochiesa modernista: Marco Pannella

Anche il papa Francesco si sta caricando sulle spalle una responsabilità tremenda. Il capitolo ottavo di Amoris laetitia lascia credere ai fedeli che sia possibile, pur essendo in stato di peccato mortale, accedere ai Sacramenti e specialmente all'Eucarestia: il che è chiaramente una eresia. Caparbio, non ha voluto rispondere ai Dubia dei quattro cardinali, né alla Correctio filialis dei sessantadue sacerdoti, ma, in compenso,  ufficializzando l'interpretazione dell'episcopato argentino di quel documento, ha introdotto formalmente l'eresia nel Magistero, cosa mai accaduta in duemila anni di storia della Chiesa. A questa inaudita deriva modernista ed apostatica ha molto contribuito il fatto che la Chiesa, secolarizzandosi dal suo stesso interno, a partire da un certo momento - e sappiamo bene quale: la metà degli anni '60 del Novecento - ha provato imbarazzo e vergogna di chiamare le cose con il loro nome e ha adottato il linguaggio della società profana, sempre più imbevuta di edonismo, materialismo e relativismo. A quel punto il concubinato è diventato "una nuova convivenza", la rottura del sacramento matrimoniale è diventata una "umana fragilità" e il peccato stesso ha cessato di esser nominato, ed è stato sostituito, tutt'al più, dalla parola "errore". Allo stesso modo, la sodomia è diventata "omosessualità", a dispetto del fatto che la sessualità è sempre e solo la relazione del maschile e del femminile, per cui si dovrebbe parlare, semmai di "omoerotismo". Ora, se il concubinato non è più tale, il fatto che uno sposo o una sposa, dopo aver lasciato il legittimo coniuge, se ne vadano a convivere con un altro uomo o un'altra, donna ha cominciato ad apparire sotto una luce assai più "normale" e "quotidiana" agli occhi del clero e degli sessi teologi: si tratta, come afferma Amoris laetiitia, di situazioni legate alla "complessità concreta del reale", e il sacerdote non deve "giudicare" il peccatore - che non è più designato come peccatore, cioè come colui che ha violato coscientemente la legge di Dio, ma come una "persona ferita", omettendo di dire che si è ferito da se stesso - ma "accompagnare" (dove? ad un picnic?) e, sopratutto, "discernere". Dove discernere equivale a valutare caso per caso, evitando di fare di tuta l'erba un fascio: sicché violare il secondo, o il terzo, o il quarto comandamento, diventa un peccato parziale, un peccato ipotetico, perché bisogna vedere, caso per caso, se davvero c'era la volontà di fare il male, se le circostanze esterne erano così forti da condizionare il peccatore. In pratica, si minimizza il valore del libero arbitrio e si trasforma il confessore in un avvocato difensore permanente, la cui funzione principale è quella di attenuare la gravità della colpa e e di rassicurare il peccatore sul fatto che il perdono è sicuro, scontato e quanto mai rapido, anche se lui non ha alcuna intenzione di cambiar vita e di convertirsi al Vangelo.
Intendiamoci bene: qui non si tratta di offendere nessuno, né di umiliare, né di disprezzare il prossimo; si tratta di essere onesti, sia intellettualmente, sia moralmente, e di avere la lealtà di chiamare le cose con il loro vero nome, per non imbrogliare i relativi concetti. E non è vero che essere "misericordiosi" equivale a tacere al prossimo il pericolo cui va incontro la sua anima se persevera in comportamenti disordinati e difformi dal Vangelo; è vero il contrario: che la vera misericordia si fa sempre carico del bene altrui, anche se ciò può risultare umanamente ingrato. Di fatto, a nessuno piace sentirsi dire che ha una macchia sul vestito, del quale andava fiero; figuriamoci quanto meno piacere fanno le osservazioni relative ai comportamenti, alle azioni, ai modi di essere. Nondimeno, è qui che si vede la caratteristica essenziale del cristiano: l'amore di carità; il quale, pur con dolcezza, non tace davanti al male, e non ignora i pericoli che incombono sulle anime, per un malinteso sentimento discrezione o di umano rispetto. No: il cristiano parla, e dice le cose come stanno, con chiarezza, senza ambiguità; il sacerdote, in particolare, ne ha l'obbligo preciso, proprio in quanto sacerdote. Un sacerdote, per esempio, non solo non ha l'obbligo di parlare in chiesa, dal pulpito, del dovere di accogliere milioni di falsi profughi, o del loro diritto alla cittadinanza per le vie più spicce possibili; ma è del tutto improprio e sbagliato che lo faccia, perché, abusando della sua veste, della sua funzione e del rito sacro della Messa, sta dicendo cose che sono opinabili e che non attengono alla sfera religiosa. Viceversa, egli ha il dovere di ricordare che nessuno è padrone della vita e della morte, se non Dio. E se a qualcuno parrà di ravvisare, in un tale discorso, un'allusione alla legge sul cosiddetto testamento biologico, ossia, in effetti, sull'eutanasia, or ora approvata dal Parlamento italiano, con gran pianti di gioia da parte del partito della morte, ebbene, è proprio così: si tratta di un discorso che prende chiaramente lo spunto da una legge umana che contraddice la legge divina. E tutte le cose umane che contraddicono le leggi divine devono essere denunciate: il vero cristiano, e soprattutto il vero sacerdote, ne ha l'obbligo preciso. I cosiddetti vescovi di strada e preti di strada meglio farebbero a far sentire la loro voce quando si tratta di cose che offendono Dio e che conducono le anime verso la perdizione, invece di riempirsi sempre la bocca con discorsi di tipo sociale, economico, politico, primo fra tutti la povertà, che essi hanno snaturato rispetto al significato che la parola ha nel Vangelo: perché quando parla dei poveri, Gesù si riferisce a tutti i tipi possibili di povertà, a cominciare dalla sfera morale, e non solo ai poveri in senso materiale. Gesù non è venuto ad insegnare una forma di materialismo o di naturalismo, ma ad annunciare il regno di Dio: che è gioia, certamente, ma è anche penitenza, conversione, e quindi ardente desiderio di non offendere Dio. Una legge che autorizza gli uomini a togliersi la vita, o a farsela togliere dai medici, è una legge che va contro il quinto comandamento, non uccidere, ma va anche contro il primo comandamento, non avrai altro Dio all'infuori di me, perché pretende di sottrarre a Dio ciò che è di sua esclusiva competenza, la vita umana, e di fare dell'uomo il signore e padrone assoluto di essa, al posto del Creatore. E una simile legge, intanto per quelli che l'hanno voluta e approvata, poi per quelli che vi faranno ricorso, è una legge che conduce le anime in perdizione. Ecco perché la Chiesa ha il dovere di parlare anche dell'inferno, senza lasciarsi ricattare dai teologi e dai sacerdoti buonisti e progressisti, secondo i quali parlare dell'inferno equivale a una "pedagogia della paura". Se una mamma insegna al suo bambino di due anni a non mettersi gli oggetti di plastica in bocca, fa della pedagogia della paura? E se un padre raccomanda a sua figlia, in partenza per un viaggio all'estero, di essere prudente e di valutare bene le persone che frequenterà, perché al mondo non ci sono solo le brave persone, ma anche i disgraziati e i delinquenti, costui fa della pedagogia della paura? Ma via; andiamo: gli argomenti dei teologi e dei sacerdoti buonisti e progressisti sono esattamente gli stessi che gli studenti del '68, figli di papà viziati e impasticcati, strillavano per le strade, nei licei e nelle facoltà universitarie, sotto le loro bandiere demenziali e cialtrone: proibito proibire, innanzitutto; e, subito dopo, sei politico, vale a dire: tutti promossi, sia quelli ben preparati che quelli ignoranti come caproni: todos caballeros.

Il giullare Roberto Benigni arruolato nella neochiesa di Bergoglio
  

I Santi hanno visto l’inferno; e il papa?

di Francesco Lamendola

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