ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 20 dicembre 2017

Un Dio ingiusto?


GESU' E L'INFERNO                  


Gesù è venuto a salvare ciò che era perduto "a salvare noi". La dannazione consiste nel rifiuto dell’amore di Dio e della salvezza che viene da Lui solo. L’inferno c’è, perché noi abbiamo "la tremenda libertà di rifiutare Dio" 
di Francesco Lamendola  


 

Oggi è venuto di moda, nella neochiesa progressista e modernista, negare l’esistenza del diavolo e negare anche, esplicitamente o implicitamente, l’esistenza dell’inferno; in subordine, e già da qualche decennio, essa ama sventolare l’ipotesi di compromesso del teologo Hans Urs von Balthasar, secondo la quale l’inferno certamente esiste (e vorremmo ben vedere che qualcuno dicesse il contrario: è verità di fede, più volte ribadita nel Vangelo), ma potrebbe anche essere vuoto. Il libro dell’Abbé Guy Pagès, della diocesi di Parigi, Giuda è all’inferno?, recentemente uscito e presentato da un’intervista di François Billot de Lochner (intervista riportata il 18 dicembre scorso sul sito Libertà e Persona da Claudio Forti, e ripresa da altri siti e blog cattolici, come Il fumo di Satana) dà una risposta a queste ipotesi bizzarre e non ortodosse, ribadendo, una volta per tutte, che l’inferno esiste, che non è vuoto e che non può essere vuoto. Se fosse vuoto, vorrebbe dire che tutti gli uomini hanno pienamente accolto la Parola di Gesù Cristo e si sono convertiti, o si sono pentiti profondamente dei loro peccati; il che vediamo manifestamente non essere vero. Non solo: se nessuno fosse all’inferno, non ci sarebbe bisogno del Giudizio di Dio: tutti andrebbero direttamente in paradiso. 

Ma, in tal caso, non vi sarebbe alcuna differenza fra il destino finale di chi ha vissuto una vita buona, nella Verità, e  chi ha vissuto una vita malvagia, nell’errore e nell’egoismo. Pensare una cosa del genere, significa negare il libero arbitrio, come appunto facevano Lutero e Calvino; significa, cioè, fare di Dio un tiranno, che non lascia l’uomo libero di scegliersi il proprio destino, e per giunta un tiranno ingiusto, perché poi non opera alcuna distinzione fra buoni e cattivi, vanificando l’idea stessa della Giustizia divina. E se non esiste la giustizia neppure presso Dio, come possiamo pensare che gli uomini riescano ad avere una qualche nozione di essa? Si cadrebbe allora nel più cieco relativismo; gli uomini non potrebbero fare altro che fabbricarsi ciascuno la propria idea di giustizia, e, sulla base di essa, farebbero le loro scelte tra il bene e il male.
E non solo, negando l’inferno, si farebbe di Dio un Dio ingiusto; si farebbe inoltre di Gesù un bugiardo. Quante volte Gesù ha parlato dell’inferno e ha ammonito che chi non si converte e non accetta la Verità, verrà gettato nella Geenna, dove è pianto e stridore di denti? Quante volte ha ricordato che i malvagi finiranno all’inferno, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli?Quanto al fatto che l’inferno potrebbe anche essere vuoto, ricordiamo che l’inferno non è tanto un luogo, quanto uno stato: lo stato dell’anima che ha rifiutato ostinatamente, pervicacemente di convertirsi. Pertanto, a rigore, non è Dio che “manda” all’inferno le anime dei peccatori e dei malvagi, ma sono esse stesse che scelgono per sé un tale destino; hanno tutto il tempo della loro vita terrena per sceglierlo, e, una volta terminata la vita terrena, niente e nessuno potrebbero evitare ad esse le conseguenze della propria scelta. I peccati, infatti, sono stati commessi, e il pentimento non è mai sopravvenuto: ora, come osserva anche san Tommaso d’Aquino in un celebre passo della Summa theologiae, neppure Dio, nella sua Onnipotenza,  potrebbe far sì che una cosa, una volta che è accaduta, non sia accaduta. Inoltre, leggiamo in Luca (19, 9-10) che Gesù, entrando nella casa di Zaccheo che si era convertito e aveva deciso di mutar vita, gli disse: Oggi la salvezza è entrata in questa casa, poiché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. Queste parole significano che Zaccheo, prima di convertirsi, era perduto; e che vi sono altre anime perdute, tutte quelle che non accolgono l’amore di Dio e la Parola di Gesù Cristo. Non è possibile interpretarle diversamente: se Gesù afferma di esser venuto sulla terra per salvare chi rischiava di perdersi, questo sta indicare che gli uomini sono liberi di perdersi o di salvarsi, perché sono dotati del libero arbitrio, contrariamente a quel che afferma l’eretico Lutero, e contrariamente anche a quello che ha affermato, assurdamente, il papa Francesco, quando ha detto – nel corso di una conversazione coi giornalisti, a bordo dell’aereo che lo riportava da un viaggio pastorale in Armenia, il 7 luglio 2016 -  che Lutero, sulla predestinazione, “aveva ragione”, e che “su questo punto importante siamo oggi tutti d’accordo”; ma tutti, chi? Non certo la dottrina cattolica e non certo la Chiesa cattolica; né mai il Magistero si è sognato di affermare una cosa del genere. Quello della predestinazione è un concetto protestante, ed esclusivamente protestante: non fa parte, in alcun modo, del cattolicesimo, anzi, è stato formalmente ed esplicitamene condannato dal Concilio di Trento; ed è semplicemente scandaloso che nessun cardinale, nessun vescovo, nessun teologo cattolico si sia levato a smentire l’incredibile affermazione di papa Francesco, anche se fatta in sede tutt’altro che ufficiale; perché si è trattato di una di quelle sparate che possono solo seminare scandalo, confusione e amarezza tra i fedeli, proprio in un momento in cui ci sarebbe tanto bisogno di chiarezza e le anime andrebbero confortate e sostenute, non turbate con irresponsabile leggerezza.
Dunque, ancora una volta ci troviamo di fronte ad un’affermazione eretica di papa Francesco: quando ha detto, nella udienza generale del 23 agosto 2017, che Dio, alla fine dei tempi, chiamerà tutti gli uomini ad abitare con Lui sotto una grande tenda; ma questo è impossibile, perché non tutti si salveranno. Lo aveva detto anche altre volte, del resto; per esempio, in un’altra udienza generale, il 29 marzo 2017, aveva affermato che “ci incontreremo tutti in Cielo”, promettendo alla folla raccolta in Piazza san Pietro una cosa assurda e impossibile, cioè ingannando migliaia e migliaia di fedeli. Nessuno ha il diritto di fare il generoso con ciò che non gli appartiene; nemmeno il papa può promettere ciò che lo stesso Gesù Cristo si  è ben guardato dal promettere a tutti.Al contrario: Gesù ha detto a chiare note, al termine della parabola del convito nuziale, che non tutti si salveranno, anzi, che solo una minoranza si salverà, mentre la maggioranza verrà condannata (Mt., 22, 14): Perché molti sono chiamati (al Regno di Dio), ma pochi vi sono eletti (cioè ammessi). Possibile che nemmeno la parola di Dio sia sufficiente perché i neopreti della neochiesa trattengano la lingua ed evitino di dire eresie che nocciono gravemente alla salute delle anime? Non sentono la tremenda responsabilità di dire il falso, di mentire ai fedeli, e proprio su una questione di così decisiva importanza? E non hanno alcun rispetto, non provano il minimo timore nel negare frontalmente quasi duemila anni di sacro Magistero? Per tutto questo tempo, infatti, la Chiesa non ha mai avuto il benché minimo dubbio, né sull’esistenza dell’inferno, né su quella della dannazione eterna per le anime che rifiutano Dio. La Divina Commedia di Dante Alighieri non è uno svolazzo poetico: è dottrina, è vera teologia cattolica. Per millenovecento anni, la Chiesa ha saputo, e insegnato, che l’inferno esiste, e che Giuda non si è salvato, ma è andato all’inferno. Non risulta che si sia pentito; si è suicidato, aggiungendo un altro peccato al tradimento di Gesù Cristo, ma non per il pentimento, bensì per la disperazione. La disperazione non è la reazione giusta al peccato; non è segno di ravvedimento, non è indice di rammarico per il male commesso, ma solo di uno schiacciante senso di colpevolezza. Se vi fosse la benché minima possibilità che Giuda si sia salvato, perché mai Gesù stesso avrebbe detto di lui: Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui; ma guai a colui per mezzo del quale  il Figlio dell’uomo stato tradito; sarebbe meglio per lui se non fosse mai nato! (Mt., 26, 24). E allora, perché il papa Francesco ha voluto dire la sua anche su questo punto, e ha detto la cosa sbagliata? Il 3 febbraio 2016, nella quotidiana omelia della Messa dalla casa Santa Marta, il papa se ne è uscito con queste stupefacenti parole: Eppure Giuda si era pentito, e se si è pentito è anche stato perdonato. E ha ribadito il concetto dicendo che i sacerdoti avevano mostrato di avere un cuore chiuso quando lui, “questo povero uomo pentito”, si era presentato al Tempio per restituire i trenta denari, prezzo del tradimento. Ripetiamo: nessun brano dei Vangeli, o di qualsiasi altro testo del Nuovo Testamento, parla di un pentimento di Giuda. Il pentimento non è accusarsi di qualcosa; il pentimento è un’altra cosa: è accettare l’imperativo morale di ravvedersi e di cambiar vita. Invece, impiccandosi, Giuda ha mostrato di non credere alla misericordia di Dio, e, col togliersi la vita, ha commesso un altro peccato mortale. Con quale diritto, dunque, il papa Francesco dice simili cose, e fuorvia così gravemente i fedeli? Ha poi aggiunto che forse non solo Giuda, ma anche Pilato è stato slavato. Ma la posizione di Pilato è ben diversa da quella di Giuda. Pilato era un procuratore romano che non conosceva le faccende religiose giudaiche e che è stato praticamente costretto a condannare l’imputato, come riferiscono, senza ombra di dubbio, i Vangeli (anche se la cosa non piace a quei neopreti che vorrebbero assolvere del tutto i giudei dalla responsabilità per la crocifissione di Cristo, magari dandoci a intendere che Egli è morto di raffreddore); i quali annotano con scrupolo che egli fece tutto il possibile per evitare la condanna e salvare la vita di Gesù, che, da parte sua, aveva dichiarato innocente (cfr. Lc., 23, 14). Giuda, invece, era un discepolo di Cristo, era uno dei Dodici, dunque era stato scelto, anche lui, come gli altri, dal divino Maestro; aveva vissuto con Lui, aveva assistito alla sua predicazione, ai suoi miracoli: il suo tradimento, perciò, è inescusabile. Non solo; contrariamente alla leggenda creata da alcuni scrittori romantici, non vi era alcuna ragione idealistica, e sia pure contorta, dietro il tradimento di Giuda: a spingerlo era stata semplicemente l’avidità, perché era ladro, e da già tempo rubava dalla cassa comune, di cui era il tesoriere (cfr. Gv., 12, 6). E queste non sono illazioni o elucubrazioni, sono le precise parole del quarto Evangelista, testimone oculare dei fatti.
Il fatto è che Gesù, a differenza del neoclero buonista e modernista, non cercava di piacere agli uomini, ma solamente a Dio: perciò parlava con molta franchezza, diceva , e nono; e non era mai ambiguo, non permetteva che qualcuno potesse interpretare in maniera contraddittoria le sue parole; ogni qual volta gli pareva che sorgessero difficoltà di comprensione, tornava a spiegare, a chiarire il concetto, anche per mezzo di parabole. Tutto il contrario dei neopreti e dei neoteologi, i quali sguazzano deliberatamente sul terreno sdrucciolevole dell’ambiguità; e tutto il contrario del papa, che lascia le cose avvolte in un alone d’incertezza, in modo che ciascuno le possa intendere come vuole, salvo poi dire la cosa opposta qualche giorno dopo. E questa instabilità nei giudizi, sia detto fra parentesi, è una delle ragioni per cui nel 1991 il suo superiore in Argentina, padre Kolvenbach, generale dei gesuiti, interpellato sulla opportunità di elevare Bergoglio alla dignità episcopale, aveva espresso parere negativo.  

È venuto a salvare ciò che era perduto

di Francesco Lamendola

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