di Francesco Lamendola
Una gradevole canzone dei Ricchi e poveri del 1981, Come vorrei, cominciava con le parole: In quest'inverno c'è qualcosa che non va... Anche nel nostro inverno del 2017-2018 c'è qualcosa che non va; anzi, ci sono molte, moltissime, troppe cose che non vanno; e non solo in questo inverno, ma in tutti questi ultimi anni, in misura sempre crescente, fino a veder restringersi paurosamente il nostro orizzonte di speranza.
La prima cosa che non va è l'invasione in atto dell'Europa e dell'Italia, spacciata da tutti i mass media come migrazione, cioè come qualcosa di perfettamente naturale, mentre è vero il contrario, che essa è largamente fomentata, pianificata e diretta dall'alto, cioè dal potere finanziario mondiale; e affrontata dalle autorità politiche e religiose come un qualcosa a cui non solo non si può, ma, soprattutto, non si deve resistere, perché opporsi ad essa sarebbe inumano, razzista, anticristiano, intollerabile. Questo è il problema prioritario, il problema che precede tutti gli altri: perché, come quando incendio minaccia di divorare una casa, prima ci si occupa di quello, poi di tutti gli altri. Per quanto gravi, gli altri problemi possono aspettare, perché se la casa se ne va in fumo, dopo non ci sarà più nulla da fare. Ora, quel che minaccia di andare in fumo è la nostra civiltà: migliaia d'anni di storia, di tradizioni, di lingua, di cultura, di famiglia, di religione, di arte, di filosofia, di scienza, di urbanistica, di cucina, di abbigliamento, e soprattutto di valori morali. Tutto questo è in pericolo: forse, nel breve giro di due generazioni, sarà solo un ricordo del passato, e poi neppure quello, perché verrà fatto sparire anche il ricordo.
Prendete una guida turistica di Pola, cioè, Pula, Croazia. Nemmeno una parola sul fatto che quella città è sempre stata italiana, italianissima, indipendentemente dalle vicende politiche. Nemmeno una parola sul fatto che, ancora nel 1947, dei suoi 30.000 abitanti, 27.000 erano italiani. E nemmeno una parola del fatto che dovettero andarsene, senza poter portare via nulla con sé, e che, uscendo di casa, lasciarono le porte aperte, come dire: Venite, prendete, rubate tutto: noi non possiamo opporci... No: il turista, e persino il turista italiano, che si reca a Pola, cioè a Pula, per le vacanza estive (oppure a Zara, cioè Zadar, o a Fiume, cioè a Rijeka, o a Capodistria, cioè, volevamo dire a Koper), e che si fida di quanto c'è scritto su quella guida, non immagina neppure, specie se è giovane e poco informato, che quella era una città italianissima, anche se lo può intuire dall'architettura e dalla parlata di qualche raro vecchio. Né si può attribuire la colpa di questa rimozione del passato ai soli croati, autori materiali del furto di una città e di un pezzo di storia: responsabili sono stati anche gli italiani di allora, dal governo all'opinione pubblica. Gli abitanti di Pola, insieme a quelli di Fiume, Zara, Capodistria, ecc., divennero profughi (con la tragedia delle foibe alle spalle), ed erano fratelli in tutto e per tutto degli altri italiani, quelli del Paese destinato ad accoglierli: ma né lo Stato, né la Chiesa ebbero alcuna pietà di loro. Vennero accolti con indifferenza o con ostilità; i loro treni vennero fermati, e i "compagni" comunisti sputavano loro addosso attraverso i finestrini, li insultavano, li chiamavano fascisti e li esortavano, con derisione, a tornarsene indietro. Nei campi allestiti per loro, vivevano in baracche di legno e ricevevano un piatto di pessima minestra al giorno. E non la rovesciavamo per terra, come fanno certi sedicenti profughi africani negli odierni, confortevoli centri di accoglienza, perché si sono stancati di mangiare le solite pietanze, o perché non li hanno sistemati in albergo o in case private, col riscaldamento, l'acqua corrente, la luce elettrica e tutto il resto - pagato dai cittadini italiani. Forse anche per questo, per la nostra cattiva coscienza, di Pola nessuno parla più; semmai si dice, parlando fra amici: Sai, ad agosto sono stato a Pola, si mangia bene, gli alberghi sono buoni e il prezzo conveniente... è bella, la Croazia! Appunto: la Croazia...
Ebbene: lo stesso destino riguarderà l'Italia tutta, e probabilmente la maggior parte dell'Europa, se non ci renderemo conto che quella in atto è una invasione islamica-africana, volta a modificare irreversibilmente la struttura etnica, culturale e religiosa dl nostro continente. Nostro perché costruito da noi, realizzato da noi, abitato da noi, popoli europei, attraverso lunghe e complesse vicende; nostro come è nostra la famiglia in cui siamo nati, come è nostra la città della della nostra infanzia, come è nostra la memoria del passato, dalla chiesa ove abbiamo ricevuto i Sacramenti, al cimitero dove abbiamo accompagnato i nostri cari defunti... Tutto questo sta per esserci sottratto, senza combattere, senza spargimento di sangue, in maniera "pulita" e quasi indolore, facendo leva su una assurda parola d'ordine, gabellata per dovere civico e per imperativo cristiano: accoglienza. Dobbiamo accogliere, non qualche decina o centinaia di perone, ma decine e centinaia di migliaia, milioni di persone, stranieri che vengono da un mondo completamente differente dal nostro, che portano una cultura completamente diversa, e che credono in valori enormemente diversi, sovente opposti, ai nostri. Un mondo che, una volta messo in movimento e opportunamente allettato, anche da noi, che moltiplichiamo ogni giorno gli sfori per facilitare la nostra auto-invasione, fino al punto di destinare uomini, mezzi e somme di denaro considerevoli per pattugliare il mare e andarli a prendere fin quasi ai porti d’imbarco, non si fermerà più. Secondo alcuni calcoli, tutt’altro che fantasiosi, ci sono almeno 300 milioni di persone pronte a mettersi a loro volta in movimento verso le coste dell’Europa, cioè verso l’Italia, a partire soprattutto dall’Africa centrale: come dire che tutto quanto abbiamo visto finora è solo un piccolissimo assaggio di quel che vedremo nei prossimi anni. 300 milioni di persone vogliono dire cinque volte la popolazione dell’Italia. Ma, se accogliere i “poveri migranti” è un imperativo morale; se si tratta di salvare dalla morte persone bisognose e innocenti, chi mai sarà tanto meschino da fare una questione di numeri? Ne abbiamo già accolti tanti; perché non potremmo fare ancora di più?
Tutti costoro, del resto, si presentano davanti alle nostre coste, o ai nostri confini terrestri, fermamente convinti di avere il diritto di venire qui, in casa nostra, e di essere accolti, di venire ospitati, di trovare lavoro (quando non ce n'è per i nostri figli...), ammesso, bontà loro, che siano disposti a lavorare, perché moltissimi si danno alla criminalità fin da subito, prima ancora di sapere se le loro richieste di asilo per motivi umanitari verranno accolte oppure no. Però non dobbiamo rifiutarli, abbiamo il dovere di accogliergli, di stringerci e di aggiungere un posto a tavola: ce lo dicono e ce lo ripetono le autorità del nostro Stato e quelle della nostra Chiesa: cattolica, apostolica e romana. Perfino nella omelia della santa Messa del giorno di Natale, il (falso) papa Bergoglio e decine e centinaia di preti della sua "scuola" non ci hanno parlato d'altro. Non di Dio, dei Migranti. Sostengono che è la stessa cosa. Sarà. Ci dicono e ripetono che si deve fare così, e più non dimandare. Ci dicono persino che è peccato vederla diversamente. E aggiungono che pensarla in altro modo, volersi opporre a questa invasione, che essi naturalmente non chiamano con il suo vero nome, ma con nomi ingannevoli, significa essere razzisti, egoisti e cattivi cristiani. E così, per non essere cattivi ed egoisti, ci dobbiamo adattare, ci dobbiamo rassegare; no, nemmeno questo è abbastanza per placare il furore autodistruttivo dei buonisti a senso unico, i seguaci della nuova religione del Migrante Assoluto: dobbiamo anche essere felici e contenti, dobbiamo accogliere gli invasori come angeli mandati dal Signore, parole testuali di monsignor Lauro Tiso, vescovo di Trento (uno della stessa pasta di monsignor Perego, di Ferrara, quello che predice agli italiani il meticciamento come loro destino necessario ed auspicabile), nella santa Messa dell'Epifania, cioè, volevamo dire, della Epifania dei Popoli. Cioè: non l'Epifania del nostro Signore Gesù Cristo, che si manifesta a noi, ma dell'epifania dei Migranti, che vengono a noi come angeli, e che dobbiamo accogliere allestendo pranzi nelle chiese e trasformando le nostre città in degni luoghi di accoglienza per spacciatori, prostitute e rapinatori.
Nel frattempo, in attesa che l'Italia diventi come Pula, cioè che si perda perfino il ricordo di quando essa era l'Italia degli italiani, e non si vedrà più neppure un italiano in giro (e a ciò contribuiamo con il crollo delle nascite, la politica degli aborti di Stato e dei matrimoni omosessuali), né una scritta in lingua italiana, né una chiesa, né un crocifisso, né si udrà un suono di campane, né qualcuno che legga ad alta voce, nella lingua italiana, il Cantico delle creature di san Francesco o i versi della Divina Commedia di Dante, in compenso le donne andranno in giro velate e i bambini frequenteranno la scuola coranica fin da piccoli, e secoli e secoli di arte e di edilizia saranno trasformati in qualche cosa d'altro, o abbattuti, come accadde ai Buddha di Bamian quando in Afghanistan andarono al potere gli "studenti islamici", in attesa di tutto ciò, dicevamo, noi ci stiamo già attrezzando mirabilmente ai tempi nuovi. Perfino le femministe, cos’ fiere delle loro conquiste, si stanno mobilitando per favorire questa auto-invasione e per spianare la strada all’islamizzazione del nostro Paese. Basta vedere come si affrettano a mettersi il velo in testa, ad esempio le signore radicali, quando fanno un viaggio di natura politica nei Paesi islamici, loro che non si sognano di metterlo neppure quando sono ricevute in udienza dal papa; loro che si sono rigorosamente autocensurate quando gli islamici immigrati in Germania si sono resi responsabili della pagina vergognosa degli stupri e delle molestie di massa nel famoso Capodanno di Colonia. Se si tratta di africani e specialmente d’islamici, le signore femministe e i loro amici di sesso maschile perdono improvvisamente la parlantina insieme alla loro inconfondibile arroganza, si defilano, si squagliano, e chi s’è visto, s’è visto. Ma non è solo la cultura femminista che subisce, anzi, che crea essa stessa il ricatto del politicamente corretto: sono anche le istituzioni pubbliche, a cominciare dal potere giudiziario. Per meglio spiegarci, vogliamo fare qualche esempio.
In quest’inverno c'è qualcosa che non va...
di Francesco Lamendola
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Avete visto certamente sui social la nuovo pubblicità di shampoo dell’Oreal (consigliato il boicottaggio) che per pubblicizzare, ripetiamo uno shampoo usa la foto di una modella che porta l’hijab, il velo islamico che copre, giustamente, i capelli. Cioè l’oggetto da mostrare, se si vuole pubblicizzare uno shampoo. L’ha visto anche Pezzo Grosso e ci ha inviato un commento. Vale la pena di leggerlo, e memorizzarlo, e metterlo in archivio. E magari inviarlo a quelle signore (Boldrini, Bonino, Mogherini, per non citarne che tre) che si sono sottomesse a un’usanza verso cui molte donne nei Paesi a cultura musulmana giustamente si ribellano. Perché la ritengono a buon diritto un modo di dire alle donne: siete uguali agli uomini, ma un gradino più in basso…
Riporto in modo sintetico ed in base a mia traduzione , una storia vera raccontata da un noto avvocato di Ginevra al quotidiano “La tribuna di Ginevra” il 18 maggio 2016. Su un tram di Ginevra (il n°12) questo avvocato (Christophe Piguet, presidente del collegio forense al tribunale di Ginevra) nota una donna con burqa completo (inclusi guanti alle mani), e di fronte a costei un’altra donna elegantemente vestita alla moda. Quest’ultima si avvicina alla prima e con tono dolce le dice di essere anche lei musulmana, ma di non capire le ragioni dell’abbigliamento-burqa . La donna in burka risponde che: “È il Profeta che ci chiede di vestirci così”. La seconda donna ribatte: “Il Profeta? Ma è sicura? Potrebbe citarmi il testo dove è scritto”? La donna in burka risponde : “E’ nel Corano” .L’altra donna prosegue: “ Ah, io ho studiato il Corano, ma non ricordo d’aver letto che il Profeta ci domanda di vestirci come le femmine della tribù machinchosebidule (espressione riferita, ma senza certezza di aver inteso) che vivevano in questa zona del Sahara e portavano questi vestiti ben prima della nascita del Profeta per difendersi dalle tempeste di sabbia. In più il nostro Profeta probabilmente mai ha conosciuto questa tribù. Come potrebbe aver chiesto alla donne musulmane di vestirsi con un abbigliamento bizzarro che neppure conosceva?”. La donna in burqa scocciata risponde: “Basta signora, è il Profeta che lo ha scritto ed io l’ho letto, direttamente in lingua araba…” . L’altra donna: “Ah, voi conoscete l’arabo dunque, e lo leggete e parlate?”. La risposta della donna in burqa: “Sì assolutamente!”. La donna vestita all’occidentale si mette a parlare in arabo, ma comprende che la donna in burka non intende bene e le dice, in francese: “Madame , io sono professoressa d’arabo e di civilità mulsulmana all’Università (…) e posso affermare che lei non conosce e comprende l’arabo (…). Lei dove è nata?”. Risposta: “Sono nata qui , a Ginevra”. La professoressa d’arabo ribatte: “Quindi lei porta vestiti concepiti per lottare contro le tempeste di sabbia da parte di una piccola tribù che viveva in una zona subsahariana di cui il Profeta non ha mai sentito parlare, lei dice di aver letto il Corano, ma è incapace di intendere le sfumature della lingua araba. Lei insiste a dire di aver trovato istruzioni su come vestire, ma non riesce a dirmi dove, in qual testo….”. La donna con il burka stavolta risponde spazientita : “Basta ! Lei mi sta aggredendo!” . La risposta della professoressa musulmana è la seguente: “No cara signora, è lei che ci aggredisce e offende la nostra religione grazie al vostro camuffamento e grazie alla vostra mancanza di cultura . Lei fa passare noi musulmani per imbecilli fanatici ..”.
Conclusione. Ma il velo – burqa che portano alcune donne islamiche, all’origine destinato a proteggere dalle tempeste di sabbia, ha qualcosa a che vedere con la religione islamica? O è solo mortificazione della donna?
MARCO TOSATTI
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