Eccoci, siamo arrivati: quella del “migrante” è diventata ormai una figura idolatrata. In particolare, lo è diventata sia nel mondo del clero che in quello laico (o, meglio, in una parte di essi).
Prima di vedere entrambe queste idolatrie – che hanno scopi e ragioni diverse – dobbiamo passare attraverso alcune precisazioni etimologiche.
Il termine “migrante” è un neologismo
Il dizionario Treccani ci dice che “fin dall’Ottocento, migrante era adoperato in concomitanza con emigrante”, dove con “emigrante” si intende “chi emigra”, in particolare chi espatria, temporaneamente o definitivamente, a scopo di lavoro. “Emigrante, come dice l’etimo, sottolinea il distacco dal paese d’origine, calca sull’abbandono da parte di chi ne esce, come segnala anche l’etimologico e- da ex- latino. Ad emigrante, proprio per via di quel prefisso (che è e-ex latino, che indica proprio la separazione, il distacco, qualcosa che non è più, NdA), ma anche a causa del precipitato storico che si è sedimentato nell’uso della parola, si associa l’idea del permanere di un’identità segnata dal disagio del distacco, e dunque l’allusione a una certa difficoltà di inserimento nella nuova realtà di vita.”
La parte interessante è proprio, quindi, il “permanere di un’identità segnata dal disagio del distacco”. Dunque, la parola “emigrante” ci lascia intrinsecamente un’idea di costante mancanza, di distacco. Da cosa? Ovviamente, da casa propria, dalla propria Patria, dalle proprie origini ed usanze.
Proseguendo nella lettura del sopracitato dizionario, troviamo che: “Il secondo termine (“migrante”, NdA) ha finito, nel corso del Novecento, per identificare in italiano il soggetto dei grandi flussi migratori dall’Italia verso altri Paesi e, nel secondo dopoguerra soprattutto, di quelli all’interno dell’Italia, in particolare dal Sud del Paese verso il Nord.”
Ma ecco che arriva la parte interessante: “Le ondate di immigrazione che hanno investito l’Italia, in quantità crescente, negli ultimi trent’anni, hanno posto – tra l’altro – il problema di come definire chi, per motivi di enorme disagio, è costretto a lasciare il proprio Paese e cerca di trasferirsi, temporaneamente o definitivamente, in Paesi in cui le condizioni e le opportunità di vita sono migliori.
In questo contesto, migrante tende a sostituire progressivamente negli usi immigrato, anche se, nell’uso comune, coonestato dai media, migrante viene identificato soltanto con la persona più disperata, quella che affronta il viaggio di trasferimento sui barconi, mentre, in realtà, la maggior parte dell’immigrazione avviene attraverso i confini terrestri e soltanto occasionalmente con esiti tragici. In ogni caso, migrante sembra adattarsi meglio alla definizione di una persona che passa da un Paese all’altro (spesso la catena include più tappe) alla ricerca di una sistemazione stabile, che spesso non viene raggiunta. In tal senso, il senso di durata espresso dal participio presente che sta alla base del sostantivo viene sottolineato: il migrante sembra sottoposto a una perpetua migrazione, un continuo spostamento senza requie e senza un approdo definitivo.”
Ecco che, appunto, come “emigrante” ci lascia un senso di continua mancanza a causa della migrazione, il termine “migrante“ ci lascia un senso di migrazione continua; in questo senso, dunque, è un neologismo. Ma davvero è così? Davvero i “migranti” sono in continua migrazione? Procediamo per gradi.
Idolatria del “migrante” nel mondo laico
I cosiddetti “migranti”, ovvero coloro che – costantemente e quotidianamente – sbarcano sulle nostre coste, non sono certamente persone la cui volontà sia quella di “migrare” perpetuamente. Anche se non vogliono rimanere in Italia – magari perché preferiscono andare in Francia, in quanto provengono da uno Stato francofono – hanno comunque l’obiettivo di rimanere in Europa, stanzialmente. Non sono, quindi, dei “migranti”: sono degli immigrati veri e propri. Quelli che dovrebbero essere “migranti” sono gli zingari – o, per meglio dire, i “nomadi” – in quanto dovrebbero spostarsi da un luogo all’altro, ogni “tot” di tempo. Questa cosa, però, non succede nemmeno nel caso dei cosiddetti “nomadi” (ai quali, addirittura, si regalano le case popolari quando dovrebbero essere – appunto – nomadi, quindi in costante spostamento).
L’idolatria della figura del “migrante”, politicamente parlando, viene immolata (è proprio il caso di dirlo!) sull’altare dei sentimenti di pietismo da una certa “sinistra” (virgolette ormai d’obbligo), con l’ovvio scopo di far accettare agli italiani (ed agli europei) il cosiddetto “meticciato”. La cosiddetta integrazione non è mai avvenuta da parte degli ospitati, e, quindi, la si chiede agli ospitanti; eppure, se fossero davvero “migranti”, non ci sarebbe bisogno di integrazione: dopo un certo periodo di tempo dovrebbero spostarsi!
Ma l’idolatria del “migrante” nel mondo laico non è solo allo scopo di inserire nel nostro substrato societario delle persone proveniente da altre parti del mondo, con la scusa che vengono a cercare condizioni migliori. Infatti, anche qua in Europa le cosiddette “condizioni migliori” non esistono.
Questa idolatria, allora, ha senso se la vediamo con Diego Fusaro: il sistema lobbistico-capitalista ha, di fatto, creato la figura del “migrante perpetuo”, che si sposta alla velocità alla quale si muovono i capitali. Diciamolo in un altro modo: caro giovane italiano – magari laureato – vuoi un lavoro? Devi andare in Inghilterra. Poi, però, l’azienda che ti ha assunto ha delocalizzato in Polonia, e allora ti trasferisci perché, nel frattempo, lo stipendio medio a Londra è diminuito, mentre i costi sono aumentati. La tua azienda, che ti ha costretto ad andare in Polonia, viene poi acquistata da un gruppo cinese, che abbassa gli stipendi, perché si ritrova a vendere i prodotti che realizzi in India, per cui i prezzi devono essere competitivi. Allora, ti cerchi un altro lavoro, o magari ti sposti in India per vendere prodotti discutibilmente utili agli indiani, realizzati da polacchi di un’azienda di proprietà cinese, che è nata a Londra.
Questo, in sostanza, è il “migrante perpetuo”. E ci siamo tutti in mezzo. Siamo tutti nella stessa barca, ma in pochi riescono ad accorgersene. La politica – a parte poche eccezioni – non ci parla più di risolvere i problemi economico-sociali che scatenano le migrazioni – comprese le nostre – ci parla di “cervelli in fuga”, e “migranti” in ingresso. Pare che per tutti la soluzione sia la solita: “migrare”, o meglio, emigrare. Un tempo, durante il cosiddetto periodo Romantico, alcune persone elitarie si ritiravano dalla vita che facevano per colmare il proprio vuoto interiore, viaggiando in lungo ed in largo o stanziando solitariamente in luoghi desolati (alla ricerca di sé stessi, diremmo oggi). Oggi, questa forma di “migrazione perpetua” non serve a colmare un vuoto interiore – che è spirituale – ma quello materiale – che significa avere il minimo indispensabile che serve per campare dignitosamente in una certa Nazione!
Ecco perché, in un certo mondo laico, viene esaltata la figura del “migrante”: perché fintanto che ci saranno persone che si sposteranno, e che non metteranno radici – il che permette a chi comanda di stare tranquillo dal punto di vista di possibili contestazioni popolari – sarà sempre possibile avere un “esercito industriale di riserva” (Marx) di persone che garantiranno il ricambio di schiavi nelle multinazionali e nelle grandi aziende ed industrie. Lo ripetiamo: in questo gioco al ribasso ed alla schiavitù ci siamo in mezzo anche noi europei.
Idolatria del “migrante” nel mondo cattolico
L’idolatria del “migrante” che si denota in una certa parte del mondo cattolico è una cosa particolarmente grave, se non altro a partire dal fatto che la Religione Cattolica vieta l’idolatria già col Primo Comandamento: “Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altri Dio all’infuori di me”.
Ma cosa si intende con “idolatria”? Ce lo dice San Pio X, nel suo Catechismo Maggiore:
358 D. Che cosa è l’idolatria? Si chiama idolatria il dare a qualche creatura, per esempio ad una statua, ad un’immagine, ad un uomo, il culto supremo di adorazione dovuto a Dio solo.
Ma come si è realizzata l’idolatria del “migrante” nella chiesa? La risposta è molto semplice: si parla sempre, quotidianamente, costantemente di “migranti” anche all’interno di molte istituzioni ecclesiastiche e lo si fa in maniera errata e stravolgendo – cosa ancor peggiore! – il Vangelo.
Un esempio è il recentissimo caso di un parroco di Monza che, al posto delle stazioni della Via Crucis, ha messo delle immagini con i “migranti”. Ecco, questa è idolatria: è la sostituzione dell’Olocausto di Cristo – ovvero, del Suo Sacrificio al Padre per la redenzione del mondo – con l’uomo. E’ la sostituzione dell’uomo a Dio, e questa non può che chiamarsi idolatria!
Un altro esempio di sostituzione idolatrica del “migrante” con Dio che, peraltro, porta con sé la volontà di indurre i cattolici ad accettare gli immigrati, è sostenere che anche Gesù è stato un “migrante” e, dunque, dobbiamo accogliere i “migranti” in quanto anche lui – come tale – fu accolto.
Ovviamente, si tratta di una stupidaggine: Gesù non fu un “migrante”, semplicemente andò con la Sua Famiglia in Egitto – su suggerimento di un Angelo, apparso in sogno a San Giuseppe – per scappare da Erode. C’è da dire che, innanzitutto, questo fu l’unico episodio di fuga di Gesù, in quanto Egli ha subito tutte le peggiori umiliazioni – fino alla morte in Croce! – nella sua terra, senza mai sfuggirvi.
In secondo luogo, che si voglia far accettare ai cattolici l’immigrazione con argomenti del genere, sembra quanto meno ridicolo: Gesù, infatti, venne perseguitato per il suo essere Dio, non per motivi politici, economici o climatici (ricordiamo il caso – ancora non perfettamente chiaro allo scrivente – dei “migranti climatici”).
Ecco, forse, sarebbe il caso che la Chiesa tornasse a mettere Gesù Cristo al centro del proprio messaggio salvifico, occupandosi delle anime e non di politica. Con l’auspicio che i Governi inizino a contrastare davvero questa “migrazione perpetua” che, ormai, è un fenomeno globale.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2314_Trotta_Idolatria_del_migrante.html
IL METICCIATO "GLOBALE"
Il meticciato tra messaggi subliminali ed espliciti intenti globalisti. Siamo a una visione caotica e delirante di un futuro che non si potrà mai realizzare senza il consenso del Popolo Europeo fiero delle proprie origini razziali
di Cinzia Palmacci
IL METICCIATO "GLOBALE"
di Cinzia Palmacci
IL METICCIATO TRA MESSAGGI SUBLIMINALI ED ESPLICITI INTENTI GLOBALISTI
di
Cinzia Palmacci
Ai più attenti osservatori non sarà di certo sfuggito uno spot pubblicitario martellante che una nota marca farmaceutica di termometri per monitorare le possibilità di concepimento trasmette su tutte le reti televisive più seguite. Nello spot si vede un uomo dalla pelle bianca in ginocchio (posizione emblematica), che chiede alla sua compagna di colore di concepire un figlio. Un esempio piuttosto esplicito di spot pubblicitario (non l’unico), “schierato” a favore del meticciato e della mescolanza razziale che, “lapsus” politici a parte, dovrebbe indignare tutti gli europei che vedono minacciata la propria integrità razziale e non solo quella. E se qualcuno osa ancora tacciare di razzismo chi avverte il pericolo di vedere le proprie radici etniche vacillare a colpi di irresponsabili politiche di accoglienza e patetico buonismo, una rinfrescata alla memoria storica può aiutare a mettere le cose nella giusta prospettiva svelando alcuni retroscena che poco hanno a che fare con un “volemose bene”, ma molto con un’articolata e organizzata pianificazione di sottomissione globale. Già negli anni Trenta una cosa dovette risultare del tutto chiara a ‘chi di dovere’: fino a che fossero rimasti degli stati etnicamente/razzialmente ancora validi e più o meno omogenei, il programma talmudico di conquista mondiale (attraverso interposti lenoni/ruffiani/cristiani) sarebbe sempre stato in pericolo. Già dall’inizio degli anni Cinquanta, un rabbino ungherese poté fare una significativa dichiarazione, non certo sua personale, ma che rifletteva l’indirizzo di tutto il ‘popolo eletto’: “Vi posso assicurare che l’ultima generazione di bambini bianchi, o se no la penultima, sta nascendo adesso: le nostre commissioni di controllo favoriranno, nell’interesse della pace, il meticciato di bianchi con altre razze. La razza bianca scomparirà, perché la mescolanza di bianchi con negri significa la fine dell’uomo bianco, per cui il nostro più pericoloso nemico non sarà più altro che un ricordo. Entreremo così in un’era di mille anni di pace e prosperità, la pax judaica, e la nostra razza dominerà indiscutibilmente il mondo. La nostra superioreintelligenza ci permetterà, sicuramente, di conservare il nostro dominio su di un mondo di razze di colore.” Dei ‘precursori’ di questo tipo di idee non erano mancati. Il celebre massone Richard Coudenhove-Kalergi proponeva negli anni Venti una futura Europa di mulatti sotto egida ebraica, mentre Werner Sombart prevedeva, per il secolo XXI, che gli Stati Uniti d’America sarebbero stati popolati quasi esclusivamente da schiavi negri sotto la sferza di padroni ebrei – qualcosa di analogo, ma fuori dall’Europa. Ecco dunque il nuovo piano ebraico – assecondato, è chiaro, dai loro inservienti cristiani: quello del meticciato totaleossia ‘facciamo del mondo una sola famiglia’ si vede spesso negli striscioni appesi all’entrata delle chiese. Questo piano è portato avanti dalle istituzioni giuridiche internazionali post-1945, nonché dalle chiese cristiane con esse in relazione di sudditanza e collaborazione. Sergio Viera de Mello, amministratore delle Nazioni Unite nel Kosovo, ebbe a dichiarare il 4 agosto 1999: “… i popoli razzialmente puri sono un concetto nazista. Proprio contro questo concetto hanno combattuto gli alleati nella seconda guerra mondiale… È per lo stesso motivo che la OTAN/NATO ha combattuto in Kosovo… per impedire l’insorgere di un sistema di purezza etnica”. Il crollo dell’Europa per disfacimento razziale è certo una decisione definitiva presa dall’establishment puritanese-ebraico americano e di riflesso a Bruxelles, capitale dell’Europa/UE. Starà agli Europei, fino a che Europei in piedi ce ne saranno ancora, opporsi a questo piano. Naturalmente, il fatto del meticciato in Europa è strettamente legato a quello dell’immigrazione extracomunitaria e con la denatalità europea. Molto recentemente, l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa, un organo dell’UE) ha dichiarato che bisogna incrementare l’immigrazione, perché i nuovi immigrati saranno necessari come forza-lavoro dopo la ripresa dell’economia, raccomandando intanto che si dia assistenza a quelli che, già presenti in Europa, sono rimasti senza lavoro. Secondo Nick Farage esiste una manovra per fare entrare 50 milioni di immigrati africani nell’Unione Europea e all’uopo un ufficio collocamento è stato aperto nel Mali sin dal 2008. Secondo gli ‘economisti’ di Bruxelles, questi immigrati ci vogliono, entro il 2050, “per compensare il crollo demografico europeo dovuto alla denatalità”. Inoltre, in Europa ci sarebbero circa 8 milioni di clandestini, che secondo l’OCSE dovrebbero essere visti con un occhio di riguardo e certamente non espulsi. Anche se inizialmente furono pochi quelli che seppero identificare ciò che stava dietro le quinte dei movimenti migratori verso l’Europa provenienti dal Terzo Mondo, adesso non ci dovrebbero essere misteri di alcun genere. A riguardo, tre gli ‘argomenti’ più rappresentativi con cui gli immigrazionisti riescono ancora a ingannare parecchi sprovveduti, dei quali molti presenti in Italia: (a) “bisogna mantenere il livello numerico della popolazione europea che rischia di diminuire come conseguenza della denatalità” – non si vede proprio perché quel livello numerico deva essere mantenuto, soprattutto a costo difalsificare la popolazione dell’Europa; (b) “anche gli europei sono emigrati nel passato, adesso è doveroso aprire le nostre porte chi vuole emigrare”, chi è rimasto in Europa anche in tempi difficili non ha alcun dovere verso coloro che ‘accolsero’ (e qui ci si potrebbe dilungare) gli emigrati europei di altri tempi; (c) il più falso e sfacciato: “saranno gli immigrati terzomondiali a pagare le pensioni dei nostri vecchi, in mancanza di giovani autoctoni pagatori di tasse in numero sufficiente”, i versamenti al fisco di una esigua frazione degli extracomunitari non compensa il vuoto lasciato dagli autoctoni non nati, senza contare i mastodontici costi sociali e sanitari causati dalla presenza degli allogeni extracomunitari. Intanto, il traffico clandestino di migranti “nuovi schiavi” è divenuto un affare criminoso che, a livello mondiale, ha un gettito superiore a quello delle armi o della droga. Ma per i mondialisti nessun problema. Bisogna offrire l’opportunità a tutti i popoli di venire in Occidente per vedere riconosciuti i propri diritti, primo fra tutti quello alla felicità (ammesso che sopravvivano sfruttati in baracche fetide e fredde per pochi euro a giornata). Ma a chi viene a dirci che la società ‘multirazziale e multietnica’, cioè: la globalizzazione quindi, il facciamo di tutto il mondo una famiglia, si può rispondere con tutta certezza che la storia non è teleologica e a farla sono sempre gli uomini, finché ci saranno ancora uomini in piedi. E, in ogni caso, al giorno d’oggi i mezzi tecnici per liberarsi dagli allogeni e rispedirli indietro non mancherebbero bisognerebbe soltanto avere la volontà di usarli. Il lato più pratico e tangibile della collaborazione, da parte della Chiesa Cattolica postconciliare, con la volontà ebraica di globalismo e meticciato, è stato anche, forse, il più ‘naturale’ da parte vaticana e monoteista in generale. Questo è stato confermato anche dall’enciclica vaticana che sollecita una ‘vera autorità politica mondiale’, sussidiaria a un governo dellaglobalizzazione concorde con quanto prospettato dalle Nazioni Unite; mentre all’ebreo Giuseppe Montini/Paolo VI viene riconosciuto il merito di avere accolto l’ideale cristiano di ‘un’unica famiglia dei popoli’ (‘facciamo di tutto il mondo una famiglia’). I cristiani devono favorire il processo di integrazione planetaria, rendendola prefiguratrice della città vera, senza barriere (popperiana ‘società aperta’). Più espliciti non si potrebbe essere, ma questo ha degli antecedenti: per esempio, il giubileo dell’anno 2000 fu chiuso da Karol Wojtyła/Giovanni Paolo II con un appello per fare dell’Europa un continente multietnico e multiculturale. I partiti di sinistra, in Europa, sopravvivono soltanto per inerzia, usufruendo del voto di vecchi habitué, ma in ogni caso la loro situazione è instabile; essi sono dei residuati, ‘intellettuali’ e burocratici del dopoguerra. La loro unica possibilità di sopravvivenza (cioè: di prolungamento del possesso di posti burocratici da parte delle corrispondenti nomenklature), a medio-lunga scadenza, è quella di scatenare una nuova ‘lotta di classe’ nella quale il ‘proletariato’ sarà costituito dagli immigrati di colore e la ‘borghesia’/’nemico teologico’ sarà l’europeo di razza bianca, per quanto povero egli possa essere. Perciò la sinistra politica attuale è lanciata a testa bassa verso uno sfrenato immigrazionismo terzomondiale. Ciò le sinistre portano avanti in parallelo con l’attacco contro la piccola e media industria e a favore dei dinosauri megaindustriali ma che, nella loro Weltanschauung di tipo ‘rivoluzione industriale’, rappresentano il passo intermedio fra la realtà fattuale e il Paese dei Balocchi di pinocchiesca qualità. Secondo l’appena menzionato Pier Luigi Bersani, l’industria (italiana) soffre di ‘familismo’ e di ‘nanismo’, mentre è proprio vero che la piccola industria, spesso familiare, manda avanti, al 70%, l’economia. In termini generali, la differenza fra sinistra/marxismo e ‘non-sinistra’, adesso come adesso, si riduce fondamentalmente al campo dell’immigrazione: la sinistra vorrebbe una valanga di immigrati di colore, indipendentemente dagli effetti sociali che questo fenomeno potrebbe avere per le genti autoctone; la ‘non-sinistra’ vorrebbe fermare o per lo meno limitare quella valanga. In questo contesto la sinistra fa letteralmente tutt’uno con i neocattolici. L’antico anticlericalismo di sinistra è completamente scomparso. Ci si può immaginare una futura fusione fra quella che adesso è la sinistra politica e i residui di quelle che ancora si autoqualificano chiese cristiane, per dare origine, nel campo del politico, a una ‘nuova sinistra’/’nuovo cristianesimo’, una creatura mostruosa intenta a diffondere un nuovo vangelo “riadattato”. Intanto la sinistra in Europa continua la sua missione di sempre come fattore destabilizzante a favore dell’‘Usrael’ (Usa/Israele). Nel 2000, l’ambasciatrice americana, tale Kathryn Walt Hall, in Austria ebbe la sfacciataggine di dichiarare, durante una sua conferenza all’università di Klagenfurt, che l’America non era d’accordo con le politiche di Jörg Haider e che l’Europa doveva cambiare la sua cultura per accomodarsi al globalismo e al multiculturalismo. Haider, governatore della Carinzia e leader dell'estrema destra, rimase vittima di uno strano incidente d'auto otto anni dopo, nel 2008. Haider, 58 anni, viaggiava da solo. Per cause mai ben accertate ha perso il controllo del veicolo, che è sbandato e si è ribaltato, finendo in una scarpata a circa dieci chilometri da Klagenfurt. Haider ha riportato ferite alla testa e lesioni interne ed è morto poco dopo. Per oltre 20 anni è stato un personaggio determinante per la politica austriaca anche se, dopo un periodo nell'ombra, era tornato sulla scena pubblica solo negli ultimi anni, facendo discutere tra l'altro per le sue tendenze xenofobe che avevano provocato l'intervento sanzionatorio da parte dell'Unione Europea. La sua formazione politica ultra-nazionalistica, l'Alleanza per il Futuro dell'Austria, alle ultime elezioni aveva ottenuto una forte affermazione. A dieci anni dalla scomparsa di Haider, l’Austria ha un nuovo leader di estrema destra: Sebastian Kurz, un giovane trentenne dalle idee molto chiare su cosa vuole, ma soprattutto su cosa non vuole fare del suo paese, e cioè un covo di disadattati e sprovveduti “estirpati” con la forza dai loro paesi d’origine per soddisfare il piano visionario diun’unica famiglia globale. Una visione caotica e delirante di un futuro che non si potrà mai realizzare senza il consenso del Popolo Europeo fiero delle proprie origini razziali.
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