di Francesco Lamendola
In un certo senso, si potrebbe così sintetizzare il destino dei teologi della “svolta antropologica” e di tutti i biblisti, i vescovi, i sacerdoti e i cattolici di tendenza progressista e, più o meno larvatamente, modernista: Credono di andare avanti e sono fieri del progresso che ritengono d’incarnare, e non si accorgono di stare ritornando indietro. Oppure se ne accorgono? Speriamo di no: perché, se così fosse, si tratterebbe di un tradimento deliberato nei confronti della lo stessa fede – e, naturalmente, una subdola perfidia nei confronti della fede dei loro fratelli.
In che senso diciamo che il loro andare avanti è, in realtà, un tornare indietro? Semplice: nel senso che, sbandierando di essere “all’avanguardia”, perfino più audaci dei protestanti nel portare alle estreme conseguenze certe intuizioni – non sempre giuste – dei padri conciliari del Vaticano II, quel che stanno facendo, in effetti, e al di là delle loro intenzioni, è retrocedere dalla Nuova Alleanza all’Antica: quella del popolo d’Israele con Yahvè; svalutando, di conseguenza, l’elemento fondante della fede cattolica: l’Incarnazione del Verbo, la sua Passione, Morte e Risurrezione, e quindi la nascita di una Nuova Alleanza, di un Nuovo Patto, che assorbe in sé e che supera, immensamente, infinitamente, quello preesistente. In fondo, è lo stesso percorso regressivo intrapreso da Lutero, da Zwingli e da Calvino: credevano d’innovare, e stavano retrocedendo: dagli orizzonti luminosi ed esaltanti della libertà al tetro sfondo della predestinazione.
Ma procediamo con ordine. Per mettere bene a fuoco la questione, e per capire quel che sta succedendo oggi dentro la Chiesa cattolica, la domanda preliminare da farsi è la seguente: che cos’è la Chiesa? Tutti credono di saperlo: lo danno per scontato; anche l’attuale vertice di essa è certo di saperlo; ma è vero? Di fatto, a partire dal Concilio Vaticano II si è fatta strada, in maniera sempre più impetuosa e sempre più univoca, l’idea che la Chiesa è “il popolo di Dio”. Logica conseguenza della sedicente “svolta antropologica”: ma questa, che pare un’idea tanto avanzata, è, in realtà, e a tutti gli effetti, un’idea giudaica; un’idea veterotestamentaria. Non solo tale idea riduce e appiattisce enormemente il reale significato del concetto di “chiesa”; ma le conferisce una connotazione giudaica, “il popolo di Dio in cammino”, ma in cammino verso dove? Se è in cammino verso Dio, allora l’espressione “popolo di Dio” rischia di essere fuorviante, perché suggerisce che la chiesa è l’insieme dei credenti, ma in una prospettiva molto, troppo terrena. Inoltre, i credenti in Cristo sono tutti i credenti: non solo quelli di ora, ma anche quelli dei duemila anni che ci hanno preceduto, fin dagli Apostoli e fin dal primo martire della fede, santo Stefano. Insomma, la Chiesa è – come recita anche il Catechismo di Pio X – la Comunione dei Santi: essa comprende le anime dei vivi e dei trapassati, quelli che sono in paradiso, nella gloria del Signore, e quelli che si purificano in attesa di accedervi, cioè le anime del purgatorio: anime sante anch’esse, benché purganti; anime alle quali dovrebbero andare le nostre preghiere, perché esse possono molto per noi, come noi possiamo per loro. E non solo il Corpo mistico di Cristo comprende tutte le anime dei credenti; esso comprende anche gli Angeli e gli Arcangeli, la Madonna e infine Gesù stesso, che ne è il capo, oltre che, sul piano storico, il fondatore, insieme alle due Persone della Santissima Trinità: il Padre, che ha mandato suo Figlio in mezzo agli uomini, uomo come loro, e lo Spirito Santo, che è lo Spirito di Verità, senza la cui opera la Chiesa, in quanto costruzione umana, sarebbe già naufragata mille volte, o peggio, sarebbe sprofondata nell’errore. E ancora: nel Corpo mistico di Cristo non vi sono ”solo” le anime di tutti i credenti, nonché gli Angeli, la Madre di Dio e la Santissima Trinità; vi è anche quella forza soprannaturale che “passa” da Cristo ai suoi seguaci e che è stata da Lui paragonata alla sorgente d’acqua viva, che spegne la sete per sempre: una forza, pertanto, che moltiplica le forze puramente umane dei credenti, e spiega, nei limiti in cui è possibile “spiegare” uno dei Misteri del cristianesimo, il fatto che nessun nemico è mai riuscito, né operando dal di fuori, né, come Giuda, dal di dentro, a rovesciare e distruggere la Chiesa.
L’idea della Chiesa come Comunione dei Santi rimanda all’idea della Chiesa come Corpo mistico di Cristo: ed è un’idea che sottolinea la dimensione verticale, la dimensione trascendente della Chiesa: cioè la concezione spirituale della fede, che Gesù Cristo ha insegnato agli uomini, per salvarli dalle secche del legalismo giudaico. Il giudaismo conosceva la trascendenza, ma aveva perso, o forse non aveva mai pienamente posseduto, la dimensione della spiritualità: si era ridotto a rigida osservanza della Legge; e la Legge, come fa notare san Paolo, uccide, perché nessuno è veramente giusto di fronte ala Legge. Nessuno tranne Gesù Cristo, il quale, proprio perché Giusto, ha potuto prendere su di Sé i peccato degli uomini, operando così la loro Redenzione. Ed ecco l’importanza di conservare la traduzione originaria del Padre Nostro: “Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, “che prendi i peccati del mondo”, e non “che togli i peccati del mondo”. Gesù non è venuto a togliere i nostri peccati, ma a caricarli sulle sue spalle. Ma se l’Antica Alleanza è ancora valida, a che scopo la Redenzione di Cristo? Ecco perché la dichiarazione Nostra aetate, del 28 ottobre 1965, apre effettivamente una grave ferita nel corpo della dottrina cattolica: affermando che gli Ebrei, in grazia dei padri rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento (§), essa, con toni apparentemente dimessi e senza averne l’aria, prepara le condizioni per il passo finale, compiuto dal (falso) papa Bergoglio con la sua prima esortazione apostolica, Evangelii gaudium del 23 novembre 2013: Uno sguardo molto speciale si rivolge al popolo ebreo, la cui alleanza con Dio non è mai stata revocata. Ma se l’Antica Alleanza non è mai stata revocata, affermazione basata su una fallace interpretazione di un famoso passo di san Paolo (Rm 11, 29), allora per quale ragione i cattolici dovrebbero essere cattolici, e ricevere il Battesimo, invece di essere giudei, e farsi circoncidere?
Ci è venuto fra le mani un vecchio articolo della rivista dei padri dehoniani Presenza Cristiana, espressione del Collegio Missionario del Sacro Cuore di Andria (Bari), purtroppo non firmato, che non sapremmo se attribuire all’allora direttore, don Paolo Tanzella, o a qualcuno dei suoi collaboratori; articoli che, nella sua semplicità e linearità, ben ci sembra riassumere i termini della questione di che cosa sia la Chiesa, ed è scritto con degli accenti i quali, considerato che sono trascorsi più di trent’anni, e come è cambiata la Chiesa in questo frattempo, hanno un suono quasi profetico (n. del 27/12/1985, pp. 26-27):
Dietro la facciata umana sta il mistero di una realtà sovrumana sulla quale il riformatore, il sociologo, l’organizzatore non hanno alcuna autorità per intervenire. Se la Chiesa è vista invece come una costruzione umana, come un nostri artifizio, anche i contenuti della fede finiscono per diventare arbitrari: la fede, infatti, non ha più uno strumento autentico, garantito, attraverso il quale esprimersi. Così, senza una visione che sia anche soprannaturale e non solo sociologica del mistero della Chiesa, la stessa cristologia perde il suo riferimento con il divino. A una struttura puramente umana finisce col corrispondere un progetto umano. Il vangelo diventa il progetto-Gesù, il progetto liberazione sociale, o altri progetti solo storici, immanenti, che possono sembrare anche religiosi in apparenza, ma sono ateistici nella sostanza.
È vero, durante il Concilio si è molto insistito sul concetto di Chiesa come “popolo di Dio”. C’è stata e c’è questa insistenza, la quale, però, nei testi conciliari è in equilibrio con altre che la completano, un equilibrio che è andato perduto preso molti teologi. Eppure, a differenza di quanto pensano costoro, in questo modo si rischia di tornare indietro piuttosto che andare avanti. Qui c’è addirittura il pericolo di abbandonare il Nuovo Testamento per ritornare all’Antico. “Popolo di Dio” è infatti, per la Scrittura, Israele ne suo rapporto di preghiera e di fedeltà con il Signore. Ma limitarsi unicamente a quella espressione per definire la Chiesa significa non indicare del tutto la concezione che ne ha il Nuovo Testamento.
Qui, infatti, “popolo di Dio” rinvia sempre all’elemento vetero-testamentario della Chiesa, alla sua continuità con Israele. Ma la Chiesa riceve la sua connotazione neo-testamentaria più evidente nel concetto di “Corpo mistico di Cristo”. Si è Chiesa e si entra in essa non attraverso appartenenze sociologiche, bensì attraverso l’inserzione nel corpo stesso del Signore, per mezzo del battesimo e della eucaristia. Dietro il concetto oggi così insistito di Chiesa come solo “popolo di Dio” stanno suggestioni di ecclesiologia le quali di fatto tornano all’Antico Testamento; e anche, forse, suggestioni politiche, partitiche, collettivistiche. In realtà, non c’è concetto davvero neotestamentario cattolico, di Chiesa senza rapporto diretto e vitale non solo con la sociologia, ma prima di tutto con la cristologia.
La Chiesa non si esaurisce nel “collettivo” dei credenti: essendo il Corpo di Cristo ben più della semplice somma dei suoi membri.
Chiesa: popolo di Dio o Corpo mistico di Cristo?
di Francesco Lamendola
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