Neochiesa: col vento in poppa verso il Nulla. Come è stato possibile che il clero cattolico abbia smarrito nel giro di pochi anni la nozione essenziale di se stesso di cosa è la Chiesa di quale funzione essa svolge nel mondo?
di Francesco Lamendola
La forza segreta, ma neanche tanto, che ha consentito alla neochiesa di fare passi da gigante nella conquista e nella sostituzione della vera Chiesa cattolica, in questi ultimi anni e decenni, particolarmente dopo il Concilio Vaticano II, risiede, paradossalmente, nella estrema semplicità, per non dire nella banalità, della sua parola d’ordine: autorizzare, incoraggiare e santificare il peccato, dopo averne rimosso e cancellato la coscienza dalle anime dei fedeli. Più in generale: “normalizzare” il cattolicesimo, togliendogli il pungiglione della santificazione. La missione della Chiesa non è più quella d’incoraggiare e sostenere le anime nel loro percorso verso la santità; no: adesso la sua funzione si riduce a sancire e approvare l’esistente, a prendere atto di quello che c’è, a catalogarlo, inventariarlo, e dire alle anime: Poverine, come siete ferite, come siete sofferenti; rimanete pure nei vostri errori, nei vostri peccati: non saremo certo noi ad aggravare il vostro malessere, imponendovi un giogo che non sareste capaci di sopportare.
Insomma, una Chiesa con la “c” minuscola, tutta umana, che si muove in punta di piedi – tranne quando c’è da farsi intervistare o fotografare, e qui parliamo del papa e dei grossi prelati e dei teologi di grido, sempre smaniosi di visibilità; che quasi si scusa di esistere, che vuol dare il minor disturbo possibile, che non chiede nulla, non pretende nulla, neanche un accenno di metanoia, di conversione verso Dio. Una chiesa pluralista e tollerante, per la quale vanno bene tutte le verità e tutte le fedi, che rispetta e onora tutti gli errori e le eresie, che non sanziona più nessuno, né sul piano dottrinale (a meno che sia un bieco “tradizionalista”), né su quello morale: che dice di sì a tutti, che abbraccia tutti, anche se al prezzo di svendere il Vangelo, banalizzare i Dieci Comandamenti, mettere il silenziatore al grido di Gesù Cristo: il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo! (Mc, 1, 15).
Un tempo la Chiesa diceva alle anime: Voi soffrite perché siete lontane da Dio; il vostro malessere, il vostro dolore dipendono dal peccato: tornate a Lui e troverete la pace; adesso dice: Non affaticatevi troppo, non sforzatevi troppo: se non potete far di meglio che restare nel peccato, nel’adulterio, elle vostre passioni disordinate, ebbene restateci, e Dio vi benedice lo stesso: il che è precisamente quanto si afferma nel capitolo ottavo della esortazione apostolica Amoris laetitia del (falso) papa Bergoglio. Un tempo - ma non parliamo di secoli fa; parliamo di due o tre decenni fa, parliamo di alcuni anni fa - qualunque parroco di campagna (e lo diciamo senza cattiveria: a volte erano i migliori), anzi, qualsiasi seminarista al primo anno di seminario, avevano ben chiaro questo concetto, e sapevano che la loro missione consisteva nel trasmetterlo alle anime: vivere in grazia di Dio significa vivere bene, in pace con se stessi e con gli altri; vivere senza di Lui e contro di Lui equivale a vivere male, nell'infelicità, nel vuoto, nelle spire di brame ingannevoli e deludenti. Sorge perciò la domanda: come è stato possibile che il clero cattolico abbia smarrito, nel giro di pochi anni, la nozione essenziale di se stesso, di cosa è la Chiesa, di quale funzione essa svolge nel mondo? Come è possibile che la Chiesa cattolica sia giunta ad assumere una prospettiva, un linguaggio, una dottrina praticamente opposti: ad accantonare la propria proposta, il proprio messaggio, la propria verità, e a mettere all'ordine del giorno le proposte del mondo, le sue verità, i suoi messaggi, santificandoli e approvandoli a prescindere, cioè, in pratica, annullando se stessa e rinunciando a predicare il Vangelo di Gesù Cristo?
La "linea" di Bergoglio, che è, semplicemente, la linea del Concilio, portata avanti fino alle estreme conseguenze (ma forse non ancora le estreme: forse avremo ancora molto da vedere, nei prossimi anni) è quella di accogliere tutti, rinunciando alla dottrina; di perdonare tutti, anche senza pentimento; di scalzare, un poco alla volta, l'idea stessa di peccato, instaurando un naturalismo radicale; di abbracciare tutti, anche a prezzo della verità; e di approvare tutto, anche chiudendo gli occhi davanti al male. Tutto questo è molto, ma molto comodo, sia per chi lo predica che per chi lo ascolta: è un discorso che non può non piacere, perché lascia gli uomini liberi di continuare a vivere come meglio credono, senza incomodarli con alcun sacrificio e con la benché minima penitenza. Il concetto stesso di penitenza scompare: logico: avendo intaccato ed eroso il concetto di peccato, a che servirebbe la penitenza? La penitenza è necessaria per una umanità che si riconosce peccatrice; ma se l'umanità si trova a posto così com'è, e se la stessa chiesa (con la minuscola) benedice ogni sua scelta, anche la più aberrante, anche la più contraria, non diciamo alla legge di Dio, ma perfino alla legge naturale: per quale mai ragione ci si dovrebbe sottoporre alla penitenza? Via, siamo seri e razionali: la penitenza è roba che andava bene per la società medievale; ma oggi, non ne abbiamo davvero bisogno. Dio ci ama, Dio è misericordioso, Dio ci abbraccia qualunque cosa facciamo: furto, assassinio, stupro, incesto, sodomia, calunnia, invidia, maldicenza, avidità, accidia: che importa? La misericordia di Dio è grande, accoglie tutti. Che si pentano o che non si pentano. E perché dovrebbero pentirsi, poi? Primo, Dio li accoglie comunque; secondo, essi non hanno fatto altro che seguire i loro bisogni, che puntare alla propria realizzazione. Cosa c'è di male, in questo? Ma per "realizzarsi", costui è andato a letto con sua suocera (o con sua figlia, o con sua sorella, o con sua madre, o con suo cugino): ebbene, che cosa c'è di tanto grave? In fondo, cosa ha fatto di male? Nessuno lo sa; e, se anche lo sa qualcuno, sono pur sempre fatti suoi: e allora? Ma, per realizzarsi, quell'altro ha frodato il giusto salario ai suoi operai. Eh, via; la vita è una lotta, è una competizione: lo sanno tutti; perciò è normale che quanti si trovano in posizione di vantaggio, ne approfittino almeno un poco. Non è poi una cosa tanto insolita; quindi, non può essere nemmeno tanto grave (in tempi di ateismo, è la norma che fa la morale). Ma, sempre per realizzarsi, quell'altro ancora ha reso falsa testimonianza davanti al giudice, e così si è impadronito di una eredità che non gli spettava, privandone i legittimi eredi: son cose che succedono, scagli la prima pietra chi avrebbe fatto diversamente, trovandosi al suo posto e offrendosi l'occasione buona. Infine, gli uomini e le donne non sono dei santi: e non è giusto pretendere da loro più di quel che possono dare. Ecco: questa è la miserevole antropologia della neochiesa: ed è un prodotto di successo, che si vende assai bene su tutti i mercati. Piace ovunque, a grandi e piccini: accarezza come una musica l'orecchio dei peccatori. Ha un suono così dolce, così naturale: pare una ninna nanna. Dormi, dormi, bel bambino: fai quel che vuoi nella tua vita e della tua vita, non ti preoccupar di nulla; Dio ti chiamerà comunque a Sé, perché Lui non esclude alcuno, non castiga alcuno. La giustizia di Dio non è condannante e castigante, come dice quel fenomeno di teologo “cattolico” che ha nome Walter Kasper. Dio non è condannante e castigante: che bel suono hanno queste parole, quale dolcezza ineffabile; a chi non piacerebbero, chi non vorrebbe sentirle?
Il segreto è tutto qui. Per millenovecento anni la Chiesa ha avuto l'indelicatezza, la rozzezza, l'inciviltà di predicare la conversione e la penitenza, di suscitare l'orrore del peccato e il desiderio della vita di grazia; ha praticato quella che padre Ermes Ronchi definisce amabilmente “la pedagogia della paura”, agitando le fiamme dell’inferno; ora, divenuta finalmente saggia e matura, e dopo aver debitamente "approfondito" la comprensione del Vangelo, è arrivata ad una conclusione ben diversa: che la vita è buona in ogni modo, che non ci si deve vergognare di nulla, che si ha diritto a qualsiasi cosa, che è proibito proibire alcunché (sono i frutti del '68...) e che la Chiesa è il "popolo di Dio", in cammino, che festeggia e che celebra se stesso. In cammino verso che cosa? Bah, questo è secondario; non ha poi tanta importanza: l'importante è l’essere in cammino, in movimento; perché, come dice monsignor Lauro Tisi, vescovo di Trento e splendido esponente di questa neochiesa bergogliana, bisogna sempre andare da qualche parte, chi si ferma è già morto. E tanto peggio se, andando così alla spensierata, si finisce per trovarsi nei paraggi dell'inferno. Tanto, anche l'inferno non esiste, o se esiste, è sicuramente vuoto; altrimenti come si accorderebbe con l’infinita misericordia divina, che, dice il teologo dalla lingua biforcuta, vuol salvare tutti? Si vede che Gesù, quando diceva: Convertitevi e di credere al Vangelo, parlava così, tanto per dire; ma non faceva mica sul serio. Perché, se dovessimo prenderlo sul serio, così come seriamente lo ha preso la Chiesa per millenovecento anni, bisogna che si converta colui che è nel peccato; e se si è nel peccato, non si è nella grazia di Dio; e se non si è nella grazia di Dio, si guadagna l'infelicità in questa vita, e la dannazione nell'altra...
Ecco: se vogliamo ripartire, dobbiamo ripartire da qui; se la Chiesa vuol rimettersi sulle sue vere basi, deve riprendere da questo punto, a partire dal quale ha cominciato a tralignare: il senso della fragilità umana, il senso del peccato. Se ci si dimentica che l’uomo, da solo, non va da nessuna parte, e che da solo non combina nulla di buono, si dimentica l’essenziale. Bisogna tenere sempre a mente le parole di Gesù Cristo (Gv 15, 1-7): Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. Troppo spesso i cristiani se le dimenticano, credono di poter fare da soli, pensano di essere chi sa che cosa, in quanto uomini, dotati di ragione e libertà: ma la verità è che, senza l’aiuto di Dio, nessun uomo può fare niente di niente, perché siamo creature fragili e incostanti, e basta un attimo perché cadiamo in tentazione. Tale è la natura umana, dopo il peccato di Adamo: a quanto pare ce n’eravamo un po’ tutti dimenticati. Niente di più facile, visto che la chiesa, da tempo, proprio lei che dovrebbe insegnarlo a tutti, ha smesso di parlarne, e ormai sa parlare solo della dignità dell’uomo, della sua somiglianza con Dio (ancora per la lingua biforcuta di Kasper: tacendo il piccolo dettaglio del peccato), del fatto che la Chiesa è formata dal “popolo di Dio” (e qui la radice del male risale direttamente al Concilio), come se l’essere uomini fosse un valore in sé, una cosa di cui vantarsi, indipendentemente dal Creatore. Ma l’uomo, senza Dio, è solo una manciata di fango: dal fango proviene e al fango ritorna. Non c’è nulla di bello o di desiderabile, nulla di ammirevole in lui, tranne ciò che ne fa un figlio adottivo di Dio: in quanto creatura biologica, come animale evoluto, egli è una ben misera cosa.
Neochiesa: col vento in poppa, verso il Nulla
di Francesco Lamendola
continua su:
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.