Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Super Ex mi ha scritto una lettera. Non è molto allegra; è il frutto delle sue riflessioni, al termine di un lungo incontro con un religioso non troppo giovane e neanche troppo anziano. Vedete che cosa c’è di condivisibile e che cosa no….
Caro Tosatti,
anche quelli che stiamo vivendo oggi sono tempi di grazia. Perché non c’è un tempo che non sia, nonostante tutto, sotto lo sguardo di Dio, che opera in modo diverso, a seconda della libertà degli uomini. Siamo nella fase dell’attraversamento del deserto: ancora non si vede nulla, in lontananza, ma anche il deserto, ad un certo punto, finisce. Questo lo sappiamo per fede, ma anche per esperienza: ad ogni notte della storia succede un giorno; ad ogni notte della Chiesa, subentra poi una rinascita. Accade lo stesso con il parto: piccole nausee, piccoli turbamenti, poi una relativa quiete ed infine l’accelerazione: contrazioni e dolori aumentano vertiginosamente, ma è una nuova vita che sta venendo alla luce nel dolore e nel sacrificio.
Non è poesia, è lo sguardo della fede, che non smette di cercare, e che, cercando, trova i segni di ciò che cerca.
Non è poesia, è lo sguardo della fede, che non smette di cercare, e che, cercando, trova i segni di ciò che cerca.
Il deserto lo stiamo attraversando da molto tempo, non da oggi. Oggi è soltanto più evidente, più chiaro, e l’arsura è diventata, penetrandolo piano piano, quasi insostenibile. Prima via erano, qua e là, piccole oasi cui ci si poteva aggrappare, sperando che potessero arrestare la desertificazione incalzante. Oggi sembra che sia ormai accaduto ciò che era stato predetto: “colui che trattiene”, il katéchon, il pontefice, non trattiene più. Anzi, aiuta ed affretta il manifestarsi del mistero dell’iniquità di cui parla san Paolo. C’è certamente qualcosa di misteriosamente e grandiosamente iniquo in una Roma che lungi dall’essere faro della fede, è oggi segno di confusione, fonte di smarrimento e divisione, luogo di corruzione sempre più evidente ed imbarazzante. In una Roma che scandalizza i fedeli ed entusiasma i nemici di Cristo.
In questa situazione molti perdono la fede, vedendo che la Chiesa insegna il contrario di ciò che ha sempre insegnato; molti si convincono di aver sbagliato tutto, perchè nulla è più vero, nulla è più stabile, nulla è più sicuro; ma molti, invece, si attaccano ancora più saldamente ad una fede purificata, che deve sopravvivere quasi sola, con pochissimi segni, testimoni, pastori. Che deve sopravvivere contro tutti: contro il mondo, ma soprattutto contro coloro che dovrebbero difenderla e trasmetterla. Dio intanto, come un giardiniere, taglia ciò che è morto, e pota ciò che dovrà dare frutto.
Certamente Bergoglio non è la causa unica di questa rovina. Egli ha aperto, con brutalità e determinazione, una botola sotto cui da tempo rumoreggiavano e ribollivano fiumi melmosi: la melma oscena dell’impurità e della pedofilia; il fiume dell’ omosessualità nel clero; il fiume delle eresie e della mondanità…
I Padri, come sant’Agostino nel De civitate Dei, parlavano già ai loro tempi dei “cattivi e degli ipocriti che si trovano nella Chiesa, fino a quando non raggiungeranno un numero tanto grande da formare il grande popolo dell’anticristo”.
Oggi, anche a chi ami l’apologetica, risulta evidente che il nemico non è più, in primis, quello esterno: il materialismo, il comunismo, il nazismo, l’islam o altro… Il nemico principale è dentro, è “il fumo di Satana” che è penetrato nel “tempio di Dio”, come ebbe a dire Paolo VI, riprendendo l’apostolo delle genti.
Accade, però, questo: tutti i nodi vengono al pettine. Per questo chi ancora crede, si alza e parla con più forza di prima, certo che Dio non può abbandonare la sua barca e che il suo aiuto arriverà proprio nel momento in cui più è necessario, e più è richiesto.
I Padri, come sant’Agostino nel De civitate Dei, parlavano già ai loro tempi dei “cattivi e degli ipocriti che si trovano nella Chiesa, fino a quando non raggiungeranno un numero tanto grande da formare il grande popolo dell’anticristo”.
Oggi, anche a chi ami l’apologetica, risulta evidente che il nemico non è più, in primis, quello esterno: il materialismo, il comunismo, il nazismo, l’islam o altro… Il nemico principale è dentro, è “il fumo di Satana” che è penetrato nel “tempio di Dio”, come ebbe a dire Paolo VI, riprendendo l’apostolo delle genti.
Accade, però, questo: tutti i nodi vengono al pettine. Per questo chi ancora crede, si alza e parla con più forza di prima, certo che Dio non può abbandonare la sua barca e che il suo aiuto arriverà proprio nel momento in cui più è necessario, e più è richiesto.
Per capire cosa sia accaduto, perchè si sia giunti gradualmente alla situazione attuale, si possono leggere vari autori che avevano già compreso in anticipo: Romano Amerio, don Divo Barsotti, o, per parlare di un testimone vivente, monsignor Mario Oliveri, già vescovo di Albenga, di cui è uscito un testo intitolato “Un vescovo scrive alla santa Sede sui pericoli del relativismo dogmatico” (Leonardo da Vinci editrice).
Si tratta della selezione di alcune lettere scritte da mons. Oliveri a partire dal 1993 al papa Giovanni Paolo II, al prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Joseph Ratzinger, al cardinal Walter Kasper, a Benedetto XVI.
Queste lettere sono altrettante suppliche filiali in cui un vescovo esprime la sua personale sofferenza, e diagnostica il male che sta gradualmente corrodendo la Chiesa.
Un male che ha soprattutto un nome: perdita della Fede. La diagnosi di Oliveri, in fondo, è semplice: la nostra Fede si basa sulla certezza che Cristo sia “il” Salvatore, e che la sua Chiesa sia chiamata a tramandare fedelmente il deposito della fede, indicando agli uomini di ogni tempo la verità immutabile di Cristo, non altro.
Ma è proprio questo quello che si sta perdendo, scrive Oliveri ai suoi interlocutori: Cristo non è più, in tanti discorsi, in tanti documenti, in tante vite di pastori, il Salvatore, perché in nome del dialogo, delle filosofie moderne, dell’aggiornamento, dell’ecumenismo, del relativismo dogmatico ed etico, ogni verità chiara e definita è stata sfumata, arrotondata, smussata. La nettezza degli apostoli, che per annunciare Cristo, e Cristo tutto intero, hanno dato la vita, è sparita dai seminari, dai libri di teologia, dalle menti e dai cuori di molti prelati. L’esistenza stessa della Verità è un concetto che si è perso, che fa paura, sostituito dall’idolatria del dialogo senza fine e senza fini, cioè fine a se stesso e quindi inutile ed inconcludente.
Oggi, scrive Oliveri a Benedetto XVI nel 2005, “è stata accolta la tentazione di passare dall’annuncio della verità al dialogo con tutte le religioni e – all’interno delle denominazioni cristiane- con l’eresia”. Ma la Verità Rivelata, allora, cosa è? Che senso ha un Dio che si rivela e che ci chiede dunque di confrontarci con la sua Rivelazione, immutabile, eterna come Lui stesso?
Lo stesso Concilio Vaticano II, che viene presentato come una nuova Pentecoste rompendo così in modo scismatico l’unità diacronica della Chiesa, continua Oliveri, ha “rinunciato ad affermazioni di verità che siano certe e definitive (si è così stravolta la natura di ogni Concilio della Chiesa cattolica), parlando di Concilio pastorale, come se l’azione pastorale non comportasse anzitutto ed essenzialmente l’annuncio della verità, la proclamazione della Parola di Verità, l’annuncio della Divina Rivelazione”.
Oliveri non arriva a trattare il tema dei Dubia, ma è facile, leggendolo, comprendere cosa sia successo: Amoris laetitia è volutamente un testo ambiguo, come tantissimi altri discorsi ed atti di Bergoglio, non solo perché la sua ambiguità ha permesso di imbrigliare i molti padri sinodali evidentemente contrari, ma perché essa è insita nello stesso modo di pensare modernista, per il quale tutto è mutabile, nulla è certo, nessuna Verità è davvero Verità!
Si tratta della selezione di alcune lettere scritte da mons. Oliveri a partire dal 1993 al papa Giovanni Paolo II, al prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Joseph Ratzinger, al cardinal Walter Kasper, a Benedetto XVI.
Queste lettere sono altrettante suppliche filiali in cui un vescovo esprime la sua personale sofferenza, e diagnostica il male che sta gradualmente corrodendo la Chiesa.
Un male che ha soprattutto un nome: perdita della Fede. La diagnosi di Oliveri, in fondo, è semplice: la nostra Fede si basa sulla certezza che Cristo sia “il” Salvatore, e che la sua Chiesa sia chiamata a tramandare fedelmente il deposito della fede, indicando agli uomini di ogni tempo la verità immutabile di Cristo, non altro.
Ma è proprio questo quello che si sta perdendo, scrive Oliveri ai suoi interlocutori: Cristo non è più, in tanti discorsi, in tanti documenti, in tante vite di pastori, il Salvatore, perché in nome del dialogo, delle filosofie moderne, dell’aggiornamento, dell’ecumenismo, del relativismo dogmatico ed etico, ogni verità chiara e definita è stata sfumata, arrotondata, smussata. La nettezza degli apostoli, che per annunciare Cristo, e Cristo tutto intero, hanno dato la vita, è sparita dai seminari, dai libri di teologia, dalle menti e dai cuori di molti prelati. L’esistenza stessa della Verità è un concetto che si è perso, che fa paura, sostituito dall’idolatria del dialogo senza fine e senza fini, cioè fine a se stesso e quindi inutile ed inconcludente.
Oggi, scrive Oliveri a Benedetto XVI nel 2005, “è stata accolta la tentazione di passare dall’annuncio della verità al dialogo con tutte le religioni e – all’interno delle denominazioni cristiane- con l’eresia”. Ma la Verità Rivelata, allora, cosa è? Che senso ha un Dio che si rivela e che ci chiede dunque di confrontarci con la sua Rivelazione, immutabile, eterna come Lui stesso?
Lo stesso Concilio Vaticano II, che viene presentato come una nuova Pentecoste rompendo così in modo scismatico l’unità diacronica della Chiesa, continua Oliveri, ha “rinunciato ad affermazioni di verità che siano certe e definitive (si è così stravolta la natura di ogni Concilio della Chiesa cattolica), parlando di Concilio pastorale, come se l’azione pastorale non comportasse anzitutto ed essenzialmente l’annuncio della verità, la proclamazione della Parola di Verità, l’annuncio della Divina Rivelazione”.
Oliveri non arriva a trattare il tema dei Dubia, ma è facile, leggendolo, comprendere cosa sia successo: Amoris laetitia è volutamente un testo ambiguo, come tantissimi altri discorsi ed atti di Bergoglio, non solo perché la sua ambiguità ha permesso di imbrigliare i molti padri sinodali evidentemente contrari, ma perché essa è insita nello stesso modo di pensare modernista, per il quale tutto è mutabile, nulla è certo, nessuna Verità è davvero Verità!
Oliveri non si limita a ribadire che non esiste possibilità per la Chiesa se non all’interno della sua fedeltà alla propria Tradizione e alla Rivelazione tutta intera: dimostra anche quanto la perdita di ciò che è primario, la fede, generi a cascata una quantità di errori perniciosi.
Di qui la critica allo strapotere dei Presidenti delle Conferenze episcopali e dei loro Segretari generali, visti come l’espressione massima di quella pletora di “organismi e sovrastrutture che hanno ingigantito e appesantito l’aspetto istituzionale, sociale della vita della Chiesa, a scapito dell’interiore comunione ‘per fidem et sacramenta’ “; di qui la critica alla “eccessiva attenzione all’organizzazione, alle istituzioni, ad iniziative straordinarie (convegni, riunioni, lavoro di commissioni eccetera)”, che “assorbono continua energia a scapito dell’impegno quotidiano, a scapito soprattutto dell’approfondimento della spiritualità e della interiorizzazione dei contenuti soprannaturali dell’azione salvifica di Cristo”.
Tutto ciò come conseguenza di un micidiale errore di prospettiva: da decenni uomini di Chiesa, perdendo sempre più di vista ciò che è fondamentale e primario, rispetto a ciò che è consequenziale e secondario, ribaltano l’insegnamento di Cristo che invita a cercare “anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia”, perchè “il resto vi sarà dato in sovrappiù”.
E’ l’aldilà, questo il grido accorato di Oliveri, che dà senso all’aldiqua; è Dio che dà senso alla vita dell’uomo; è l’Eternità che rende prezioso il tempo. Non viceversa! La consapevolezza di questa verità implicherebbe meno convegni ed istituzioni, e più preghiera; meno discorsi e più adorazione; meno chiacchiere mondane e più confessionale; meno sociologia e più escatologia; meno politica e più vita eterna…
Se oggi sono note a tutti le tirate continue di Bergoglio su immigrazione ed economia, i pipponi sociologici di Galantino (partoriti forse durante una pesantissima cena con la Boldrini o la Cirinnà), i minestroni non richiesti di Bassetti prima delle elezioni politiche… è semplicemente per questo: dove manca lo sguardo di Fede, e annunciare il Regno di Dio non è più l’essenziale, non rimane che la realtà mondana.
Per questo prima ancora di chiederci quante e quali siano le eresie dei pastori che oggi governano la Chiesa, ci si dovrebbe chiedere, con un non cattolico come Franco Battiato, se credono ancora in Dio.
Di qui la critica allo strapotere dei Presidenti delle Conferenze episcopali e dei loro Segretari generali, visti come l’espressione massima di quella pletora di “organismi e sovrastrutture che hanno ingigantito e appesantito l’aspetto istituzionale, sociale della vita della Chiesa, a scapito dell’interiore comunione ‘per fidem et sacramenta’ “; di qui la critica alla “eccessiva attenzione all’organizzazione, alle istituzioni, ad iniziative straordinarie (convegni, riunioni, lavoro di commissioni eccetera)”, che “assorbono continua energia a scapito dell’impegno quotidiano, a scapito soprattutto dell’approfondimento della spiritualità e della interiorizzazione dei contenuti soprannaturali dell’azione salvifica di Cristo”.
Tutto ciò come conseguenza di un micidiale errore di prospettiva: da decenni uomini di Chiesa, perdendo sempre più di vista ciò che è fondamentale e primario, rispetto a ciò che è consequenziale e secondario, ribaltano l’insegnamento di Cristo che invita a cercare “anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia”, perchè “il resto vi sarà dato in sovrappiù”.
E’ l’aldilà, questo il grido accorato di Oliveri, che dà senso all’aldiqua; è Dio che dà senso alla vita dell’uomo; è l’Eternità che rende prezioso il tempo. Non viceversa! La consapevolezza di questa verità implicherebbe meno convegni ed istituzioni, e più preghiera; meno discorsi e più adorazione; meno chiacchiere mondane e più confessionale; meno sociologia e più escatologia; meno politica e più vita eterna…
Se oggi sono note a tutti le tirate continue di Bergoglio su immigrazione ed economia, i pipponi sociologici di Galantino (partoriti forse durante una pesantissima cena con la Boldrini o la Cirinnà), i minestroni non richiesti di Bassetti prima delle elezioni politiche… è semplicemente per questo: dove manca lo sguardo di Fede, e annunciare il Regno di Dio non è più l’essenziale, non rimane che la realtà mondana.
Per questo prima ancora di chiederci quante e quali siano le eresie dei pastori che oggi governano la Chiesa, ci si dovrebbe chiedere, con un non cattolico come Franco Battiato, se credono ancora in Dio.
MARCO TOSATTI
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.