PAOLO VI AUTORIZZÒ LA COMUNIONE PER I PROTESTANTI NEL 1967 E GIOVANNI PAOLO II LA CONFERMÒ NEL 1983.
Riportiamo, nella nostra traduzione in italiano, un interessante articolo apparso su The Remnant (qui) a proposito della ammissione degli eretici alla Comunione Eucaristica.
Sia il mondo neo-cattolico che alcuni tradizionalisti questa mattina sono rimasti sconcertati dopo aver letto che i Vescovi tedeschi permetteranno ai coniugi Protestanti dei Cattolici di ricevere la Santa Comunione.
Scrive Edward Pentin, giornalista del National Catholic Register:
Alla conferenza di primavera di Ingolstadt, la Conferenza Episcopale Tedesca ha deciso che un partner protestante di un Cattolico può ricevere l’Eucaristia dopo aver fatto un «serio esame» di coscienza con un sacerdote o un’altra persona con responsabilità pastorali, «afferma la fede del Chiesa cattolica», desidera porre fine a «gravi difficoltà spirituali» e ha il «desiderio di soddisfare la fame per l’Eucaristia».
Tuttavia, niente di tutto questo dovrebbe rappresentare uno shock per i Cattolici. Come ammettono i Vescovi tedeschi, le loro nuove linee guida si basano semplicemente sul Codice di Diritto Canonico del 1983 promulgato da Papa Giovanni Paolo II. Il Canone 844, § 4 afferma:
«Se vi sia pericolo di morte o qualora, a giudizio del Vescovo diocesano o della Conferenza Episcopale, urgesse altra grave necessità, i ministri cattolici amministrano lecitamente i medesimi sacramenti anche agli altri cristiani che non hanno piena comunione con la Chiesa cattolica, i quali non possano accedere al ministro della propria comunità e li chiedano spontaneamente, purché manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti».
E da dove viene l’idea di questo canone? Fu inventato dal nulla dai teologi modernisti che lavoravano al Codice del 1983? Difficilmente. La Comunione per i non Cattolici è stata inserita nel Codice del 1983 perché questa pratica era già legalmente consentita della Chiesa conciliare almeno dal 1967.
Il Decreto sul’Ecumenismo del 1964, Unitatis Redintegratio, del 1964, afferma quanto segue riguardo al culto comune tra Cattolici e cristiani non Cattolici:
«La necessità di partecipare la grazia talvolta la raccomanda [la «communicatio in sacris», NdR]. Circa il modo concreto di agire, avuto riguardo a tutte le circostanze di tempo, di luogo, di persone, decida prudentemente l'autorità episcopale del luogo, a meno che non sia altrimenti stabilito dalla conferenza episcopale a norma dei propri statuti, o dalla santa Sede» (Decreto sull’Ecumenismo, 8).
Oltre a ciò, lo stesso Vaticano II, nel suo Decreto sulle Chiese Cattoliche di Rito Orientale, Orientalium Ecclesiarum, del 1964, aveva già permesso agli Scismatici d’Oriente di ricevere la Santa Comunione:
«Agli orientali che in buona fede si trovano separati dalla Chiesa cattolica, si possono conferire, se spontaneamente li chiedano e siano ben disposti, i sacramenti della Penitenza, dell’Eucaristia e dell’Unzione degli infermi» (Decreto sulle Chiese Cattoliche Orientali, n. 27).
Papa PaoloVI non perse tempo a chiarire ciò che il Vaticano II «intendeva veramente» circa l’amministrazione della Santa Comunione ai Protestanti, quando nel 1967 approvò il documento dal titolo Direttorio per l’Applicazione dei Principi e delle Norme del Secondo Concilio Ecumenico Vaticano sull’Ecumenismo. Il direttorio stabilisce, al capitolo La comunicazione nelle cose sacre con gli altri fratelli separati, al paragrafo 55:
«Siccome i sacramenti sono tanto segni di unità quanto fonti di grazia, la Chiesa per motivi sufficienti può permettere che ad essi venga ammesso qualche fratello separato. Tale permesso si può concedere in pericolo di morte, o per necessità urgente (durante una persecuzione, in carcere), se il fratello separato non può recarsi da un ministro della sua Chiesa e se spontaneamente richiede i sacramenti a un sacerdote cattolico, purché manifesti una fede conforme a quella della Chiesa circa questi sacramenti ed inoltre sia ben disposto. In altri casi di simile urgente necessità, decida l’Ordinario del luogo o la Conferenza Episcopale» (Direttorio Ecumenico, n. 55).
Paolo VI chiarì il peso autoritativo del suo direttorio in un discorso del 13 Novembre 1968 ai membri del Segretariato per l’Unione dei Cristiani:
«Nel nostro pensiero, il direttorio ecumenico non è una raccolta di consigli che sarebbe lecito accogliere o ignorare. Esso è una vera istruzione, un esposto della disciplina alla quale devono sottomettersi coloro che vogliono veramente servire l’ecumenismo» (Paolo VI, Discorso al Segretariato per l’unione dei cristiani, 13 Novembre 1968, in L’Osservatore Romano, 14 Novembre 1968).
Il paragrafo 55 del direttorio fu poi precisato in un documento del 1970 del Segretariato per l’Unione dei Cristiani dal titoloDichiarazione circa la posizione della Chiesa Cattolica sulla celebrazione dell’Eucaristia in comune tra Cristiani di differenti confessioni, Dans ces derniers temps.
Due anni dopo, il paragrafo 55 fu ulteriormente chiarito in un documento del 1972 emanato dal Segretariato per l’Unione dei Cristiani, dal titolo Circa l’ammissione degli altri Cristiani alla Comunione Eucaristica nella Chiesa Cattolica, In Quibus Rerum Circumstantiis. Questa istruzione allargava la precedente ambigua possibilità di amministrare la Santa Comunione ai Protestanti al capitolo Questione VI: Quale autorità decide i casi particolari. Il significato del n. 55 del Direttorio Ecumenico:
«Il n. 55 del Direttorio autorizza l’autorità episcopale ad avere un discreto potere discrezionale nel giudicare se siano presenti le condizioni necessarie per questi casi eccezionali. Se i casi dello stesso modello si ripetono spesso in una data regione, le Conferenze Episcopali possono dare indicazioni generali. Più spesso, tuttavia, spetta al Vescovo della Diocesi prendere una decisione. Lui solo conoscerà tutte le circostanze di casi particolari. Oltre al pericolo di morte, il Direttorio menziona due esempi, persone in carcere e persone che subiscono persecuzioni, ma poi parla di «altri casi di necessità così urgente». Tali casi non sono limitati a situazioni di sofferenza e pericolo. I cristiani possono trovarsi in gravi necessità spirituali e senza possibilità di ricorrere alla propria comunità. Ad esempio, nel nostro tempo, in cui si hanno spostamenti di popolazione su larga scala, può accadere molto più spesso di prima che i cristiani non Cattolici siano dispersi in regioni cattoliche. Sono spesso privati dell’aiuto della propria comunione e non riescono a mettersi in contatto con essa se non con grossi problemi e spese. Se le condizioni stabilite nel Direttorio sono verificate, possono essere ammesse alla comunione eucaristica, ma spetterà al vescovo esaminare ogni caso». (Instructio In quibus rerum circumstantiis de peculiaribus casibus admittendi alios christianos ad communionem eucharisticam in Ecclesia catholica, 1 Giugno 1972, AAS 64, 518-525).
Un anno dopo, nel 1973, il Segretariato per l’Unione dei Cristiani di Paolo VI emanò un altro documento nel quale si dava un’interpretazione del loro documento del 1972: una trovata alquanto discutibile. Il documento del 1973 si intitolava Nota circa l’ammissione di altri cristiani alla Comunione eucaristica nella Chiesa Cattolica, Dopo la pubblicazione. La nota dichiara:
«I vescovi possono tuttavia determinare per le varie rispettive situazioni le esigenze in cui si applichino le eccezioni, cioè i casi particolari, e determinare il modo per verificare se tutte le condizioni richieste sono realizzate in un caso particolare. Quando si tratta di casi particolari che si ripresentano con maggiore frequenza in una determinata regione, secondo un modello che si ripete, le Conferenze episcopali possono emanare delle norme per assicurare che in ogni caso particolare si verifichino tutte le condizioni. Normalmente, però, spetterà all’Ordinario del luogo giudicare tali casi» (Nota circa l’ammissione di altri cristiani alla Comunione eucaristica nella Chiesa Cattolica, 17 Ottobre 1973, n. 6).
Da notare che tutte queste stesse regole e principi sono stati recentemente reiterati nel Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo poromulgato da Giovanni Paolo II nel 1993.
Possiamo quindi constatare che la recente decisione della Conferenza episcopale tedesca di consentire ai coniugi protestanti di ricevere la Santa Comunione (in «alcuni casi», ovviamente) sia in realtà solo uno sviluppo naturale del Vaticano II. Perché è stato il Vaticano II ad introdurre il concetto in linea di principio per i Protestanti ed esplicitamente per gli scismatici orientali. Se un apologista neo-cattolico cerca di sostenere che questa è solo un’altra errata interpretazione del Concilio, abbiamo Paolo VI stesso che ci spiega attraverso il suo Direttorio approvato nel 1967 che questo è precisamente ciò che intendeva il Vaticano II e che stava semplicemente attuando il Concilio nel permettere la Comunione per i Protestanti.
Vediamo anche, sorprendentemente, che la possibilità di dare la Comunione ai Protestanti si allargò anche tra il 1967 e il 1973. Nel 1973 i Vescovi avevano già carta bianca per determinare in quali situazioni la Comunione per i Protestanti era ammissibile a condizione che le presentassero come una sorta di «necessità urgente». Inoltre, laddove questi «casi eccezionali» di comunione protestante erano abbastanza comuni in un’area, le Conferenze Episcopali furono persino autorizzate a stabilire linee guida per la pratica come se questa dovesse diventare un’abitudine. Questo è esattamente ciò che il Cardinale Marx e la Conferenza Episcopale Tedesca stanno facendo con i coniugi Protestanti di fedeli Cattolici.
Speriamo che questo piccolo viaggio nel dimenticatoio aiuti i Cattolici a rendersi conto che le ultime notizie scioccanti provenienti dalla Germania sono state in realtà avviate, sebbene in forma molto meno pubblicizzata, dallo stesso Vaticano II. Si dimostra così ancora una volta che la radice di tutti i nostri attuali problemi nella Chiesa, nonostante ciò che i nostri amici neo-cattolici possono dirci, è ed è sempre stata il Concilio.
Copyright MMXVIII - Cesare Baronio
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