ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 5 febbraio 2018

Ogni volta una festa


La neochiesa conciliare getta la maschera


Questa la notiziatratta da La Stampa del 3 febbraio 2018




Lezioni di fedeltà per i fidanzati gay. La diocesi: ritiro spirituale in convento
Torino, l’iniziativa del delegato dell’arcivescovo: “Meritate un amore esclusivo”

Maria Teresa Martinengo, Fabrizio Assandri

La diocesi di Torino dà lezione di fedeltà alle coppie gay. O, meglio, «la propone, perché non vogliamo erigerci troppo a maestri, ma vogliamo dire che anche i gay meritano la fedeltà». Don Gianluca Carrega, responsabile della «pastorale degli omosessuali», racconta di un personale sorpasso negli inviti ricevuti dai suoi amici: l’anno scorso ha partecipato a un solo matrimonio che potremmo definire «tradizionale», di una coppia etero, e a ben tre unioni civili gay.

«È stato bello, ogni volta una festa: quella legge ha portato molti frutti, io li ho visti e li riconosco», racconta il sacerdote che ha ricevuto l’investitura ufficiale dall’arcivescovo, monsignor Cesare Nosiglia.  

Ma la legge sulle unioni civili aveva, per così dire, una lacuna, un compromesso, su cui s’è consumato un braccio di ferro nei giorni dell’approvazione: la legge sulle unioni civili alla fine non ha previsto, tra i diritti e i doveri della coppia, l’obbligo di fedeltà. Don Gianluca, che insegna Nuovo Testamento alla Facoltà Teologica torinese, lo definisce un paradosso. E per questo la Diocesi di Torino ha dedicato a questo tema un fine settimana di ritiro quaresimale rivolto alle coppie gay, intitolato «Degni di fedeltà». 
Si terrà il 24 e il 25 febbraio in un istituto di suore, le Figlie della Sapienza. La due giorni avrà partecipanti single e coppie. Alla domanda se ci saranno camere matrimoniali, don Gianluca resta vago: «Non ci siamo ancora posti il problema, essendo un monastero, cercheremo di dare a ciascuno una “cella” singola». Ci saranno momenti di preghiera alternati alla riflessione. Un’iniziativa nuova ma con origini lontane: l’attenzione alla condizione spirituale, e più in generale sociale, di vita, delle persone omosessuali è incominciata a Torino - dove presso il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti è attivo anche il Centro Studi e Documentazione Ferruccio Castellano - ormai molti anni fa, durante l’episcopato del cardinale Severino Poletto. Allora era stato incaricato del dialogo don Ermis Segatti, direttore della Pastorale della cultura.

«La legge può anche non prevedere l’obbligo di fedeltà - spiega don Gianluca - ma riflettendo sull’affettività dei gay, possiamo dire che ciascuno merita un amore esclusivo, unico. La legge può decidere quali siano i requisiti minimi, ma noi vogliamo parlare di qualità del rapporto».

Nell’incontro si discuterà «del valore della fedeltà e dell’amore, alla luce del messaggio biblico», insieme al padre gesuita Pino Piva. Non ci saranno facili ricette: «Su questi temi dobbiamo affiancare le coppie più che dirigere, d’altra parte non sarebbe onesto per chi, come me, è etero e celibe», dice don Gianluca.

La diocesi più avanti della Cirinnà? Le aperture di don Gianluca gli sono costate l’accusa, da parte della rivista ultracattolica «Il Timone», di essere un prete «omoeretico». Ma lui agisce in nome e per conto della diocesi, è uno dei pochissimi con un incarico ufficiale di questo tipo in Italia. E non ha paura di parlare di «controsenso» nell’insegnamento tradizionale della Chiesa. Se un uomo o una donna omosessuale ha rapporti occasionali, può confessarsi e ricevere i sacramenti. Se ha un’unione stabile e non un amore solo platonico la risposta spesso è no.

«Ma così rischiamo di fare tanti danni, incentivare tra i fedeli la clandestinità e la deresponsabilizzazione», dice. E il weekend di riflessione sulla fedeltà nasce anche per questo: «Una coppia credente che fa un’unione civile dovrà pur portare la sua fede religiosa all’interno della convivenza». Ma per don Gianluca il discorso è duplice, anche la Chiesa deve «fare una riflessione sul valore dell’affettività omosessuale». Perché, «come dice il vescovo di Nanterre, Gérard Daucourt, alcuni dei gay che decidono di vivere in coppia vi trovano una maggiore serenità e cercano di restare fedeli. E noi dobbiamo valorizzare ciò che di bello c’è nella loro vita».







Nosiglia concelebra con i suoi preti

MA CHI SERVONO COSTORO?



Anno dopo anno abbiamo parlato di cervello all’ammasso, di volontaria rinuncia all’uso dell’intelligenza, di deviazione dottrinale e di soggezione al mondo, ed eravamo convinti di star denunciando a sufficienza la deriva che ha intrapreso questa neochiesa abortita dal Vaticano II.
Cinquant’anni sono passati da quando le gerarchie ancora cattoliche decisero di stravolgere ogni cosa e iniziare un percorso che portasse dalla teolatria alla omolatria, capovolgendo ogni cosa che ci era stata insegnata da Nostro Signore e ci era stata trasmessa dagli Apostoli.
In questi cinquant’anni, passo dopo passo, è stata inventata una nuova religione che non rende più culto a Dio, ma all’uomo.

Era inevitabile: percorrendo questa strada in discesa, che invece di mirare al Cielo guarda con sempre più compiacenza alla terra… era inevitabile la sempre più profonda immersione nella terra, nell’umano, fino a spingersi nel profondo e nell’infraumano, nel subumano. Non più in alto, verso le vette che sfiorano il cielo, ma in basso, verso gli abissi che lambiscono l’inferno.
Ed alla fine eccoci arrivati: a Torino preti e vescovi gettano la maschera e confessano a tutti che l’inferno, non solo l’hanno lambito, ma ci sono entrati a pieno titolo, compiaciuti, si sono prostrati ai piedi di Belzebù e sono ritornati in Curia ad amministrare il culto del demonio.

Un lungo percorso, confessa il prete incaricato: dal cardinale Poletto a Monsignor Nosiglia, ma infine il primo passo è stato fatto: benedizione curiale per gli omosessuali, e ritiro in convento per dei moderni diabolici esercizi spirituali nel corso dei quali si istruiranno meglio gli omosessuali a fare gli omosessuali, amandosi fedelmente con la benedizione delle autorità ecclesiastiche, che con l’occasione offriranno loro ogni maledizione elargita dal demonio e prenoteranno loro un posto nelle tenebre esteriori, dove sarà pianto e stridore di denti.

Il prete benedice-maledice, il vescovo benedice-maledice, gli interessati sono compiaciuti perché non sanno cosa li aspetta nell’aldilà e il demonio si frega le mani perché è riuscito a fare un altro passo avanti, con tanto di paramenti vescovili.

Ovviamente, il diabolico ritiro spirituale si terrà in un convento di suore, perché non si dica mai che il vescovo non abbia pensato a predisporre anche la demonizzazione delle religiose… sarebbe stata un’ingiusta discriminazione… non solo i preti indemoniati, anche le suore vanno debitamente infettate e aiutate a portarsi al servizio del demonio.

E per non farsi mancare niente, il diabolico ritiro si terrà il 24 e il 25 febbraio, rispettivamente festa di San Mattia Apostolo e seconda Domenica di Quaresima, perché non si dica che non si tratti di un vero ritiro penitenziale, dove i nuovi preti della nuova chiesa conciliare faranno battere il petto agli omosessuali per aver osato credere in Dio e li inizieranno al vero culto del demonio: raccontando loro, come dice il prete incaricato della bestemmia, «del valore della fedeltà e dell’amore, alla luce del messaggio biblico», ovviamente del “messaggio biblico” demoniaco.

Il l’insegnamento bi-millenario della vera Chiesa di Cristo? «un controsenso» dichiara il nuovo prete moderno al servizio di Satana, … la Chiesa deve «fare una riflessione sul valore dell’affettività omosessuale».

Quante volte abbiamo ricordato l’abominio della desolazione che sarà nel luogo santo, di cui parla Gesù stesso (Mt. 24, 15), e sempre si è formata in noi una vaga idea di quello che avrebbe potuto rappresentare, ebbene, questa diabolica iniziativa della diocesi di Torino ce ne fornisce un esempio pratico ed eloquente: il vizio condannato da Dio, il peccato contro natura che grida vendetta al cospetto di Dio, portato in trionfo in convento e sublimato ad onore e gloria di Satana.Ci siamo arrivati: la neochiesa conciliare ha gettato la maschera e ci dice apertamente che non è più al servizio del vero Dio, ma è al servizio del demonio e spiana la strada all’avvento dell’Anticristo.

Non serve altro commento, né altra conclusione: ogni vero credente in Cristo, se vuole preservare la salvezza della sua anima, deve fuggire come la peste questa nuova chiesa del demonio, con i suoi falsi preti, i suoi falsi vescovi e i suoi falsi papi.

Vade retro Satana!

di
 Belvecchio
RVC SCRIVE A NOSIGLIA SUI CORSI DI FEDELTÀ PER OMOSESSUALI. È GIUSTO FAR NUTRIRE UNA FALSA FIDUCIA NELLA MISERICORDIA DIVINA?


Romana Vulneratus Curia (RVC per amici e nemici) ha scritto a Stilum Curiae addiirittura di domenica, cogliendolo in una piccola vacanza. L’argomento deve essere proprio importante, per far vincere a RVC il desiderio di un meritato riposo alla fine della settimana. E in realtà è così; ma RVC non scrive tanto a Stilum Curiae quanto all’arcivescovo di Torino, Nosiglia, dopo aver letto dei corsi per insegnare la fedeltà alle coppie di omosessuali varate in quella diocesi. Ecco il suo messaggio a mons. Nosiglia (estendibile anche, come scrive, a chi vagheggia di “benedizioni” per uno stile di vita certamente, almeno, problematico. Se San Paolo e altri sono ancora letteratura di riferimento per i cattolici.
“Caro Tosatti, mi riferisco alla geniale trovata della diocesi di Torino sulle lezioni di fedeltà alle coppie gay ed al commento del sacerdote (don Carrega), investito in tal ruolo dal Vescovo Nosiglia, che dichiara che la legge Cirinnà “ha portato molti frutti, io lo ho visti e li riconosco”. Bene, salviamo la rettitudine di intenzioni del sacerdote, ma indirizziamo questa volta al Vescovo Nosiglia questo commento filiale:
<Eccellenza Reverendissima, la Sacra scrittura insegna che “il timor di Dio è principio della saggezza“ (Salmi 110,10) ed è fondamento di ogni virtù, perciò “se uno non si aggrappa in fretta al timor di Dio, la sua casa andrà presto in rovina“ (Sir. 27, 3-4). Cose da Antico Testamento si commenterà; bene, Gesù Cristo rincara la dose con una considerazione che invito S.E.R. il Vescovo Nosiglia a considerare, cioè dice (piuttosto che temere chi uccide il corpo…) “”Vi mostrerò invece chi dovete temere, temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna, si ve lo dico, temete costui” ( Lc. 12,4). In tal modo, apprendendo a temere più l’eresia (che li avrebbe portati alla dannazione eterna), che non il male fisico, la Chiesa cresceva e si fortificava “e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo” (Atti degli Apostoli 9,31). Caro Vescovo, poiché anch’io leggo e capisco i discorsi di questo Pontificato, le anticipo e preciso che il santo timor di Dio, non è “terror di Dio”, è il timore filiale di arrecare dolore al Padre, peccando. Dice infatti Sant’Agostino che “dove non c’è timor di Dio regna la vita dissoluta “ (S.Agostino, Discorso sull’umiltà e il timor di Dio ). Vita dissoluta; cosa è mai la “vita dissoluta“, Eccellenza? Non è quella che si abbraccia appena si perde il senso del peccato? Non è quella di chi vuole o accetta un modello di vita pagana e considera naturali le peggiori aberrazioni? Ma secondo lei, chi lascia nutrire una falsa fiducia nella misericordia e bontà di Dio, spiegando che una vita dissoluta “porta molti frutti “, non la preoccupa? I frutti cui si riferisce il suo sacerdote non le paiono frutti amari senza sapore soprannaturale? Ma è un sacerdote o uno psicanalista? Questa presunta “misericordiosa solidarietà” espressa dal suo sacerdote, non le pare solidarietà nel peccato? Un sacerdote non dovrebbe essere strumento di salvezza? L’esistenza dell’Inferno non è un simbolo per l’esortazione morale al buon comportamento, è una verità di fede, definita dal Magistero della Chiesa. Se il “sale perde il suo sapore” che succederà Eccellenza? La pregherei di estendere questa mia filiale preoccupazione anche a S.E.R. il card. Reinhard Marx>”.

MARCO TOSATTI
http://www.marcotosatti.com/2018/02/05/rvc-scrive-a-nosiglia-sui-corsi-di-fedelta-per-omosessuali-e-giusto-far-nutrire-una-falsa-fiducia-nella-misericordia-divina/
Ritiro spirituale di fedeltà gay, il vescovo all'appello
L’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia è chiamato all’appello. Ora che l’attività pastorale verso gli omosessuali di don Gianluca Carrega si è mostrata in tutto il suo clamore come una pastorale dell’omoeresia, per il pastore di Torino è venuto il momento di prendere una posizione chiara: o confermare il ritiro spirituale per coppie gay per aiutarle a “scoprire il valore della fedeltà nella loro relazione” in una provocatoria ordalia che sembra sfidare tutto in un colpo la Sacra Scrittura e il Catechismo della Chiesa, oppure richiamare quel sacerdote che si fregia di essere il primo incaricato in una diocesi italiana per seguire gli omosessuali e assumersi il gravoso compito di ristabilire il corretto approccio dottrinale della Chiesa verso le persone con tendenze omosessuali. 
Questo non può non passare dalla proposta della castità e del fermo rifiuto di qualunque tipo di unione, sia essa “celebrata” in un municipio che saltuaria o di fatto. Ne va della tenuta di un progetto soprannaturale sull’uomo che la Chiesa ha custodito in questi secoli con la misericordia e la giustizia. 
A chiederlo a Nosiglia, dopo l’articolo della Stampa che ha fatto il giro delle agenzie, sono i sacerdoti della diocesi, in stragrande maggioranza perplessi dalle parole di un loro confratello, che di fatto parla a nome del vescovo. Parole che gettano in un cestino la verità che la Chiesa ha sempre insegnato su atti che non sono secondo natura e che sono sempre intrinsecamente e gravemente disordinati. Questo almeno è quello che dice la dottrina, se qualcosa è cambiato non è con queste incursioni radicali che lo si potrà imporre al sensus fidei di un clero sempre più rattristato e smarrito. 
Ma lo chiedono anche tante famiglie che sperimentano la fedeltà come vincolo esclusivo principalmente a Gesù, una fedeltà che si dispiega attraverso tutti i passi che Lui chiede. C’è dolore in queste missive inviate al vescovo: il dolore di chi non riesce a comprendere il rovesciamento della verità da parte di un sacerdote che può dichiarare come esista una fedeltà in una relazione che la Chiesa definisce intrinsecamente disordinata, cioè contro l'originale volontà del Creatore. 
Domande a cui Nosiglia, che è pastore, dovrà ora cercare di dare risposte nonostante questo sia il tempo delle non-risposte dei pastori. 
Una su tutte: «Com’è possibile una fedeltà che si fonda su un mero rapporto sessuale e su un rapporto sessuale contro natura? Per proseguire con lo smarrimento di chi si ritrova a dover fare i conti con un prete insegnante in seminario che si vanta pubblicamente di prescindere dai dieci comandamenti: quali sacerdoti verranno formati? Fino ad arrivare ad una supplica filiale: rassicurare la diocesi che l'errore è condannato e che i cattivi maestri carezzevoli non possono portare all'ignoranza su Cristo e sulla natura umana.
Don Carrega per la verità con le “sparate” mediatiche non è certo alle prime armi. 
Non più tardi di un anno fa aveva denunciato gli errori con cui la Chiesa aveva giudicato le persone omosessuali. L’occasione era il funerale di un uomo che nell’agosto del 2016 si era unito civilmente con il compagno. Don Carrega, nell’omelia funebre, aveva considerato il compagno rimasto come una sorta di vedovo cui la Chiesa doveva chiedere scusa. A fare da grancassa lo stesso giornalista che sabato ha firmato l’articolo sui corsi per fedeltà gay, segno che come in tutte le campagne mediatiche servono giornalisti fidati che sappiamo delineare un fossato ben marcato tra quegli “ultracattolici” del Timone che lo hanno accusato di omoeresia e chi invece si fa carico davvero delle sofferenze dell’uomo secondo una letteratura che non vuole fare prigionieri. Insomma: una campagna mediatica sentimentalista e fuorviante che non finirà qui. 
Intanto però restano le parole di don Carrega che si vanta di aver partecipato negli ultimi tempi a un solo matrimonio “tradizionale” e a ben tre unioni civili, quasi come se si trattasse di un nuovo dato Istat. Nè può essere presa in considerazione nel delirio di un sacerdote che si atteggia a profeta della nuova religione la “lacuna legislativa”, così l’ha chiamata, di una legge, la Cirinnà, che non prevede a differenza dei veri matrimoni la fedeltà. Una fedeltà che però non servirà a salvare le loro anime. 
Perché c’è fedeltà e fedeltà ed è sconcertante che un prete che non sembra più comprendere la sua missione sacerdotale non lo riconosca: la fedeltà non rappresenta un "valore assoluto”, viene qualificata moralmente dall’oggetto cui si riferisce. La fedeltà al bene è santità, la fedeltà al male è vizio. Questo insegna la teologia. 
Anche l’amore omosessuale viene così piegato ai canoni dell’amore «esclusivo e unico», ma soltanto con un’amore di predilezione sponsale, strutturalmente aperto alla vita, si può propriamente parlare di unità ed esclusività. Inutile così ricordare che il «valore della fedeltà e dell’amore alla luce del messaggio biblico», che auspica don Carrega, non può che portare con sè una visione dell’uomo nella dualità sessuale maschio-femmina oltre all’esplicita condanna di ogni genere di disordine sessuale, con particolare condanna della sodomia. Come si fa a presentare il messaggio biblico senza annunciare integralmente la verità su Dio e sull’uomo, pena il rinunciare a farsi portatori di questo messaggio? 
Secondo il sacerdote poi il problema della fedeltà non riconosciuta né promossa è connesso con il rischio che la coppia omosessuale viva una sorta di clandestinità. Sembra di rileggere le vecchie motivazioni radicali per l’introduzione dell’aborto. Eppure rendere ancor più pubblico e manifesto un peccato dovrebbe essere un’aggravante, perché giustifica il disordine e crea scandalo. 
Uno scandalo che invece si vuole normalizzare secondo il deamicisiano assunto che «una coppia credente che fa un’unione civile dovrà pur portare la sua fede religiosa all’interno della convivenza». Ma di quale fede parliamo? Di una fede che si fa un bon ton spirituale o di un rapporto vitale con Cristo vivo e vero grazie al quale giudicare e trattenere? 
Andrea Zambrano
http://www.lanuovabq.it/it/ritiro-spirituale-di-fedelta-gay-il-vescovo-allappello

Corsi di fedeltà gay. Citofonare curia

di Giacomo Furia 
A Torino, la diocesi si è arresa al credo omosex. Non solo sembra aver rinunciato di ricordare che gli atti omosessuali sono «intrinsecamente disordinati» e che sono «contrari alla legge naturale» [Cat. § 2357]. Non solo sembra aver chiuso un occhio sul fatto che tali atti «non sono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale» e che «in nessun caso possono essere approvati» [Ivi]. Non solo sembra aver dimenticato che «le persone omosessuali sono chiamate alla castità» [Cat. § 2359]. Non solo. Adesso, la diocesi piemontese propone un ritiro spirituale focalizzato sul tema della fedeltà tra i fidanzati (?) omosessuali.

Insomma: dite addio al vecchio prete che vi spiega tutte le panzane del Catechismo, appena elencate per sommi capi. Da adesso, la Chiesa dimentica che gli atti omosessuali non possono essere approvati e, con letizia, incentiva la fedeltà nelle coppie. Un voltagabbana pastorale e teologico da oscar. Promotore dell’iniziativa, don Gianluca Carrega, responsabile della «pastorale degli omosessuali» diocesana. Ne avevamo già parlato. Adesso, al quotidiano torinese La Stampa, Carrega spiega che l’anno scorso ha partecipato ad un solo matrimonio etero, e a tre unioni civili gay.  Don Carrega – che insegna Nuovo Testamento alla Facoltà Teologica torinese – parla inoltre di «controsenso» nell’insegnamento tradizionale della Chiesa. A suo dire, se una persona ha rapporti omosessuali occasionali, può confessarsi e ricevere i sacramenti; se ha un’unione stabile, no. 

Non sarà un povero commentatore di un blog a dover ricordare l’abc della confessione ad un sacerdote; semmai, il povero commentatore suggerirà che un’iniziativa di questo genere non fa che alimentare la confusione tra i credenti, che giustamente si domanderanno se tutte queste “aperture” misericordiose non siano in realtà dei veri e propri tradimenti. Tradimenti teologici, sia chiaro. Perché a lungo andare sta ampiamente passando il concetto che va tutto bene, che il peccato non esiste e che in Paradiso, tanto, ci andiamo tutti. Dunque, a che pro contarcela ancora con il sesto comandamento? Lo sbandamento teologico, pastorale e religioso è ormai così conclamato, che queste bislacche iniziative spuntano qui e là come funghi e nessuno sembra voler porre rimedio. A dirla tutta, l’anno scorso l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia una pezza l’aveva messa. Così come, dopo la bufera di “don” Fredo Olivero, che ha pubblicamente annunciato di «non credere al Credo» durante la Messa di Natale, Nosiglia ha avuto il coraggio (di questi tempi, serve davvero coraggio!) di richiamare il pittoresco parroco della chiesa di San Rocco. Ci domandiamo se, in questo caso, Nosiglia approvi e sostenga l’iniziativa di don Carrega. E a Roma? È inutile chiedersi se Bergoglio apprezzi queste “aperture”. È evidente che non solo le apprezza, ma che le approva perfino. La domanda, semmai, è un’altra: al posto di pensare alla fedeltà nelle coppie omosex, perché i nostri pastori non pensano alla fedeltà alla dottrina della Chiesa?
http://www.campariedemaistre.com/2018/02/corsi-di-fedelta-gay-citofonare-curia.html

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