(di don Alfredo M. Morselli)
Segno e mistero
Per impostare correttamente gli status quaestionis dell’ammissione alla SS. Eucarestia dei divorziati civilmente risposati e della communicatio in sacris tra Cattolici ed Evangelici, è opportuno soffermarci a ben considerare la natura dei sacramenti.
La Tradizione è costante nel definire i sacramenti come segni:”signum rei sacrae inquantum est sanctificans homines” (San Tommaso[1]), “symbolum… rei sacrae et invisibilis gratiae formam visibilem” (Concilio di Trento[2]), “segni sensibili (parole e azioni), accessibili alla nostra attuale umanità. Essi realizzano in modo efficace la grazia che significano, mediante l’azione di Cristo e la potenza dello Spirito Santo” (CCC 1084).
Dunque i sacramenti sono segni: “sacramentum ponitur in genere signi”[3]. Gesù vuole che, nel momento in cui ci dona la grazia sacramentale, in qualche modo noi conosciamo quanto ci sta accadendo; è quindi ha stabilito che quelle cose sensibili deputate ad essere causa strumentale della grazia, ci dicano, ci raccontino – significhino appunto – il mysterion, il sacramentum, che irrompe nello spazio-tempo della celebrazione. Gesù ci divinizza rispettando la natura umana da Lui stesso creata, giacché “i segni sono dati agli uomini, dei quali è proprio pervenire alla conoscenza di cose ignote attraverso le cose note”[4].
Dobbiamo quindi stare attenti a non separare –trascinando nella teologia sacramentaria il principio di immanenza– il segno materiale dal suo significato sacro oggettivo, pretendendo di alterare il significato del segno in qualcosa che a noi piacerebbe fosse in un certo modo; spiega infatti S. Tommaso:”…il rito sacramentale è segno della cosa prodotta dal sacramento”[5].
Noi non ci “facciamo” i sacramenti, li riceviamo in dono, non solo quanto alla res – la grazia sacramentale (la grazia santificante ulteriormente determinata dalla qualità propria del sacramento), ma anche in quanto al segno, al sacramentum, istituito e determinato assolutamente da Gesù, secondo una ratio oggettivamente coerente con la res significata e causata: “Essendola santificazione dell’uomo in potere di Dio santificatore, non compete all’uomo assumere a suo arbitrio le cose che lo santifichino, ma esse devono venire determinate per istituzione divina”[6].
Il segno, il simbolo, se inizialmente è più oscuro e meno evidente rispetto a una forma di comunicazione più esplicita, non di meno ci introduce – ad opera dello Spirito Santo – in una comprensione interiore e personale unica e ricchissima: si può dire – in modo analogo a quanto S. Gregorio Magno affermava della S. Scrittura (questa”è come se crescesse insieme al suo lettore, perché si fa capire dai più semplici e si rivela sempre nuova ai più esigenti”[7]), che anche il sacramentum cresce nella sua portata semantica con l’aumento di carità di chi del sacramento fa esperienza. Esso significa la grazia che causa e la grazia causata rende il soggetto capace di una sempre più profonda interpretazione del mistero contenuto nel segno stesso.
- Il segno eucaristico
Vediamo ora il segno, il sacramentum dell’Eucarestia. Essa ci è data in forma di cibo.
Posto dunque che la S. Comunione è un cibo, e che l’atto di mangiare rende il cibo, colui che lo mangia e coloro che mangiano insieme, una cosa sola, si comprende come l’Eucarestia richieda:
- in primo luogo di essere assunta da una persona spiritualmente viva (un morto non mangia).
Così spiega San Tommaso, mostrando come, a differenza del Battesimo, l’Eucarestia non rimetta i peccati mortali:
“Il battesimo è una generazione spirituale, ossia il passaggio spirituale dal non essere all’essere; e viene amministrato in forma di abluzione. Quindi per ambedue i versi chi ha coscienza di peccato mortale non accede indegnamente al battesimo. Nell’Eucarestia invece si riceve Cristo come nutrimento dello spirito, il quale non si può amministrare a chi è morto nei peccati”[8].
Da ciò ne deriva che chi si accosta alla S. Comunione deve essere in stato di grazia, deve essere vivo soprannaturalmente per potersi nutrire soprannaturalmente[9].
- in secondo luogo, chi si accosta all’Eucarestia non deve essere in stato di oggettiva contraddizione con quell’unità (comunione = “unione con”) costituita dal cibo-chi lo mangia-i molti che mangiano insieme, quei moltiper cui il Sangue è versato[10] e quei molti che attraverso l’Eucarestia sono uno[11].
Da ciò ne deriva che quei molti che si comunicano devono avere la stessa fede, perché non si può essere uniti a Cristo se non si crede a Lui ascoltando (fides ex auditu) coloro per mezzo dei quali Egli ci parla e si rivela, non dubitando di un solo iota di quanto ci dice.
L’unità nella fede richiesta dall’Eucarestia non può limitarsi a una più o meno generica fede in Cristo. Così insegnava San Giovanni Paolo II, rivolgendosi nel 1980 al Consiglio della Chiesa Evangelica:
Se le difficoltà che sussistono tra noi riguardano solo “gli ordinamenti ecclesiastici d’istituzione umana” (cf. CA [= Confessio Augustana], VIII), le potremmo e dovremmo subito eliminare. Secondo la persuasione dei cattolici, il dissenso verte su “ciò che è di Cristo”, su “ciò che è suo”: la sua Chiesa e la sua missione, il suo messaggio, i suoi sacramenti e i ministeri posti al servizio della parola e del sacramento”[12].
Se non crediamo a una minima cosa tra quelle proposte a credere dalla Chiesa, in qualche modo rendiamo la fede una scelta naturale nostra e non un dono, e facciamo Gesù o la sua Chiesa– il Suo corpo mistico significato per altro nell’Eucarestia – bugiardi. E non è possibile dichiarare di essere uniti a una persona o a una comunità ritenendoli bugiardi.
Appaiono allora chiare le parole di S. Tommaso:
“In questo come negli altri sacramenti il rito sacramentale è segno della cosa prodotta dal sacramento. Ora, la cosa prodotta dal sacramento dell’Eucarestia è duplice, come sopra abbiamo detto: la prima, significata e contenuta nel sacramento, è Cristo stesso; la seconda, significata e non contenuta, è il corpo mistico di Cristo, ossia la società dei santi. Chi dunque si accosta all’Eucarestia, per ciò stesso dichiara di essere unito a Cristo e incorporato alle sue membra. Ma questo si attua per mezzo della fede formata, che nessuno ha quando è in peccato mortale. È chiaro dunque che chi riceve l’Eucarestia con il peccato mortale commette una falsità nei riguardi di questo sacramento [contraddice il segno, che non è, come abbiamo visto, separabile dalla res]. Perciò si macchia di sacrilegio come profanatore del sacramento. E quindi pecca mortalmente”[13].
- Impostazioni sbagliate del problema
1) Appare radicalmente infondata la concezione luterana secondo la quale per assumere l’Eucarestia è sufficiente la “fede” ovvero la confidenza di ricevere la grazia per mezzo di essa: senza la grazia gli uomini sarebbero tanto più predisposti alla sua recezione quanto più si credono oberati di peccato, purché abbiano la suddetta fiducia.
2) Pure erronea sarebbe una concezione secondo la quale una inter-comunione di fatto, sorvolando sulla dottrina (ovvero cattolici ed evangelici si comunicano indifferentemente partecipando a celebrazioni interconfessionali, oppure i cattolici nei templi evangelici e viceversa), condurrebbe inevitabilmente all’unità, realizzata dal Cristo ricevuto sacramentalmente[14].
Temiamo il grimaldello dei casi particolari, nel tentativo di far passare in seguito come ordinaria questa prassi.
Le suddette ipotesi dimenticano quanto sopra abbiamo ribadito e spiegato, ovvero che “il rito sacramentale è segno della cosa prodotta dal sacramento”[15] nel momento stesso della celebrazione, non di quel che un giorno forse sarà; perciò andremmo contro la verità del sacramento se confessassimo come presente qualcosa che non c’è ancora.
- Eucarestia, peccatori e fratelli separati
Possiamo ora chiederci: il peccatore o un incredulo, non hanno proprio niente a che fare con la S. Eucarestia?
Possiamo rispondere che coloro che sono spiritualmente morti o non sono ancora uniti a Cristo – in atto – mediante la vera fede, non sono assolutamente del tutto disrelazionati con l’Eucarestia.
Innanzi tutto costoro possono tendere verso la S. Comunione con il desiderio, che certamente ha inizio – quando non è orgogliosa pretesa –ad opera della grazia. Se questo desiderio sarà assecondato con buona volontà, potrà essere poca favilla gran fiamma seconda[16], ovvero il primo passo verso la gran fiamma seconda della vita di grazia: e questo desiderio viene suscitato da Dio proprio per questo.
Ma siamo nell’ordine della preparazione alla giustificazione, in attesa di essere o creati in grazia mediante il battesimo o ricreati con la Confessione.
D’altro canto, è soprattutto l’Eucarestia ad essere ordinata ai peccatori e ai fratelli separati; tuttavia si tratta dell’Eucarestia in quanto sacrificio! Sentiamo ancora San Tommaso:
“L’eucarestia non è solo un sacramento, ma anche un sacrificio. Ora in quanto è un sacramento ha effetto in ogni vivente nel quale richiede che la vita preesista. In quanto invece è un sacrificio ha effetto anche negli altri per i quali viene offerto, nei quali non preesige la vita spirituale in atto, ma solo in potenza; e così, se li trova disposti, ottiene ad essi la grazia in virtù di quel vero sacrificio da cui affluì in noi ogni grazia; e, per conseguenza cancella in essi i peccati mortali, non come causa prossima, ma in quanto impetra per essi la grazia della conversione. E ciò che si dice in contrario, che cioè non viene offerto se non per le membra di Cristo, va inteso che è offerto per le membra di Cristo quando è offerto per qualcuno affinché sia membro“[17].
Paradossalmente dunque possiamo avvicinarci agli Evangelici soprattutto offrendo S. Messe per l’unità dei cristiani (offrendo quel Sacrificio rifiutato da gran parte di essi), più che praticando una improvvida assurda inter-comunione.
In conclusione, i sacramenti devono rimanere segno di cosa sacra in quanto santificano gli uomini, e non segno di cosa falsa in quanto forzati nell’incoerenza del segno rispetto al mistero in esso contenuto.
[1]San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIª q. 60 a. 2 co.
[2]Concilio di Trento, Sessio XIII, 11-10-1551; Decretum de ss. Eucharistia,DS 1639.
[3]Summa Theologiae, IIIª q. 60 a. 1 co.
[4] “…signa dantur hominibus, quorum est per nota ad ignota pervenire” (Summa Theologiae, IIIª q. 60 a. 2 co.).
[5] “… sacramentum est signum eius quod est res sacramenti” (Summa Theologiae, IIIª q. 80 a. 4 co.).
[6] “Quia igitur sanctificatio hominis est in potestate Dei sanctificantis, non pertinet ad hominem suo iudicio assumere res quibus sanctificetur, sed hoc debet esse ex divina institutione determinatum” (Summa Theologiae, IIIª q. 60 a. 5 co.).
[7] “… aliquo modo crescit cum legenti, quod a rudibus lectoribus quasi recogniscitur, et tamen doctis semper noua reperitur”; San Gregorio Magno, Moralia in Iob, XX I, 1, vol III, Roma: Città Nuova 1997, pp. 86-87.
[8] “Ad secundum dicendum quod Baptismus est spiritualis generatio, quae est mutatio de non esse spirituali in esse spirituale; et datur per modum ablutionis. Et ideo, quantum ad utrumque, non inconvenienter accedit ad Baptismum qui habet conscientiam peccati mortalis. Sed per hoc sacramentum homo sumit in se Christum per modum spiritualis nutrimenti, quod non competit mortuo in peccatis” (Summa Theologiae, IIIª q. 79 a. 3 ad 2).
[9] “E la consuetudine della chiesa dichiara che quell’esame è necessario così che nessuno, consapevole di peccato mortale, per quanto possa credere di esser contrito, debba accostarsi alla santa eucarestia senza aver premesso la confessione sacramentale” (Concilio di Trento, Sessio XIII, 11-10-1551, Decretum de ss. Eucharistia, DS 1647).
[10] Cf. Mt 26,28 e Mc 14,24.
[11] “Poiché un solo pane, un solo corpo i molti siamo, i tutti infatti che partecipiamo dell’unico pane” (1 Cor 10,17); “…i molti siamo un solo corpo in Cristo” (Rm 12,5a).
[12]Giovanni Paolo II, Discorso al Consiglio della Chiesa Evangelica, Magonza, 17-11-1980.
[13]“Respondeo dicendum quod in hoc sacramento, sicut in aliis, id quod est sacramentum est signum eius quod est res sacramenti. Duplex autem est res huius sacramenti, sicut supra dictum est, una quidem quae est significata et contenta, scilicet ipse Christus; alia autem est significata et non contenta, scilicet corpus Christi mysticum, quod est societas sanctorum. Quicumque ergo hoc sacramentum sumit, ex hoc ipso significat se esse Christo unitum et membris eius incorporatum. Quod quidem fit per fidem formatam, quam nullus habet cum peccato mortali. Et ideo manifestum est quod quicumque cum peccato mortali hoc sacramentum sumit, falsitatem in hoc sacramento committit. Et ideo incurrit sacrilegium, tanquam sacramenti violator. Et propter hoc mortaliter peccat” (Summa Theologiae, IIIª q. 80 a. 4 co.).
[14] In questo senso vanno le proposte e la prassi dichiarata da H. Küng e J. Moltmann; cf «Una spiritualità ecumenica vissuta già oggi» (estratto dal colloquio tenutosi durante la giornata ecumenica a Monaco 2010) in Concilium n. 3 del 2011, riportato in http://tinyurl.com/zotq5ba.
[15]Vedi nota 5.
[16]Dante Alighieri, Divina commedia, Paradiso I, 34.
[17] “Eucharistia non solum est sacramentum, sed etiam est sacrificium. Inquantum autem est sacramentum, habet effectum in omni vivente, in quo requirit vitam praeexistere. Sed inquantum est sacrificium, habet effectum etiam in aliis, pro quibus offertur, in quibus non praeexigit vitam spiritualem in actu, sed in potentia tantum; et ideo, si eos dispositos inveniat, eis gratiam obtinet virtute illius veri sacrificii a quo omnis gratia in nos influxit; et per consequens peccata mortalia in eis delet, non sicut causa proxima, sed inquantum gratiam contritionis eis impetrat. Et quod in contrarium dicitur, quod non offertur nisi pro membris Christi, intelligendum est pro membris Christi offerri, quando offertur pro aliquibus ut sint membra” (Scriptum super Sententiis, lib. 4 d. 12 q. 2 a. 2 qc. 2 ad 4).
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.