Gesù poteva soffrire in Croce? - Risposte sulla Fede del Servo di Dio Pier Carlo Landucci, teologo della Casa Pontificia sotto Pio XII
La Teologia cattolica insegna che Gesù, in quanto Uomo- Dio, godeva permanentemente la visione beatifica, era cioè immerso fin dalla nascita nel gaudio sconfinato della diretta contemplazione divina. Come poteva quindi in Croce soffrire? Qualunque sia stato infatti lo strazio di quelle piaghe, esso doveva essere cancellato e superato -daSt intensità del gaudio beatifico. Anche i santi, rapiti in estasi di amore, non sentivano più le sofferenze corporali. S. Bernardetta, per es., quando era in colloquio con VImmacolata apparsale a Lourdes, non sentiva una candela che le bruciava ma mano. Figuriamoci Gesù ! (D. G. - Milano).
Ringrazio l'illustre interlocutore che mi dà modo di toccare questo delicato punto di Cristologia. Esso non riguarda soltanto la passione di Gesù, propriamente detta, ma tutta la vita del divin Redentore, sigillata, fin dalla nascita, dalla Croce, verso cui era consapevolmente avviato.
La visione beatifica che egli ebbe certo permanentemente - per l'ineffabile unione ipostatica della doppia natura umana e divina - gli avrebbe dunque cancellato ogni pena? Il fulcro della spiegazione con cui si può notevolmente illuminare l’enigma - il quale non deve sorprendere, essendo radicato nell’infinito mistero dell’Uomo-Dio - sta nelle speciali caratteristiche della visione e del gaudio beatifico, che avvengono al di sopra del piano umano, sia della sensibilità che della razionalità. La visione beatifica non si compie infatti con un comune atto intellettivo, diverso solo dagli altri per la sublimità dell’oggetto - Dio - ma con un atto specificamente diverso. Nella visione ordinaria l’intelligenza assurge all’idea mediante i fantasmi, per mezzo dei quali resta in risonanza emotiva con il piano sensibile della persona umana.
Nella visione beatifica invece essa, elevata dal « lume di gloria », attinge Dio immediatamente, in sé, restando completamente al di sopra di tale piano emotivo sensibile: e nel medesimo piano superiore resta il corrispondente atto di amore. Ne risulta che la visione e il gaudio beatifico, pur inondando l’anima di Gesù, restavano in un ordine diverso da quello terreno dei suoi dolori fisici e morali che pure la inondavano: e potevano quindi coesistere, insieme ad essi.
Si obietta che l’anima divina di Gesù era pur tuttavia una e quindi l’intenso gaudio doveva neutralizzare e cancellare la sua pur grandissima sofferenza: così come un gran dolce cancella l’amaro e un gran caldo distrugge il gelo. Tutto ciò sarebbe verissimo se si trattasse appunto del medesimo ordine di attività, ma non trattandosi di due ordini distinti. Anche nella sfera della pura sensibilità umana infatti, se per es. un gran dolce cancella un grande amaro, non cancella però un grande freddo, che è su un piano dispaiato. E, quanto ai sentimenti, ecco per es. una mamma che gode di soffrire per salvare il figlio, o un’anima penitente che dice a Gesù: godo di patire. Esse patiscono veramente e godono veramente, ma sotto aspetti e, per dir così, in piani diversi dell'anima. In tali casi però, restando ancora l’unità dell’umano piano terreno intellettivo e sensibile, l’assorbimento in uno di tali opposti sentimenti può attenuare l’altro e talora - come, miracolosamente, nelle estasi e visioni (quali ebbe Bernardetta) - togliere completamente l’opposta sensibilità. La visione beatifica di cui godeva Gesù era invece librata in un piano totalmente trascendente la sensibilità umana terrena, così da permettere la piena consistenza dei rispettivi opposti sentimenti.
Ma la visione beatifica non è per definizione l’assenza d’ogni pena? Certissimo. Si noti però che Gesù, prima della risurrezione, era contemporaneamente « beato comprensore » e « passibile viatore »; era « comprensore » quanto all’anima, e « viatore » quanto al corpo; aveva la sostanza della beatitudine, per la visione beatifica, ma non la sua consumazione nella sua umanità ancora passibile. È vero pure che la beatitudine consumata implica anche il gaudio della sensibilità umana e corporea, come per un traboccamento del gaudio spirituale nella sfera sensibile. Ma è un traboccamento che non va inteso come necessario riflesso fìsico del gaudio dell’anima - data la distinzione dei due piani di attività, come ho spiegato -, ma come conveniente premio dell’essere umano formato di anima e di corpo. E Gesù ebbe tale premio solo dopo la risurrezione.
Sarà stato almeno un poco attenuato il dolore della passione ?
Assolutamente no. Anzi aumentato. Se vi fosse stato un influsso attenuante, si sarebbe trattato del medesimo piano di attività e della medesima sfera di sentimenti, il che in Gesù non era; e anziché attenuazione vi sarebbe stata cancellazione. Restando invece i due ordini diversi, la visione beatifica non faceva che mostrare perfettamente alla sacra umanità di Gesù la preziosità del divino volere, delle anime e della Redenzione e fargli abbracciare, in quanto passibile, con slancio tanto più generoso, la terrificante e salvifica Croce. Anche i santi dal gaudio del divino amore sono stati sospinti alla Croce. E Gesù, dal gaudio sconfinato del beatifico amore, trasse il suo più potente anelito dell’immolazione: « In un bagno di sangue ho da essere immerso, e quanta ansia mi sento finché non sia compiuto ! » (Luca, 12, 50).
Tratto da:
Mons. Pier Carlo Landucci, Cento Problemi di Fede, Ediz. pro Civitate Christiana (VI edizione), Assisi 1959, pp. 50-53.
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