ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 11 marzo 2018

L’ultima prova della Chiesa

L’Anticristo. Aspetti biblici e sistematici.


Durante la presentazione de L’Anticristo di Reinhard Raffalt (xy.it, Arona 2017. Vedi qui), tenutasi il 16 febbraio a Seregno per iniziativa del Circolo Culturale J.H. Newman, il teologo Prof. Dr. don Manfred Hauke della Facoltà Teologica di Lugano ha tenuto una relazione introduttiva sugli “aspetti biblici e sistematici” dell’Anticristo. Poiché si è trattato di un intervento del tutto istruttivo e sapientemente orientato alle fonti della rivelazione cristiana ne pubblichiamo volentieri qui di seguito il testo con l’autorizzazione del Professor Hauke che ringraziami. Rinviamo inoltre, su indicazione dell’Autore e per completezza bibliografica, aM. HAUKE, Die biblische Lehre vom Antichrist in ihrer Bedeutung für eine christliche Theologie der Geschichte, in R. DÖRNER (ed.), „In den letzten Tagen werden schlimme Zeiten hereinbrechen“ (nach 2 Tim 3,1). Der Antichrist und die Welt von heute, Norderstedt 2008, 29-59. Seguirà prossimamente il testo della relazione del Dr. p. Serafino Lanzetta su Il contributo di Reinhard Raffalt alla comprensione della figura dell'Anticristo.


*** 
Il tema dell’Anticristo, a cui si dedica il libretto di Reinhard Raffalt tradotto dal dottor Andrea Sandri, non è molto “gettonato” nella teologia e catechesi contemporanea. Perciò ci vuole almeno qualche cenno ai dati biblici e sistematici. Siccome gli aspetti biblici sono poco noti, darò più spazio al fondamento scritturisti.
La parola greca antíchristos si trova per la prima volta nelle lettere di Giovanni. La preposizione antí indica un contrasto, ma nel contesto concreto anche una sostituzione: “al posto di”. L’anticristo significa quindi una figura che si mette al posto di Cristo come suo nemico. 

La testimonianza giovannea 

La parola “anticristo” compare nella Bibbia soltanto nella Prima e Seconda Lettera di Giovanni. Al centro della teologia giovannea si trova la fede nel Verbo divino fattosi “carne” (Gv 1,14). Egli è il “vero Dio e la vita eterna” (1Gv 5,20). L’anticristo nega l’Incarnazione, come risulta dai brani giovannei: 

«Figlioli, è giunta l'ultima ora. Come avete sentito dire che l'anticristo deve venire, di fatto molti anticristi sono già venuti. Da questo conosciamo che è l'ultima ora. Sono usciti da noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; sono usciti perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri. Ora voi avete ricevuto l'unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza. Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità. Chi è il bugiardo se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L'anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio» (1Gv 2,18-22). 
«Carissimi, non prestate fede ad ogni spirito, ma mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti nel mondo. In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell'anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo» (1Gv 4,1-3). 

«Sono apparsi infatti nel mondo molti seduttori, che non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'anticristo!» (2 Gv 7). 
Giovanni parla dell’anticristo che verrà, ma anche dello “spirito dell’anticristo” già presente nel mondo. Esso si manifesta nei tanti “anticristi” e falsi profeti la cui seduzione ha fatto cadere molti cristiani. Lo spirito dell’anticristo rifiuta Padre e Figlio (quindi la vera fede in Dio) e contemporaneamente il mistero dell’Incarnazione.
L’apostolo si riferisce alla tradizione precedente: «Avete sentito dire che l'anticristo deve venire» (1Gv 2,18). L’apparizione finale di un “anticristo” faceva quindi parte della catechesi cristiana fin dall’inizio. Si noti il particolare filologico che il sostantivo “anticristo”, nel testo originale greco, è usato senza articolo. Quindi non si tratta di un termine generico universale, bensì di un nome proprio. Giovanni parla anche di molti “anticristi”, ma quest’estensione del nome proprio a molte persone non va intesa in contrasto con l’attesa dell’anticristo in futuro. L’ultimo grande oppositore del Signore deve ancora venire.
Diversi Padri della Chiesa, tra cui Ireneo e Girolamo (1) , trovano un riferimento all’anticristo già nelle parole di Cristo stesso nel vangelo di Giovanni: «Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste» (Gv 5,43). Cirillo di Gerusalemme osserva: «Gli ebrei … rifiutano colui che è apparso; essi aspettano colui che verrà per la loro sventura. Essi rifiutarono il vero Cristo, ma essi, ingannati, accolgono l’inganno» (2). 

L'Apocalisse di Giovanni 

Nell’Apocalisse di Giovanni (insieme alla Seconda lettera ai Tessalonicesi) si trovano i testi più significativi per il pensiero sull’anticristo. Si tratta comunque dei testi più difficili. Per capire il linguaggio apocalittico del veggente, bisogna tenere conto soprattutto di tre punti: 

(1) L’Apocalisse si rivolge ai cristiani perseguitati alla fine del I secolo, durante il regno dell’imperatore romano Domiziano (3). Nei testi troviamo degli accenni a questa situazione storica; alcune allusioni non sono comprensibili per epoche seguenti oppure possono essere esplorate soltanto ipoteticamente.
(2) Il linguaggio del veggente non va confuso con un protocollo storico, ma offre molte affermazioni in una veste simbolica. Il linguaggio simbolico accoglie qui vari elementi già presenti nei testi apocalittici dell’AT, soprattutto nel libro di Daniele. L’“apocalisse” esprime la rivelazione degli eventi escatologici in un linguaggio visionario.
(3) Con immagini visionarie, che si rapportano alla situazione storica di allora, Giovanni narra degli eventi tipici di tutti gli “ultimi tempi” (in cui viviamo), ma che troveranno un culmine finale immediatamente prima della Parusia.

Il brano più importante si trova nel cap. 13, benché non vi compaia l’espressione “anticristo”. Nel capitolo precedente, la visione della donna vestita di sole e del drago descrive le aggressioni del diavolo contro Cristo e contro la Chiesa, presentata con i tratti della Madre di Dio. Il drago dispone di un potere immenso, ma limitato: egli è già vinto “tramite il sangue dell’agnello” (Ap 12,11). Tuttavia, il diavolo sfrutta il tempo a lui lasciato per nuocere ai discepoli di Cristo. Nel cap. 13, Giovanni descrive una visione secondo cui il “drago” dona la sua potenza ad una “bestia” che sale dal mare, “con dieci corna e sette teste” (Ap 13,1-2). Più tardi, il veggente spiega le “sette teste” come riferimento ai sette colli su cui siede la prostituta Babilonia; è un’allusione alla città di Roma con i suoi sette colli (cf. Ap 17,9). La bestia è simile ad una pantera con le zampe di orso e la bocca di leone (Ap 13,2). Questa descrizione assomiglia ad una visione di Daniele secondo cui dal mare salgono quattro grandi bestie: le prime tre sono simili ad un leone, un orso e una pantera (Dn 7,1-6).
In seguito il veggente descrive come la bestia cerca d’“imitare” il mistero pasquale della morte e risurrezione di Cristo: la ferita mortale di una testa viene guarita e perciò gli uomini adorano la bestia, che bestemmia Dio e riesce a sconfiggere i santi (Ap 12,5-8). Qui troviamo varie allusioni al cap. 7 di Daniele, soprattutto il riferimento alla bocca bestemmiatrice, che riguarda l’eloquenza e la presunzione blasfema del re siriaco Antioco IV Epifane. Questo re voleva costringere gli ebrei ad abbandonare la loro religione tradizionale per accogliere invece la cultura “moderna” dell’ellenismo. Il culmine della “globalizzazione” ellenista fu la profanazione del tempio di Gerusalemme nell’anno 167 a.C.: Antioco fece erigere un altare a Zeus sul grande altare degli olocausti. Al posto dell’adorazione dell’unico Dio arriva l’idolatria. Gli ebrei chiamarono questo misfatto l’“abominio della devastazione” (1Mac 1,54; Dn 9,27; 11,31). Daniele descrive l’opera di Antioco in questa maniera: «Forze da lui armate si muoveranno a profanare il santuario della cittadella, aboliranno il sacrificio quotidiano e vi metteranno l'abominio devastante» (Dn 11,31). 
La pretesa di un culto divino richiamata dalla “bestia” che sale dal mare ricorda le azioni blasfeme di Antioco e si riferisce storicamente al culto divino preteso dall’imperatore Domiziano. L’anticristo porta con sé una pretesa idolatrica. 
Nell’Apocalisse, l’opera della prima “bestia” viene favorita da un altro animale, che sale dalla terra: il profeta menzognero ha l’aspetto di un agnello, ma parla come un drago (cf. Ap 13,11). Il falso profeta porta gli uomini ad adorare la bestia del mare e opera dei prodigi. Egli costringe la gente a ricevere un marchio sulla mano destra e sulla fronte con il numero 666 (oppure, secondo una variante, 616; Ap 13,12-18). Questo numero si spiega con il valore numerico collegato a ogni lettera dell’alfabeto ebraico e greco. Probabilmente si tratta del nome “Cesare Nerone” scritto con lettere ebraiche. Domiziano appare così come un nuovo Nerone (che aveva già perseguitato i cristiani a Roma). Gli annunci apocalittici, comunque, trascendono le allusioni storiche e si aprono al governatore escatologico che sottomette tutti gli abitanti della terra alla sua tirannia. Questo sguardo agli ultimi tempi è evidente quando Giovanni descrive la punizione della “bestia” e del profeta bugiardo, i quali vengono buttati vivi “nello stagno di fuoco, ardente di zolfo” (Ap 19,20).

La Seconda lettera ai Tessalonicesi 

Di fronte al linguaggio simbolico apocalittico possiamo porre la domanda: La “bestia del mare”, a cui nelle lettere giovannee corrisponde l’“anticristo”, è soltanto un simbolo di una realtà che attraversa l’intera storia? Oppure si tratta anche dell’allusione ad una figura umana ben concreta in cui, alla fine dei tempi, si raggiungerà il culmine della malizia opposta a Cristo?
Per rispondere non basta il riferimento all’Apocalisse. Qui è importante uno sguardo alla Seconda lettera ai Tessalonicesi, che costituisce la testimonianza neotestamentaria più chiara sull’anticristo.
Nella Prima lettera ai Tessalonicesi, Paolo aveva parlato con insistenza del ritorno del Signore alla fine dei tempi (1Ts 4,17). La seconda lettera, invece, va contro l’affermazione «che il giorno del Signore sia imminente» (2Ts 2,2). Paolo spiega che la Parusia non è imminente e vi saranno prima dei segni riconoscibili: l’apostasia e l’uomo che si contrappone a Dio, ma che alla fine sarà ucciso da Cristo. 
«Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti verrà l'apostasia e si rivelerà l'uomo dell'iniquità, il figlio della perdizione, l'avversario, colui che s'innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio. 
Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, io vi dicevo queste cose? E ora voi sapete che cosa lo trattiene perché non si manifesti se non nel suo tempo. Il mistero dell'iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che finora lo trattiene. Allora l'empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. La venuta dell'empio avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell'iniquità, a danno di quelli che vanno in rovina perché non accolsero l'amore della verità per essere salvati. Dio perciò manda loro una forza di seduzione, perché essi credano alla menzogna e siano condannati tutti quelli che, invece di credere alla verità, si sono compiaciuti nell'iniquità» (2 Ts 2,3-12). 
Paolo tratta qui di una persona umana dotata della “potenza di Satana”, senza essere identica al diavolo. Essa non viene chiamata (come in Giovanni) “anticristo”, bensì “uomo dell’iniquità”, “figlio della perdizione” e “avversario”. L’entrata nel tempio ricorda i misfatti di Antioco IV Epifane. La pretesa di onore divino si trova anche per la “bestia” dell’Apocalisse, che parla dei prodigi ingannevoli, collegati, però, al falso profeta. L’avversario è una figura del futuro, ma il «mistero dell’iniquità è già in atto» (2Ts 2,7). Troviamo qui la stessa tensione tra presente e futuro che si presenta anche nelle lettere di Giovanni, che distinguono l’anticristo del futuro dagli “anticristi” del presente. 
Un segno dell’anticristo è il suo insediarsi nel tempio di Dio. Si tratta del tempio di Gerusalemme, magari restaurato dall’anticristo per guadagnare gli ebrei? Oppure bisogna pensare piuttosto alla comunità della Chiesa? Se vediamo qui un accenno alla Chiesa, possiamo concludere che lo spirito dell’anticristo entrerà anche nella comunità ecclesiale, nonostante il fatto che le “porte degli inferi” non prevarranno contro la Chiesa edificata sulla roccia di Pietro (cf. Mt 16,18).
C’è anche una discussione sulla causa che “trattiene” l’arrivo dell’anticristo, fattore presentato contemporaneamente come “cosa” e come “persona” (2Ts 2,6-7). La risposta più frequente all’identità del katéchon vede qui l’impero romano, guidato dall’imperatore, che svolge comunque una qualche funzione ordinatrice per frenare il sopravvento del male.
L’“avversario”, in ogni caso, è un uomo aperto alla potenza diabolica. Egli opera con la bugia, sopprime la verità e presenta l’ingiustizia come diritto. Giustino chiama l’anticristo “l’uomo dell’apostasia” (4).

Il discorso escatologico di Gesù e il ricorso al libro di Daniele 

Nelle affermazioni della Seconda lettera ai Tessalonicesi compaiono alcuni elementi significativi anche per il discorso escatologico di Gesù. Si notino i rinvii all’apostasia e ad una persona caratterizzata con l’espressione “dell’iniquità” e che si introduce nel “tempio”. Nella versione del discorso escatologico di Marco, la distruzione di Gerusalemme e la fine del mondo vengono presentate quasi in un’unica prospettiva. Gesù parla dei molti falsi profeti che pretendono d’essere il Cristo (cf. Mc 13,6.21-22). Essi «faranno segni e portenti per ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti» (Mc 13,22). È significava l’allusione al libro di Daniele, che descrive la profanazione del tempio con l’espressione “abominio della devastazione” o “desolazione”: «Quando vedrete l’abominio della desolazione stare là dove non conviene, chi legge capisca, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano ai monti …» (Mc 13,14).
Qui si vede un accenno alla distruzione del tempio nel 70 d.C. Gesù avverte i suoi discepoli di non cercare rifugio nella città fortificata di Gerusalemme, bensì di darsi alla fuga. I cristiani fuggirono in tempo da Gerusalemme per andare a Pella, al di là del Giordano (5) . Alcuni interpreti riferiscono l’“abominio della desolazione” al bagno di sangue commesso dagli zeloti durante l’assedio, alla collocazione delle insegne romane (pagane) nel santuario oppure alla distruzione del tempio. Sembra fuori dubbio che ci sia qualche riferimento agli eventi storici di allora. Si noti, tuttavia, che il testo greco mette insieme il sostantivo neutrale “abominio” (tò bdélygma) con un participio (non neutrale, bensì) maschile: in altre parole, l’“abominio” non è una “cosa”, ma una persona: l’anticristo. Come nell’Apocalisse, anche nel discorso escatologico del Signore vengono messi insieme degli elementi storici (intanto già avvenuti), come la distruzione di Gerusalemme, e degli eventi futuri. L’anticristo verrà alla fine dei tempi, ma la forza diabolica del male si manifesta già nella distruzione e profanazione del tempio di Gerusalemme.
Nella versione matteana del discorso escatologico c’è l’affermazione esplicita che l’abominio fu già profetizzato da Daniele (Mt 24,14). Anche qui si vede la trasparenza escatologica di eventi storici. Secondo la visione delle quattro bestie provenienti dal mare, dopo il leone, l’orso e la pantera arriva ancora un quarto animale con dieci corna che distrugge tutto attorno a sé. «Stavo osservando queste corna, quand'ecco spuntare in mezzo a quelle un altro corno più piccolo, davanti al quale tre delle prime corna furono divelte: vidi che quel corno aveva occhi simili a quelli di un uomo e una bocca che proferiva parole arroganti» (Dn 7,8). Il numero delle corna fa riferimento alle lotte politiche, quando diversi pretendenti ambivano al trono regale della Siria. 
Poi Daniele racconta il giudizio da parte del vegliardo. La bestia è uccisa a causa delle sue parole arroganti e gettata nel fuoco (Dn 7,11). In seguito, Daniele vede che “sulle nubi del cielo” viene qualcuno “come un figlio dell’uomo”, il cui regno «non tramonterà mai» (Dn 7,13s.). 
Davanti al sinedrio, Gesù applica a se stesso la visione del figlio dell’uomo che viene sulle nubi del cielo (Mt 26,26 parr). Questa visione è parte integrante del sogno sulle quattro bestie, sogno che giunge al culmine nella vittoria sul “corno” blasfemo, nel giudizio universale e nel dominio del “figlio dell’uomo”. In altre parole: i diversi fili neotestamentari sulla figura dell’anticristo risalgono ad un’origine comune: l’annuncio escatologico di Gesù Cristo che ci avverte di fronte ai pericoli futuri, in particolare dell’anticristo. 
L’anticristo – una persona? 

Non esiste alcuna decisione della Chiesa sull’interpretazione personale o collettiva dell’anticristo. Le testimonianze bibliche riportate, ma anche le testimonianze della tradizione ecclesiale, comunque, vedono nell’anticristo una persona individuale. Una conclusione equilibrata della discussione viene fornita dall’escatologia di Michael Schmaus: 

«La maggior parte dei teologi considera l’anticristo una persona individuale concreta. Questa comprensione si muove bene nell’insieme della storia salvifica. Perché fa parte della “struttura fondamentale” della storia di salvezza l’essere portata avanti da personaggi individuali storici; così anche i loro avversari sono persone individuali. Allo stesso modo appartiene al percorso della storia salvifica il fatto che la lotta tra i portatori della salvezza e quelli della perdizione diventi tanto più dura quanto più si avvicina l’ora della Parusia di Cristo. Sarebbe contraddittorio a questo carattere della storia salvifica, se si ritenesse l’anticristo una figura mitologica. D’altra parte, l’anticristo è esponente e protagonista terroristico dello spirito anticristiano, sostenuto a sua volta da numerosi uomini individuali, i quali possono essere chiamati in un senso più ampio “anticristi”» (6). 

Appello allo vigilanza 

La figura dell’Anticristo suscita in noi la vigilanza per non cedere alle seduzioni che minacciano la nostra fede. Nella nostra epoca della globalizzazione sembra più vicina la possibilità che emerga un personaggio in grado di sottomettere al suo dominio nefasto e blasfemo tutta la terra. 
Il CCC ricorda questa vigilanza sotto il titolo “L’ultima prova della Chiesa”: 

«Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il “Mistero di iniquità” sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell'apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell'Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l'uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne» (CCC 675).

L’ombra dell’Anticristo si presenta già durante l’intera storia prima del ritorno del Signore alla fine dei tempi. Per Giovanni Damasceno, per esempio, Maometto era nient’altro che un “precursore dell’Anticristo” (7). Papa Adriano VI, il penultimo Papa tedesco, scrisse nel 1522 una lettera al duca di Sassonia, invitandolo a separarsi da Martin Lutero e dalle sue dottrine. Il Papa di allora, che conosceva la Riforma protestante dalla propria esperienza, sottolineò: «A qualcuno potrebbe essere non chiaro che costui (Lutero) è il messaggero dell’Anticristo?» 
La Chiesa è stata colpita dai colpi dei numerosi predecessori dell’Anticristo fino ad oggi, ma le porte degli inferi non hanno potuto distruggerla. Non lo potranno fare neanche ai nostri giorni.
Vorrei finire con un brano della Didache, un antichissimo scritto cristiano forse già del primo secolo. Il testo sembra tuttora molto attuale:

«Vigilate sulla vostra vita. Non spegnete le vostre fiaccole e non sciogliete le cinture dai vostri fianchi, ma state preparati perché non sapete l’ora in cui il nostro Signore viene. 
… negli ultimi giorni si moltiplicheranno i falsi profeti e i corruttori, e le pecore si muteranno in lupi, e la carità si muterà in odio; … allora il seduttore del mondo apparirà come figlio di Dio e opererà miracoli e prodigi, e la terra sarà consegnata nelle sue mani, e compirà iniquità quali non avvennero mai dal principio del tempo. E allora la stirpe degli uomini andrà verso il fuoco della prova, e molti saranno scandalizzati e periranno; ma coloro che avranno perseverato nella loro fede saranno salvati … E allora appariranno i segni della verità: … Allora il mondo vedrà il Signore venire sopra le nubi del cielo …»(7). 

Note al testo:
(1) Ireneo, Adv. Haer. V,25,4; Girolamo, Ep. 121,11.
(2) Cirillo di Gerusalemme, Catecheses XII,2. 
(3) Sulla collocazione all’epoca di Domiziano (e non di Nerone), vedi Ireneo, Adv. haer. V,30,3. 
(4) Giustino, Dial. cum Tryphone 110,2. 
(5) Cf. Eusebio, Hist. Eccl. III,5,3. 
(6) M. SCHMAUS, Katholische Dogmatik IV/2, München 51959, 186s. 
(7) Didache 16,1-8.

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