Oggi notiamo che non solo lo stile, ma anche il metodo di pensare, parlare ed agire della Chiesa stanno diventando sempre più simili a quelli di un partito politico. Ciò sta provocando un mutamento sostanziale non solo nella pastorale ma anche nella dottrina della Chiesa.
La dottrina si è ridotta a ideologia, ossia a giustificazione dell’azione ecclesiale. A sua volta, l’ideologia ecclesiale tende a ridursi a un programma pastorale, senza necessaria coerenza con una visione globale della realtà. A sua volta, il programma pastorale punta solo a ottenere un risultato pratico ritenuto conveniente.
La certezza delle verità di fede viene sempre più messa in discussione. Verità eterne, concetti definiti, ragionamenti rigorosi, leggi sacre, metodi sicuri, sono tutti disprezzati come prodotto d’ideologie astratte imposte da intellettuali estranei alla vita reale; simboli, definizioni e canoni della Fede sono sostituiti dalla “teologia narrativa”; l’insegnamento formativo è sostituito dalla problematica ermeneutica e dalla “predicazione parenetica” (ossia esortativa); catechismi, manuali e codici sono bollati come “verità preconfezionate” che ostacolano lo sviluppo della “creatività ecclesiale” e sostituiti da prontuari di soccorso misericordioso per le “anime ferite” ricoverate nell’“ospedale della Chiesa”; l’apostolato finalizzato al proselitismo e alla conversione è sostituito dalla “pastorale inculturata e inclusiva” che usa un linguaggio vago, emotivo, grossolano, demagogico, povero di dottrina ma ricco di parole magiche, slogan, frasi fatte, perfino battute volgari e vignette irriverenti.
Parallelamente e coerentemente, anche la certezza delle verità morali viene sempre più messa in discussione. Leggi assolute, norme stabili e procedure sicure sono disprezzate perché peccano di fissità, astrattezza ed estraneità al progresso della storia, alla “mutazione antropologica”, alla concretezza della situazione e alla libertà di pensiero e di azione. La libertà di coscienza, di sensibilità e di azione, la misericordia incondizionata, il “discernimento delle intenzioni”, la “condivisione delle situazioni” e l’“inclusione nella comunità ecclesiale”, esigono che “le situazioni non siano giudicate dall’esterno ma siano vissute dall’interno”, perché “è nel flusso della vita che bisogna capire, decidere e soccorrere”.
Del resto, oggi si dice che il compito della Chiesa non sta più nel fornire risposte che danno certezze né soluzioni che danno sicurezze, ma sta solo nell’accompagnare il fedele nel suo porsi domande e affrontare problemi da risolvere liberamente in coscienza, valutando “caso per caso”, senza sottomettersi a una legge morale ritenuta “astratta ed esteriore”.
Pertanto, chi si ostina nel difendere la certezza e sicurezza della morale naturale o anche evangelica, affermandone i diritti e imponendone i doveri, viene accusato di essere “ipocrita moralista”, “insensibile dottore della legge” e “carnefice delle coscienze”, colpevole di misconoscere la “trascendenza delle persone”, la creatività delle coscienze, la varietà dei casi concreti e la “ingiudicabilità delle situazioni”.
Sembra che il magistero ecclesiastico stia perdendo non solo l’autentico senso della verità rivelata, ma perfino le categorie logiche e metafisiche della philosophia perennis, e, prima ancora, quel buon senso che nella Chiesa si è sviluppato anche grazie alla saggezza di quella filosofia e teologia tradizionali. Ormai dilaga un magistero informale, pluralista, problematico, “a ruota libera”, che interviene occasionalmente disprezzando e anzi deridendo la coerenza di ragionamento, la chiarezza d’insegnamento e l’uniformità d’interpretazione.
Se poi qualcuno chiede chiarimenti che obbligano a giustificare i cambiamenti avvenuti, allora il discorso magisteriale diventa improvvisamente assertivo, apodittico, impositivo, grossolano; le analisi e le direttive semplicistiche e approssimative vengono giustificate da elucubrazioni e complicate, contorte, sofistiche. Lo stesso accade nelle ideologie politiche dei partiti: ad esempio, quelli marxisti giustificavano la loro brutale “lotta di classe” con sofisticate analisi intellettuali.
Se l’antico saggio motto ecclesiale diceva “in veritate unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas”, il motto oggi dominante invece dice: “in veritate libertas, in dubiis charitas, in omnibus unitas”; si è liberi di credere ciò che si vuole e di mettere in dubbio le verità, ma bisogna essere tutti uniti in questa nuova ideologia priva di coerenza. Quindi, l’unico peccato grave rimasto è quello di rompere la “comunione ecclesiale”; eresie, perversioni e sacrilegi sono solo peccati veniali da perdonare o piuttosto di malintesi da dissipare.
La crisi del senso del verum e del bonum provoca inevitabilmente anche quella dello justum. Di conseguenza, la certezza del diritto è sempre più messa in discussione nella Chiesa, e con essa anche la certezza dell’autorità legittima. Questa viene sostituita dall’auto-referenzialità del potere costituito, ossia dall’arbitrarietà e dalla volubilità di un governo assoluto esercitato da un “capo carismatico” e dal “partito del capo” nel contesto di un sistema ecclesiale “democratico”. Il capo e il suo gruppo dominante pretendono di agire come demiurghi di una nuova Chiesa identificata col nuovo “Popolo di Dio”, essendo qui il popolo dichiaratamente esaltato come realtà “mitica”; la mitizzazione del popolo produce la demitizzazione del Papato e la secolarizzazione del governo ecclesiastico.
Di conseguenza, la certezza e la correttezza del diritto ecclesiale e dello stesso diritto canonico sono sempre più messe in discussione in nome della libera coscienza da venerare, della spontaneità dell’agire, dell’accompagnamento da ricevere, della misericordia da assicurare, del “popolo” da esaudire, dei “giovani” da sedurre.
Se una volta la Chiesa era unita nella dottrina da insegnare sebbene divisa nella strategia da seguire, oggi la vita ecclesiale è “pluralistica”, dunque divisa sull’essenziale, ossia sulla dottrina di fede e di morale da professare e da insegnare, ma è (apparentemente) unita sull’accidentale e sullo strumentale, ossia nei capi da seguire e nella prassi da eseguire. Tutto si riduce nell’obbedire alle decisioni del capo, nel seguire le procedure della direzione, nell’inserirsi nel sistema funzionale. Come già sarcasticamente Kierkegaard constatava ieri per la Chiesa protestante, oggi anche per quella cattolica “non c’è più bisogno di miracoli, perché bastano le istruzioni per l’uso”. Molti anni fa, il vescovo di Viterbo – mi pare si chiamasse Boccanera – sentenziò che “il fondamento della Fede consiste nella obbedienza ai legittimi Pastori”; allora, questa uscita fece ridere tutti per la sua ignorante protervia, ma oggi è diventata una massima ecclesiale obbligante.
E così, la regola della Fede e dell’appartenenza alla Chiesa non è più la verità ma l’opinione e la direttiva di attualità: flessibilità nella dottrina e nella morale, rigidità nella prassi pastorale. Oggi è lecito mettere in dubbio o reinterpretare o addirittura negare sfacciatamente fondamentali verità di fede, di morale e di diritto, ma non è lecito mettere in discussione l’ultimo “progetto pastorale” varato dalla parrocchia o dalla diocesi o dalla Conferenza episcopale o dalla Santa Sede.
Esempio concreto: se qualcuno critica l’enciclica Humanae vitae, ritenendola sorpassata, ma elogia la esortazione apostolica Amoris laetitia, ritenendola aggiornata, egli è benevolmente considerato “in piena comunione” (o almeno in “parziale comunione”) con i legittimi Pastori e col Papa stesso; ma se un cattolico fa l’esatto inverso, egli è malevolmente considerato “fuori dalla comunione” della Chiesa e nemico del Papa. La motivazione che ne viene data è semplice: l’enciclica di Papa Paolo VI è del 1968, per cui può essere rifiutato in quanto “superato dalla storia”; ma l’esortazione apostolica di Papa Francesco è del 2016, dunque è un programma del futuro, per cui non può essere criticata in quanto è “aggiornato alla situazione”, è “tradizione vivente” adeguatasi ai “tempi che cambiano”.
Con questi paradossali criteri di giudizio, diventa molto problematico capire chi è davvero cristiano cattolico, chi è dentro o fuori della Chiesa. Una volta si diceva che è nella Chiesa chi professa la fede la morale evangeliche, frequenta i Sacramenti e vive in obbedienza ai legittimi Pastori in comunione con il Sommo Pontefice. Ma ormai la fede e la morale sono subordinate alla “inculturazione”, ossia alle opinioni e alle esigenze dettate dai tempi e dai luoghi, i Sacramenti possono essere concessi anche a chi non ha la fede o non è in stato di grazia.
Quanto ai Pastori, da una parte, in nome della collegialità, essi possono porsi in dissidenza da Roma e agire come autocrati della loro diocesi, purché, in nome della democrazia, essi deleghino la loro autorità in alto alla loro Conferenza Episcopale e in basso ai loro comitati diocesani. Quanto al Sommo Pontefice, in nome dell’ecumenismo e ancora della collegialità, egli oggi si proclama “non cattolico” e si riduce a mero “vescovo di Roma”, riservandosi però di pretendere obbedienza assoluta quando vuole imporre una decisione ecclesiale o un progetto pastorale qualsiasi, per quanto possano essere in contrasto con la giustizia, la morale e perfino la fede.
Sicché oggi abbiamo, da una parte, individui e movimenti sedicenti cattolici elogiati dalle autorità ecclesiastiche in quanto “in piena comunione” con loro, anche se essi non professano la vera Fede né la retta morale; dall’altra parte, abbiamo individui e movimenti palesemente non-cattolici, o anche anti-cattolici, elogiati dalle autorità ecclesiastiche perché ritenuti “in parziale comunione” con loro; infine abbiamo individui e movimenti veramente cattolici, ma disprezzati e condannati dalle autorità ecclesiastiche perché ritenuti “non in comunione” con loro e privi di sensus ecclesiae, per il solo fatto di non concordare con l’ultimo progetto pastorale o con l’ultima teologia alla moda. Insomma, come si diceva una volta: si agisce da “deboli con i forti ma forti con i deboli”.
Insomma, non è più la vita umana a doversi adeguare alla Verità rivelata per compiere il Bene e raggiungere la Vita eterna, ma al contrario, è la Verità che deve adeguarsi alla vita umana per ottenere il progresso temporale e la salvezza terrena. Come ammoniva Romano Amerio, l’ordine interiore della divina Trinità è sovvertito: lo Spirito Santo non procede più dal Logos ma solo dal Padre, ossia il bene non è più applicazione della verità ma solo imposizione del potere. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: confusione dottrinale, licenza morale, decadenza liturgica, anarchia disciplinare, le quali provocano “vergognose contraffazioni, amorfe imitazioni, scandalose immagini, infami parodie” (Charles Péguy).
Ciò significa che oggi la vita della Chiesa non è sottomessa a una legittima e coerente autorità, ma è sia libera di essere arbitraria, sia tiranneggiata dal sopruso. Già nel 1970, alcuni studiosi cattolici sostenevano – prove in mano – che la Chiesa visibile non è tanto la “cittadella assediata” da un esercito nemico, quanto la “cittadella occupata” da un manipolo nemico infiltrato.
In questa Chiesa oggi si affrontano i pochi Davide cattolici, con dietro il “resto d’Israele”, e un Golia modernista, con dietro la turba filistea dei novatori; occorre che i Davide tirino fuori la loro fionda e mirino bene al nemico. Se saprà approfittare delle grazie e delle occasioni propizie offertegli dalla divina Provvidenza, il pusillux grex davidico ed evangelico potrà abbattere la scelesta turba modernista.
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