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Aut aut
Et ego non sum turbatus, te pastorem sequens (Ger 17, 16).
«Io non sono turbato, seguendo te come pastore». Ripetiamo spesso queste parole: d’ora in poi ci saranno sempre più utili. Qualunque cosa accada, non dimentichiamo in alcun caso che abbiamo per guida il Signore stesso, che non potrà mai abbandonare i Suoi autentici fedeli. Colui che dovrebbe farne le veci sulla terra, in realtà, fa le feci del diavolo, coadiuvato da un ignobile scribacchino fondatore di una testata che non è altro che una cloaca a cielo aperto di menzogne e diffamazioni: fino a cinque anni fa, contro la Chiesa e il Papa; ora, contro la verità salvifica e chiunque la difenda. Eiezioni a parte, i due compari farebbero meglio a riflettere che, data la loro età, sono statisticamente prossimi – se non si convertono prima di schiattare – a quell’Inferno che negano in modo così spudorato e che le loro animacce non si dissolveranno di certo, visto che l’immortalità dell’anima è un dogma sancito dal Concilio Lateranense V (cf. DS 1440). Anche l’eternità delle pene infernali, peraltro, è verità rivelata nel Vangelo e costantemente insegnata dalla Chiesa fin dai tempi più antichi (cf. Mt 25, 41; DS 76); negarla equivale a rendere superflua la Redenzione e a svuotare tutto il mistero cristiano.
A che servono ambigue smentite ufficiali senza che sia riaffermata in modo inequivocabile la verità oscurata, così da tentare almeno di soffocare il rimbombo planetario della notizia? Perché limitarsi ad affermare genericamente che «non vengono citate le parole testuali pronunciate dal Papa» senza dichiarare che cosa abbia effettivamente detto, così da correggerne il “travisamento”? E perché continuare ottusamente a invitare sempre lo stesso giornalista, se davvero manipola regolarmente le conversazioni? Quale persona di buon senso insisterebbe a far le proprie confidenze a qualcuno che poi ogni volta, distorcendole, le rende di pubblico dominio? Visto che quelle stesse idee, oltretutto, sono già state espresse dall’interessato varie volte in altre occasioni, chi può credere ancora che non facciano realmente parte delle sue convinzioni? Si tratta proprio delle opinioni eterodosse messe in circolazione dalla pseudoteologia tedesca, che negli ultimi decenni ha culturalmente colonizzato l’America Latina.
Come se non bastasse, la “smentita” è arrivata, a quanto pare, solo dopo che un cardinale, a nome di un gruppo di porporati, ha telefonato al Papa minacciandolo di far valere una delle quattro cause di cessazione dall’ufficio di Sommo Pontefice, specificamente la terza. È proprio il caso, allora, di evocarle rapidamente soffermandosi su quella che riguarda la situazione odierna. Ci è di prezioso ausilio un articolo del maggiore canonista italiano, il gesuita Gianfranco Ghirlanda, pubblicato sulla Civiltà Cattolica (n. 3905, 2 marzo 2013) in tempi assolutamente non sospetti, cioè durante l’ultima sede vacante: non si può certo accusare l’autore di intenti polemici o di chissà quali secondi fini. Il testo, com’è naturale, si concentra sul caso della rinuncia, ma in questo momento ci interessa soprattutto l’inizio: «La vacanza della Sede Romana si ha in caso di cessazione dell’ufficio da parte del Romano Pontefice, che si verifica per quattro ragioni: 1) morte; 2) certa e perpetua pazzia o totale infermità mentale; 3) notoria apostasia, eresia o scisma; 4) rinuncia» (p. 445).
Già circa la salute psichica del Sedicente sussistono forti dubbi, tanto che un lettore, a proposito dei quattro incomprensibili “postulati” cui si richiama di continuo, si è potuto esprimere in questi termini: «Roba da matti. Ora mi è tutto più chiaro. Dunque Bergoglio ha gravi problemi mentali… soffre di una pesante forma di psicosi. Questo spiega le disastrose incongruenze del suo pontificato, che, con Lutero e l’Amoris laetitia, hanno già varcato la soglia dell’eresia. Chissà, forse un giorno la cosa sarà manifesta… Mi stupisce molto che fra i tanti che hanno letto l’Evangelii gaudium, con le deliranti affermazioni parafilosofiche in essa contenute, non vi sia ancora chi abbia sollevato la questione della psicosi del papa. […] il testo è frutto di una mente malata». Il fatto è che, in questo caso, la totale infermità mentale non è facilmente certificabile in modo definitivo – per non parlare del fatto che, in base al criterio delle idee sballate, bisognerebbe rinchiudere in clinica psichiatrica buona parte dei docenti di teologia e filosofia.
Ma è questo il punto su cui dobbiamo fissare l’attenzione: che cioè le disastrose incongruenze di questo pontificato, dovute alle aberranti convinzioni del titolare, hanno già abbondantemente varcato la soglia dell’eresia. Giustamente il nostro caro amico menziona la palese approvazione di un eretico e le disposizioni contrarie alla legge divina in materia di morale matrimoniale. Queste ultime, con la pubblicazione negli Acta Apostolicae Sedis, hanno acquisito il carattere ufficiale di norma universale. Ma già le primissime e devastanti interviste del settembre-ottobre del 2013 rigurgitavano di affermazioni farneticanti, del tutto contrarie alla retta ragione e alla sana dottrina. Che la causa sia la pazzia o meno, l’eresia era già conclamata, anche senza le solenni sciocchezze sull’Inferno e sull’anima. A questo punto dobbiamo tornare ad ascoltare il buon padre Ghirlanda a proposito della terza causa di cessazione dall’ufficio di Romano Pontefice.
«Il munus del Capo è esercitato per il bene di tutta la Chiesa a tutela dell’unità della comunione ecclesiale. Il Pontefice rappresenta il Collegio dei Vescovi e la Chiesa nel senso che ha potestà su tutti i Vescovi e su tutta la Chiesa, ma proprio a garanzia e tutela dell’integrità della fede che Cristo ha depositato nella Chiesa per mezzo degli Apostoli, della verità e santità dei sacramenti istituiti da Cristo, della struttura fondamentale della Chiesa stabilita da Cristo e dei doveri e diritti fondamentali di tutti i fedeli, nonché di quelli propri di ogni loro categoria. Allora, se il Romano Pontefice non esprimesse quello che già è contenuto nella Chiesa, non sarebbe più in comunione con tutta la Chiesa, e quindi con gli altri Vescovi, successori degli Apostoli. La comunione del Romano Pontefice con la Chiesa e con i Vescovi, secondo il Vaticano I, non può essere comprovata dal consenso della Chiesa e dei Vescovi, in quanto non sarebbe più una potestà piena e suprema liberamente esercitata (canone 331; Nota Explicativa Praevia, 4).
Il criterio, allora, è la tutela della stessa comunione ecclesiale. Là dove questa non ci fosse più da parte del Papa, egli non avrebbe più alcuna potestà, perché ipso iure decadrebbe dal suo ufficio primaziale. È il caso, ammesso in dottrina, della notoria apostasia, eresia e scisma, nella quale il Romano Pontefice potrebbe cadere, ma come “dottore privato”, che non impegna l’assenso dei fedeli, perché per fede nell’infallibilità personale che il Romano Pontefice ha nello svolgimento del suo ufficio, e quindi nell’assistenza dello Spirito Santo, dobbiamo dire che egli non può fare affermazioni eretiche volendo impegnare la sua autorità primaziale, perché, se così facesse, decadrebbe ipso iure dal suo ufficio. Comunque in tali casi, poiché “la prima sede non è giudicata da nessuno” (canone 1404), nessuno potrebbe deporre il Romano Pontefice, ma si avrebbe solo una dichiarazione del fatto, che dovrebbe essere da parte dei Cardinali, almeno di quelli presenti a Roma. Tale eventualità, tuttavia, sebbene prevista in dottrina, viene ritenuta totalmente improbabile per intervento della Divina Provvidenza a favore della Chiesa» (pp. 445-446).
Le vicende di questi ultimi cinque anni, purtroppo, ci dimostrano che l’eventualità in oggetto non è affatto totalmente improbabile: non solo l’eresia del Papa è notoria, ma è chiaramente venuta meno la tutela della comunione ecclesiale, dalla quale, con le sue dichiarazioni, egli si è separato e che ha spezzato tra le membra del Corpo. Tale assenza di comunione (che lo rende anche scismatico, oltre che eretico) non può essere supplita – come insegna il Concilio Vaticano I – dal consenso della Chiesa e dei Vescovi, che non rappresentano un’autorità superiore. Con queste affermazioni non neghiamo certo l’onnipotenza della Divina Provvidenza nella guida della Chiesa militante, ma siamo costretti ad ammettere che la Provvidenza stessa abbia disposto questa terribile eventualità, sempre per il bene della Chiesa. In questo modo essa separa i veri cattolici dai falsi, prova i primi rafforzandone la fede e castiga i secondi abbandonandoli alla menzogna, che hanno cercato e accolto. Suprema giustizia, suprema misericordia.
L’unica preoccupazione che rimane è quella per i semplici che sono tratti in inganno e per chi, in buona fede, è soggetto a errore o ignoranza invincibile (anche se sono sempre di più i sacerdoti e i fedeli costretti dagli eventi ad aprire gli occhi sull’impostura). Lo Spirito Santo, nella misura della loro rettitudine di cuore, può certo scusarli o preservarli da derive irrecuperabili, ma questo non ci autorizza a crogiolarci tranquillamente nelle nostre sicurezze senza darci pensiero per loro. Perciò è indispensabile che quanti hanno facoltà di intervenire nella direzione indicata dal nostro canonista lo facciano al più presto e senza esitazione: che riprendano pubblicamente l’occupante del soglio petrino perché o si corregga o lo abbandoni.
Pubblicato da Elia
http://lascuredielia.blogspot.it/2018/04/aut-aut-et-ego-non-sum-turbatus-te.html
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