L’articolo sul Corriere della Sera
Un manifesto riporta solo delle conoscenze di biologia sul feto a 11 settimane e conclude con un’ovvietà lapalissiana ma scatena una rabbiosa reazione che porta a chiederne la rimozione.
Un test per tutti: se verrà rimosso non si potranno più dire neanche le verità scientifiche se non allineate con la dittatura del politicamente corretto.
La conclusione più immediata ed evidente è che il popolo del politicamente corretto non tollera più nemmeno che si pubblichino dei dati di biologia se questi vanno contro le loro convinzioni ideologiche. Il vaso è quello del cartellone affisso a Roma dall’associazione Pro Vita in occasione del quarantennale della legge 194 sull’interruzione di gravidanza.
Queste le frasi riportate sul cartellone:
Tu eri così a 11 settimane:Tutti i tuoi organi erano presentiIl tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimentoGià ti succhiavi il polliceE ora sei qui perché tua mamma non ti ha abortito
Si tratta di tre dati scientifici e un’ovvietà.
Eppure gli oscurantisti del terzo millennio si sono scatenati per silenziare questi tre dati scientifici e un’affermazione di una banalità estrema ancorché inattaccabile dal punto di vista logico come una frase del tipo “sei qui perché non sei lì” o “è giorno perché non è notte”. Ecco che, come riportato dal Corriere della Sera, un’associazione denominata “Vita di Donna Onlus” scrive alla sindaca Raggi una lettera allarmata:
«Contro l’integralismo religioso che aggredisce la 194, una legge dello Stato confermata da due referendum popolari. – la sintesi della petizione lanciata su change.org – Il prossimo 22 maggio la legge 194 compie 40 anni. Con l’avvicinarsi della ricorrenza, questa associazione di integralisti lancia con manifesto dai toni aberranti una campagna che offende le donne e gli uomini e aggredisce una legge dello Stato».Si chiede infine, nel documento, che la prima cittadina della Capitale«si faccia portatrice delle istanze dei cittadini facendo rimuovere il manifesto in questione».…..«Troviamo indegna e aberrante l’iniziativa di alcuni gruppi integralisti, un maxi manifesto contro il diritto di scelta delle donne sul loro corpo. – spiega l’appello – In un paese in cui la legge 194 sull’interruzione di gravidanza si scontra con il boicottaggio del personale medico, non sentivamo davvero la necessità di assistere ad una campagna che mira a restringerne ulteriormente l’efficacia, e risulta degradante ed offensiva nei confronti delle donne».
Scopriamo grazie a Vita di Donna che le leggi dello Stato non sono criticabili, atteggiamento questo che assimila il pensiero della onlus a quello della Sharia islamica che concepisce le leggi come sacre e interpreta ogni critica come sacrilegio, ecco dunque che il diritto di critica che è l’essenza della democrazia diventa una “aggressione“. I toni del manifesto vengono definiti “aberranti”, e qui si arriva ad un pezzo di incredibile ignoranza, infatti un tono non può essere aberrante.
leggiamo la definizione di ‘tono’ sul dizionario Treccani:
Spesso, il termine precisa indirettamente il carattere, l’atteggiamento, il contenuto del discorso: gli parlava con t. di protezione, con t. di condiscendenza; glielo chiese in t. di preghiera, in t. supplichevole, in t. lamentoso; la sua voce aveva un t. ironico, canzonatorio; assume spesso un t. dottorale, un t. cattedratico; glielo disse in t. di rimprovero; mi aveva parlato con t. minaccioso o di minaccia; gli si rivolse con t. arrogante; che cos’è questo t. di comando?; anche usato assol.: non ammetto che mi si parli con questo t.; è questo il t. con cui ti rivolgi a tua madre?; sarà meglio per te cambiare tono! Anche in uno scritto: mi piace il t. con cui mi scrive!; non lasciarti intimorire dalla sua lettera, e rispondigli sullo stesso tono…
Dato che ‘aberrante’ è, sempre secondo la Treccani, “Ciò che devia, che si allontana da ciò che è o è considerato normale”, non è possibile che un tono possa essere aberrante, solo il contenuto può esserlo in quanto il tono è solo una modalità della comunicazione.
La lettera prosegue poi affermando che il manifesto offende “le donne e gli uomini”, frase in sé irrilevante in quanto immotivata, se infatti offendere significa ‘urtare’ nella protesta non viene spiegato in che modo il cartellone ‘urti’ donne e uomini, l’affermazione risulta quindi vuota di significato. Si torna poi sul concetto inesistente in democrazia di ‘aggressione’ ad una legge ma esistente nelle legislazioni di stampo teocratico integralista tipo la Sharia.
La lettera prosegue poi con un’affermazione nuovamente sovvertitrice delle regole democratiche in quanto chi scrive definisce il proprio personale pensiero come quello dei “cittadini”: da quale dato si può evincere che le istanze di Vita di Donna sulla rimozione del tabellone coincidano con quelle dei cittadini? Nessuno ovviamente.
Davvero interessante poi che gli autori della lettera definiscano ‘integralisti’ quelli del tabellone dopo aver manifestato loro tutte le caratteristiche dell’integralismo più intollerante e antidemocratico.
La fiera delle illogicità, contraddizioni e fallacie prosegue poi con l’affermazione “un maxi manifesto contro il diritto di scelta delle donne sul loro corpo“: se c’è qualcosa che nel manifesto non viene nominato è il corpo della donna incinta ma solo quello del nascituro. Ed è questa la fallacia sulla quale si sono basate le campagne abortiste per decenni, quella di far pensare che la decisione riguardasse il unicamente il corpo della donna incinta ignorando la presenza di un altro corpo, quello del bambino richiamato all’attenzione dal manifesto in questione.
Il carattere fondamentalista dell’atteggiamento di chi ha scritto l’appello si conferma con la definizione di “boicottaggio” usata per criminalizzare l’obiezione di coscienza che è dopo quello alla vita uno dei principali diritti in una società non totalitaria. Forse qualche domanda sul perché così tanti medici si rifiutino di compiere quell’atto potrebbero porsela.
Sconcertante poi che si parli di “efficacia ridotta” della 194 se si forniscono elementi scientifici a supporto di una scelta informata e consapevole. Questa opposizione alla piena informazione fa pensare che per gli autori della lettera la 194 abbia come scopo ottenere il massimo numero di aborti possibile.
La richiesta alla Sindaca termina poi rinnovando le accuse al tabellone di essere una campagna ‘degradante ed offensiva nei confronti delle donne‘, ancora accuse ingiustificate in quanto non si capisce come possano dei dati scientifici ed un’ovvietà essere degradanti ed offensivi per qualcuno.
Ma la posizione della Onlus è condivisa da significative parti del mondo ‘radical-progressista’ come testimoniato dal tweet di Monica Cirinnà sull’argoemnto:
Dalle poche righe della lettera di protesta emerge l’aggressività di un mondo ‘politicamente corretto’ permeato di dogmatismi che non esitano a scagliarsi contro delle semplici enunciazioni di dati scientifici, un modo di pensare che è l’essenza della dittatura del politicamente corretto, una dittatura che ha nei suoi sostenitori persone convinte di essere per definizione dalla parte giusta e quindi aggressivamente ostili ad altri modi di pensare. La battaglia di Pro Vita è quindi oggi la battaglia di tutti i liberi pensatori, cambiando a piacere l’argomento le dinamiche restano le stesse: è libero pensiero contro dogmatismo oscurantista.
Un’ultima cosa. Voto zero alla strategia comunicativa dell’Associazione Vita di Donna: il manifesto dell’associazione Pro Vita sarebbe passato inosservato quasi a tutti, grazie alle proteste adesso sulle home page del Corriere e di Repubblica e così l’hanno visto e ne parlano milioni di italiani. Una pubblicità insperata che vale milioni di Euro.
BY ENZO PENNETTA ON
Roma scoppia la polemica sul manifesto anti aborto
La onlus ProVita affigge un manifesto anti aborto a Roma. Scoppia la polemica, le donne di sinistra: "Lo faremo rimuovere"
"Tu eri così a 11 settimane. Tutti i tuoi organi erano presenti, il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento, già ti succhiavi il pollice.
E ora sei qui perché tua mamma non ti ha abortito".
È il maxi manifesto anti aborto affisso dalla onlus ProVita: un cartellone di 7 metri per 11 che ritrae l'immagine di un embrione di 11 settimane (guarda) e che, nell'intenzione dell'associazione, vuole "scuotere milioni di coscienze" e ricordare "a Roma, all'Italia e a tutto il mondo che l’interruzione volontaria della gravidanza (Ivg) sopprime un essere vivente" in occasione del 22 maggio, anniversario della legalizzazione dell'aborto volontario.
"Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, fu chiamata la legge 194 del 1978, che ben poco si è preoccupata di tutelare la maternità, consentendo invece di sopprimere bambini non ancora nati", spiegano da ProVita, "Dal 1978, sono stati più di 6 milioni quelli uccisi dall’aborto, senza contare le vite che si sopprimono in solitudine, tra le pareti domestiche, con le pillole abortive fra le quali la Ru 486, il pesticida umano, che ha già causato quasi 30 morti anche tra le donne che l'hanno assunta".
"Ma è concepibile che in un’Italia, dove solo il 38% dei malati di tumore può accedere alle cure palliative e dove circa 200mila anziani o disabili sono rispediti a casa ogni anno dagli ospedali pubblici, per mancanza di fondi per la sanità, lo Stato spenda centinaia di milioni di euro di fondi pubblici per finanziare scelte individuali che causano l’eliminazione di esseri umani, e che non sono condivise da una grande fetta della popolazione?", protesta a Toni Brandi, presidente della onlus che ha lanciato una petizione "affinché il ministero della Salute garantisca che le donne vengano messe a conoscenza delle conseguenze, provocate dall’aborto volontario sulla loro salute fisica e psichica".
Una campagna che non poteva non suscitare polemiche. In molti sui social, come racconta RomaToday, parlano di "roba indegna" o "manifesto disgustoso" che fa "davvero vomitare". E le donne del Pd e della Lista Civica "RomaTornaRoma" sono arrivate a presentare una mozione "per chiedere al Campidoglio la rimozione immediata di questi manifesti".
Giovanni Corato
La onlus ProVita affigge un manifesto anti aborto a Roma. Scoppia la polemica, le donne di sinistra: "Lo faremo rimuovere"
"Tu eri così a 11 settimane. Tutti i tuoi organi erano presenti, il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento, già ti succhiavi il pollice.
E ora sei qui perché tua mamma non ti ha abortito".
È il maxi manifesto anti aborto affisso dalla onlus ProVita: un cartellone di 7 metri per 11 che ritrae l'immagine di un embrione di 11 settimane (guarda) e che, nell'intenzione dell'associazione, vuole "scuotere milioni di coscienze" e ricordare "a Roma, all'Italia e a tutto il mondo che l’interruzione volontaria della gravidanza (Ivg) sopprime un essere vivente" in occasione del 22 maggio, anniversario della legalizzazione dell'aborto volontario.
"Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, fu chiamata la legge 194 del 1978, che ben poco si è preoccupata di tutelare la maternità, consentendo invece di sopprimere bambini non ancora nati", spiegano da ProVita, "Dal 1978, sono stati più di 6 milioni quelli uccisi dall’aborto, senza contare le vite che si sopprimono in solitudine, tra le pareti domestiche, con le pillole abortive fra le quali la Ru 486, il pesticida umano, che ha già causato quasi 30 morti anche tra le donne che l'hanno assunta".
"Ma è concepibile che in un’Italia, dove solo il 38% dei malati di tumore può accedere alle cure palliative e dove circa 200mila anziani o disabili sono rispediti a casa ogni anno dagli ospedali pubblici, per mancanza di fondi per la sanità, lo Stato spenda centinaia di milioni di euro di fondi pubblici per finanziare scelte individuali che causano l’eliminazione di esseri umani, e che non sono condivise da una grande fetta della popolazione?", protesta a Toni Brandi, presidente della onlus che ha lanciato una petizione "affinché il ministero della Salute garantisca che le donne vengano messe a conoscenza delle conseguenze, provocate dall’aborto volontario sulla loro salute fisica e psichica".
Una campagna che non poteva non suscitare polemiche. In molti sui social, come racconta RomaToday, parlano di "roba indegna" o "manifesto disgustoso" che fa "davvero vomitare". E le donne del Pd e della Lista Civica "RomaTornaRoma" sono arrivate a presentare una mozione "per chiedere al Campidoglio la rimozione immediata di questi manifesti".
Giovanni Corato
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