ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 11 maggio 2018

Beata ingenuità a tutte le età!..?

Paolo VI e la “riforma della riforma”


                                                     

Il 19 aprile scorso Sandro Magister ha pubblicato sul blog Settimo Cielo una recensione del libro Paolo VI. Una storia minima, curato da Mons. Leonardo Sapienza (Edizioni Viverein, Monopoli, 2018), nel quale il Curatore, sulla base dei Diari del Cardinale Virgilio Noè, offre uno spaccato del Paolo VI “segreto”. Essendo stato il Card. Noè per molti anni (1970-1982) Maestro delle cerimonie pontificie, gran parte delle note riguardano questioni liturgiche. 


I miei lettori di antica data conoscono la mia grande ammirazione e venerazione per Paolo VI (tra gli altri, si vedano i post del 24 giugno 2009 e del 27 agosto 2009). Devo perciò confessare che la lettura del post di Magister mi ha provocato non poco dispiacere. Finora io avevo sempre difeso Paolo VI a proposito della riforma liturgica e mi ero fatto la convinzione che essa fosse stata attuata sotto il suo occhio vigile, nonostante le spinte dei liturgisti innovatori e in particolare di Mons. Annibale Bugnini. 

Era noto da tempo l’aneddoto sull’ottava di Pentecoste che era stata abolita, a quanto pare all’insaputa del Papa; ma si trattava, appunto, di un semplice aneddoto. Dal libro di Mons. Sapienza, invece, viene fuori un Paolo VI a cui la riforma liturgica non sarebbe piaciuta poi cosí tanto. Inevitabile reazione a caldo: ma allora, perché la approvò? Le osservazioni (e le battute) fatte a Noè poteva farle chiunque, ma non il Papa che aveva approvato la riforma liturgica. Come dire, mi è crollata tutta d’un tratto l’immagine di Paolo VI. E questo alle soglie della sua canonizzazione…

Provvidenzialmente è arrivato l’articolo del Padre Mario Lessi Ariosto sull’Osservatore Romano del 9 maggio (ripreso dallo stesso Magister nel suo blog), molto utile per vedere le cose nella giusta prospettiva. Riportare alcune battute estrapolate dal loro contesto, nonché farci conoscere piú da vicino una persona, rischiano di falsare completamente la realtà. Molto opportunamente Padre Lessi Ariosto evidenzia una frase del discorso di Paolo VI ai Cerimonieri pontifici del 14 febbraio 1970, che ci fa capire quale fosse il clima di quegli anni, nei quali «tutto è nuovo, e non si è sempre pronti, come poteva essere una volta. Dopo tanti anni, anche per il Papa il cambiare non è una cosa facile». Sembrerebbe di capire — e lo può comprendere pienamente chi ha vissuto quell’epoca — che lo stesso Pontefice in qualche modo “subí” il rinnovamento da lui stesso promosso. Voglio dire che in quegli anni tutti si sentivano in dovere di rinnovare tutto: prima che un volere era un dovere. Semmai, Paolo VI ebbe il merito di guidare questo rinnovamento con sapiente discernimento (anche se certamente anche lui poté commettere degli errori). 

Ma Padre Lessi Ariosto ricorda un altro aspetto importante, che non può in alcun modo essere trascurato: la mole di lavoro che dovette affrontare Paolo VI nell’immediato post-concilio:
Non c’è dunque da meravigliarsi se quel Papa, con un concilio da far applicare, una nuova ecclesiologia, un cammino ecumenico e un impegno missionario rinnovati, una nuova Vulgata, una riforma liturgica vasta e articolata, un nuovo codice di diritto canonico in preparazione, rapporti umani e mille altre importanti incombenze cui attendere non potesse materialmente disporre di tempo per studiare personalmente tutti i particolari di ogni formulario di testi e di ogni rito. 
A tali questioni, che certamente richiesero non poca attenzione e impegno da parte del Pontefice, io aggiungerei lo studio e l’approfondimento di alcuni temi dottrinali di non poco conto: si pensi all’enciclica Mysterium fidei (3 settembre 1965), alla costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina (1° gennaio 1967), all’enciclica Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967), all’enciclica Humanae vitae (25 luglio 1968). Come si diceva, in quegli anni tutto veniva messo in discussione, sembrava che tutto potesse — dovesse! — cambiare; non era facile distinguere ciò che poteva (o doveva) cambiare da ciò che doveva invece restare immutato. Sommerso da questa mole di impegni, come poteva il povero Pontefice preoccuparsi anche dei dettagli della riforma liturgica?

Però fra le battute riportate da Mons. Sapienza mi pare che ce ne sia una, pronunciata il 10 aprile 1971, al termine della veglia pasquale, di cui dovremmo far tesoro: «Questa liturgia della veglia pasquale è definitiva? … Ma si potrà ancora cambiare qualche cosa?». Paolo VI aveva appena approvato il nuovo Messale (la costituzione apostolica Missale Romanum è del 3 aprile 1969) e già si chiedeva se si potesse cambiare qualcosa. Beh, direi che in queste parole ci sia non solo il via libera, ma in qualche modo direi anche la richiesta di Paolo VI per una “riforma della riforma”. Lui stesso, che aveva approvato la riforma, sentiva il bisogno che essa fosse ulteriormente ritoccata. Bisogna dire che in questi cinquant’anni qualcosa è stato fatto (si pensi soprattutto alla terza edizione del Messale del 2000); ma ancora molto rimane da fare. Capisco, che non è questo il momento migliore per mettere mano alla riforma liturgica: si correrebbe il rischio di distruggere definitivamente la liturgia. Rimane il fatto che ci sia bisogno di una riforma della riforma, checché ne dica la Sala stampa vaticana (qui). E rimane la speranza espressa dal Cardinale Robert Sarah nel suo libro La forza del silenzio:
Ecco la mia speranza: se Dio lo vuole, quando lo vorrà e come lo vorrà, in liturgia, la riforma della riforma si farà. Nonostante lo stridore di denti, essa verrà, perché ne va dell’avvenire della Chiesa.
Q
http://querculanus.blogspot.com/2018/05/paolo-vi-e-la-riforma-della-riforma.html

Paolo VI e la riforma liturgica. La approvò, ma gli piaceva poco




"Lo vuole il papa". È così che monsignor Annibale Bugnini (1912-1982), l'artefice della riforma liturgica che seguì al Concilio Vaticano II, metteva ogni volta a tacere gli esperti che contestavano l'una o l'altra delle sue innovazioni più sconsiderate.
Il papa era Paolo VI, che in effetti aveva affidato proprio a Bugnini il ruolo di segretario e factotum del consiglio per la riforma della liturgia, presieduta dal cardinale Giacomo Lercaro.
Bugnini godeva di pessima reputazione presso alcuni dei componenti del consiglio. "Scellerato e mellifluo", "manovratore", "sprovvisto di cultura come di onestà": così l'ha definito nelle sue "Memorie" il grande teologo e liturgista Louis Bouyer (1913-2004), stimatissimo da Paolo VI.
Il quale papa, alla fine, fu sul punto di fare cardinale Bouyer e punì Bugnini esiliandolo come nunzio a Teheran, resosi conto dei danni che aveva procurato e della falsità di quel "Lo vuole il papa" di cui il reprobo si faceva scudo.
Nei decenni successivi, comunque, gli eredi di Bugnini dominarono il campo. Il suo segretario personale Piero Marini fu dal 1983 al 2007 il regista delle cerimonie pontificie. E di recente sono usciti su Bugnini dei libri che ne esaltano il ruolo.
Ma tornando a Paolo VI, come egli visse la vicenda della riforma liturgica? I difensori della liturgia preconciliare additano in lui il responsabile ultimo di tutte le innovazioni.
In realtà tra Paolo VI e la riforma che man mano prendeva corpo non c'era affatto quella sintonia che i critici gli rimproverano.
Anzi, non poche volte Paolo VI soffriva per ciò che vedeva compiersi, e che era all'opposto della sua cultura liturgica, della sua sensibilità, dello spirito con cui lui stesso celebrava.
C'è un piccolo libro, uscito nei giorni scorsi, che getta una nuova luce proprio su questa personale sofferenza di papa Giovanni Battista Montini per una riforma liturgica di cui non condivideva tante cose:
In questo libro monsignor Sapienza – che dal 2012 è reggente della prefettura della casa pontificia – raccoglie varie pagine dei "Diari" redatti da colui che con Paolo VI era il maestro delle cerimonie pontificie, Virgilio Noè (1922-2011), poi divenuto cardinale nel 1991.
Con questi "Diari" Noè prolungò una tradizione che risale al "Liber notarum" del tedesco Johannes Burckardt, cerimoniere di Alessandro VI. Nel resoconto di ogni celebrazione Noè registrava anche tutto ciò che Paolo VI gli aveva detto prima e dopo il rito, compresi i suoi commenti a talune novità della riforma liturgica sperimentati per la prima volta in quell'occasione.
Ad esempio, il 3 giugno 1971, dopo la messa di commemorazione della morte di Giovanni XXIII, Paolo VI commentò:
"Come mai nella liturgia dei defunti non si parla più di peccato e di espiazione? Manca completamente l’implorazione alla misericordia del Signore. Anche stamattina, per la messa celebrata nelle Grotte [vaticane], pur avendo dei testi bellissimi, mancava in essi tuttavia il senso del peccato e il senso della misericordia. Ma abbiamo bisogno di questo! E quando verrà la mia ultima ora, domandate misericordia per me al Signore, perché ne ho tanto bisogno!".
E ancora nel 1975, dopo un'altra messa celebrata in memoria di Giovanni XXIII:
"Certo, in questa liturgia mancano i grandi temi della morte, del giudizio…".
Il riferimento non è esplicito, ma Paolo VI qui lamentava, tra l'altro, l'estromissione dalla liturgia dei defunti della grandiosa sequenza "Dies irae", che in effetti oggi non si recita né si canta più nelle messe, ma sopravvive solo nei concerti, nelle composizioni di Mozart, Verdi e di altri musicisti.
Un'altra volta, il 10 aprile 1971, al termine della veglia pasquale riformata, Paolo VI commentò:
"Certo che la nuova liturgia ha molto alleggerito la simbologia. Però la esagerata semplificazione ha tolto degli elementi che una volta facevano molta presa sull’animo dei fedeli".
E chiese al suo cerimoniere: "Questa liturgia della veglia pasquale è definitiva?".
Al che Noè rispose: "Sì, Padre Santo, ormai i libri liturgici sono stati stampati".
"Ma si potrà ancora cambiare qualche cosa?", insisté il papa, evidentemente non soddisfatto.
Un'altra volta, il 24 settembre 1972, Paolo VI replicò al proprio segretario Pasquale Macchi, che lamentava la lunghezza del canto del "Credo":
"Ma ci deve essere qualche isola in cui tutti si ritrovino insieme: ad esempio il 'Credo', il 'Pater noster' in gregoriano...".
Il 18 maggio 1975, dopo aver notato più d'una volta che durante la distribuzione della comunione, in basilica o in piazza San Pietro, c'era chi passava di mano in mano l'ostia consacrata, Paolo VI commentò:
"Il pane eucaristico non può essere trattato con tanta libertà! I fedeli, in questi casi, si comportano da… infedeli!".
Prima di ogni messa, mentre rivestiva i paramenti sacri, Paolo VI continuò a recitare le preghiere previste nel messale antico "cum sacerdos induitur sacerdotalibus paramentis" anche dopo che erano state abolite. E un giorno, il 24 settembre 1972, chiese sorridendo a Noè: "È proibito recitare queste preghiere mentre si indossano i paramenti?".
"No, Padre Santo: si possono recitare, se lo si vuole", gli rispose il cerimoniere.
E il papa: "Ma non si trovano più queste preghiere in nessun libro: anche nella sagrestia non ci sono più i cartelli… E così si perderanno!".
Sono piccole battute, espressive però della sensibilità liturgica di papa Montini e del suo disagio per una riforma che vedeva procedere fuori misura, come lo stesso Noè ha annotato nei suoi "Diari":
"Si ha l’impressione che il papa non sia completamente soddisfatto di quello che è stato compiuto nella riforma liturgica. […] Non sempre conosce tutto quello che è stato fatto per la riforma liturgica. Forse qualche volta gli è sfuggito qualche cosa, nel momento della preparazione e dell’approvazione".
Anche questo dovrà essere ricordato di lui, quando nel prossimo autunno Paolo VI sarà proclamato santo.
*
A titolo di documentazione, ecco qui di seguito – in latino e in lingua moderna – le preghiere che i sacerdoti dicevano mentre indossavano i paramenti sacri e che Paolo VI continuò a recitare anche dopo la loro cancellazione dagli attuali libri liturgici.
Cum lavat manus, dicat:
Mentre si lava le mani, dica:
Da, Domine, virtutem manibus meis ad abstergendam omnem maculam: ut sine pollutione mentis et corporis valeam tibi servire.
Concedi, o Signore, che le mie mani siano monde da ogni macchia: affinché possa servirti con purezza di mente e di corpo.
Ad amictum, dum ponitur super caput, dicat:
All'amitto, mentre se lo poggia sul capo, dica:
Impone, Domine, capiti meo galeam salutis, ad expugnandos diabolicos incursus.
Imponi, o Signore, sul mio capo l’elmo della salvezza, per vincere gli assalti del demonio.
Ad albam, cum ea induitur:
Al camice, mentre lo indossa:
Dealba me, Domine, et munda cor meum; ut, in sanguine Agni dealbatus, gaudiis perfruat sempiternis.
Purificami, o Signore, e monda il mio cuore: affinché, purificato nel sangue dell’Agnello, io goda dei gaudii eterni.
Ad cingulum, dum se cingit:
Al cingolo, mentre se ne cinge:
Praecinge me, Domine, cingulo puritatis, et extingue in lumbis meis humorem libidinis; ut maneat in me virtus continentiae et castitatis.
Cingimi, o Signore, col cingolo della purezza, ed estingui nei miei lombi l’ardore della concupiscenza; affinché si mantenga in me la virtú della continenza e della castità.
Ad manipulum, dum imponitur bracchio sinistro:
Al manipolo, mentre se lo pone sul braccio sinistro:
Merear, Domine, portare manipulum fletus et doloris; ut cum exsultatione recipiam mercedem laboris.
Fa, o Signore, che io meriti di portare il manipolo del pianto e del dolore: affinché riceva con gioia la mercede del mio lavoro.
Ad stolam, dum imponitur collo:
Alla stola, mentre se la pone sul collo:
Redde mihi, Domine, stolam immortalitatis, quam perdidi in praevaricatione primi parentis: et, quamvis indignus accedo ad tuum sacrum mysterium, merear tamen gaudium sempiternum.
Rendimi, o Signore, la stola dell’immortalità, perduta per la prevaricazione del progenitore; e sebbene io acceda indegno al tuo sacro mistero, fa che possa meritare il gaudio eterno.
Ad casulam, cum assumitur:
Alla pianeta, mentre se la impone:
Domine, qui dixisti: Iugum meum suave est, et onus meum leve: fac, ut istud portare sic valeam, quod consequar tuam gratiam. Amen.
O Signore, che hai detto: Il mio giogo è soave e il mio carico è lieve: fa che io possa portare questo in modo da conseguire la tua grazia. Così sia.
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Montini
POST SCRIPTUM – Il 9 maggio "L'Osservatore Romano" ha pubblicato un articolo che può essere letto come una reazione a questo post di Settimo Cielo:
L'autore, il gesuita Mario Lessi Ariosto, è stato capo ufficio nella congregazione per il culto divino.
Scrive di possedere un testo della discussa istruzione sulle traduzioni dei testi liturgici "Comme le prévoit" del 1969 "annotato e corretto di suo pugno" da Paolo VI.
E correda il suo articolo con la riproduzione di un autografo di Paolo VI in cui il papa "afferma di aver lavorato insieme a monsignor Annibale Bugnini e di apprezzare come gli esperti avessero tenuto conto delle sue osservazioni e le avessero incluse nella redazione finale".

Settimo Cielo di Sandro Magister19 aprhttp://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/04/19/paolo-vi-e-la-riforma-liturgica-la-approvo-ma-gli-piaceva-poco/

Paolo VI e la riforma liturgica. Anche per il papa cambiare non è facile

Montini

di Mario Lessi Ariosto S.J.
(Da "L'Osservatore Romano" del 9 maggio 2018)
Basandosi sui diari delle celebrazioni liturgiche tenuti tra il 1970 e il 1978 da monsignor Virgilio Noè, maestro delle cerimonie pontificie, Leonardo Sapienza ha pubblicato un altro piccolo libro dedicato a Papa Montini (Paolo VI, "Una storia minima", Monopoli, Edizioni VivereIn, 2018, pagine 118, euro 10). L’intento del curatore della raccolta, e ancor prima dell’autore dei diari, era quello di non lasciar cadere nell’oblio nulla degli aspetti più semplici della profondità umana, cristiana e sacerdotale, ma anche delle virtù vissute nella quotidianità da Montini. Entrambi hanno così tramandato e ripresentato frammenti di umanità e del progresso spirituale di chi, dominato dall’amore di Cristo, della Chiesa, dell’umanità, fra non molto, come è stato annunciato, sarà incluso nel catalogo dei santi.
Nella scelta delle parole di Montini, generalmente datate, anche se divise e presentate in sedici tematiche il curatore vuol far scoprire e comprendere ai lettori la statura umana e spirituale del Papa. Con semplici inquadrature, che in qualche caso avrebbero potuto essere un po’ amplificate con l’aiuto di altre pagine scritte dal cardinale Noè sull’argomento in articoli, conferenze, omelie per aiutare chi legge a penetrare meglio l’occasione di certe frasi, monsignor Sapienza raggiunge il fine che si era proposto: avvicinare i lettori a un Paolo VI quasi segreto. E quando si accosta un santo si riceve sempre qualcosa, perché la sua missione di bene si prolunga nel tempo.
Rivolgere lo sguardo a Montini implica un ritornare al concilio nella sua interezza. Ma significa anche, poiché il contesto generale dei diari di Noè è la liturgia presieduta dal Papa, ritornare al rinnovamento della vita liturgica della Chiesa romana sancita dal concilio, alla riforma dei riti e dei testi che Paolo VI ha voluto, sostenuto e messo in atto, anche se con l’umana fatica, di chi si trovava davanti a qualcosa dove "tutto è nuovo, e non si è sempre pronti, come poteva essere una volta. Dopo tanti anni, anche per il Papa il cambiare non è una cosa facile" (p. 25) riconobbe Montini.
Nella medesima udienza ai cerimonieri del 14 febbraio 1970 dalla quale il curatore ha tratto quella frase, Paolo VI disse anche che "i cerimonieri non devono avere solo una conoscenza relativa e superficiale dello svolgimento delle cerimonie, ma devono approfondire la materia, perché devono rendere conto a tutti di quello che avviene". E aggiunse che "per poter rendere conto di tutto, bisogna applicarsi a uno studio personale". Non c’è dunque da meravigliarsi se quel Papa, con un concilio da far applicare, una nuova ecclesiologia, un cammino ecumenico e un impegno missionario rinnovati, una nuova Vulgata, una riforma liturgica vasta e articolata, un nuovo codice di diritto canonico in preparazione, rapporti umani e mille altre importanti incombenze cui attendere non potesse materialmente disporre di tempo per studiare personalmente tutti i particolari di ogni formulario di testi e di ogni rito.
Il curatore del libro lo ha corredato anche della riproduzione fotografica di alcuni autografi di Paolo VI: una nota personale sulla sua tomba, un biglietto di auguri a Noè, tre a monsignor Giovanni De Andrea, uno a monsignor Giuseppe Caprio, una lettera privata a monsignor Pietro Palazzini e otto lettere in risposta agli auguri del cardinale Jean Villot per sottolineare l’attenzione di Montini nei confronti dei collaboratori. Di autografi simili ne esistono certo molti altri. Chi scrive ha avuto tra le mani alcuni di questi scritti, illuminanti sul modo in cui il Papa seguiva la riforma e il rinnovamento della vita liturgica: alcuni riti, istruzioni come quelle sul mistero eucaristico e quella sulle traduzioni dei testi liturgici ("Comme le prévoit") annotati e corretti di suo pugno.
Uno speciale autografo è quello che ha concluso l’iter di riforma dell’ordo missae dove Paolo VI afferma di aver lavorato insieme a monsignor Annibale Bugnini e di apprezzare come gli esperti avessero tenuto conto delle sue osservazioni e le avessero incluse nella redazione finale. E proprio sull’"ordo missae" il Papa intervenne, considerando suo quanto realizzato con l’aiuto dei collaboratori e difendendo l’insieme della riforma, nel concistoro del 24 maggio 1976 (cfr. "Acta apostolicae sedis", 68, 1977, p. 374), quando paragonò la sua promulgazione all’approvazione da parte di Pio v del messale voluto dal concilio di Trento.
*
Nell'illustrazione l’appunto autografo di Paolo VI sulla riforma dell’"ordo missae" datato 6 novembre 1968. Il testo è stato pubblicato nella nuova edizione dell’opera di Annibale Bugnini "La riforma liturgica (1948-1975)", Roma, Centro Liturgico Vincenziano, 1997, p. 380.

Settimo Cielo di Sandro Magister 09 mag 

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/05/09/paolo-vi-e-la-riforma-liturgica-anche-per-il-papa-cambiare-non-e-facile/


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