ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 5 maggio 2018

L’ultima vergogna in attesa della prossima

Alfie, padre Gabriele rispedito in Italia
Padre Gabriele Brusco, il sacerdote italiano che è stato vicino a Thomas Evans e Kate James nei giorni decisivi per Alfie, è costretto a lasciare l’Inghilterra e lunedì sarà già in Italia. Ritirata la richiesta di incardinazione nella diocesi di Westminter.

Il cardinale Nichols

Padre Gabriele Brusco, il sacerdote italiano che è stato vicino a Thomas Evans e Kate James nei giorni decisivi per Alfie, è costretto a lasciare l’Inghilterra e lunedì sarà già in Italia. La decisione era già nell’aria da tempo ma si è concretizzata mercoledì 2 maggio dopo l’incontro che padre Gabriele ha avuto con il vescovo ausiliare di Westminster John Sherrington per esaminare la sua situazione.
Durata e contenuti del colloquio sono top secret, per espressa volontà di monsignor Sherrington, ma non deve essere stata un’occasione particolarmente gradevole se al termine del colloquio padre Gabriele ha deciso di ritirare la richiesta di incardinazione nella diocesi di Westminster. Deve anche lasciare l’Inghilterra subito e non potrà quindi partecipare ai funerali del piccolo Alfie, previsti per venerdì prossimo. È l’ultima vergogna della gerarchia cattolica inglese, che da questa vicenda ne esce a pezzi.

Padre Gabriele era a Londra da due anni e mezzo, nella parrocchia dedicata alla Madonna di Lourdes nel quartiere di Southgate. Proveniente dall’ordine dei Legionari di Cristo era arrivato in Inghilterra per un periodo di riflessione e un anno e mezzo fa aveva deciso di chiedere l’incardinazione nella diocesi di Westminster. Pur essendo perciò in un periodo di osservazione, non ci aveva pensato due volte a raggiungere l’Alder Hey Hospital di Liverpool dopo aver letto dalla Nuova Bussola Quotidiana dell’impossibilità di trovare in loco un prete che fornisse assistenza spirituale agli Evans. E dopo una prima visita è tornato negli ultimi giorni di vita di Alfie, passando tre giorni e tre notti in ospedale a fianco di Tom e Kate prima di essere richiamato d’urgenza a Londra dalla diocesi. Non prima, ovviamente, di essersi preso una lavata di capo anche dal vescovo ausiliare di Liverpool, monsignor Tom Williams.
Stando anche alle dichiarazioni e comunicati dell’arcivescovo di Liverpool Malcolm McMahon e dell’arcivescovo di Westminster, il cardinale Vincent Nichols, è chiaro l’incondizionato appoggio di costoro ai medici dell’Alder Hey Hospital – e quindi anche ai giudici –, anche a costo di mostrare spudoratamente tutta la propria ignoranza del caso Alfie, per non parlare delle suggestive interpretazioni del Catechismo cattolico.
Appare ora evidente che l’imprevista presenza di padre Gabriele ha avuto il merito (per noi) di mettere a nudo un sistema di alleanza e complicità tra ospedale e diocesi intorno alla pratica dell’eutanasia (anche se qui si rifiutano di definirla tale). Non solo, in una breve omelia pronunciata poco prima che fosse staccata la ventilazione ad Alfie, padre Gabriele si era appellato alla coscienza dei sanitari, alla loro responsabilità personale, per evitare un gesto così grave come quello di mettere a morte un bambino.
Le lamentele di qualcuno del personale sono arrivate subito alla diocesi di Liverpool, il cui vescovo anziché difendere padre Gabriele lo ha invece inquisito. Costretto a lasciare l’ospedale poco prima della morte di Alfie, ora deve lasciare anche l’Inghilterra e rimettersi a disposizione dei Legionari di Cristo, il cui superiore deciderà nei prossimi giorni dove destinarlo.
Il caso ha comunque messo a nudo il disastro di una Chiesa cattolica inglese che accetta supinamente il ruolo di braccio spirituale del potere politico in un sistema che ha decisamente virato verso un nuovo totalitarismo. Al punto che la Conferenza episcopale ha preso una dura posizione a fianco dell’ospedale subito dopo l’udienza privata che il Papa ha concesso a Tom e dopo l’appello per Alfie lanciato all’udienza generale successiva. È un atteggiamento incomprensibile che fa nascere anche diversi sospetti sui reali motivi di tale posizione acritica. Ce ne è abbastanza per giustificare una visita apostolica che appuri cosa accade nella Chiesa inglese.
Riccardo Cascioli
http://lanuovabq.it/it/alfie-padre-gabriele-rispedito-in-italia 

Durante gli ultimi giorni della vita di Alfie, un sacerdote ha rivestito un ruolo determinante per il bambino e per i suoi genitori. Ma anche per tutti noi, che sapevamo la fortezza presidiata.
Di lui, don Gabriele Brusca, abbiamo già parlato in un nostro precedente articolo . La sua presenza dentro l’Alder Hey Hospital al fianco della famiglia Evans e poi il suo allontanamento improvviso decretato “dall’alto”, fanno parte di una trama parallela intimamente intrecciata al dramma di Alfie. Illuminante (di luce sinistra) quando si tratti di ricostruire gli eventi nella loro successione temporale e logica.

Che ne è ora di don Gabriele? Le sue sorti interessano tutti noi perché in questo momento e in questo contesto egli incarna il paradigma del sacerdote in tempo di grande apostasia.
Da fonti diverse ci è giunta la notizia che dovrà presto lasciare l’Inghilterra. Bandito dalla terra di Albione. La cosa non ci sorprende: avendo fatto ciò che un prete deve fare trovandosi al capezzale di una persona gravemente malata – nulla di più e nulla di meno – egli si è posto, suo malgrado, in conflitto frontale con la chiesa ufficiale d’Inghilterra, quell’apparato grottesco che dall’inizio alla fine ha tenuto una posizione saldamente (diremmo pornograficamente) allineata a ospedale e corti di “giustizia”, senza il minimo cedimento e oltre ogni immaginazione. Secondo questa chiesa, l’aggravante per don Gabriele sta nel fatto che se l’è pure cercata, perché ha avuto l’ardire di materializzarsi nell’ospedale degli orrori obbedendo solo alla propria coscienza e contravvenendo alla tacita (ma inequivoca) volontà del clero britannico di abbandonare gli Evans al loro destino segnato, secondo le linee guida della nuova pastorale dei nuovi pastori della nuova chiesa post-cattolica.
La condotta del sacerdote italiano – che, ripetiamo, è diventato un eroe involontario in uno scenario capovolto – costituiva un plateale disturbo al lavoro di squadra delle istituzioni inglesi, in seno al quale l’apporto della chiesa traditrice era, e rimane, essenziale. Anche (ma non solo) dal punto di vista spirituale, don Gabriele rappresentava paradossalmente un vulnus annidato nel cuore pulsante del mostro che la cupola del potere stava costruendo e nutrendo nel suo laboratorio faustiano, a maleficio di tutti.
Talmente sfacciata è stata la marcia trionfale della banda necrofila, che la mannaia ha abbattuto l’ostacolo imprevisto sotto i riflettori del mondo intero. Tanto, si sa, la narrativa ufficiale è poi capace di sistemare tutto in modo da far tornare i conti agli occhi del bravo spettatore eterodiretto, iperconnesso e ipopensante.
Dunque don Gabriele, al momento, si trova ancora a Londra, dove gli è stato vietato di uscire e di celebrare la Messa in pubblico. Può farlo soltanto dentro la sua stanza. A chiunque gli chieda notizie circa il proprio allontanamento da Liverpool ha la consegna di rispondere manifestando adeguata contrizione per il disservizio reso alla chiesa inglese. Modello di chiesa evoluta, misericordiosa, accogliente, in uscita.
Ma questa chiesa sedicente cattolica da chi dipende? È sciolta da ogni autorità superiore o risponde ancora a qualcuno? Ma dato che, evidentemente, risponde a “qualcuno”, cosa è andato a fare l’arcivescovo Mc Mahon a Roma a ridosso del richiamo di don Gabriele e dell’uccisione di Alfie?
Chi sta permettendo questo trattamento degradante verso un ministro di Dio che si è “macchiato” della colpa di portare il conforto dei sacramenti a una famiglia travagliata oltre ogni misura? Di chi è, in ultima analisi, la responsabilità di questo scempio nello scempio?
Siamo certi, certissimi, che se don Gabriele si fosse prestato a dirottare l’esercizio del proprio ministero verso una qualche famiglia arcobaleno in vacanza o verso un qualche sodomita impenitente in esercizio effettivo, la neochiesa universale gli starebbe ora tributando tutti gli onori. La ribalta, e la carriera, sarebbero a lui assicurate. E guai all’oscurantista che osasse obiettare.
Per grazia di Dio a don Gabriele tocca oggi un destino altro, che solo in apparenza è più crudele. Tertulliano diceva che il sangue dei martiri è il seme dei cristiani. Il sangue del piccolo Alfie, martire innocente, sta producendo i suoi frutti.
https://www.riscossacristiana.it/che-fine-ha-fatto-langelo-custode-di-alfie-di-redazione/
  • COME ALFIE

«Anche mia figlia Kaila è morta di fame e di sete a Liverpool»


«Kaila era sveglia ed è stata cosciente di questi tremendi trattamenti palliativi fino alla fine. Gridava e piangeva per la fame tutto il tempo. Non si calmava. È la morte peggiore a cui abbia mai assistito. Se avessi saputo prima quello che aveva, avrei combattuto contro i medici. È ora che si alzino tutti in piedi»
- A MIGLIAIA SONO GIA' MORTI COME ALFIE - di Benedetta Frigerio
PADRE GABRIELE RISPEDITO IN ITALIA, di Riccardo Cascioli
No, Alfie non è il solo e non è nemmeno uno fra i pochi innocenti uccisi dal sistema sanitario, giuridico e politico inglese. Come spieghiamo in questo articolo, sono migliaia le persone morte per privazione di alimentazione, idratazione e ventilazione e con l’ausilio di sedativi letali. A raccontare la storia della sua bambina a La Nuova Bq è Katie Roy, residente nel Nord del Galles, non lontano da Liverpool. Katie è mamma di due bambini: David, 5 anni, e Kaila, nata con la sindrome di Edwards, oggi in Cielo. Sulla pagina Facebook ideata da Katie ci sono le storie di diversi bambini, molte simili a quella di sua figlia, alcune anche legate al tentativo di far abortire le madri di figli handicappati. Mostrando che c’è poco da stupirsi se, dall’omicidio di un bambino disabile in grembo come "normale", si passa a quello di un disabile già nato.
Katie, quando è nata sua figlia?

La piccola Kaila (nella foto a sinistra) è nata al Liverpool Women’s Hospital il 10 febbraio di quest’anno. Alla nascita aveva alcuni problemi, ma non abbiamo capito cosa avesse se non dopo 10 giorni, quando scoprimmo che era affetta dalla sindrome di Edwards. I medici ci dissero che questa sindrome era incompatibile con la vita e che saremmo stati trasferiti in un ospedale dove la nostra bambina avrebbe ricevuto le cure palliative. 

Che trattamenti sanitari ha ricevuto Kaila?
Prima della diagnosi ha ricevuto tutti i trattamenti di cui aveva bisogno: la ventilazione, l’ossigeno, l’idratazione, i monitoraggi.   

E dopo?
L’ospedale sospese tutti i trattamenti. Ho discusso con i medici e ho ottenuto almeno il mantenimento dell’ossigeno. Kaila aveva bisogno di essere operata al cuore per continuare a vivere, ma sia il Liverpool Women's Hospital, sia l’Alder Hey Hospital si sono rifiutati di intervenire per via della malattia di mia figlia.

Che alternativa avevate?
Siamo stati trasferiti in un hospice di Liverpool. Ci dicevano che Kaila sarebbe morta pacificamente nel sonno dopo pochi giorni.

Invece?
Invece è morta dopo tre settimana dalla rimozione dei sostegni vitali, il 19 di marzo. Aveva cinque settimane. 

Come siete riusciti ad accettare la sospensione dei trattamenti?
Non avevamo mai sentito nominare prima la sindrome di Edwards e ci siamo fidati dei dottori quando ci hanno comunicato che Kaila sarebbe vissuta solo pochi giorni. Invece è vissuta 5 settimane e se l’avessero operata al cuore avrebbe potuto vivere anni, ma lo abbiamo scoperto dopo, allora non lo sapevamo.

I medici le hanno detto che Kaila sarebbe morta senza soffrire. È stato così?
Kaila era sveglia ed è stata cosciente di questi tremendi trattamenti palliativi fino alla fine. Gridava e piangeva per la fame tutto il tempo. Non si calmava. È la morte peggiore che abbia mai visto.

Per quanto tempo di preciso la bambina è rimasta senza nutrizione né idratazione?
Per tre settimane, il Midazolam (un potente sedativo) le è stato prescritto e somministrato due volte nell’arco delle tre settimane.

Quando e come ha realizzato che sua figlia era stata uccisa sotto i suoi occhi?
La storia di Alfie mi ha aiutata e mi ha spinto a cambiare il modo di guardare alle cure palliative da come sono intese oggi in Gran Bretagna. In ogni caso se avessi avuto una conoscenza migliore della sindrome di Edwards avrei combattuto contro i medici.

Come pensa di poter cambiare le cose?
Nessun bambino dovrebbe essere fatto soffrire in questo modo. Il modo in cui mia figlia Kaila è morta poteva essere evitato. Abbiamo bisogno che tutti si alzino in piedi a parlare di quanto sta accadendo. Voglio cominciare con una petizione sulla Kailas Law, per vietare la morte di fame prevista dalle cure palliative inglesi.

Benedetta Frigerio
 http://www.lanuovabq.it/it/anche-mia-figlia-kaila-e-morta-di-fame-e-di-sete-a-liverpool

  • GRAN BRETAGNA

A migliaia sono già morti come Alfie: ecco perché


Ci si scandalizza quando si sente dire che Alfie è stato ucciso, ma il “Liverpool care pathway” ha previsto per anni la morte per interruzione dei sostegni vitali, con l'Alder Hey Hospital che trasferì la procedura sui bambini. Il presidente del National Institute for Health and Care Excellence aveva dichiarato che il protocollo continuava ad essere usato dai medici convinti di fare così il bene dei pazienti.

È quanto meno emblematico che le linee guida vigenti per oltre 10 anni in tutti gli ospedali britannici, che uccisero migliaia di pazienti anche all’insaputa dei parenti e per cui si aprì nel 2012 un dibattito nel parlamento inglese, fossero state redatte proprio a Liverpool.
Oggi ci si scandalizza quando si sente dire che Alfie è stato ucciso dall'Alder Hey Hospital, ma il “Liverpool care pathway for the dying patient” (di cui parlammo qui) ha previsto per anni la morte per interruzione dell’alimentazione, dell’idratazione e della ventilazione accompagnata da dosi letali di sedativi. La stampa inglese raccontò diverse storie strazianti di anziani o bambini uccisi in questo modo. Emerse anche che un protocollo particolare per i bambini, intitolato “Liverpool Pathway for the Dying Child”, era stato redatto dal Royal Liverpoll Children's Trust in collaborazione proprio con l'Alder Hey Hospital
Ma l’unico motivo per cui scoppiò la polemica in Gran Bretagna furono le 60 mila persone inserite nel protocollo a loro insaputa con premi di circa 30 milioni di sterline annue agli ospedali e di migliaia di sterline ai medici che utilizzavano la procedura. Il dibattito portò nel 2015 alla redazione di nuove linee guida che chiedevano l’abolizione della procedura standardizzata a favore di un approccio caso per caso. 
Di fatto però la morte per fame e sete o soffocamento non è mai stata condannata da nessuna istituzione governativa. Anzi, dato che la norma del "Do not resuscitate orders" è ancora in vigore (prevede la sospensione dei trattamenti che non solo il paziente. ma anche il medico ritiene futili), a morire per privazione dei sostegni vitali sono circa 200 mila persone all’anno (di cui 40 mila senza essere informate).
Inoltre, anche dopo l’abolizione delle Liverpool care pathway, Sam Ahmedzai, presidente del National Institute for Health and Care Excellence, aveva dichiarato che il protocollo continuava ad essere usato dai medici convinti di fare così il bene dei pazienti. Un fatto provato anche dalle recenti richieste degli ospedali ai tribunali inglesi che hanno dato ragione ai medici contro la volontà dei parenti. 
Tutto ciò conferma una prassi così radicata da essere ritenuta normale da tutto il sistema inglese e una mentalità medica e giuridica così arrogante da pretendere di stabilire da sé il best interest delle persone, fosse anche la morte procurata. Le aberrazioni a cui porta questa consolidata prassi del sistema sanitario inglese "non possono più essere taciute", come denuncia Katie una giovane mamma la cui figlia neonata ne è stata vittima innocente.
http://lanuovabq.it/it/a-migliaia-sono-gia-morti-come-alfie-ecco-perche
  • CASO ALFIE

D'Agostino e il pregiudizio dell'accanimento terapeutico

Il professor Francesco D'Agostino ha diffuso un suo commento sul caso Alfie riferendosi, fra l'altro, alla ventilazione come a una forma di accanimento terapeutico. Un'affermazione chiaramente falsa.
Francesco D'Agostino
Il prof. Francesco D’Agostino – mio presidente nell’associazione Giuristi cattolici e in tempi normali alfiere della bioetica cattolica - ha diffuso ieri un suo commento dedicato alla vicenda di Alfie Evans, col quale si allinea definitivamente alla posizione di Michela Marzano, di Silvio Viale e di altri sacerdoti dell’accanimento tanatologico.
Sostiene – il professore – che nel caso di Alfie Evans: «Lottare contro le malattie è più che giusto, è doveroso; accanirsi contro di esse è invece assolutamente sbagliato. C'è nell'accanimento terapeutico - giustamente condannato con fermezza dal Magistero della Chiesa già da Pio XII - accanto all'umanissimo e comprensibile desiderio di ritardare il più possibile la morte di una persona, soprattutto se cara, la pretesa arbitraria, futile e inaccettabile di dominare la nostra natura mortale o addirittura di soggiogarla, grazie alla nostra potenza tecnologica. La tragica vicenda del piccolo Alfie ci ha insegnato quanto sia difficile, anche da parte di menti illuminate, capire che il no all'accanimento non è un no alla vita (un no che va sempre condannato), ma un sofferto sì ad una morte che ci apre la strada verso una vita più vera e più piena di quella biologica».
Le parole del professore, per il vero abbastanza condivisibili se riferite all’inaccettabile pratica dell’accanimento terapeutico, sono invece del tutto fuori luogo se riferite al caso del piccolo Alfie.
Infatti il bambino anglo-italiano non è mai stato sottoposto in alcun modo ad accanimento terapeutico. La dott. ssa Matilde Leonardi, pediatra e neurologa dell’IRRCS Besta di Milano, intervistata da RAI 1 a “La vita in diretta” ha recisamente negato che ventilare i polmoni di Alfie costituisca accanimento terapeutico visto che al bambino «non sono mai state praticate cure sproporzionate».
Dello stesso avviso anche il Cardinale Elio Sgreccia, padre della bioetica italiana, e il prof. Roberto Colombo, secondo cui nel caso di Alfie sospendere «non solamente le terapie ma anche i supporti vitali indispensabili per la vita, non presenta un significato etico "diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte" (Papa Francesco, Messaggio citato). Anzi, tende a mascherare l’eutanasia attraverso la sua forma apparentemente più “dolce” e “pietosa” (falsamente) che è quella omissiva: non applica una procedura direttamente e immediatamente letale, ma conduce alla morte anticipata per privazione dell’essenziale per vivere. Le autentiche cure palliative, invece, uniscono al controllo dei sintomi (incluso quello del dolore, con una appropriata analgesia che può giungere, in alcuni casi, alla sedazione a scopo analgesico, quando ogni altro approccio antalgico risulta inefficace) la fornitura di un apporto idratativo, nutrizionale e, ove richiesto dalla fisiopatologia respiratoria, anche ventilatorio».
Una persona della finezza intellettuale di Francesco D’Agostino non poteva non cogliere siffatte sfumature.
Alfie non era soggetto ad accanimento terapeutico. La sua “futile” esistenza è stata terminata interrompendo nutrizione, idratazione e ventilazione. E questo – in Italia - tecnicamente è omicidio colposo.
Lo hanno capito tutti, dal Santo Padre alla presidente del “Bambin Gesù” Mariella Enoc, dal cardinale Sgreccia a Roberto Colombo. Lo hanno capito i politici più in vista, lo hanno capito i tifosi dell’Everton che hanno srotolato allo stadio uno striscione in cui si esecrava la condotta eutanasica dei medici inglesi. L’ho capito perfino io.
Possibile che non lo abbia capito il presidente D’Agostino?
E se lo ha capito, perché scrive cose simili?
 http://www.lanuovabq.it/it/dagostino-e-il-pregiudizio-dellaccanimento-terapeutico
 

The Show Most Go on, dopo la morte di Alfie lo spettacolo deve continuare. Questo mondo e questa Chiesa sono già pronti ad altro. Noi, invece, ci vogliamo fermare perché questo è il momento di separare il grano dalla zizzania, gli amici dai nemici e, soprattutto, di mostrare che si può morire di “fuoco amico”, una delle pratiche più letali usate di questi tempi. Perché, oltre ai chierici di una medicina totalitaria, sono stati anche i chierici di una neochiesa altrettanto totalitaria a condannare al patibolo Alfie. Rivediamolo, allora, questo macabro show, con protagonisti, comprimari e comparse.
Bergoglio e la sedicente Pontificia Accademia per la Vita
Sabato 4 aprile. Dopo le numerose pressioni, Bergoglio si vede costretto a intervenire sul caso Alfie e lo fa attraverso un misero tweet in cui invita a “continuare ad accompagnare con compassione il piccolo Alfie”. Ad accompagnarlo dove, allora non era dato saperlo: ora, purtroppo, sì. D’altronde, il giudice Anthony Hayden, il 20 febbraio scorso, nella motivazione della sentenza di morte per il piccolo Alfie utilizzò proprio il messaggio sul “fine-vita” inviato da Bergoglio a monsignor Vincenzo Paglia, CEO della Pontificia Accademia per la Vita. Migliaia di persone chiesero una smentita al vescovo di Roma per impedire la presunta strumentalizzazione delle sue parole: nessuna risposta. Per il semplice motivo che non si trattava di strumentalizzazione. E a confermarlo fu proprio Paglia che, dando il meglio di sé in un’intervista rilasciata a Tempi il 9 marzo scorso, argomentò brillantemente a favore dei medici dell’Alder Hey Children’s Hospital:“Parlare di ‘soppressione’ non è né corretto né rispettoso. Infatti se veramente le ripetute consultazioni mediche hanno mostrato l’inesistenza di un trattamento valido nella situazione in cui il piccolo paziente si trova, la decisione presa non intendeva accorciare la vita, ma sospendere una situazione di accanimento terapeutico”.
Se ora siamo già all’esaltazione dell’eutanasia passiva, vuol dire che presto arriveremo all’eutanasia di stato anche in Italia, e lo dovremo all’apostasia di Roma. Incaricato dallo stesso Bergoglio, lo scorso anno Paglia stese il codice deontologico vaticano per gli Operatori Sanitari, dove veniva ammesso a chiare lettere che l’idratazione e l’alimentazione dovevano essere concesse “solo se utili”.
Meglio ancora era stato fatto con il Messaggio inviato da Bergoglio proprio a monsignor Vincenzo Paglia in occasione del Meeting Regionale Europeo della World Medical Association sulle questioni del “fine vita”. Dove, ad esempio, si legge: “Vediamo bene, infatti, che non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso, equivale a evitare l’accanimento terapeutico, cioè compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte”. Non viene fatta alcuna differenza fra eutanasia attiva ed eutanasia passiva, due facce della medesima medaglia: la morte.
Per chi abbia affinato l’orecchio sulla terminologia in auge, è facile constatare come il termine “accanimento terapeutico” svolga un ruolo molto importante nel processo verso l’affermazione della eutanasia di stato. Si potrà sempre trovare, infatti, un appiglio per porre fine alla vita di qualche innocente giudicato troppo indegno di restare in questo mondo popolato da gente dall’alta qualità di vita. Così è stato con Alfie, e prima ancora con Charlie ed Isaiah.
Tornando a noi, la pressione mediatica che intanto andava via via crescendo attorno al piccolo Alfie condannato a morte, ha spinto Bergoglio a intervenire nuovamente il 15 aprile con qualche frase di circostanza durante il Raegina Coeli, e poi con un tweet del 23 aprile in cui si rinnovava l’invito a rispettare il volere dei genitori. Un caso di una portata ormai planetaria liquidato con qualche “click” alla tastiera e sempre nel rispetto della terminologia politicamente corretta che parla di volontà, di utilitarismo, mai di Dio e di peccato.

L’incontro a muso lungo
Quanto rimane di più memorabile dell’incontro concesso il 18 aprile a Thomas Evans, il padre di Alfie, è il muso lungo con cui Bergoglio non è riuscito a evitare di farsi fotografare. Le parole pronunziate subito dopo, durante l’udienza generale del mercoledì, e cioè che “l’unico padrone della vita dall’inizio alla fine naturale è Dio”, sono state le stesse pronunziate da Thomas durante l’udienza privata: nulla di più, nulla di meno.
Come viene normale pensare, se a Bergoglio fosse veramente interessata la sorte del bambino, avrebbe subito disposto il rilascio di tre passaporti vaticani, come già ha fatto per gli immigrati musulmani. Invece, a Bergoglio è bastato poco per lavarsi pubblicamente la coscienza e passare come eroe dell’ultim’ora: due tweet e un paio di frasi inconsistenti. Gran parte del popolo dei social, come abbiamo documentato (“chi di tweet ferisce di tweet perisce”), ha capito che era un po’ comodo prendersi il palcoscenico standosene in poltrona.
A chi è andato, come portavoce della famiglia, a chiedere i passaporti in Vaticano è stato risposto che se si fosse dovuto smuovere mari e monti per Alfie, allora lo si sarebbe dovuto fare per tutti. Mascherandosi dietro la diplomazia, la neochiesa tace e abbandona gli agnelli condotti al macello. Chi non lo ha capito, o non vuole capirlo, sono i molti “conservatori” che, pur polemizzando genericamente con una chiesa alla deriva, si fermano davanti al vertice della gerarchia, come se fosse all’oscuro di tante manovre.

Chi “conserva” avvelena anche te: digli di smettere
Bisogna sapere l’arcivescovo di Liverpool, monsignor McMahon, è ritenuto un conservatore, quasi un tradizionalista, che celebra persino la Messa in latino. Ebbene, proprio lui, nel silenzio di tutta la conferenza episcopale inglese, consenziente davanti al crimine che si stava consumando, a causa della pressione mediatica che oramai lo aveva schiacciato, ha spiegato che la diocesi di Liverpool si era interessata alla vicenda dando assistenza spirituale al personale dell’Alder Hey Hospital, ma non ai due giovani genitori perché “non sono cattolici”. A parte il fatto che non è vero -Tom lo ha poi scritto – è curioso notare come il sincretismo tanto in voga trovi ostacolo insormontabile di fronte ai casi più spinosi. L’arcivescovo di Liverpool ha avuto persino il coraggio di dire che l’Alder Hey Hospital stava sicuramente agendo bene, secondo il miglior interesse del bambino e della famiglia Evans.
Tuttavia non è l’unico ad essersi macchiato di palese complicità. Nel suo caso si è trattato di complicità attiva. Ma dov’erano tutti quei cardinali e vescovi che marciano per le vie di Roma con gruppetti, circoletti e sitarelli ergendosi a difensori della vita solo quando non c’è nessuno da difendere veramente? Forse qualcuno di loro pensa di potersi salvare con qualche benedizione fatta da casa, magari elogiando il “Santo Padre” per la premura avuta con Alfie, o con un tweet postato per salvare la faccia?

Tutti in libertà vigilata con obbligo di firmare il registro a Santa Marta. Nessuno capace di fare un passo in più rispetto al consentito. Ne ha fornito una prova il vescovo di Reggio-Emilia, monsignor Massimo Camisasca, che invece di esortare alla preghiera pubblica per Alfie, si lamentava della “pressione” di alcuni giovani fedeli alle prese con mille ostacoli ecclesial-burocratici nel tentativo di organizzare una veglia adhoc. Ebbene, oltre a lamentare un’eccessiva “foga” di questi giovani, il vescovo ha criticato un’idea troppo “battagliera” della fede cristiana.

Utilitarismo statal-ecclesiastico
Dal Vaticano è stata detta e ripetuta la necessità di un dialogo fra medici e famiglia, all’insegna del più becero e deleterio utilitarismo volontarista che non bada alla difesa della vita del bambino come valore in sé e come miracolo voluto da Dio, ma come oggetto di contesa fra una volontà e un’altra. Paglia, intervistato dalla Rai poche ore dopo il distacco della ventilazione ad Alfie – il 24 aprile – ha parlato di “una legge fredda che impedisce di ascoltare i genitori (…) perché la vita non è solo un fatto biologico, ma è relazione, affetto, è sentimento”.
Messo in discussione il fatto biologico, Paglia ha avallato la tesi personalista secondo la quale è per sentimento o volontà che si deve decidere se porre o non porre fine alla vita di qualcuno: “nella decisione non possono non entrare i genitori, e non basta quindi un tribunale per decidere della vita e della morte”. Ecco che, se i genitori di Alfie fossero stati d’accordo con la decisione di sopprimerlo, Paglia e la sua PAV avrebbero avuto meno gatte da pelare, e si sarebbero goduti il lieto fine della morte di Alfie con imprimatur genitoriale ed ecclesiale.
Per concludere questa sua tesi necrofila, Paglia ha affermato che è “indispensabile una nuova alleanza fra il campo della medicina e il campo dell’umanità”.
Giusto per capire la differenza con quando la Chiesa era cattolica, vale la pena di riportare alcune parole di Pio XII, tratte da un discorso indirizzato nel 1957 agli operatori sanitari sulla rianimazione: “Per quanto concerne il pazienteegli non è padrone di se stesso, del proprio corpo, del proprio spirito. Non può dunque disporne liberamente. Per quanto riguarda i medici, nessuno al mondo, nessuna persona privata, nessuna umana pietà, può autorizzare il medico alla diretta distruzione della vita; il suo ufficio non è di distruggere la vita ma di salvarla“.
Con Alfie è avvenuto l’esatto opposto, con placet della neochiesa, traditrice del proprio mandato. A tale proposito, colpisce anche il comunicato emesso dall’Accademia “Giovanni Paolo II per la Vita e la Famiglia”, una costola staccatasi dalla PAV. Nella dichiarazione, i membri partono da un presupposto che sembra scivolare sullo stesso errore a cui abbiamo appena accennato, offrendo come prioritaria la riflessione sul rapporto genitori-bambino e Stato-bambino: “La domanda più ovvia che dovrebbe pungolare la nostra coscienza collettiva è: chi ha il diritto naturale di prendersi cura di Alfie e salvaguardare il suo migliore interesse? È lo Stato o sono i genitori del bambino? È evidente che i genitori, in virtù della relazione genitore-figlio, hanno il diritto naturale di agire nel miglior interesse e benessere del loro bambino; e l’esercizio di questo diritto non può essere negato ingiustamente dall’interferenza dello Stato coercitivo, tranne nei casi di abuso e negligenza”.
Chi dovrebbe essere un’alternativa alla Pontificia Accademia per la Vita, finisce dunque per partire dagli stessi presupposti.
Abbattuti o invertiti i motivi per cui la vita va difesa sempre, in mezzo alla nebulosa di parole ambigue e sempre antropocentriche, si arriva a lambire anche il principio, per certi versi assurdo, dell’obiezione di coscienza. Quell’obiezione di coscienza che il povero Padre Gabriele Brusco aveva sollevato all’attenzione del personale sanitario e medico dell’Alder Hey, facendo presente che esiste una morale, un’etica e un codice deontologico in base a cui ci si può rifiutare di prendere parte ad un atto che si ritiene illecito in coscienza. Questa proposta, è evidente, dev’esser costata lui molto cara: non solo è stato denigrato da tutta l’equipe dell’ospedale inglese, ma, stranamente a ridosso dell’incontro avvenuto fra Bergoglio e McMahon il 25 aprile scorso a Roma, padre Gabriele è stato urgentemente richiamato a Londra da un superiore, lasciando Alfie, insieme ai suoi genitori, nel più totale abbandono medico, umano e spirituale.

Le passerelle dell’Ospedale Bambin Gesù
Secondo alcuni però, l’operato di Bergoglio e del Vaticano non consisterebbe solo nell’azione diplomatica intrapresa attraverso monsignor Cavina – rivelatasi poi nulla, come già detto – ma anche e soprattutto nell’intervento dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma. In merito a questo aspetto sono doverose alcune precisazioni.
Le varie passerelle a Liverpool del Presidente dell’ospedale romano, Mariella Enoc, hanno un loro perché, soprattutto per le modalità di azione con cui è stata gestita la vicenda del piccolo Alfie. La Consulta di Bioetica, pronunciandosi attraverso un comunicato agghiacciante, ha colpito nel segno quando ha evidenziato che “già nel settembre 2017 la famiglia Evans aveva richiesto il parere di due specialisti indipendenti e di tre esperti del Bambin Gesù, i quali hanno cooperato coi medici dell’Adler Hey Hospital, giungendo alla unanime conclusione che “la condizione di Alfie è irreversibile e non più curabile” (Alfie’s condition is irreversible and untreatable). È sulla scorta di questa terribile realtà che i medici dell’ospedale di Liverpool si sono chiesti “se continuare il trattamento di Alfie fosse nel suo miglior interesse” o l’insistenza fosse una forma di accanimento terapeutico e hanno sentito il dovere professionale e morale di dare una risposta precisa, ossia quest’ultima”.
Il tipo di approccio è perciò da considerarsi errato alla base, perché punta tutto sulla condizione clinica del bambino – e quindi sull’impossibilità di curarlo –  e non su quel “prendersi cura” di lui nonostante la malattia, peraltro mai veramente diagnosticata. Grazie a questo tipo di “sentenza”, sia l’Alder Hey Hospital che la Consulta di Bioetica hanno potuto spazzare via i tentativi di salvataggio posti in campo mesi dopo dall’ospedale della Santa Sede.
Svista o consapevolezza di ciò che si stava facendo?
Duole dire che la Consulta di Bioetica ha fondamentalmente ragione. Come mai il Bambin Gesù di Roma, da settembre fino a poco tempo prima che il caso arrivasse alle Alte Corti inglesi, ha taciuto?
Abbiamo visto Mariella Enoc farsi intervistare davanti alle gigantografie di Bergoglio; l’abbiamo vista volare a Liverpool, come ha detto lei, “non per portare via il bambino, ma per esprimere ai genitori la vicinanza del Santo Padre”. Qual è stato allora, veramente, il ruolo dell’ospedale del papa in tutta questa macabra vicenda? Quale contributo ha portato attraverso un “dialogo” che però, casualmente, è riaffiorato solo quando il clamore mediatico si è intensificato? Da settembre ad oggi, dove erano finiti tutti coloro che poi si sono frettolosamente prodigati per Alfie?

La Enoc, il giorno stesso della morte del piccolo, dicendosi addolorata, ha ribadito l’importanza di “continuare a lavorare tutti insieme e a investire sulla ricerca scientifica perché si possa dare una possibilità a questi bambini e una risposta a queste famiglie”. Allo stesso tempo, ha continuato, “dobbiamo anche iniziare una vera riflessione comune, a livello internazionale: dobbiamo mettere insieme scienziati, clinici, pazienti, famiglie istituzioni, perché non si ripetano questi scontri e queste battaglie ideologiche”.
Il tipo di battaglia sarebbe solo dunque di natura ideologica. Inutile commentare. Più interessante invece approfondire il discorso della “ricerca scientifica”.
Mercoledì 25 aprile, mentre Bergoglio incontrava il vescovo di Liverpool, sul Corriere della Sera appariva un’intervista alla Enoc sul caso Alfie. “La nostra funzione non è guarire, ma curare, e per cura intendo ogni forma di sostegno” – dice il Presidente del Bambin Gesù contraddicendo quantomeno il responso rilasciato dal suo ospedale nel settembre 2017. “Noi avremmo accolto Alfie garantendo le terapie necessarie, senza accanimento terapeutico”.  Cedendo sui termini tanto cari al sistema eutanatico (“accanimento terapeutico”), e che Bergoglio e Paglia amano sovente ripetere, la Enoc arriva poi a parlare curiosamente di genetica: “Bisogna capire le origini genetiche di questa malattia, innanzitutto, per tutelare la giovane mamma nelle future gravidanze”. Cosa vuol dire questo? Viene forse ipotizzato il programma per la fecondazione in vitro a tre genitori? Alcuni microbiologi “cattolici”, anche dei domenicani, si stanno del resto già adoperando per poter affermare che la modifica dei geni per ottenere pazienti ancor più sani delle persone sane debba essere considerata moralmente lecita.

A riflettori spenti
Il giorno dopo la morte di Alfie, un Bergoglio sorridente e senza muso lungo ha incontrato Kety Perry, nota satanista per stessa ammissione dei genitori e grande cultrice dei diritti LGBT e dell’eutanasia. Di cosa avranno parlato?

Chi ama la vera Chiesa non può avere rispettoso ossequio per tutto questo. Il piccolo gregge si deve opporre con tutte le sue forze ai lupi travestiti da pastori. L’esercito dei piccoli martiri sarà con noi.
https://www.riscossacristiana.it/alfie-il-potere-iniquo-e-il-fuoco-amico-di-cristiano-lugli/

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