Francesco si dice pronto alle dimissioni. Ma a condizione che...
Con una curiosa somma di coincidenze, le parole "testamento" e "dimissioni" sono tornate più volte nei giorni scorsi sulla bocca e sulla penna di papa Francesco, in qualche misura applicate anche a sé.
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Per cominciare, nell'omelia mattutina a Santa Marta di martedì 15 maggio, Francesco ha raccomandato a tutti, ma in particolare ai vescovi, di essere pronti a "fare un testamento" simile a quello fatto dall'apostolo Paolo quando prese congedo dalla comunità di Efeso, come raccontato nel capitolo 20 degli Atti degli Apostoli, letto nelle messe di quel giorno e del successivo.
Non un testamento "mondano" – ha spiegato il papa – come quando si dice: "Questo lo lascio a quello, quello a quell'altro, quello a quell'altro…", con "tanti beni" da distribuire. Ma un testamento "che ci faccia vedere il cammino di ogni vescovo all'ora di congedarsi" e suoni come "una sorta di esame di coscienza del vescovo davanti al suo presbiterio".
In questa omelia, Francesco ha ripetuto un asserto che gli sta a cuore e su cui torna spesso: che cioè Paolo, nel fare un bilancio della propria vita, "si vanta dei propri peccati". Cosa che negli scritti di Paolo proprio non c'è, e neppure nei suoi discorsi riportati dagli Atti, come Settimo Cielo ha già evidenziato.
Ma non è questo il punto. È piuttosto l'insistere di papa Francesco sull'obbedire a ciò che lo Spirito Santo detta, anzi, "costringe" a fare, anche se ciò significa per il pastore lasciare il gregge, con il quale "non ci vedremo più".
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Il giorno successivo, mercoledì 16 maggio, la questione del testamento e delle dimissioni è entrata ancor più nel vivo, questa volta coinvolgendo in prima persona non uno ma due papi.
"L'Osservatore Romano" ha anticipato il testo di un manoscritto inedito di Paolo VI riprodotto in un libro di monsignor Leonardo Sapienza su quel papa, in uscita in questi giorni: "La barca di Paolo", Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2018.
Il manoscritto porta la data del 2 maggio 1965 ed è una lettera per il decano dei cardinali nella quale Giovanni Battista Montini – che a quella data era papa da meno di due anni – si dice pronto a rinunciare al papato "nel caso di infermità, che si presuma inguaribile, o di lunga durata, e che ci impedisca di esercitare sufficientemente le funzioni del nostro ministero apostolico; ovvero nel caso che altro grave e prolungato impedimento a ciò sia parimente ostacolo".
Poche settimane più tardi, il 30 giugno 1965, Paolo VI scrisse anche le celebri "Note per il nostro testamento", completate da brevi aggiunte nel 1972 e nel 1973. Queste però sono già conosciute, mentre la lettera delle sue dimissioni è ora pubblicata per la prima volta.
Ma c'è di più. Perché "L'Osservatore Romano" ha pubblicato anche le brevi parole che papa Francesco ha scritto, in data 8 dicembre 2017, a commentodi quel testo di Paolo VI.
Dal che sappiamo che Jorge Mario Bergoglio condivide in pieno il passo compiuto da quel suo predecessore.
Scrive infatti Francesco:
"Ciò che a lui [a Paolo VI - ndr] importa sono i bisogni della Chiesa e del mondo. E un Papa impedito da grave malattia non potrebbe esercitare con sufficiente efficacia il ministero apostolico. Per questo, in coscienza, e dopo matura riflessione, indica le sue precise volontà, per il bene superiore della Santa Chiesa".
Ciò fa capire che anche Francesco, nel caso intervenissero gli impedimenti evocati da Paolo VI, sarebbe pronto a rinunciare al papato, come del resto aveva già altre volte ipotizzato.
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A corredo di questi pronunciamenti di papa Francesco circa le volontà ultime sue e di altri pastori della Chiesa, va inoltre segnalato che di recente la segreteria di Stato ha distribuito a tutti i cardinali, ai nunzi apostolici e ai superiori di curia cinque pagine di "Indicazioni per la stesura del testamento", datate 18 febbraio 2018.
Il motivo principale di queste istruzioni è dichiarato in esse da subito: "Non generare discussioni e divisioni, specialmente tra i parenti".
La prima indicazione è di redigere il testamento "presso il Notaio vaticano", oppure di scriverlo a penna da cima a fondo, firmarlo e datarlo in ogni sua pagina e conservarlo in busta chiusa non in casa ma "in un luogo sicuro, ad esempio nell'Istituto per le Opere di Religione che dispone di un ufficio apposito".
In secondo luogo, "fatti salvi i diritti che la legge riserva agli eredi legittimari", si suggerisce di indicare come "erede universale" un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto ed "esente da tasse di successione", con l'avvertenza di "indicare gli scopi non lucrativi per cui si sono devoluti i beni a quel determinato ente".
Ad esempio, "se l'erede è il Santo Padre, la finalità sarà: 'per le Sue opere di carità, oppure per l'Obolo di San Pietro'", mentre "se l'erede è una Congregazione religiosa, la finalità sarà 'per le opere di carità dell'Istituto'".
Le ultime due pagine delle "Indicazioni" sono appunto occupate dal facsimile di un testamento, con in testa l'indicazione dell'"erede universale" (il papa, la diocesi, l'ordine religioso, il seminario, ecc.) al quale lasciare i beni e il compito di assegnarne alcuni a chi indicato (la casa, l'automobile, i libri, i mobili, ecc.), oltre all'incombenza di saldare le spese per la sepoltura e l'onorario per l'esecutore testamentario.
Il tutto al fine di "non usare l'ufficio ecclesiastico per aumentare le sostanze della propria famiglia". Perché invece "quanto si è ricevuto dalla comunità cristiana, o dal ministero sacro, deve tornare ad essere a servizio della medesima e, in particolare, dei poveri".
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