ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 22 giugno 2018

Con chi se l’è presa questa volta?

La falsa catechesi   




L’ultimo giorno di primavera, “una calda primavera” dice Papa Bergoglio, ha coinciso con il mercoledì delle udienze, il 20 giugno 2018, e qui il Papa si è lanciato in una disquisizione che di primo acchito appare alquanto confusa e controversa; tuttavia, se si legge attentamente quanto ha detto, ecco che la confusione svanisce e prende corpo un tutto organico col quale il Papa non apre una controversia, ma avanza proposizioni equivoche atte a stravolgere il vero significato della Scrittura.
Non è la prima volta, anzi in cinque anni padre Bergoglio ci ha abituati alle sue personali ed eterodosse “riletture” della Scrittura.

Con chi se l’è presa questa volta?
Se l’è presa con quegli sprovveduti che per duemila anni si sono permessi di ingannare i fedeli cattolici insegnando che il Signore ci ha dato “Dieci Comandamenti” da rispettare, pena il castigo di Dio.
Non è così, dice padre Bergoglio, non sono dieci comandamenti, ma dieci parole, cioè non sono dieci comandi di Dio da servire come guida per la vita dell’uomo, ma dieci parole pronunciate da Dio per dialogare con l’uomo. Il che, come si vede, cambia tutta la prospettiva della Scrittura: Dio non sarebbe il Creatore di tutte le cose e di tutti gli esseri, ma solo uno che dialogherebbe con le cose e gli esseri come se questi fossero delle entità a se stanti.
Come catechesi papale non c’è male… siamo al peggio!

Padre Bergoglio esordisce con una precisazione che può sembrare superficiale e frutto di una sorta di leggerezza di linguaggio, ma che ha una valenza distruttiva:
«niente nella Bibbia è banale. Il testo non dice: “Dio pronunciò questi comandamenti”, ma “queste parole”. La tradizione ebraica chiamerà sempre il Decalogo “le dieci Parole”. E il termine “decalogo” vuol dire proprio questo».

Quindi, secondo padre Bergoglio, Dio non avrebbe dato dei “comandamenti”, ma si sarebbe limitato a pronunciare delle “parole”; tanto è vero – precisa - che la tradizione ebraica parlerebbe solo di “parole”.
Ora, questa “dotta” precisazione esige alcune puntualizzazioni, perché questo incredibile “giuoco di parole” con il quale si trastulla padre Bergoglio non può restare senza le corrispettive smentite.

La prima smentita è data dall’etimologia del termine “decalogo”, il quale deriva dal latino decalŏgus, che a sua volta deriva dal greco δεκάλογος, che si compone di δέκα (deca) - “dieci” - e λόγος (logos) – “parola” – ma anche “discorso”, “comando”. Tanto che l’italiano conosce l’accezione più ampia di “decalogo” indicante “prescrizione vincolante”, “ordine indiscutibile”, “legge obbligante”. Ma evidentemente i Gesuiti presso cui ha studiato padre Bergoglio queste cose non gliele hanno insegnate o quando loro insegnavano Bergoglio era distratto dalle loro parole.

La seconda smentita viene dallo stesso Esodo (i neretti sono nostri), dove si trova (24, 12):
«Il Signore disse a Mosè: “Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli»; 
e ancora (31, 18):
«Quando il Signore ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le duetavole della Testimonianza, tavole di pietra, scritte dal dito di Dio»; 
e ancora (32, 15-16): «Mosè ritornò e scese dalla montagna con in mano le due tavole della Testimonianza, tavole scritte sui due lati, da una parte e dall’altra. Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dioscolpita sulle tavole»;
e ancora (34, 1):
«Poi il Signore disse a Mosè: “Taglia due tavole di pietra come le prime. Io scriverò su queste tavole le parole che erano sulle tavole di prima, che hai spezzate»; 
e ancora (34, 10 e 11):
«Il Signore disse: “Ecco io stabilisco un’alleanza” … “osserva dunque ciò che iooggi ticomando”.

Da cui si evince, se uno si prende la briga di leggere ciò che dice la Scrittura senza ricamarci sopra a piacimento, che Dio consegna a Mosè dei comandi, delle prescrizioni che sono “parole” scolpite sulla pietra dallo stesso dito di Dio, che Mosè, e quindi gli Israeliti e quindi i cristiani e quindi i cattolici, Papa in testa, devono “osservare”… dice il Signore.

La terza smentita viene dalla Genesi, laddove è descritta la Creazione (1, 3): «Dio disse: “sia la luce”, e la luce fu». Dio pronuncia una “parola” e questa si realizza, prende vita, esiste mentre prima non esisteva; e questo perché la “parola” di Dio è potenza creatrice, è comando efficiente, è ordine obbligante, al punto che dal nulla sorge ciò che non c’è.
Non è un caso che mentre la Genesi incomincia con l’azione della “Parola” di Dio, del Logos(In principio… Dio disse), questo stesso Logos è quello di cui San Giovanni dirà in parallelo con la Genesi: «In principio era il Verbo, il Logos, …e il Verbo era Dio … e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv. 1, 1 e 3).

La Parola di Dio non è minimamente paragonabile alla “parola” dell’uomo, né tampoco alla “parola” di padre Bergoglio.

A questo bisogna aggiungere che il Vecchio Testamento, a più riprese, ricorda un’altra accezione della “parola”, quando questa equivale ad un nome e contiene allora il senso di potenza che ha chi proferisce il nome, o nomina, nei confronti della cosa o dell’essere nominato.
E’ quello che nella Genesi viene ricordato a proposito della creazione della donna (2, 23):
«Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta essa
 è carne dalla mia carne 
e osso dalle mie ossa.
 La si chiamerà donna
 perché dall’uomo è stata tolta»; 
la stessa cosa che si era verificata prima a riguardo degli esseri viventi creati da Dio (2, 19-20): «Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche».

Il nominare – con una “parola” – o il pronunciare il nome comporta una sorta di potere di chi nomina sulla cosa o l’essere nominato. E’ per questo che il Vecchio Testamento imponeva di divieto di pronunciare il “nome di Dio”, perché l’uomo non potrebbe avere e non ha alcun potere su Dio. Cosa che viene ricordata nel secondo Comandamento: «Non nominare il Nome di Dio invano». 

A questo punto, vediamo cosa dice padre Bergoglio:
«Eppure hanno forma di leggi, sono oggettivamente dei comandamenti. Perché, dunque, l’Autore sacro usa, proprio qui, il termine “dieci parole”? Perché? E non dice “dieci comandamenti”?». .   

Già, perché?

E padre Bergoglio si risponde:
«Che differenza c’è fra un comando e una parola? Il comando è una comunicazione che non richiede il dialogo. La parola, invece, è il mezzo essenziale della relazione come dialogo. … e i comandamenti sono parole di Dio: Dio si comunica in queste dieci Parole, e aspetta la nostra risposta» «Altro è ricevere un ordine, altro è percepire che qualcuno cerca di parlare con noi. Un dialogo è molto di più che la comunicazione di una verità. … I comandamenti sono un dialogo. La comunicazione si realizza per il piacere di parlare e per il bene concreto che si comunica tra coloro che si vogliono bene per mezzo delle parole

Ora, dopo quello che abbiamo premesso, la domanda è: dove diavolo ha scovato, padre Bergoglio, questa solenne sciocchezza del “dialogo” che sarebbe “molto di più che lacomunicazione di una verità”, da cui deriverebbe che “i comandamenti sono un dialogo” che si realizzerebbe “per il piacere di parlare … tra coloro che si vogliono bene per mezzo delle parole”?

Con tutta la buona volontà, non possiamo esimerci dal far notare che, forse, non c’era modo migliore per ridurre ad una barzelletta la volontà di Dio e le sue leggi, che non sono delle mere imposizioni, ma il modo in cui Dio manifesta la sua misericordia nei confronti delle sue creature, per il cui bene stabilisce il loro essere e il loro comportamento attuando una giustizia a loro corrispondente, a partire dal libero arbitrio.
Ma questo non può significare che Dio “dialoga” con le sue creature quasi per discutere con esse quale sarebbe la regola migliore perché conducano una vita sana e corrispondente al loro miglior bene, materiale e spirituale. Sarebbe come dire che Dio “dialogherebbe” con l’uomo perché insieme decidano come dovrebbe essere l'uomo, come dovrebbe nascere e come dovrebbe morire, quale dovrebbe essere il suo destino terreno e celeste.

Non è un’iperbole la nostra, ma la logica considerazione che scaturisce inevitabilmente dalle supposte “catechesi“ di padre Bergoglio, dalle “parole” di padre Bergoglio, il quale, così sproloquiando, non fa altro che insinuare nelle menti dei fedeli l’idea che quelle di Dio, non sarebbero altro che “parole”, mere “parole”, e non dei comandamenti, così che gli uomini le potrebbero benissimo tenere in nessun conto.
E questo non equivale forse alla istigazione a trasgredire i comandi di Dio? Questo non equivale a istigare l’uomo a fare a modo suo, magari con la presunzione di marca bergogliana di aprire un “dialogo” con Dio?

Siamo alla demolizione di qualunque forma di religione, alla demolizione di ogni realtà a beneficio di chiacchiere devastanti che pretendono di insegnare all’uomo che non è un uomo, che non è una creatura dipendente dal suo Creatore, che non è un essere voluto da Dio per manifestare la Sua gloria, ma sarebbe una creatura indipendente – il che è assurdo e falso -,  un essere voluto da Dio per la gloria di questo stesso essere – il che è ridicolo e senza senso.

E quando padre Bergoglio pretende di ricordare che «il serpente ha mentito… ha fatto credere che una parola d’amore fosse un comando», non fa altro che mettere in risalto che anche lui usa la stessa menzogna diabolica: far credere che i comandamenti non sarebbero comandamenti, ma parole di dialogo; al punto che credere nei Comandamenti equivarrebbe a considerare Dio come un padrone e non come un Padre, equivarrebbe ad avere una «mentalità da schiavi» e non da figli, perché
«il comandamento è dal padrone, la parola è dal Padre». … «Uno spirito da schiavi non può che accogliere la Legge in modo oppressivo, e può produrre due risultati opposti: o una vita fatta di doveri e di obblighi, oppure una reazione violenta di rifiuto». 

E anche qui, c’era modo migliore per istigare alla disobbedienza a Dio, per istigare i figli a disobbedire ai genitori, per demolire ogni ordine e ogni naturale gerarchia, per demolire la famiglia e la società?

Ed è ridicolo che padre Bergoglio cerchi di confondere la realtà affermando:
«Gesù è la Parola del Padre, non è la condanna del Padre. Gesù è venuto a salvare, con la sua Parola, non a condannarci». 
Ridicolo! Perché anche i bambini del catechismo sanno che Gesù è venuto a salvarci non con la Sua Parola, ma con l’espiare al posto nostro i nostri peccati; mentre con la Sua Parola è venuto a ribadirci i Comandamenti di Dio e ad aggiungerne di nuovi: i Vangeli sono pieni di ingiunzioni come questa: «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.» (Mt. 5, 27.28); e questo Gesù lo dice nel contesto di questo insegnamento: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli» (Mt. 5, 17-19).

Ma evidentemente a padre Bergoglio non importa un fico secco degli insegnamenti di Gesù, che in cuor suo – e per bocca sua – considera delle imposizioni da “padrone” a cui lui, da uomo libero e non da schiavo può solo opporre un rifiuto.

Per concludere, diciamo che i lettori potranno valutare da soli se padre Bergoglio sarà considerato “grande” o “minimo” nel regno dei cieli.
E’ scontato che il giudizio spetta solo al Signore, giusto giudice, ma pensiamo che ci sia permesso azzardare la timida previsione che sarà considerato “minimo” perché trasgredisce i precetti e per di più insegna a farlo agli altri.

La domanda retorica è: ma questo è un papa?

di Giovanni Servodio

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