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domenica 3 giugno 2018

Tre tipi di falsa saggezza

TORNARE A RIVEDER LE STELLE


L'attuale saggezza terrena dei cristiani è una saggezza diabolica? 3 tipi di falsa saggezza. Il segreto dei Santi e la condizione dell’uomo contemporaneo. Sua crisi spirituale è anche una crisi estetica in cui il vero è brutto 
di Francesco Lamendola  
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La condizione dell’uomo contemporaneo è paragonabile a quella di un prigioniero il quale, contrariamente al mito platonico della caverna, non aspira a riguadagnare la luce del sole, ma pare che faccia di tutto per rimanere nel buio e nelle sue funeste illusioni, avvolto in un inganno totale riguardo al mondo che lo circonda, che gli impedisce di veder le cose come stanno e anche di aspirare alla propria liberazione. Eppure, è proprio questo ciò di cui egli ha bisogno: di volgere le spalle al buio e al chiuso della caverna, e tornare a vedere la luce del sole e a respirare il soffio dell’aria pura. Finché non incomincerà a muoversi in quella direzione; finché non proverà almeno il desiderio di farlo, e di sottrarsi alla situazione degradante nella quale attualmente si trova bloccato, nulla di bene potrà mai accadergli, per quanto, nei momenti di euforia, egli possa anche illudersi che la scienza, le macchine e tutta la tecnologia di cui dispone, varranno a migliorare alquanto la sua esistenza, a restituirle un senso, a renderlo più fiducioso nel domani. È necessario lavorare sulla consapevolezza, perché solo grazie ad essa l’uomo contemporaneo si renderà conto di quel che gli  accaduto, di quel che lo minaccia, di quel che gli manca, e si metterà in cammino, forse, per tentar di uscire dalla sua umiliante prigionia. 

Come scrive Dante nell’ultimo canto dell’Inferno (XXXIV, 133-139): Lo duca e io per quel cammino ascoso / intrammo a ritornar nel chiaro mondo; /e sanza cura aver d'alcun riposo, / salimmo sù, el primo e io secondo, / tanto ch'i' vidi de le cose belle / che porta 'l ciel, per un pertugio tondo. / E quindi uscimmo a riveder le stelle. Sì, perché sono belle le cose che la modernità ha fatto in modo di nascondere; e, se riuscisse a vederle di nuovo, l’uomo ne gioirebbe nel profondo del cuore, e forse ricomincerebbe ad amare anche la vita. La sua crisi spirituale è anche una crisi estetica: si è convinto, con Leopardi, che il vero è brutto, con il che ha fatto un torto alla sua intelligenza, oltre che al proprio senso estetico. E a che serve lamentarsi, come fanno gli esistenzialisti, di essere stati gettati nel mondo, se questo mondo è ciò che ci viene dato, ma, nello stesso tempo, ciò che ci spinge a cercare oltre, ad alzare lo sguardo, a inseguire il nostro legittimo desiderio di felicità?

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Hanno preteso di togliere al cristianesimo ciò che gli è più specifico e caratteristico: lo scandalo, la croce, ciò che Kierkegaard chiamava l’assurdo.

Ora è qui, proprio qui, che si pone la dicotomia fondamentale, che deve essere affrontata e superata. Da un lato, noi proviamo l’istintivo sentimento di legarci al mondo, perché siamo attratti da quanto in esso vi è di bello e di buono; dall’altro, sappiamo e sentiamo che, legandoci ad esso, ne restiamo catturati e imprigionati, e perdiamo lo slancio per aspirare a quell’altro mondo, nel quale troveremo le ultime risposte e la nostra pace vera. L’arte di vivere consiste pertanto nell’amare il mondo, senza restarne imprigionati; e nel serbare sempre viva la nostalgia per l’altro mondo, senza perciò disprezzare e aborrire questo. La cosa non è così’ facile come potrebbe, forse, apparire. I santi, avvicinandosi alla fine della loro vita, irraggiano una luce più viva, splendo dono dio felicità, perché sentono avvicinarsi la meta di tutti i loro desideri; se venisse loro proposto di rimanere sulla terra per qualche altro anno, li vedremmo rattristarsi e farsi pensosi, perché nessuno che sia giunto in vista del traguardo, torna volentieri indietro; nessuno che abbia ormai a portata di mano il bene infinito, lo pospone a cuore leggero al ritorno verso dei beni finiti. Eppure i santi, per la maggior parte, non sono delle persone tristi; sono persone che amano la vita: ma hanno appreso l’arte di amarla senza lasciarsene irretire, e senza mai permettere che le cose di quaggiù facciano ombra al grande sole della vita soprannaturale. Il loro segreto è che essi hanno capito quale deve essere il giusto modo di porsi rispetto al mondo, alle sue lusinghe e alla sua pretesa saggezza, che è una saggezza di corto respiro e di cortissima vista.
Ecco come affrontava il nodo un grande santo, Luigi Grignon de Montfort, canonizzato da Pio XII nel 1947 (da: Textes choisis par R. Christoflour, Namur, Editions du Soleil Levant, 1957; cit. in Il secondo breviario dei laici, a cura di Luigi Rusca, Milano, Rizzoli,  pp. 276278):
La saggezza del mondo è in perfetta conformità con le regole e il modo di vivere del mondo; è un’incessante tendenza verso la grandezza e la stima; un’incessante e segreta ricerca del proprio piacere e del proprio interesse, non già in un modo grossolano e brutale, commettendo qualche scandaloso peccato, ma in un modo sottile, ingannatore, politico; altrimenti non sarebbe più, secondo il mondo, saggezza, bensì libertinaggio. Un saggio, per il mondo, è un uomo che sa condur bene i propri affari e riuscire in tutto – secondo il proprio personale vantaggio – senza quasi apparir d’averlo voluto fare; che conosce l’arte di dissimulare e ingannare con finezza, senza che ci se ne accorga; che  nulla ignora delle affettazioni e delle cerimonie del mondo; che sa adattarsi a tutto per raggiungere i propri scopi, senza preoccuparsi troppo dell’onore e dell’interesse di Dio; che mette segretamente ma funestamente d’accordo la verità con la menzogna, il Vangelo col mondo, la virtù con il peccato, Cristo con Belial; che vuol farsi ritenere un onest’uomo ma non un devoto; che disprezza, avvelena o condanna facilmente tute le pratiche di pietà che non vanno d’accordo con le sue. Infine un saggio mondano è un uomo che, non lasciandosi guidare se non dalla luce dei sensi e dell’umana ragione, non cerca di rivestirsi che delle apparenze del cristiano e dell’uomo onesto, senza darsi troppa pena di piacere a Dio e d’espiare con la penitenza i peccati ch’egli ha commesso contro la divina Maestà. La condotta di questo saggio del mondo è fondata sul punto d’onore, sul “che ne dirà la gente”, le usanze, il viver bene, l’interesse, le grandi arie e le barzellette. Sono questi i sette innocenti motivi sui quali egli si appoggia per condurre una vita tranquilla. Egli possiede delle particolari virtù che lo fanno canonizzare dalla gente del mondo; come la prodezza, l‘astuzia, la politica, il saper fare, la galanteria, la cortesia, la piacevolezza. Ritiene gravi pecche l’insensibilità, l’ignoranza, la rusticità, l’eccessiva devozione.
Egli segue il più fedelmente possibile i dieci comandamenti che il mondo ha dettato:
1° Conoscerai bene il mondo; 2° Vivrai con decoro; 3° Farai bene i tuoi affari; 4° Conserverai bene ciò che ti appartiene; 5° Ti leverai dalla polvere; 6° Ti farai degli amici; 7° Frequenterai il bel mondo; 8° Amerai il ben vivere; 9° Non farai sorgere la malinconia; 10° Eviterai la singolarità, la rusticità, l’eccessiva devozione.
Mai il mondo è stato così corrotto come ora, perché non è mai stato così scaltro, così saggio – nel proprio senso -, così politico. Esso si serve con scaltrezza della verità per ispirare la menzogna, della virtù per autorizzare il peccato, e degli stessi principi di Cristo per coonestare i propri sì che i più saggi – secondo Dio – ne sono sovente infiammati. “Il numero di questi saggi secondo il mondo e di questi insensati secondo Dio è infinito”. Stultorum infinitus est numerus (Eccles, 1, 15).
La saggezza terrestre di cui parla san Giacomo (3, 15-18) consiste nell’amore dei beni terreni. È di questa saggezza che i saggi del mondo fanno una segreta professione quando ancorano i loro cuori a ciò che possiedono; quando cercano di arricchire; quando intentano processi e muovono inutili cavilli per possedere e conservare la ricchezza; quando non pensano, non parlano, non agiscono, per la maggior parte del loro tempo, che nell’intento di possedere o conservare qualcosa di temporale, non curandosi della propria salvezza o dei mezzi per conseguirla, come la confessione, la preghiera, e così via, se non alla leggera, in modo sbrigativo, ad intervalli, e per salvar le apparenze.
La saggezza carnale consiste nell’amor del piacere. È di questa saggezza che i saggi del mondo fanno professione quando non ricercano che i piaceri dei sensi; quando amano la bella vita; quando allontanano da sé tutto ciò che può mortificare o incomodare il corpo, come i digiuni, le austerità, eccetera; quando non pensano normalmente che a bere, mangiare, giocare, ridere e divertirsi, e a trascorrere piacevolmente il proprio tempo; quando ricercano i letti soffici, i giochi divertenti, le cene piacevoli e le allegre compagnie; e quando, senza scrupoli, hanno soddisfatto tutti questi piaceri, hanno potuto assicurarseli senza spiacere al mondo e senza rovinare la propria salute, vanno in cerca del confessore “meno scrupoloso” (è così che essi chiamano i confessori rilassati che non fanno il proprio dovere!), per avere da lui, a buon mercato la pace nella loro vita molle ed effeminata e l’indulgenza plenaria di ogni proprio peccato. Dico a buon mercato; perché questi saggi secondo la carne non vogliono per solito, quale penitenza, che qualche preghiera o qualche elemosina, odiando tutto ciò che può affliggere il corpo.
La saggezza diabolica è l’amore della considerazione, degli onori. È di questa saggezza che i saggi del mondo fanno professione, quando aspirano benché segretamente, alle grandezze, agli onori, alle dignità e agli alti impieghi; quando cercano di mettersi in vista, esser stimati, lodati, applauditi dagli uomini; quando non ricercano nei loro studi, nei lavori, nelle lotte, nelle parole e nelle azioni loro che la stima e la lode degli uomini, per esser ritenuti persone devote, gente sapiente, grandi capitani, dotti giureconsulti, individui di infiniti e speciali meriti, di grande considerazione; quando non possono sopportare di esser misconosciuti e criticati; quando nascondono i propri difetti e mettono in mostra ciò che di buono posseggono.
Dobbiamo, con Nostro Signor Gesù Cristo e la saggezza incarnata, detestare e condannare questi tre tipi di falsa saggezzaonde conseguire quella vera, che non ricerca il proprio interesse, che nn ha sede sulla terra o nel cuore di coloro che vivono secondo i propri comodi, e che disprezza tutto ciò che è grande e nobile dinanzi agli uomini.

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È necessario lavorare sulla consapevolezza, perché solo grazie ad essa l’uomo contemporaneo si renderà conto di quel che gli  accaduto.

Si resta impressionati, anzi, impietriti, nell’applicare gli ammonimenti di questo grande santo, vissuto nella Francia di Luigi XIV, cioè tre secoli e mezzo fa, alla situazione odierna dei cristiani e degli stessi membri del clero, a cominciare dai vescovi e i cardinali. A quanti di essi non si addicono le parole di Louis-Marie Grignon de Montfort: vogliono l’applauso del pubblico, vogliono piacere al mondo, ma non si preoccupano altrettanto di piacere a Dio. La loro “saggezza” è una saggezza puramente terrena, puramente carnale, e perciò, in definitiva, è  una saggezza diabolica. Non si può piacere sia a Dio che al mondo; c’è poco da fare: si deve necessariamente piacere all’uno e dispiacere all’altro. Essi, invece, cercano di mettersi in vista, esser stimati, lodati, applauditi dagli uomini: non è questo il ritratto di monsignor Paglia, di monsignor Galantino, e di tutti i vari Kasper, Marx, Sosa, Ladarria, Schönborn, Nichols, e cento e cento altri? Ed è il ritratto della cantante suor Cristina, e di quell’altra suora spagnola,Lucia Caram, che va sempre in televisione a parlare un po’ di tutto e che dice che Maria Vergine e san Giuseppe facevano sesso come tutte le coppie normali di questo mondo. Appunto: ritorna sempre il concetto della saggezza del mondo. Ci si è dimenticati che quel che va bene secondo il mondo, va un po’ meno bene di fronte a Dio; e viceversa. Il clero secolarizzato e laicizzato dei nostri giorni, che si vergogna di andare per la strada in abito sacerdotale, e che si vanta di trasformare le chiese in pulpiti per predicatori empi, come la signora Bonino, o in luoghi di piacevole intrattenimento con i seguaci delle false religioni, sembra essersi completamente dimenticato di questa semplicissima verità: che non si può vivere secondo il mondo, piacendo al mondo, venendo apprezzati e lodati dal mondo, e, nello stesso tempo, piacendo a Dio. Hanno preteso di togliere al cristianesimo ciò che gli è più specifico e caratteristico:lo scandalo, la croce, ciò che Kierkegaard chiamava l’assurdo. Ciò che è vero, buono e bello davanti a Dio, è assurdo secondo il giudizio degli uomini; e viceversa. Hanno voluto togliere il pungiglione che rende il cristianesimo un modo di essere radicalmente opposto e alternativo rispetto al mondo: perché, per il mondo, il bene consiste nell’ottenere il piacere, il successo, il denaro, nel ritardare il più possibile gl’incomodi, nello scansare tutte le fatiche e i pericoli che non abbiano come ultimo scopo il proprio benessere e la propria gloria. Ma tutto questo, agli occhi di Cristo, è meno di niente: è spazzatura. A Cristo non importa affatto che noi diventiamo ricchi e famosi; meno ancora gl’importa che noi riusciamo a soddisfare ogni nostro capriccio e ogni nostra voluttà. Tutto questo è fatto per allontanarci da Lui, per farci dimenticare li senso e la meta della vita umana. 

Tornare a riveder le stelle

di Francesco Lamendola
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