ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 20 luglio 2018

Il giusto concetto di sacerdozio

CHE CI STA A FARE IL SACERDOTE?


Chi è e che ci sta a fare il sacerdote? il vero sacerdote, il solo sacerdote nel senso pieno del termine, è Gesù Cristo; il "sacerdote umano" è colui che imita il sacerdozio di Cristo e che si fa Suo strumento "in modo totale" 
di Francesco Lamendola  

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 Vedendo in televisione don Fabio Corazzina, con la sua maglietta a righe, la sua massa di capelli ricci e il suo sorriso beffardo, spendersi continuamente a favore della “buona causa” dei migranti e degli omosessuali; e don Cosimo Scordato che, nella sua chiesa di Palermo, invita sull’altare, in piena Messa, una coppia di lesbiche, le presenta festoso a fedeli e le indica quale esempio ammirevole di amore “coniugale”, compiacendosi per le loro nozze in municipio e rammaricandosi solo di non poterle unire in matrimonio religioso, stante l’attuale, deplorevole omofobia della Chiesa cattolica; e don Farinella che abolisce la santa Messa di Natale per “rispetto dei migranti” e che, dal suo sito internet, non la finisce più di sentenziare su tutto e su tutti, facendo sempre e solo politica e non parlando mai di Dio, dell’anima, del peccato e della grazia; e cento e cento altri preti dei nostri giorni, più o meno di strada, più o meno modernisti, progressisti, accoglienti, dialoganti, fautori dell’islam e del luteranesimo, sempre larghi di buone parole per gli abortisti e i fautori dell’eutanasia, sempre severissimi, implacabili contro quella orribile razza che qualifica i cattolici tradizionalisti, retrogradi, oscurantisti, populisti e xenofobi; e quando si ripensa a padre Turoldo che spezzava il Rosario in pubblico e lo gettava a terra, dicendo di farla finita con tali superstizioni medievali; o a don Gallo che, col suo colbacco calcato in testa e l’eterno sigaro fra le labbra, salutava col braccio sinistro alzato e il pugno chiuso, e si accompagnava sempre e solo a invertiti e transessuali; e quando si sente un vescovo emerito, come monsignor Nogaro, dichiarare che le chiese, lui, le regalerebbe tutte agli islamici, affinché le trasformino in altrettante moschee, senza neppure una parola per tutti i fedeli che verrebbero espropriati dei loro luoghi di culto e non avrebbero più dove celebrare il Sacrificio eucaristico; e monsignor Paglia far dipingere un enorme affresco osceno nella sua cattedrale, che è una celebrazione del peccato e dei peccatori impenitenti e un oltraggio alla Persona stessa di Gesù Cristo, e poi tenere commosse celebrazioni in ricordo di Marco Pannella, dichiarando che tutti dovrebbero prendere esempio dalle sue preclare virtù morali, a cominciare dai fedeli cattolici: ebbene, una domanda sale spontanea alla mente: ci si chiede se costoro, per caso, si sono scordati che cosa sia un sacerdote cattolico, quale sia la natura del sacerdozio e che cosa i sacerdoti ci stiano a fare in mezzo alla gente.

O forse, ci si chiede, semplicemente, banalmente (la banalità del male, diceva qualcuno…) se non l’abbiano mai saputo. Forse non glie l’hanno insegnato in seminario, non vi hanno mai riflettuto sopra neppure per un istante.
Oh, sappiamo bene cosa direbbero essi, di fronte a una simile riflessione: che non solo sanno benissimo cosa significhi essere prete, ma che loro sono i veri preti, i veri ministri di Gesù Cristo, la vera incarnazione di ciò che Iddio vuole che sia un suo sacerdote, loro e nessun altro; e che tutti i sacerdoti i quali non fanno come loro, non hanno il loro stile, non adottano il loro linguaggio, e, soprattutto, che non si dedicano ventiquattro ore su ventiquattro all’impegno sociale, che non allestiscono pranzi per i poveri dentro le chiese, che non tengono corsi di affettività per i fidanzati omosessuali, che non benedicono il peccato e i peccatori, affermando che non è peccato, che non  è mai stato peccato, e che la sodomia, per esempio, o la pederastia, o l’incesto, non sono affatto quel gran male che si dice in giro, perché, alla fine dei conti, l’amore è l’amore, ed è la cosa più bella che ci sia, la sola cosa che conti, e che chi la pensa in altro modo è solo un ottuso, meschino, reazionario clericale, un cattivo cristiano, uno che ignora lo spirito del Concilio Vaticano II, e non sa cosa sia la misericordia, il cavallo di battaglia dell’eretico cardinale Walter Kasper, il grande ispiratore della pastorale del signor Bergoglio; che la Chiesa, quando parlava in tutt’altro modo, mentiva, si ingannava e confondeva le anime; e che chi non è incondizionatamente favorevole all’auto-invasione dell’Italia da parte di orde di falsi profughi africani ed islamici, non merita nemmeno il nome di cristiano, ma è solo un egoista, un malvagio fascista e un razzista.

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Ma la natura e la missione del sacerdote dopo il Concilio Vaticano II è forse cambiata?

Così definiva la natura e la missione del sacerdote padre Lorenzo da Fara, uno dei più noti agiografi cattolici degli ultimi decenni, autore di famose biografe di Padre Pio, san Leopoldo Mandić, san Francesco (in: Leopldo Mandić. L’umanità e la santità (Padova, Opera di San Leopoldo Mandić, 1987, pp. 57-60):
Il sacerdozio cattolico è dignità e servizio (Presbyterorum Ordinis, I). (…)
Pastore, profeta, mediatore, celebrante il sacrificio di Cristo, riconciliatore e consolatore, il sacerdote è insieme  un credente è promosso “al servizio di Cristo maestro, Sacerdote e Re” (ibidem),  e al servizio di tutto il popolo cristiano.
Il servizio sacerdotale è stato istituito “per offrire il sacrificio  e perdonare i peccati” (ibidem, 2), per rendere perfetto il sacrificio dei fedeli (cfr. ibidem) e far sì che tutta la città redenta, cioè la riunione e la società dei santi, offra a Dio”un sacrificio universale per mezzo del Gran Sacerdote, il quale ha anche offerto se stesso per noi con la sua Passione, per farci diventare corpo di così eccelso capo” (S. Agostino), De Civitate Dei, 10, 6).
Il sacerdote, per sua vocazione e per il sacramento che riceve, partecipa in modo essenzialmente diverso da quello dei fedeli al sacerdozio di Cristo (Lumen Gentium, 10). Il sacerdote infatti agisce “in persona di Cristo”. È assunto nell’essenza del sacerdozio di Cristo ed è chiamato ad esercitare il suo servizio affinché tutti i fedeli possano esercitare il loro sacerdozio spirituale. Frutto del servizio sacerdotale è la gloria di Dio e la piena redenzione dell’uomo. Nella storia della salvezza, non avviene la glorificazione di Dio e la redenzione dell’uomo se non per mezzo dell’azione e della presenza di Cristo. Il sacerdote fra presente Cristo nella sua Chiesa. Lo fa presente nelle azioni liturgiche, nel sacrificio della Messa, sotto le specie eucaristiche nella virtù dei sacramenti,  nella proclamazione della Parola, nella preghiera della comunità (Sacrosanctum Concilium, 7).
La vita del sacerdote deve essere caratterizzata dunque dalla duplice realtà che le è propria : la dignità e il servizio. Il sacerdote si configura a Cristo sacerdote come suo strumento; esso è strumento vivo di Cristo, agisce in nome di Cristo stesso e lo rappresenta (Presbyterorum Ordinis, 12). Il sacerdote è chiamato a vivere nello spirito di Cristo sacerdote e nello spirito fraterno che unisce gli uomini e mette a servizio di essi.
Questa è la specifica santità dei sacerdoti  “se nello spirito di Cristo eserciteranno le proprie funzioni con impegno sincero ed insindacabile” (ibidem, 13).
Di qui nasce nei sacerdoti una domanda: essi spesso  si chiedono “con vera angoscia come fare  ad armonizzare la vita interiore con l’azione esterna” (ibidem, 14).
Il problema si pone come un interrogativo che investe la vita stessa dei sacerdoti, il significato della loro presenza, della loro azione. (…)
Concilio, sinodo, studi evidenziano  la crisi della vita sacerdotale: crisi di identità, di presenza, di testimonianza, di comunità di fiducia, di ruolo. Il punto ricorrente è vedere se il sacerdote di ieri (“l’uomo del sacro” e quello di domani (“l’uomo dell’annuncio e del servizio”) c’è spazio per un sacerdozio concreto, storico, vero. La tensione si fa più forte quando ci si domanda a quale Chiesa il sacerdote debba riferirsi; se alla Chiesa carismatica o alla Chiesa gerarchica; se alla Chiesa storica o alla Chiesa profetica; se alla Chiesa sacramentale o alla Chiesa evangelizzatrice.
Abbiamo la sensazione che tutta questa problematica, spesso inquieta, sia nuova; ma in realtà, se non vogliamo cadere in una ingenuità storica notevole, dobbiamo riconoscere che la vita sacerdotale è sempre stata difficile. La mediazione tra il divino e l’umano ha sempre fatto del sacerdote una creatura “sradicata” (cfr. Ebrei, 5, 1).
Ogni sacerdote ha sempre portato nel suo cuore, e spesso nella sua carne, i segni della sua fedeltà alla verità che giustifica la sua vita e alla ricchezza spirituale che alimenta di valori il suo sacerdozio.

Questa definizione può essere un punto di partenza, anche se non tutto, in essa, appare convincente; evidentemente, negli anni ’80 del Novecento, il male del neomodernismo si era già largamente diffuso nella Chiesa cattolica, e cominciava a infettare anche la mente e il cuore dei sacerdoti migliori (migliori in senso relativo e non in senso assoluto). Chi lo dice che il sacerdote di ieri era solo l’uomo del sacro, e il sacerdote di oggi è solo l’uomo dell’annuncio e del servizio? E chi lo dice che vi è differenza, se non addirittura opposizione, fra la Chiesa carismatica e la Chiesa gerarchica, fra quella storica e quella profetica? Chi si pone in una simile prospettiva, chi si fa simili domande, è già stato infettato dall’idea deviante, non cattolica, che ci sono due Chiese, una prima e una dopo il Concilio, e due modi di essere prete, e due modi di essere cristiani; il che, se fosse vero, significherebbe una cosa sola: che la nuova chiesa non è più la vera Chiesa, non ha niente a che fare con la vera Chiesa, è solo una pessima imitazione di essa, una mistificazione e un inganno nei confronti dei fedeli. La Chiesa è la Chiesa, e basta; e il sacerdozio è il sacerdozio e basta, non c’è un sacerdozio del sacro e uno dell’impegno. Quanta superbia e quanta colossale ingenuità vi è, in questo modo di vedere le cose: come se i sacerdoti di prima del Concilio non fossero anche uomini dell’impegno; come la Chiesa di prima del Concilio non fosseanche la Chiesa della profezia; come se l’impegno e la profezia fossero appannaggio, come se fossero monopolio della Chiesa dopo il Concilio, come se il Concilio avesse scoperto queste categorie, e per millenovecento anni i sacerdoti se ne fossero dimenticati!

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Se il sacerdote è una imitazione del Sacerdote celeste, Gesù Cristo, allora in tutto quello che fa e dice, deve trasparire qualcosa della dolce regalità di Lui.

Chi è e che ci sta a fare il sacerdote?

di Francesco Lamendola

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